La diffusione del contratto di rete e le persistenti criticità giuslavoristiche
Francesco Mercuri
04 Luglio 2018
La necessità delle PMI di accrescere la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato attraverso forme di cooperazione non connotate da integrazione proprietaria tra i partecipanti è certificata dalla costante espansione del contratto di rete.Tuttavia, il ricorso a tale strumento risulta ancora foriero di criticità, specie con riferimento agli istituti giuslavoristici del distacco infra-rete, della codatorialità e delle responsabilità datoriali che ne conseguono. La pubblicizzazione di “forti vantaggi” economici a questi ultimi riconducibili, effettuata da alcuni operatori di mercato, ha reso necessario l'intervento dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro. Il contributo, dopo aver messo in luce la crescita progressiva del ricorso al contratto di rete, affronta criticamente le indicazioni operative fornite dall'Ispettorato, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 254 del 2017.
La diffusione del contratto di rete
Il contratto di rete, come noto, è stato introdotto e disciplinato dall'art. 3, comma 4 ter, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, conv. con modif. in l. 9 aprile 2009, n. 33.
Il proprium di tale contratto, come evidenziato in un precedente focus sul tema, risiede nella capacità di rispondere ad esigenze di cooperazione duratura non connotate da integrazione proprietaria tra i partecipanti. Si tratta di uno strumento negoziale assai duttile, che consente (soprattutto) alle piccole e medie imprese di stabilire rapporti sinergici al preciso scopo di accrescerne la competitività attraverso la condivisione di conoscenze e competenze, spazi, macchinari, o, finanche, l'esercizio di attività in comune.
Il legislatore si è, dunque, proposto di mettere a disposizione delle PMI uno strumento giuridico idoneo a raggiungere livelli dimensionali e qualitativi utili a competere sul mercato globale, senza che le imprese partecipanti debbano rinunciare al proprio assetto proprietario.
Giunti a poco meno di due lustri dall'entrata in vigore di tale contratto appare utile svolgere alcune valutazioni in ordine alla diffusione dello strumento, oltre che evidenziare, nei successivi paragrafi, alcune peculiarità giuslavoristiche che lo arricchiscono, a tutt'oggi foriere di criticità di non poco momento.
Ad oggi (ultimo aggiornamento: 3 giugno 2018), risultano registrati 4.722 contratti di rete, che coinvolgono complessivamente 29.422 imprese. Ma se si guarda all'evoluzione nel tempo di tale strumento, grazie ai dati mensilmente aggiornati e pubblicati da Infocamere al sito internet: contrattidirete.registroimprese.it/reti, può notarsi che nel primo biennio l'accoglienza è stata a dir poco tiepida. Infatti, malgrado l'introduzione del contratto fosse stata sollecitata dalle stesse associazioni imprenditoriali, a fine anno 2010 ne risultavano registrati solamente 12, i quali coinvolgevano appena 46 imprese.
Solo a partire dal 2011 l'interesse al fenomeno è iniziato a crescere, raggiungendo un vero e proprio picco nel corso dell'anno 2013, nel quale sono stati registrati oltre 650 contratti per un totale di circa 3.390 imprese coinvolte. Tale impennata, per dottrina pressoché unanime, pare in buona parte motivata dalla maggior fiducia prodotta nel mercato dalle successive modifiche legislative (in particolare dalle l. n. 122 del 2010, n. 134 del 2012 e n. 221 del 2012), con le quali il legislatore si è premurato di meglio specificare elementi essenziali e particolarmente incentivanti del contratto di rete.
Il trend di crescita è poi proseguito in modo costante negli anni successivi. Nel periodo tra giugno 2016 e giugno 2017 sono stati conclusi quasi 1.000 contratti di rete per un totale di oltre 5.000 imprese coinvolte. E secondo gli ultimi dati a disposizione, anche il 2018 si colloca sulla medesima linea di crescita, con 490 contratti stipulati nel periodo compreso tra il primo gennaio ed il 3 giugno u.s.
Vi è poi da rilevare un ulteriore dato. Il contratto di rete può dare vita a reti di natura prettamente contrattuale (c.d. reti-contratto) oppure – attraverso il combinato disposto del comma 4-ter, terzo periodo e del comma 4-quater, ultimo periodo, dell'art. 3, d.l. n. 5 del 2009, conv. con modif. in l. n. 33 del 2009, come modificati dai summenzionati interventi legislativi del 2012 – a reti dotate di soggettività giuridica (c.d. reti-soggetto). In quest'ultima ipotesi i soggetti retisti, mediante iscrizione del contratto di rete alla sezione ordinaria del Registro delle imprese, decidono di costituire un nuovo soggetto di diritto, a tutti gli effetti autonomo centro di imputazione di rapporto giuridici.
