La Corte di cassazione esclude la possibilità di sostituire il teste deceduto

22 Maggio 2019

La questione in esame è la seguente: in caso di decesso o incapacità del testimone è possibile procedere alla sua sostituzione?
Massima

Se nel corso del giudizio di merito, sia sopravvenuta, rispetto alla data della proposizione, l'impossibilità di assumere la prova offerta per decesso o incapacità del testimone, ciò dev'essere imputato esclusivamente alla parte che, pur avendone l'interesse, non ne abbia proposto l'assunzione preventiva.

Il caso

Un privato citava in giudizio il proprio vicino lamentandosi che aveva installato una grondaia e realizzato un casotto per animali da cortile a distanza illegale dal proprio fabbricato, chiedendo la condanna del convenuto alla rimozione delle opere collocate a distanza illegale ed al risarcimento dei danni. Il convenuto deduceva che le opere asseritamente costruite ad una distanza illegale esistevano da oltre vent'anni, e cioè sin dall'epoca di costruzione del fabbricato, senza violazione di alcun strumento urbanistico giacché, all'epoca, il Comune non aveva adottato alcun regolamento. I giudici di merito condannavano il convenuto ad arretrare le opere realizzate. Il convenuto – soccombente in entrambi i gradi di merito – proponeva ricorso in Cassazione lamentandosi della circostanza che non era stata accolta la sua istanza di sostituzione dei testimoni indicati, uno perché deceduto e l'altro colpito da una malattia neurologica degenerativa, volti a riferire in ordine all'epoca di costruzione della grondaia.

La Corte di cassazione ha rigettato il ricorso rilevando che l'assunzione di testi che non siano stati preventivamente e specificamente indicati può essere consentita solamente nei casi previsti dall'art. 257 c.p.c., la cui enunciazione deve ritenersi tassativa, dal momento che l'obbligo della rituale indicazione è inderogabile e che la preclusione prevista dall'art. 244 dello stesso codice ha il suo fondamento nel sistema del vigente codice e si inquadra nel principio, espresso dal successivo art. 245, secondo il quale il giudice provvede sull'ammissibilità delle prove proposte e sui testi da escutere con una valutazione sincrona e complessiva delle istanze che tutte le parti hanno sottoposto al suo esame, con la conseguenza che la parte non può pretendere di sostituire i testi deceduti prima della assunzione, con altri che non siano stati da essa stessa indicati nei modi e nei termini di cui all'art. 244 c.p.c.

La questione

La questione in esame è la seguente: in caso di decesso o incapacità del testimone è possibile procedere alla sua sostituzione?

Le soluzioni giuridiche

Con la pronuncia in commento, la Corte di cassazione riproduce – senza alcuno sforzo critico – quanto sostenuto da un risalente precedente, antecedente alla novella dell'art. 111 Cost., a mente del quale l'assunzione di testi che non siano stati preventivamente e specificamente indicati può essere consentita solamente nei casi previsti dall'art. 257 c.p.c., la cui enunciazione deve ritenersi tassativa, dal momento che l'obbligo della rituale indicazione è inderogabile e che la preclusione ex art. 244 c.p.c. ha il suo fondamento nel sistema del vigente codice e si inquadra nel principio, espresso dal successivo art. 245c.p.c., secondo il quale il giudice provvede sull'ammissibilità delle prove proposte e sui testi da escutere con una valutazione sincrona e complessiva delle istanze che tutte le parti hanno sottoposto al suo esame. Di conseguenza, la parte non può pretendere di sostituire i testi deceduti prima della assunzione, con altri che non siano stati da essa stessa indicati nei modi e nei termini di cui all'art. 244 c.p.c. (Cass. civ., n. 4071/1993).

Come noto, la prova per testimoni deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata.

Tale testo risulta dalla modifica introdotta dall'art. 89 della l. n. 353/1990 essendo anteriormente alla modifica prevista l'indicazione tardiva dei testi da interrogare (Cass. civ., n. 3984/1979 riteneva che l'omessa indicazione dei nominativi dei testimoni non comportasse alcuna inammissibilità della prova).

Con la novella dell'art. 244 c.p.c. operata nel 1990 è venuta meno la possibilità per il giudice di consentire che i testi possano essere indicati fino al momento di inizio della fase di raccoglimento della prova cosicché, attualmente, deve ritenersi che l'indicazione dei testi, costituendo elemento di perfezionamento della prova debba avvenire contestualmente alla formulazione dei capitoli (Trib Torino, 11 dicembre 2006, ha espressamente indicato che l'abrogazione della norma introdotta dalla citata novella del 1990 non rende più possibile la concessione di tale beneficio).

