Malattia professionale indennizzata dall'Inail: i riflessi sul risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio e iure hereditatis

22 Marzo 2018

Dal risarcimento del danno non patrimoniale subito dalla vittima di una malattia professionale si decurtano le somme erogate dall'Inail per indennizzare il medesimo pregiudizio, anche se le stesse vengano corrisposte materialmente ai familiari superstiti a causa del decesso della lavoratrice assicurata.Dal risarcimento del danno non patrimoniale per perdita del rapporto parentale non si decurta la rendita ai superstiti, trattandosi di una prestazione economica che indennizza un pregiudizio di natura patrimoniale.
Massima

Dal risarcimento del danno non patrimoniale subito dalla vittima di una malattia professionale si decurtano le somme erogate dall'INAIL per indennizzare il medesimo pregiudizio, anche se le stesse vengano corrisposte materialmente ai familiari superstiti a causa del decesso della lavoratrice assicurata.

Dal risarcimento del danno non patrimoniale per perdita del rapporto parentale non si decurta la rendita ai superstiti, trattandosi di una prestazione economica che indennizza un pregiudizio di natura patrimoniale.

Il caso

Una lavoratrice, a causa dell'esposizione alle polveri di amianto avvenuta nel luogo di lavoro, contraeva un mesotelioma del peritoneo, che ne determinava poi il decesso.

In assenza dell'adozione di idonee misure necessarie per eliminare e/o ridurre l'esposizione professionale alle polveri nocive, gli eredi convenivano in giudizio il datore di lavoro, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali riportati in vita dalla lavoratrice assicurata dall'INAIL e di quelli subiti dai medesimi ricorrenti a causa del decesso della loro congiunta.

Il Tribunale accoglieva integralmente la domanda, riconoscendo ai ricorrenti iure hereditatis il ristoro del danno non patrimoniale sofferto in vita dalla vittima, nonché quello sofferto iure proprio.

Su appello della società datrice di lavoro, il giudice del gravame confermava, nella sostanza, la sentenza di primo grado, riconoscendo iure hereditatis ai familiari superstiti il risarcimento del danno biologico, esistenziale e morale derivato dalla consapevolezza, da parte della lavoratrice loro dante causa, della gravità della patologia e dell'approssimarsi della morte e confermando la liquidazione operata dal giudice di primo grado del danno non patrimoniale per perdita del rapporto parentale.

Con ricorso per cassazione la società datrice di lavoro ha chiesto l'annullamento della decisione di appello, contestando non solo la responsabilità, ma anche la sua condanna al risarcimento del danno non patrimoniale iure hereditatis, non essendo legittimata passivamente, trattandosi di pregiudizio indennizzabile dall'INAIL, il cui indennizzo compensa integralmente, a dire della ricorrente, tutti i danni alla persona e non solo quello alla salute, riportati dalla vittima; infine, con l'ultimo motivo di ricorso la società si è doluta che il giudice di merito non abbia detratto le somme erogate dall'INAIL per il danno biologico da quanto liquidato in ambito civilistico per il danno non patrimoniale riportato in vita dalla lavoratricee le somme erogate dall'Istituto per rendita ai superstiti, ex art. 85 DPR n. 1124/65 da quanto liquidato per la perdita del rapporto parentale.

La questione

Le questioni esaminate dalla Corte di Cassazione sono le seguenti:

1) Le somme versate dall'INAIL per danno biologico possono ritenersi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno biologico/non patrimoniale subito dalla vittima?

2) Dal danno non patrimoniale/biologico liquidato in ambito civilistico in favore della vittima quando ancora era in vita si detrae quanto versato dall'Istituto per il medesimo pregiudizio?

3) Dal danno non patrimoniale per perdita del rapporto parentale si detrae quanto erogato dall'INAIL a titolo di rendita ai superstiti?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione accoglie parzialmente il ricorso proposto dal datore di lavoro, risolvendo in senso positivo solo la seconda questione di diritto sollevata con il ricorso.