Orbene, la prima categoria di rete risulta ad oggi largamente più utilizzata, rappresentando l'85% dei contratti stipulati ed oltre l'80% delle imprese coinvolte. Il riscontro empirico, dunque, evidenzia una netta preferenza nei confronti della rete priva di soggettività giuridica, che, con ogni probabilità, meglio si attaglia alle reali necessità delle PMI, alla ricerca di strumenti “leggeri” di cooperazione interimprenditoriale.
Ad ogni modo, al netto di tale ultima suddistinzione, ciò che preme rilevare è che, numeri e dati alla mano, il contratto di rete costituisce un modello aggregativo in costante espansione e di sicuro avvenire, non scevro, tuttavia, da alcune persistenti criticità, specie in ambito lavoristico, di cui ora si cercherà di dare conto.
Il recente intervento dell'Ispettorato nazionale del lavoro
Nel 2013 il legislatore ha cercato di incentivare ulteriormente la stipulazione del contratto di rete, introducendo strumenti utili alla gestione flessibile e/o condivisa della prestazione lavorativa all'interno dell'aggregato reticolare. Si tratta, come già rilevato nel precedente focus del 2016, cui si rinvia per la disamina dei singoli istituti, del distacco infra-rete (art. 30, comma 4-ter, d.lgs. n. 276 del 2003), della codatorialità (art. 30, comma 4-ter, ultimo periodo, d.lgs. n. 276 del 2003) e dell'assunzione congiunta (quando almeno il 40 per cento sono imprese agricole, art. 31, comma 3-ter, d.lgs. n. 276 del 2003).
Il corretto inquadramento ed utilizzo di tali strumenti è stato oggetto di un intenso dibattito dottrinale, nonché di circolari del Ministero del lavoro, e, da ultimo, dell'Ispettorato nazionale del lavoro (d'ora in poi INL).
Ai fini del presente scritto preme, in particolare, soffermarsi sulle considerazioni espresse dall'INL. In data 29 marzo 2018 la Direzione generale dell'INL ha emesso due circolari, nn. 6 e 7. Nella prima ha affrontato il tema dell'estensione ai rapporti di subfornitura della responsabilità solidale di cui all'art. 29, comma 2, d. lgs. n. 276 del 2003, alla luce dell'importante pronuncia della C. cost., 7 novembre 2017, n. 254. Nella seconda circolare, invece, sono state fornite indicazioni operative al personale ispettivo riguardo al distacco infra-rete ed alla codatorialità nelle reti, a fronte di «segnalazioni in ordine ad annunci pubblicitari» nei quali “si promuove l'utilizzo del distacco e della codatorialità nell'ambito del contratto di rete” in ragione dei “ ‘forti vantaggi' di natura economica di cui beneficerebbero le aziende”.
Dalle affermazioni contenute in quest'ultima circolare (n. 7 del 2018), tuttavia, possono sorgere dubbi interpretativi notevoli, sia riguardo al corretto inquadramento degli istituti trattati, sia alla recente statuizione della Consulta (richiamata anche all'interno della circolare in esame). Ivi, infatti, dopo aver esortato gli uffici preposti a prestare la “massima attenzione alla presenza di soggetti che offrono tali ‘servizi' ”, posto il rischio evidente di «violazione di diritti fondamentali dei lavoratori, dando luogo ad ipotesi di somministrazione e distacco illeciti», la Direzione generale dell'INL si propone di «riepilogare le disposizioni vigenti in materia», su di un terreno, tuttavia, ancora ricco di incertezze applicative (oltre che teoriche).
Da tale “riepilogo” emerge un quadro sostanzialmente rinnovato concernente l'istituto della codatorialità, rispetto al quale si rendono opportuni alcuni rilievi.
