Massimale
23 Maggio 2019
Inquadramento
Il contratto di assicurazione per la responsabilità civile verso terzi ha lo scopo di manlevare l'assicurato nel caso di richiesta di risarcimento avanzata da un soggetto che sia stato danneggiato in conseguenza di un comportamento dell'assicurato, nei limiti e con le esclusioni previsti dal contratto stesso. Uno di questi limiti è rappresentato dal massimale, ossia la somma massima che l'assicurazione potrà (e dovrà, per contratto) pagare al danneggiato qualora intervenga un sinistro. Questo implica che qualora la richiesta danni ecceda il massimale, l'assicurato ne risponderà col proprio patrimonio. Il c.d. massimale di garanzia non è fisso ma può variare come qualsiasi clausola contrattuale per il volere delle parti. Esso è, chiaramente, in stretta dipendenza con il grado di rischio assicurato e l'ammontare del premio pagato dall'assicurato, potendo essere aumentato a fronte dell'aumento del premio e/o della diminuzione del rischio. Mentre non esiste un limite massimo di copertura, potendo esso eventualmente essere anche illimitato, per alcune categorie di assicurazioni (è il caso di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, cosiddetta RC Auto), è stabilito un limite minimo di copertura al quale le parti non possono derogare.
Assodato che nei confronti del danneggiato sia l'assicuratore che il danneggiante-assicurato sono obbligati in solido (il che significa che sono entrambi obbligati per l'intera somma ed il danneggiato può agire nei loro confronti disgiuntamente o congiuntamente), una questione dibattuta è quella della qualifica dell'obbligazione dell'assicuratore come debito di valuta o di valore. Le implicazioni sono certo di non trascurabile rilievo in quanto nel debito di valore (in cui l'obbligazione pecuniaria si valuta come bene in natura) si tiene conto della svalutazione monetaria intervenuta fra il momento di insorgenza dell'obbligazione e quello in cui avviene la liquidazione del danno, con applicazione degli interessi legali alla somma rivalutata, per il periodo intercorrente fra la liquidazione e il pagamento, mentre nel debito di valuta (che ha ad oggetto una obbligazione in denaro), invece, si applicano i soli interessi legali, calcolati sull'importo nominale originario. Tale questione è stata oggetto di un mutamento giurisprudenziale. Il precedente orientamento identificava l'obbligazione dell'assicuratore come debito di valore (Cass. civ., n. 11228/2000; Cass. civ. n. 3388/1995) e la ragione era identificata nel fatto che nell'assicurazione contro i danni il debito assolve funzione reintegrativa della perdita subita dal patrimonio dell'assicurato (Cass. civ., n. 44/1991), e ciò anche nell'ipotesi in cui il quantum dell'indennizzo risultasse convenzionalmente convenuto (Cass. civ., n. 11896/2008). Da ciò conseguiva che il debito fosse suscettibile di adeguamento alla svalutazione intervenuta tra il momento del danno e quello della liquidazione, anche se ciò provocasse il superamento del massimale di polizza (Cass. civ., n. 6395/1980). Era stato, infatti, chiarito che «la previsione di un massimale come limite della responsabilità dell'assicuratore è inidonea a trasformare l'obbligazione di risarcimento del danno in quella di pagamento di una somma determinata» (Trib. Pisa 11 ottobre 1979; più di recente: Cass. civ., n. 4753/2001). Il più recente e maggioritario orientamento, invece, è dell'opposto avviso di qualificare l'obbligazione dell'assicuratore come debito di valuta, come tale assoggettato al principio nominalistico e destinato, pertanto, a determinarsi entro il limite del massimale di polizza (v. Cass. civ., sez. III, sent., 23 giugno 2014, n. 14199). Tale principio è stato recentemente