Accertamento analitico

29 Agosto 2018

L'accertamento analitico, riguardante le imposte dirette e l'IVA, è basato sulla rettifica di una o più poste contabili o sul recupero a tassazione di uno o più importi con valenza reddituale in caso di persone fisiche. Per gli esercenti attività d'impresa e per i professionisti, esso presuppone la correttezza dell'impianto contabile, di cui viene riconosciuta l'attendibilità. L'onere della prova spetta all'ufficio, ad eccezione delle indagini finanziarie in cui grava sul contribuente.
Inquadramento

Dal punto di vista sistematico, non esiste una disciplina positiva dell'accertamento analitico, né una o più norme che lo prevedano espressamente, tanto ai fini delle imposte dirette e dell'IRAP, quanto dell'IVA, nel cui perimetro esso è limitato.

Esso, infatti, non rappresenta un genus normativo ma un metodo accertativo, che viene applicato nell'ambito e nel contesto di alcuni tipi di accertamento, a seconda che si riferiscano alle persone fisiche o alle imprese e autonomi e, al contempo, valido sia in materia di imposte dirette e IRAP che ai fini IVA.

Tecnicamente, dunque, si definisce analitico il metodo di accertamento fondato sulla rettifica, o sul recupero ad imposizione, di singole voci dichiarate dal contribuente o al medesimo riconducibili, sia che si tratti di un privato che di un titolare di partita IVA.

Muovendo da questo presupposto, il metodo analitico è posto a base:

  • dell'accertamento derivante da indagini finanziarie di cui all'art. 32 DPR 600/73, rivolto sia ai privati che ai titolari di partita IVA;
  • dell'accertamento fondato sulla contabilità di cui all'art. 39 c. 1 DPR 600/73, ai fini delle imposte dirette e all'art. 54 DPR 633/72, ai fini IVA;
  • dell'accertamento parziale, di cui all'art. 41 bis DPR 600/73.
Le indagini finanziarie

Evoluzione delle precedenti indagini bancarie, le indagini finanziarie rappresentano uno degli strumenti più incisivi a disposizione del fisco, che si estendono a tutti i rapporti, di qualunque specie e natura (e, dunque, non soltanto a quelli di conto corrente), intrattenuti dai contribuenti, sia privati che titolari di partita IVA, con gli intermediari finanziari (banche e istituti di credito, assicurazioni, società finanziarie, ecc.).

A ciò si è giunti a seguito dell'entrata in vigore dell'archivio dei rapporti, introdotto dal decreto legge “Salva Italia” (DL 201/2011) che ha previsto l'obbligo, per gli operatori finanziari, di comunicare all'anagrafe tributaria - denominata, appunto, Archivio dei rapporti con operatori finanziari - le informazioni sui saldi e sulle movimentazioni dei rapporti attivi; la comunicazione si affianca a quella relativa all'Anagrafe dei rapporti finanziari, regolata dal Provv. AE 19 gennaio 2007 e del Provv. AE 29 febbraio 2008.

La natura analitica delle indagini finanziarie risiede nel metodo utilizzato dagli uffici nell'esame delle movimentazioni risultanti dai rapporti, di conto corrente e non, intrattenuti con gli intermediari creditizi, che si fonda sulle singole operazioni – e, dunque, sul relativo importo – rispetto alle quali il contribuente è chiamato a provare la non imponibilità, ove non risultante già dagli atti. Va evidenziato, peraltro, che, come si vedrà, con riferimento ai soggetti titolari di partita IVA la procedura prevista per le indagini finanziarie (art. 32 c. 1 n. 2 DPR 600/73) è espressamente menzionata dall'art. 39 c. 1 lett. c) sull'accertamento analitico di tipo contabile.

Ebbene, come previsto dall'art. 32 c. 1 n. 2 DPR 600/73, gli uffici finanziari possono invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento nei loro confronti, relativamente ai rapporti e alle operazioni intrattenuti con le banche, la società Poste italiane Spa, per le attività finanziarie e creditizie, le società ed enti di assicurazione per le attività finanziarie, gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del risparmio, le società di gestione del risparmio e le società fiduciarie. I dati ed elementi attinenti ai rapporti e alle operazioni sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 del medesimo decreto, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono posti come ricavi a base delle stesse rettifiche e accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a € 1.000 giornalieri e, comunque, a € 5.000 mensili.