In primo luogo, desta una certa perplessità l'affermazione secondo cui “la codatorialità è disciplinata dalle medesime disposizioni in materia di distacco ivi comprese quelle concernenti le forme di tutela del lavoratore distaccato di cui ai commi 2 e 3 del citato art. 30”. Questa, se letteralmente interpretata condurrebbe a ritenere applicabile alla codatorialità l'apparato regolativo e rimediale del distacco a fronte, tuttavia, di una formula di impiego della manodopera del tutto differente e, per certi versi, opposta a quella del distacco. Quest'ultimo, come noto, si caratterizza per una temporanea dissociazione tra titolare formale e sostanziale della prestazione lavorativa, giustificata da un interesse organizzativo proprio del datore di lavoro originario, presunto ex lege laddove le imprese siano legate da un contratto di rete (art. 30, comma 4-ter, d.lgs. n. 276 del 2003). Durante il distacco la prestazione viene eccezionalmente conformata dal distaccatario, temporaneamente dotato del potere direttivo. La codatorialità, viceversa, si caratterizza per un uso promiscuo e contemporaneo della prestazione lavorativa da parte degli imprenditori retisti, ciascuno dei quali è titolare di tutti i poteri tipici datoriali, oltre che dei relativi obblighi. La stessa, benché introdotta attraverso una disposizione alquanto scarna, deve intendersi, così, quale fattispecie implicante una gestione comune della prestazione da parte dei co-datori della rete, volta a rispondere ad esigenze più complesse di coordinamento della prestazione lavorativa in vista della realizzazione degli obiettivi della rete. Saranno poi i soggetti retisti a dover regolare efficacemente, nel contratto di rete, sulla base del relativo programma comune, la ripartizione e l'esercizio dei poteri, anche eventualmente demandando ad un soggetto ad hoc (ad esempio l'organo comune) il coordinamento dei lavoratori messi “a fattor comune” (p. 3, circolare INL).
Le strutturali diversità in breve tratteggiate devono condurre l'interprete a leggere la summenzionata affermazione dell'INL in senso meramente funzionale, dunque volta ad osteggiare i tentativi frodatori “pubblicizzati” e causa principale dell'intervento. Pertanto, l'equiparazione regolativa al distacco sostenuta dall'Ispettorato è volta, ad avviso di chi scrive, ad affermare che anche ai lavoratori in codatorialità si applicano i trattamenti normativi ed economici previsti dalla contrattazione collettiva, in particolare di colui che formalmente risultava datore di lavoro formale prima della destinazione della prestazione a una pluralità di imprese della rete (ma vi possono essere anche lavoratori assunti ex novo in codatorialità al fine specifico di svolgere attività volte alla realizzazione del programma di rete), senza alcuna possibilità di obliterazione delle fonti normative dei rapporti di lavoro.
D'altronde, una lettura differente andrebbe in netto contrasto con quanto successivamente affermato dalla medesima circolare ove si rileva che le “eventuali omissioni afferenti il trattamento retributivo o contributivo espongono a responsabilità tutti i co-datori, a far data dalla messa ‘a fattor comune' dei lavoratori interessati”. Invero, la codatorialità – come argomentato in un precedente focus – implica la responsabilità solidale di tutti i co-datori, proprio in ragione della piena contitolarità che si produce sul rapporto lavorativo da parte dei singoli retisti, diversamente dal distacco (anche infra-rete) per il quale la corresponsabilizzazione si avrà solo in caso di utilizzazione illegittima dello stesso.
Tale ultima affermazione dell'INL appare particolarmente interessante perché, se da un lato aderisce alle prospettazioni della dottrina ormai maggioritaria, si colloca in posizione fortemente distonica rispetto alla circolare del Ministero del lavoro del 29 agosto 2013, n. 35. In quest'ultima, invero, il Ministero ha sostenuto che in caso di codatorialità, le “responsabilità penali, civili e amministrative” debbano essere valutate alla luce delle previsioni pattiziamente concordate tra i partecipanti all'interno “del contratto di rete, senza pertanto configurare ‘automaticamente' una solidarietà tra tutti i partecipanti al contratto”. Secondo l'INL, al contrario, la solidarietà opera quale vero e proprio automatismo, quantomeno per ciò che concerne gli aspetti retributivi e contributivi della prestazione.
Della responsabilità solidale nella codatorialità, anche alla luce della sentenza n. 254 del 2017 della Corte costituzionale
La presa di posizione da ultimo menzionata, conduce ad alcune considerazioni specifiche in tema di responsabilità solidale nella codatorialità, anche alla luce dell'importante sentenza della C. cost. 7 novembre 2017, n. 254.