riaffermato dall'ordinanza del 21 febbraio 2018, n. 4138, che ha precisato, con riferimento alla RCA, che l'obbligazione dell'assicuratore ex art.1917 c.c. nei confronti della vittima di un sinistro stradale ha natura di debito di valuta e, nei limiti del massimale, la detta obbligazione va liquidata secondo i criteri propri dei debiti di valore, perché di valore è l'obbligazione risarcitoria che determina l'entità del debito indennitario. La medesima pronuncia ha inoltre evidenziato che quando, invece, il credito della vittima ecceda il massimale, l'obbligazione dell'assicuratore del responsabile va liquidata applicando le regole dettate per le obbligazioni di valuta dall'art. 1224 c.c. (conf. Cass. civ., 19 aprile 2011, n. 8988). Nello stesso senso si era già espressa una precedente pronuncia del 2013, secondo la quale il debito indennitario nell'assicurazione contro gli infortuni si connota come debito di valore dal momento del sinistro al verificarsi della liquidazione e solo successivamente a tale momento diventa obbligazione di valuta (v. Cass. civ., sez. III, sent. n. 25046/2013). Una puntualizzazione ulteriore giunge dalla successiva sentenza n. 7697 del 2 aprile 2014, con la quale la Suprema Corte ha statuito che «in tema di sinistri stradali deve ritenersi che l'indennizzo dovuto al danneggiato dalla compagnia assicurativa sia un debito di valore che si trasforma in debito di valuta con il passaggio in giudicatodella sentenza che rende definitiva la liquidazione, con interessi e rivalutazione monetaria dovuti dalla data della domanda fino a quella della sentenza definitiva». La Suprema Corte chiarisce, infine, (questione questa, pacifica) che l'indennizzo nel caso di assicurazione contro i danni ha invece natura di credito di valore, ed è dunque soggetto ad automatica rivalutazione (Cass. civ., 28 luglio 2015 n. 15868), come riaffermato anche dalla successiva sentenza Cass.civ., sez. VI, n.438/2018. La qualificazione nell'uno o nell'altro senso rileva, quindi, rispetto al massimale, atteso che, considerata l'obbligazione dell'assicuratore come di valuta, la svalutazione monetaria andrà necessariamente valutata e ricompresa entro il limite del massimale. I massimali minimi per la RCA: d. lgs. n. 198/2007
Per la RC Auto, a ragione dell'obbligatorietà dell'assicurazione ed a tutela dei danneggiati nei sinistri stradali, il legislatore si è preoccupato di fissare un limite minimo della copertura in modo che le assicurazioni non possano stabilire, nei contratti, un tetto di indennizzo inferiore a quello stabilito dalla legge. Il d. lgs. 6 novembre 2007 n. 198 ha, dunque, fissato dei limiti minimi di risarcimento, distinguendo i danni riportati nel sinistro alle cose ed i danni alle persone coinvolte e prevedendo un aggiornamento automatico di detti valori.
Dal giugno 2012 sino al giugno 2017 i valori corrispondevano a: - 5 milioni di euro per i danni alle persone e - 1 milione di euro per i danni alle cose,
Con l'ultimo aggiornamento dei massimali minimi assicurazione auto, intervenuto l'11 giugno 2017, – sono stati innalzati i valori, stabilendoli in: - 6.070.000 euro per danni riportati dalle persone, indipendentemente dal numero delle vittime; - 1.220.000 euro per danni riportati dalle cose, indipendentemente dal numero delle vittime e delle cose danneggiate.
Detto adeguamento si applica non solo ai nuovi contratti ma anche a quelli già in essere, essendo dunque cogente per tutti gli assicuratori. Questo, tuttavia, può comportare (e, normalmente, comporta) un aumento del premio a carico degli assicurati, essendo nelle facoltà degli assicuratori e non essendo previsto dalla legge che il premio resti immutato né essendo prescritto un tetto massimo per i premi assicurativi.