Qualora, dunque, il contribuente, sottoposto a verifica, non sia in grado di giustificare la provenienza o l'impiego delle somme - rispettivamente in entrata e in uscita - risultanti dai propri rapporti finanziari, le stesse saranno poste a base degli accertamenti (ai sensi dell'art. 38 per le persone fisiche e dell'art. 39 per i titolari di partita IVA), appunto con il metodo analitico, per cui i singoli importi (di qui l'analiticità dell'accertamento) formeranno la materia imponibile oggetto di recupero (ai fini delle imposte dirette e, se dovute, dell'IRAP e dell'IVA).

Va precisato, al riguardo, che, a seguito della sentenza C.Cost. 6 ottobre 2014 n. 228, il termine “compensi”, originariamente aggiunto a “ricavi”, è stato espunto dall'art. 32 suddetto, in quanto i prelevamenti dei professionisti (e degli autonomi) non sono parificati a quelli dei titolari di reddito d'impresa e, dunque, non possono formare oggetto di accertamento.

Sotto il profilo probatorio, come anticipato sarà il contribuente, sottoposto a verifica, a dover provare, fin dalla fase del controllo e, successivamente, in sede contenziosa, la provenienza o l'impiego delle somme, dunque la loro non imponibilità; è l'effetto di quanto previsto espressamente dall'art. 32, il quale reca, appunto, gli incisi “se il contribuente non dimostra” e “se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario”. L'unica eccezione, come detto, è rappresentata dalla franchigia prevista dalla norma, rappresentata dalle soglie (concorrenti) di € 1.000 giornalieri ed € 5.000 mensili, al di sotto delle quali nessuna prova contraria dev'essere fornita dal contribuente.

Come ricordato dalla Corte di Cassazione, dunque (Cass. 27 luglio 2021 n. 21546), il contribuente è onerato della prova contraria, la quale deve essere rigorosa - non potendo, ad esempio, essere assolta mediante ricorso a dichiarazioni di terzi (Cass. 9 marzo 2021 n. 6405). Stante la suddetta inversione dell'onere della prova, prosegue la Corte,l'Ufficio non è tenuto, in caso di accertamenti bancari, a dare prove ulteriori, ad esempio allegando l'esistenza di un adeguato coacervo indiziario (Cass. 30 giugno 2020 n. 13112). Di converso, essendo onere del contribuente dare la prova piena, dimostrando in modo analitico l'estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all'efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione (Cass. 3 maggio 2018 n. 10480). A questo onere si accompagna, di converso, l'obbligo del giudice del merito di verificare con rigore l'efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna singola operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze (Cass. 30 giugno 2020 n. 13112 cit.; Cass. 3 maggio 2018 n. 10490; Cass. 20 settembre 2017 n. 21800).

Dal punto di vista procedimentale, risulta oramai superata, dalla giurisprudenza costante di legittimità, la necessità che all'accertamento, derivante da indagini finanziarie, venga allegata l'autorizzazione da parte del direttore centrale o regionale dell'Agenzia delle Entrate, o del comandante regionale della Guardia di Finanza; la Corte di Cassazione, al riguardo, ha evidenziato che l'autorizzazione prescritta ai fini dell'espletamento delle indagini bancarie esplica una funzione organizzativa, incidente nei rapporti tra uffici, e non richiede alcuna motivazione, sicché la sua mancata allegazione ed esibizione all'interessato non comporta l'illegittimità dell'avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite, che può derivare solo dalla sua materiale assenza e sempre che ne sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente (Cass. 31 luglio 2020 n. 16499).

Accertamento analitico-contabile

Con riferimento ai soggetti titolari di partita IVA, che si tratti di ditte individuali, professionisti, artisti o imprese in forma societaria, l'amministrazione finanziaria può rettificare - appunto, analiticamente - le singole poste contabili e, con esse, gli importi indicati in dichiarazione, ai fini delle imposte dirette, dell'IRAP e dell'IVA.