Come visto, l'INL afferma l'esistenza di un vincolo solidaristico tra gli imprenditori retisti, limitato, tuttavia, ai crediti retributivi e contributivi. Tale limitazione giustifica probabilmente il richiamo all'art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003, definito, peraltro, come “principio generale della responsabilità solidale” a fronte della recente estensione operata dalla Consulta.
È dunque opportuno valutare l'adeguatezza di tali indicazioni.
La scelta di perimetrare la responsabilità solidale ai soli crediti retributivi e contributivi – o, tutt'al più, alle posizioni creditorie individuate all'art. 29, comma 2, cui l'INL rinvia – non appare condivisibile. Invero, se si ammette, come fa correttamente l'Ispettorato nella circolare n. 7 del 2018, che gli imprenditori retisti «sono tutti datori di lavoro nei confronti del personale indicato nel contratto di rete», sugli stessi incomberanno i relativi obblighi datoriali, i quali discendono da norme inderogabili di legge. I codatori, infatti, sono legati al prestatore dal medesimo titolo, il contratto di lavoro subordinato. Si configura, pertanto, un'obbligazione soggettivamente complessa (ex parte datoris) e, per dette obbligazioni, la solidarietà è un effetto automatico che discende dai principi codicistici, in particolare dall'art. 1294, ai sensi del quale “i condebitori sono tenuti in solido”. Pertanto, il lavoratore potrà far valere qualunque pretesa concernente il rapporto di lavoro posto «a fattor comune», nei confronti di uno qualsiasi dei codatori. La codatorialità di cui all'art. 30, comma 4-ter, ultimo periodo, può, tuttavia, condurre ad interessanti opportunità regolative nei rapporti interni tra gli imprenditori della rete. Questi possono infatti suddividersi, all'interno del contratto di rete, le posizioni attive e passive nei confronti dei lavoratori condivisi, nei termini che ritengono più opportuni. Detta eventuale ripartizione, essendo prevista all'interno di in un contratto commerciale cui il lavoratore è del tutto estraneo, non potrà in alcun modo intaccare la possibilità di quest'ultimo di soddisfarsi per l'intero credito su ciascuno dei codatori.
La seconda questione riguarda la scelta di definire “principio generale” il vincolo solidale di cui all'art. 29, comma 2, da cui conseguirebbe, secondo l'INL, l'applicabilità dello stesso all'istituto della codatorialità. Per rispondere a tale quesito è necessario svolgere qualche brevissima considerazione in merito alla pronuncia della Consulta.
Nella sentenza n. 254 del 2017 la Corte costituzionale ritiene che “l'eccezionalità della responsabilità del committente è tale rispetto alla disciplina ordinaria della responsabilità civile – che esige di correlarsi alla condotta di un soggetto determinato – ma non lo è più se riferita all'ambito, ove pur distinto, ma comunque omogeneo in termini di lavoro indiretto”. Ne discende che la responsabilità solidale del committente debba estendersi anche a fattispecie diverse dall'appalto al fine di “evitare il rischio che i meccanismi di decentramento […] vadano a danno dei lavoratori utilizzati nell'esecuzione del contratto commerciale”. In considerazione di ciò la Consulta ritiene infondata la questione di costituzionalità sollevata dalla Corte d'appello di Venezia, posto che la previsione di cui all'art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003, può essere interpretata in modo conforme a Costituzione.
Come puntualmente rilevato nel commento alla sentenza del 31 gennaio 2018, l'interpretazione della Corte costituzionale “non comporta solo la necessità che d'ora in poi si debba considerare vigente l'obbligo della responsabilità solidale in capo al committente anche nei confronti dei subfornitori. Piuttosto quella medesima conclusione è suscettibile di essere estesa a quell'ambito di rapporti accomunati, per usare le parole della Corte, dall'impiego di ‘lavoro indiretto' ”.
Pertanto, da un lato si generalizza la disposizione vagliata, dall'altro, tuttavia, si perimetra l'applicabilità dell'art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003, ai casi in cui, attraverso un contratto commerciale, un soggetto diverso dal datore di lavoro realizzi un'utilizzazione indiretta di manodopera, posto che, afferma la Corte, «la tutela del soggetto che assicura una attività lavorativa indiretta non può non estendersi a tutti i livelli del decentramento».