La Corte, infatti, respinge la tesi che l'indennizzo versato dall'INAIL abbia funzione integralmente ripristinatoria poiché presenta “delle differenze di valore monetario rispetto al danno civilistico per la diversa valutazione del grado di inabilità in sede INAIL rispetto a quella operata nel diritto comune, dove il grado di invalidità permanente viene determinato con criteri non imposti dalla legge ma elaborati dalla scienza medico legale, oltre che per il diverso valore del punto di inabilità”.

Pertanto, prosegue la Corte, la vittima conserva sempre il diritto al risarcimento, ma nei limiti del danno differenziale, che rappresenta “quella parte di risarcimento che eccede l'importo dell'indennizzo dovuto in base all'assicurazione obbligatoria e che resta a carico del datore di lavoro ove il fatto costituisca reato perseguibile d'ufficio”.

Il calcolo del danno differenziale deve avvenire per poste omogenee, come impone il sistema di risarcimento del danno, disegnato in forma "bipolare" da Cass. 31 maggio 2003, n. 8827 e n. 8828, poi consacrato da Cass. s.u. 11 novembre 2008, n. 26972.

Dunque, precisa la Corte, in presenza di una menomazione all'integrità psico – fisica valutata dall'INAIL in misura pari o superiore al 16%, per la quale viene erogata una doppia rendita, una per il danno biologico e un'altra per le conseguenze patrimoniali, ai fini della liquidazione del danno differenziale dall'importo del danno non patrimoniale/biologico deve essere detratto solo quanto indennizzato dall'INAIL alla lavoratrice per le conseguenze non patrimoniali dell'infortunio.

La rendita versata dall'INAIL, ricorda la Corte, ha veste unitaria ma duplice contenuto, in quanto la liquidazione delle prestazioni economiche “è distinta e deriva dalla applicazione di tabelle diverse: la "tabella indennizzo danno biologico" per il danno biologico e la "tabella dei coefficienti" per il danno patrimoniale”, che consente di monetizzare il danno alla capacità lavorativa specifica.

Al fine di un possibile scorporo dal danno non patrimoniale liquidato in ambito civilistico del valor capitale e dei relativi ratei riconosciuti alla vittima per il danno biologico, dunque, la Corte annulla con rinvio la sentenza impugnata, invitando il giudice di merito a verificare “l'avvenuta liquidazione di una rendita all'assicurata, e se del caso per lei ai suoi eredi, e ne tenga conto nella determinazione del danno c.d. differenziale”.

Infine, la Corte respinge l'ulteriore doglianza relativa alla mancata decurtazione dal danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale di quanto versato per rendita ai superstiti che "anche successivamente alle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 38/2000, costituisce una prestazione autonoma all'interno del sistema assicurativo obbligatorio, sicché va considerata fuori dall'ambito di applicabilità dell'art. 13 del medesimo D.Lgs. che ha esteso la copertura assicurativa alla componente di danno biologico; la posizione specifica e differenziata dei superstiti, rafforzata dall'art. 73 del D.Lgs. predetto e dalla L. n. 147 del 2013, art. 1, co. 130, rende conforme al canone di razionalità di cui all'art. 3 Cost. la scelta del legislatore di attrarre il danno biologico all'interno dell'oggetto dell'assicurazione con riferimento alla prestazione del solo assicurato, lasciando all'area esterna del diritto civile la tutela dei diritti risarcitori degli eredi".

Osservazioni

Ancora una volta la Corte di Cassazione respinge il tentativo del responsabile civile di un fatto illecito di eludere l'obbligo di risarcire il danno procurato alla vittima solo perché la lesione sia oggetto di indennizzo da parte dell'INAIL.