È quanto previsto dall'art. 39 c. 1 lett. a, b e c d.P.R. n. 600/73, il quale, ai fini delle imposte dirette e dell'IRAP, dispone che l'ufficio procede alla rettifica:

a) se gli elementi indicati nella dichiarazione non corrispondono a quelli del bilancio;

b) se non sono state esattamente applicate le disposizioni del titolo I capo VI (artt. 55-66) TUIR, in materia di reddito d'impresa;

c) se l'incompletezza, la falsità o l'inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione risulta in modo certo e diretto dai verbali e dai questionari di cui all'art. 32 c. 1 n. 2 e 4 DPR 600/73, dagli atti, documenti e registri esibiti o trasmessi ai sensi del n. 3 dello stesso comma, dalle dichiarazioni di altri soggetti previste negli artt. 6 e 7, dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti o da altri atti e documenti in possesso dell'ufficio.

Ai fini IVA, il metodo induttivo è previsto dall'art. 54 c. 2 e 3 DPR 633/72, in base al quale l'infedeltà della dichiarazione, qualora non emerga o direttamente dal contenuto di essa o dal confronto con gli elementi di calcolo delle liquidazioni e con le precedenti dichiarazioni annuali, deve essere accertata mediante il confronto tra gli elementi indicati nella dichiarazione e quelli annotati nei registri IVA e mediante il controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni sulla scorta delle fatture e altri documenti, delle risultanze di altre scritture contabili e degli altri dati e notizie raccolti (secondo comma). L'ufficio può, tuttavia, procedere alla rettifica senza previa ispezione della contabilità del contribuente qualora l'esistenza di operazioni imponibili per ammontare superiore a quello indicato nella dichiarazione, o l'inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione, risulti in modo certo e diretto, e non in via presuntiva, da verbali, questionari e fatture, dalle dichiarazioni o da verbali relativi ad altri contribuenti, nonchè da altri atti e documenti in suo possesso (c. 3).

Sia ai fini delle imposte dirette che dell'IVA, dunque, la rettifica operata dal fisco non prescinderà dall'impianto contabile, del quale non verrà dichiarata l'inattendibilità come accade per l'accertamento induttivo, ma si baserà su di esso, le cui poste formeranno oggetto di accertamento.

L'accertamento analitico-induttivo

Una species del genus dell'accertamento analitico è rappresentata dal metodo analitico-induttivo, il quale rappresenta una particolare metodologia che, sebbene rientrante nel più ampio schema del metodo analitico, consente all'amministrazione finanziaria di rideterminare le basi imponibili, ai fini delle imposte dirette, dell'IRAP e dell'IVA, prescindendo in parte dai dati contabili.

Si tratta, in definitiva, di un procedimento che, pur prendendo le mosse dalle poste contabili e, con esse, dai dati dichiarati, prevede la rideterminazione degli imponibili mediante l'applicazione di medie di settore, o di indici di redditività o percentuali di ricarico, ritenendo quelle rivenienti dalla dichiarazione non in linea con quelle stimate.

Il presupposto normativo per poter accedere all'accertamento analitico-induttivo è rappresentato dall'esistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, ritenute tali dall'amministrazione finanziaria procedente.

E' quanto previsto, ai fini delle imposte dirette e dell'IRAP, dall'art. 39 c. 1 lett. d) DPR 600/73, in base al quale l'esistenza di attività non dichiarate o l'inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti; analogamente, ai fini IVA, l'art. 54 c. 2 ultimo periodo DPR 633/72 prevede che le omissioni e le false o inesatte indicazioni possono essere indirettamente desunte dalle risultanze del confronto tra la dichiarazione e la contabilità, dati e notizie o anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.

Quelli della gravità, precisione e concordanza rappresentano dei requisiti che richiamano quanto previsto dall'art. 2729 c.c. in materia di presunzioni semplici, in base al quale le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti. Si tratta, in definitiva, di presunzioni che ammettono la prova contraria da parte del contribuente, il quale ne risulta onerato in giudizio, a fronte dell'impugnazione dell'accertamento.

D'altro canto, tuttavia, in sede di ricorso è sicuramente opportuno sollevare la violazione della norma sulle presunzioni e, con essa, la mancanza dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, previsti quale condizione di accesso al metodo analitico-induttivo.

Va, tuttavia, evidenziato che, nel tempo, la Corte di Cassazione ne ha, di fatto, mitigato la portata, precisando che si tratta di requisiti che non necessitano di particolare rigore da parte dell'amministrazione finanziaria.

In particolare, la Corte ha evidenziato che la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità del metodo analitico-induttivo, purché si basi sull'esistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti (Cass. 3 luglio 2013 n. 16687).