Al netto delle critiche mosse in dottrina a tale impostazione, l'INL ha dunque ragione a definire il vincolo solidale di cui all'art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003, “principio generale”, ma del tutto inappropriato è sostenerne l'applicabilità all'istituto di cui al successivo art. 30, comma 4-ter, ultimo periodo, d.lgs. n. 276 del 2003. Come appena detto, infatti, la generalizzazione riguarda i soli casi di utilizzazione indiretta della forza lavoro, mentre attraverso la codatorialità si configura una vera e propria contitolarità del rapporto di lavoro, nella quale gli imprenditori retisti sono direttamente investiti di tutti i poteri ed obblighi propri della posizione datoriale.
Brevi osservazioni conclusive
Come visto, il contratto di rete risulta essere in costante espansione, finanche nella formulazione dotata di personalità giuridica, la quale tuttavia rimane ampiamente minoritaria.
Pare quindi che tale strumento sia realmente in grado di assurgere al rango di formula aggregativa principale tra le PMI, quantomeno in prospettiva.
Tuttavia, sconta ad oggi ancora diverse criticità, in particolare con riferimento al corretto inquadramento ed utilizzo degli istituti giuslavoristici introdotti con il cd. “decreto lavoro” del 2013. In tale contesto di (parziale) incertezza interpretatvia, la circolare ministeriale n. 35 del 2013, così come la recentissima circolare dell'INL n. 7 del 2018, difettano della necessaria chiarezza, ed anzi, esplicitano contenuti tra loro fortemente contraddittori.
Come si è visto, le incertezze maggiori attengono all'istituto della codatorialità, il quale, pertanto, rischia di essere destinato ad un utilizzo del tutto marginale.
Appare, tuttavia, ormai pacifico che la gestione condivisa e flessibile del personale, quale fattore incentivante delle collaborazioni interimprenditoriali, non possa tradursi in uno strumento derogatorio dello statuto protettivo del lavoratore retista. Seppur con i limiti sopra evidenziati, emerge dalle indicazioni operative fornite dall'INL che la maggiore gravosità della prestazione del lavoratore, inserita nelle organizzazioni produttive di più imprenditori, è compensata da un regime di solidarietà tra tutti i codatori. Alla funzione di strumento di gestione flessibile della manodopera si aggiunge, così, quella di maggior tutela del lavoratore.
Tale necessario bilanciamento, riconosciuto dalla dottrina maggioritaria e, da ultimo, anche dall'Ispettorato, conduce gli operatori di mercato a prediligere forme di circolazione della manodopera meno “compromettenti”. In particolare, la scelta ricade (e con ogni probabilità continuerà a ricadere) sul distacco infra-rete, il quale permette di distinguere le posizioni e le responsabilità soggettive. Al distacco, infatti, e contrariamente a quanto sostenuto dall'INL nella circolare n. 6 del 2018, continuerà a non applicarsi la responsabilità solidale di cui all'art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003, essendo disciplinato da una norma eccezionale rispetto allo schema generale fissato dalla Corte costituzionale, nella quale si prevede che il datore di lavoro (originario) rimane il solo responsabile del trattamento economico e normativo.
Anche nelle reti di imprese, pertanto, si afferma la più proficua logica della limitazione delle responsabilità, a discapito di uno strumento potenzialmente in grado di rispondere, più e meglio di altri istituti, alle esigenze di stabile circolazione dei lavoratori e delle relative competenze e professionalità, volte ad accrescere le capacità innovative e competitive dei singoli retisti.
Guida all'approfondimento
I. Alvino, Il lavoro nelle reti di imprese: profili giuridici, Milano, Giuffré, 2014.
M. T. Carinci (a cura di), Dall'impresa a rete alle reti di impresa, Milano, Giuffré, 2015.
G. Guzzardi, Cooperazione imprenditoriale e contratto di rete, Padova, Cedam, 2015.
G. De Simone, Confini dell'impresa, esercizio dei poteri, responsabilità, nei gruppi e nelle reti, in Aa. Vv., Studi in memoria di Mario Giovanni Garofalo, Bari, Cacucci, 2015, 273 ss.
E. Villa, La responsabilità solidale come tecnica di tutela del lavoratore, Bologna, BUP, 2017.
M. G. Greco, Il rapporto di lavoro nell'impresa multidatoriale, Torino, Giappichelli, 2017.
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Sommario
Il recente intervento dell'Ispettorato nazionale del lavoro
Della responsabilità solidale nella codatorialità, anche alla luce della sentenza n. 254 del 2017 della Corte costituzionale