Superamento del massimale per mala gestio
Da un punto di vista pratico, giova precisare che il massimale rappresenta la somma massima che l'assicuratore rimborserà al danneggiato in caso di sinistro. Ciò significa che all'interno di tale somma dovranno essere compresi non sono la somma capitale da risarcire, ma anche la rivalutazione, gli interessi e le spese legali eventualmente da rifondere al danneggiato ed all'assicurato (se previsto dalla polizza). Il superamento del massimale è, tuttavia, possibile in caso di mala gestio del sinistro da parte dell'assicuratore. La responsabilità per mala gestio dell'assicuratore è di natura contrattuale e discende dal patto di gestione della lite sussistente tra assicuratore ed assicurato, per cui il primo assume la diretta gestione (nella fase stragiudiziale e giudiziale) della controversia contro il danneggiato, rispondendo ciò al suo interesse, essendo nella sostanza il soggetto obbligato al pagamento e che poi concretamente vi provvederà. Questo tanto più laddove il danneggiato ha il diritto di azione diretta nei confronti della medesima, sancito dal codice delle assicurazioni all'art. 144 cod. ass. Accanto all'obbligazione principale di risarcire il danneggiato dei danni cagionati dal comportamento colpevole del proprio assicurato, vi possono essere obblighi accessori, al risarcimento del maggior danno ed al pagamento degli interessi legali, che discendono dall'art. 1224 c.c. Occorre muovere dalla considerazione che esistono due forme di mala gestio: quella cosiddetta impropria, e quella cosiddetta propria, i cui tratti distintivi rimandano ai due distinti profili di responsabilità del garante, configurabili in materia di assicurazione obbligatoria per la RCA. Invero, a partire dal noto arresto delle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 8 luglio 2003 n. 10725) che ha riconsiderato ex novo la problematica, questa Corte ha costantemente ribadito (cfr. Cass. civ. 28 giugno 2010, n. 15397; Cass. civ., 4 febbraio 2005, n. 2276; Cass. civ., 22 dicembre 2004, n. 23819) che in tema di assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, va distinta l'obbligazione diretta dell'assicuratore nei confronti del danneggiato, da quella dell'assicuratore stesso nei confronti del danneggiante-assicurato e va, conseguentemente, distinta l'eventuale ipotesi di responsabilità relativa al primo rapporto (mala gestio c.d. impropria), da quella riconducibile ai rapporti assicuratore-assicurato (mala gestio c.d. propria). Ciò significa, come ribadito dalla Suprema Corte con sentenza n. 3014/2016, che l'assicuratore il quale, in linea di principio, è obbligato verso il danneggiato non oltre il limite del massimale (il cui debito è chiaramente di valuta e non di valore, a differenza di quello che il danneggiante ha verso l'assicurato), si può trovare obbligato oltre il limite del massimale, ex art. 1224 c.c., senza necessità di altra prova del danno, quanto agli interessi legali maturati sul massimale per il tempo della mora, e anche oltre il limite del saggio legale, in presenza di allegazione e prova (se del caso, mediante ricorso a presunzioni) del "maggior danno" di cui al cit. art. 1224, comma 2, c.c. Peraltro, proprio perché la responsabilità da colpevole ritardo, nell'ambito del rapporto tra assicuratore e danneggiato, è fondata sulla costituzione in mora del primo (l. n. 990/1969, ex art. 22 e ss.), non è necessario che il danneggiato, per ottenere la corresponsione degli interessi, e della rivalutazione oltre il limite del massimale, formuli una specifica domanda, essendo sufficiente che abbia chiesto l'integrale risarcimento del danno (cfr. Cass. civ., 30 ottobre 2007, n. 22883; Cass. civ., 24 gennaio 2006, n. 1315) ovvero, anche, che abbia richiesto il pagamento degli interessi (cfr. Cass. civ., 28 giugno 2010, n. 15397). Con riferimento al danno da mala gestio impropria (per cui potrebbe agire in via autonoma anche l'assicurato, ove abbia dovuto rispondere con al proprie sostanze nei confronti del danneggiato), si precisa come la giurisprudenza di legittimità lo abbia