La Corte di cassazione ha esplicitato come nel processo civile, disciplinato dalla l. n. 353/1990 – che ha abrogato gli ultimi due commi dell'art. 244 c.p.c. – il potere riconosciuto al giudice istruttore è solo quello di assegnare un termine, ai sensi del comma 1 dell'art. 184 c.p.c., per deduzioni istruttorie concernenti la prova testimoniale e ciò riguarda sia la formulazione dei capitoli, che l'indicazione dei testi (Cass. civ., n. 5082/2007).

Una volta che il giudice abbia provveduto sulle richieste avanzate dalle parti non è più possibile effettuare tale indicazione di testimoni o integrare la lista dei testi già prodotta, in quanto l'unica attività processuale ancora giuridicamente possibile circa le prove ammesse, consiste nell'assunzione delle medesime.

Ciò si comprende tenendo particolarmente conto del fatto che la deduzione della prova testimoniale incide anche sul diritto di difesa dell'altra parte con l'obbligo, per chi voglia avvalersi in giudizio di tale mezzo di prova, di indicare specificamente sia i capitoli di prova sia le persone da interrogare dato che, in difetto, si realizzerebbe una lesione del diritto di difesa dell'altra parte a tutela della quale è prevista l'inammissibilità di una prova irritualmente dedotta o carente di uno dei suoi elementi essenziali (Cass. civ., n. 191/1990).

L'assunzione di testi non indicati in lista è ammissibile ma solo nei limiti previsti dall'art. 257 c.p.c. la cui enunciazione deve ritenersi tassativa.

Da tale corollario, i giudici di legittimità hanno fatto discendere che l'obbligo della rituale indicazione dei testi è inderogabile avendo la preclusione ex art. 244 c.p.c. il suo fondamento nel sistema del codice di rito, inquadrandosi nel principio, espresso dal successivo art. 245 c.p.c., secondo il quale il giudice provvede sull'ammissibilità delle prove proposte e sui testi da escutere con valutazione sincrona e complessiva delle istanze che tutte le parti hanno sottoposto al suo esame, con l'ulteriore ineludibile conseguenza che: la parte non può pretendere di sostituire i testimoni deceduti prima dell'assunzione con altri che non siano stati da essa stessa indicati nei modi e nei termini previsti dal comma 1 dell'art. 244 c.p.c. (Cass. civ., n. 6515/1992).

Orbene, la richiesta di sostituzione del teste tempestivamente indicato, in caso di decesso non trovava una espressa disciplina nella normativa processuale vigente, né risulta ancora oggi prevista dalla nuove norme introdotte per il processo civile.

La disciplina da applicare al caso concreto deve ricavarsi quindi dai principi generali che governano la fase processuale di articolazione e assunzione della prova testimoniale.

In accordo con la migliore dottrina, tale richiesta debba essere intesa come domanda di rimessione in termini, ai sensi dell'art. 184-bisc.p.c. (applicabile ratione temporis).

L'art. 184-bisc.p.c., inserito dalla l. n. 353/1990, in vigore dal 30 aprile 1995, poi modificato dalla l. n. 534/1995, oggi abrogato dalla l. n. 69/2009, prevedeva che la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile, può chiedere al giudice istruttore di essere rimessa in termini.

Secondo la interpretazione costante della giurisprudenza di legittimità l'art. 184-bis c.p.c. per la sua collocazione nel libro 2^, titolo 1^, capo 2^, sezione 2^, sotto la rubrica della trattazione della causa, riguardava le sole ipotesi in cui le parti costituite fossero decadute dal potere di compiere determinate attività difensive nel corso della trattazione della causa ed in questo ambito rendeva operante la remissione in termini della sua disciplina.

Con l'abrogazione di tale norma, avvenuta con la l. n. 69/2009, l'intero testo dell'art. 184-bis è stato riportato all'art. 153, comma 2, c.p.c.

La nuova collocazione dell'istituto della remissione in termini, originariamente previsto per il solo procedimento di primo grado dall'articolo 184-bisc.p.c. oggi abrogato, ne consente l'applicabilità generale e pertanto anche ai giudizi di impugnazione.

Si ricorda inoltre che l'art. 104 disp. att. c.p.c., nella formulazione vigente prima della l. n. 69/2009 prevedeva che se la parte senza giustificato motivo non fa chiamare testimoni davanti al giudice, questi la dichiara decaduta dalla prova. Nella formulazione dell'art. 104 disp. att. c.p.c., modificata dalla l. n. 69/2009, è previsto che se la parte, senza giusto motivo, non fa chiamare i testimoni davanti al giudice, questi la dichiara anche di ufficio decaduta dalla prova salvo che l'altra parte dichiari di avere interesse all'audizione. Se il giudice riconosce giustificata l'omissione, fissa una nuova udienza per l'assunzione della prova.