Si tratta di motivazione conforme alla più recente elaborazione giurisprudenziale di legittimità, secondo cui l'indennizzo erogato dall'INAIL per la lesione all'integrità psico – fisica, in sé e per sé considerata, non esaurisce il diritto al risarcimento del medesimo danno (Cass. 18 dicembre 2017, n. 30321; Cass. 1 dicembre 2017, 28896; Cass. 26 ottobre 2012, n. 18469; Cass. ord. 7 dicembre 2012, n. 22280).

Infatti, l'indennizzo assicurativo trova il suo fondamento nella finalità solidaristica prevista dall'art. 38 Cost., mentre il risarcimento del danno biologico trova il suo fondamento nella lesione della salute, diritto costituzionalmente protetto dall'art. 32 Cost., tanto che l'indennizzo viene erogato a prescindere dalla sussistenza di un fatto illecito, presupposto indispensabile per accedere al risarcimento del danno, e cessa con la morte del lavoratore assicurato, a differenza del risarcimento del danno che si trasmette iure hereditario (Cass. 17 febbraio 2016, n. 3074).

Per giustificare il calcolo del danno differenziale per poste omogenee la Corte si avvale di quanto già in precedenza affermato per tutelare il diritto di credito del lavoratore infortunato, evitando che il risarcimento del danno non patrimoniale, liquidato in ambito civilistico, possa essere ridotto, non solo detraendo il valor capitale ed i ratei versati dall'INAIL per il danno biologico, ma anche quanto erogato per le conseguenze patrimoniali, soprattutto nelle ipotesi in cui l'indennizzo assicurativo per le conseguenze patrimoniali risulti superiore a quanto liquidato per il danno patrimoniale in ambito civilistico (Cass. 26 giugno 2015, n. 13222; Cass. ord. 30 agosto 2016, n. 17407).

La Corte si conforma ancora a quell'orientamento che giustifica il calcolo del danno differenziale per poste omogenee per rispetto del bipolarismo del danno, da cui deriverebbe “la necessità di una distinzione delle poste anche nella liquidazione del danno-conseguenza” (Cass. 14 ottobre 2016, n. 20807; Cass. 10 aprile 2017, n. 9166; Cass. 29 novembre 2017, n. 28507; Cass. 21 novembre 2017, n. 27669).

Infine, con riferimento alla terza questione di diritto sollevata dal responsabile civile, la Corte di Cassazione, con motivazione condivisibile, esclude lo scorporo dal danno non patrimoniale per perdita del rapporto parentale della rendita ai superstiti, trattandosi di un indennizzo forfettario con cui si compensa il pregiudizio patrimoniale sofferto a ragione del rapporto di dipendenza economica con il defunto (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23963); in precedenza, la Corte ne aveva escluso lo scorporo dal danno biologico, liquidato in ambito civilistico, riportato dalla vittima poiché “la rendita ai superstiti, contemplata nell'art. 66, comma 1, n. 4), DPR n. 1124/65 e regolata dal successivo art. 85, in base al quale essa si determina tenendo conto della retribuzione del lavoratore deceduto, calcolata secondo le disposizioni degli artt. da 116 a 120, rappresenta una prestazione autonoma rispetto alla rendita percepita in vita dall'assicurato in quanto:

- spetta iure proprio e non iure successionis (Cass. 4 marzo 2002, n. 3069; Cass. 24 novembre 1997, n. 11745);

- il diritto alla rendita non appartiene al patrimonio del de cuius perché nasce alla morte dell'assicurato;

- i titolari sono previsti dalla legge e l'indennità non si confonde con il patrimonio del defunto;

- non è essenziale ai fini dell'erogazione della rendita ai superstiti che sia costituita la rendita in favore del de cuius (Cass. 27 novembre 1996, n. 10533; Cass. 3 giugno 1994, n. 5398);

- la rendita ai superstiti compete anche se la rendita del congiunto sia stata liquidata all'assicurato in capitale e da questo investita (Cass. 29 maggio 1999, n. 5289)” (Cass. 10 marzo 2017, n. 6306).

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