definito debito di valuta, a cui vanno dunque poi sommati gli eventuali interessi, secondo quanto disposto per le obbligazioni pecuniarie. Con la recentissima ordinanza Cass. civ., sez. III, ord., 12 febbraio 2019, n. 3976, infatti, la Corte ha stabilito che «nella liquidazione del danno da mala gestio impropria dell'assicuratore della r.c.a., se il credito del danneggiato già al momento del sinistro eccedeva il massimale assicurato, il danno da mala gestio impropria è debito di valuta e va calcolato sulla base del massimale convenuto, con aggiunta degli interessi da calcolarsi al tasso legale ex art. 1224 c.c., comma 1, ovvero al saggio di interessi corrispondente al maggior danno, se provato, in applicazione dell'art. 1224 c.c., comma 2» . Con riferimento alla c.d. mala gestio propria, invece, afferente ai rapporti assicuratore-assicurato/danneggiante, si precisa come essa trovi fondamento nella violazione dell'obbligo dell'assicuratore di comportarsi secondo buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c.. Ed essa è configurabile non solo nel caso in cui l'assicuratore, senza un apprezzabile motivo, rifiuti di gestire la lite o se ne disinteressi in modo da recare pregiudizio all'assicurato o ancora la gestisca in maniera impropria, ma altresì in tutti i casi in cui sia comunque ravvisabile un colpevole ritardo dell'assicuratore nella corresponsione dell'indennizzo al danneggiato, ritardo dal quale sia derivato all'assicurato un danno. Ne deriva che in siffatte ipotesi all'obbligazione dell'assicuratore nei confronti del danneggiato può aggiungersi, sempre a carico dello stesso, un'ulteriore e diversa obbligazione nei confronti del danneggiante-assicurato, sul quale sia, in definitiva, venuto a gravare l'onere economico dei pregiudizi derivanti da tali condotte del garante. Il danneggiante invero ben può pretenderne il ristoro dall'assicuratore, facendo valere nei suoi confronti quella forma di responsabilità contrattuale, comunemente definita "da mala gestio propria". Dunque, tutte quelle spese che sono diretta conseguenza di un atteggiamento dilatorio od imperito dell'assicuratore, non potranno riversarsi sull'assicurato, che non ne è responsabile. Nella pratica, infatti, un ritardo colpevole nella liquidazione può incidere in maniera significativa su voci quali rivalutazione ed interessi, oltre che sulle spese legali. La questione è stata affrontata a più riprese dalla giurisprudenza di merito e legittimità, che ha affermato già da qualche decennio il seguente principio di diritto: «La domanda di garanzia spiegata dall'assicurato contiene in sé l'implicita riserva di riversare sull'assicuratore (ex artt. 1223 e 1224 c.c.) quegli effetti pregiudizievoli, anche eccedenti il limite del massimale, che potrebbero derivare a carico dell'assicurato da un ritardo nel pagamento dell'indennizzo o, in generale, da una gestione della vertenza, da parte dell'assicuratore, dilatoria, indolente o comunque non caratterizzata dalla cura diligente dei comuni interessi» (v. Cass. civ. n. 1193/1989; Cass. civ. n. 3124/1984). La valutazione della mala gestio andrà effettuata secondo la diligenza media che può (e deve) essere richiesta all'assicuratore, valutando ex ante se sussista con evidenza la responsabilità del proprio assicurato e la fondatezza delle ragioni del danneggiato. La Corte di Cassazione ha sul punto chiarito che «a responsabilità per mala gestio dell'assicuratore della responsabilità civile è configurabile solo quando l'assicuratore ometta di pagare o di mettere a disposizione del danneggiato il massimale nonostante che i dati obiettivi conosciuti consentano di desumere l'esistenza della responsabilità dell'assicurato e la ragionevolezza delle pretese del danneggiato nei limiti del massimale di polizza, con valutazione da effettuarsi non già ex post - alla stregua dell'esito del giudizio - bensì ex ante - con riferimento, cioè, alla situazione preesistente ed alla probabilità dell'esito del giudizio secondo il parametro della diligenza media che si richiede all'assicuratore» (v. Cass. civ. n. 2195/2004).