Emerge quindi la esistenza di un principio generale di favor del legislatore nei confronti della parte che incolpevolmente incorre in una decadenza processuale, principio che è andato accentuandosi con l'introduzione delle modifiche processuali di cui alla l. n. 69/2009.

In tale direzione, la Corte di cassazione ha affermato, in una fattispecie simile a quella in oggetto che, una volta ammessa la prova testimoniale con l'indicazione delle persone da assumere e fissata l'udienza per la loro escussione, se sopravvenga il decesso di uno dei testi ammessi e la parte deducente non abbia provveduto alla sua intimazione per l'udienza di assunzione, tale parte non incorre nella decadenza prevista dall'art. 104 disp. att. c.p.c., comma 1, dovendo piuttosto trovare applicazione analogica – rispetto a questa ipotesi non disciplinata dal codice di rito – la norma contemplata nel comma 2 di detta disposizione che consente di ritenere giustificata l'omissione e legittima il giudice a fissare, con successiva ordinanza, una nuova udienza per l'assunzione degli ulteriori testi ammessi, siccome, anche in tal caso, si impone l'esigenza di evitare la decadenza determinata da un impedimento incolpevole (Cass. civ., n. 14080/2014; Cass. civ., n. 13187/2013; Cass. civ., n. 16764/2006; nella giurisprudenza di merito: App. Reggio Calabria, 10 dicembre 2009, che considerato quale motivo impeditivo a rendere testimonianza, di tale gravità da giustificare la richiesta sostituzione la cardiopatia ischemica con esiti di pregressi interventi cardio-chirurgici in paziente con cefalea subcontinua e depressione, del testimone necessitante di riposo assoluto in ambiente tranquillo; Trib. Biella, 4 maggio 2009, che ha ammesso l'audizione del teste indicato in sostituzione di un teste deceduto dopo l'ordinanza ammissiva delle prove e, comunque, dopo la scadenza del termine preclusivo per la deduzione della prova testimoniale, sostituzione consentita nei soli casi in cui all'audizione del teste ritualmente e tempestivamente indicato non può farsi luogo per causa non imputabile alla parte processuale che lo aveva indicato).

Osservazioni

Appare evidente che, in caso di decesso del testimone indicato (specie come nella odierna fattispecie, allorquando tra la data di indicazione dei testi (9 luglio 1999) e l'udienza fissata per la loro escussione (26 novembre 2013), intercorre un lunghissimo iato temporale che non consente alcuna previsione sulla sopravvivenza del testimone indicato), la parte non può ritenersi decaduta dalla prova ex art. 104 disp. att. c.p.c., comma 1, in quanto non potrebbe mai intimare a comparire il teste defunto, con la conseguenza che tale omissione trova, perciò, piena giustificazione a norma del comma 2 del citato art. 104, con conseguente legittima sostituzione del teste deceduti.

Si rileva che nel caso in esame deve ritenersi improprio il riferimento alle norme dell'art. 244, comma 3c.p.c., e art. 153 c.p.c., giacché l'ipotesi di un teste deceduto anteriormente all'udienza fissata per la sua audizione si sottrae evidentemente, per la sua imprevedibilità, alla possibilità di essere inquadrata e disciplinata dal combinato disposto delle suddette norme, quante volte la parte indichi alcuni testimoni, prima del loro decesso.

Correttamente, dunque, in casi del genere deve farsi ricorso analogico alla norma dell'art. 104, comma 2 disp. att. c.p.c., riconoscendo giustificata la richiesta di sostituzione del teste defunto.

Tale applicazione analogica risulta pienamente legittima, riguardando un'ipotesi (quella della morte di un teste già indicato dalla parte) che non è contemplata dal codice del rito e che ha in comune con quella espressamente prevista dalla norma in questione proprio l'esigenza di evitare la decadenza determinata da un inadempimento processuale della parte che sia stato causato da un giustificato impedimento della parte stessa.

Tale soluzione interpretativa trova conferma nel nuovo art. 111 Cost., per come modificato nel 1999, fondando la sua convinzione sulla necessità di salvaguardia del pieno diritto di difesa.

In altri termini, l'ammissibilità della sostituzione del teste deceduto si pone in linea con il criterio del giusto processo introdotto con la citata novella dell'art. 111 Cost., principio che al contrario non è stato preso in considerazione nella odierna pronuncia che ha posto a carico del ricorrente le conseguenze pregiudizievoli della eccessiva durata del processo, durata che rende imponderabili ed imprevedibili accadimenti umani, quali il decesso di un testimone.

Resta fermo, naturalmente, che la sostituzione deve essere giustificata da eventi non imputabili alla parte.

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