Quanto a queste ultime, gli ermellini (Cass. 15 luglio 2015 n. 14787) hanno precisato come sia sufficiente che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame tale per cui il fatto da provare risulti desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità e alla stregua di un canone di probabilità che renda possibile e verosimile nel procedimento di inferenza logica la sequenza degli avvenimenti che ne sono oggetto in base a regole di comune esperienza.

Uno dei più frequenti tipi di accertamento analitico-induttivo è rappresentato da quello con cui l'amministrazione finanziaria contesta l'antieconomicità della gestione imprenditoriale, che, per molti aspetti, rappresenta l'evoluzione del precedente accertamento da studi di settore.

Con tale tipo di accertamento, il fisco, muovendo dalle poste contabili dichiarate dal contribuente (e in questo risiede la componente analitica), ritiene i dati insufficienti a garantire una adeguata remunerazione del capitale investito, sia di mezzi (costi delle attrezzature e degli impianti) che di personale (costi per lavoro dipendente o collaborazioni). Per questa ragione, l'ufficio ridetermina il reddito imponibile e il volume di affari mediante l'applicazione di una percentuale, di ricarico o di redditività (e in questo risiede la componente induttiva), che riporti i dati dichiarati in linea con una remunerazione teorica, ritenuta congrua.

La Corte di Cassazione ha, sempre più spesso, ricondotto il concetto di antieconomicità al requisito di inerenza che deve contraddistinguere i costi, dedotti dal reddito imponibile: in particolare, la Corte (Cass. 8 marzo 2021 n. 6368) ha precisato che l'antieconomicità del costo, rispetto al ricavo atteso, degrada a mero elemento sintomatico della carenza di inerenza (Cass. 17 luglio 2018 n. 18904). In conseguenza di tale impostazione, sono stati, ad esempio, ritenuti deducibili, in quanto inerenti, costi relativi ad attività di carattere preparatorio (Cass. 3 ottobre 2018 n. 23994), come anche costi strumentali ad attività future e di potenziale proiezione dell'attività imprenditoriale (Cass. 31 maggio 2018 n. 13882).

Accertamento parziale

Si fondano sul metodo analitico anche l'accertamento e la rettifica parziali, di cui agli artt. 41 bis DPR 600/73, ai fini delle imposte dirette e dell'IRAP e 54 c. 3 e 4 DPR 633/72; di recente tornati agli onori della cronaca per via dell'esclusione dall'obbligo del contraddittorio preventivo, di cui all'art. 5 ter D.Lgs. 218/97.

Con tali atti, gli uffici procedono al recupero di imponibili certi sottratti a imposizione, risultanti dai dati in possesso dell'amministrazione finanziaria, che non necessitano di ulteriore verifica.

In dettaglio, l'Agenzia delle entrate, qualora dalle proprie attività istruttorie, nonché dalle segnalazioni effettuati da altri uffici, dalla Guardia di finanza, da altre pubbliche amministrazioni oppure dai dati in possesso dell'anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l'esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile, o l'esistenza di deduzioni, esenzioni e agevolazioni in tutto o in parte non spettanti, possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibili, o la maggiore imposta da versare.

Ai fini IVA, inoltre, è previsto che gli uffici possano procedere alla rettifica senza la previa ispezione della contabilità del contribuente qualora l'esistenza di operazioni imponibili per ammontare superiore a quello indicato nella dichiarazione, o l'inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione, risulti in modo certo e diretto, e non in via presuntiva, da verbali, questionari e fatture, o da verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, nonché da altri atti e documenti in suo possesso.

Costituiscono esempi tipici di accertamenti parziali quelli riguardanti canoni di locazione non dichiarati, relativi a contratti regolarmente registrati, o fatture attive rinvenute nell'ambito di controlli incrociati, che non siano state registrate.

Come precisato dalla Corte di Cassazione (Cass. 27 dicembre 2019 n. 34518), l'accertamento parziale costituisce uno strumento diretto esclusivamente a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, ma non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 DPR 600/73, 54 e 55 DPR. 633/72, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole, per cui può basarsi senza limiti anche sul metodo induttivo e il relativo avviso può essere emesso pur in presenza di una contabilità tenuta in modo regolare (Cass. 28 ottobre 2015 n. 21984).

Riferimenti

Normativi

art. 32, 39 e 41 bis DPR 600/73

Art. 54 DPR 633/72

Giurisprudenza

C.Cost. 6 ottobre 2014 n. 228

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