Giurisprudenza e dottrina hanno elaborato una casistica dei più comuni comportamenti posti in essere dalle assicurazioni che integrano una mala gestio, tra cui: a) il rifiuto o la mancata realizzazione di una vantaggiosa e ragionevole transazione , b) la tenuta di un comportamento pretestuoso e dilatorio, c) l'offerta di un corrispettivo esiguo rispetto all'entità del danno, d) la mancata traduzione in atti liquidativi nonostante la piena ricognizione della consistenza del danno e dell'an debeatur (in dottrina: Quadrelli). Altro esempio è rappresentato dal mancato rispetto dei termini prescritti dal codice delle assicurazioni per la formulazione dell'offerta di risarcimento, come i 60 giorni per il danno alle cose, ridotto a 30 in caso di constatazione amichevole. È chiaro che questo non significa che si debba comprimere l'esercizio del diritto di difesa da parte dell'assicuratore, che è sempre legittimo, ben potendosi egli sempre difendere in giudizio dalle pretese eccessive del danneggiato. Una cattiva gestione sarà invece integrata laddove, ad esempio, vengano opposte eccezioni palesemente infondate o proposte impugnazioni che non hanno alcuna ragionevole probabilità di accoglimento (v. Cass.civ., sez. lav. n. 10944/2000).
a) Spese legali
Per quanto sopra detto, dunque, è pacifico in dottrina e giurisprudenza che il massimale può essere superato in caso di mala gestio - ossia per violazione del principio di buona fede e correttezza nella gestione della pratica del sinistro - da parte dell'assicuratore (v. anche in dottrina: Castellano, Scarlatella, Le assicurazioni private, in Giur. sist. Bigiavi, Torino, 1981, 545). In particolare, com'è evidente e com'è stato anche riconosciuto in giurisprudenza, l'assicuratore che metta subito a disposizione dell'assicurato il massimale di polizza non sarà tenuto a sostenere le spese affrontate da quest'ultimo per contrastare l'azione del danneggiato (v. in dottrina: Morozzo della Rocca, 1541). Per analizzare la tematica delle spese legali, occorre distinguere tra le spese legali sostenute dal danneggiato e quelle sostenute dall'assicurato per resistere all'azione promossa dal danneggiato. Con la sentenza n. 10595/2018 del 4 maggio 2018 la Corte di Cassazione ha effettuato una puntuale disamina delle spese processuali, precisando che: «Le spese di soccombenza non costituiscono che una delle tante conseguenze possibili del fatto illecito commesso dall'assicurato, e perciò l'assicurato ha diritto di ripeterle dall'assicuratore, nei limiti del massimale.
Di seguito, poi, la Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: «L'assicurato contro i rischi della responsabilità civile ha diritto di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore delle spese processuali che è stato costretto a rifondere al terzo danneggiato, entro i limiti del massimale; nonché delle spese sostenute per resistere alla pretesa di quegli, anche in eccedenza rispetto al massimale, purché entro il limite stabilito dall'art. 1917 c.c., comma 3». Con riferimento alla qualificazione delle spese legali del danneggiato, al cui pagamento l'assicurato venga condannato in favore del danneggiato vittorioso, dunque, la giurisprudenza si è espressa nel senso di considerarle un accessorio dell'obbligazione risarcitoria e di conseguenza, ai sensi dell'art. 1917 comma 1 c.c., gravano interamente sull'assicuratore se e nei limiti in cui non comportino superamento del massimale di polizza (v. Cass. civ., n. 10595/2018 e Cass. civ., sez. III, sent., 4 ottobre 2018, n. 24159). Anche la recente Cass. civ., sez. III, sent., n. 24159/2018 ha statuito che le spese legali a cui l'assicurato venga condannato in favore del danneggiato vittorioso siano un accessorio dell'obbligazione risarcitoria e vadano rifuse ex art. 1917 comma 1 c.c., entro il massimale, senza che sia necessario che ciò sia espressamente previsto in polizza o nelle condizioni generali. Le spese sostenute, invece, dall'assicurato per resistere all'azione risarcitoria del danneggiato fanno carico all'assicuratore per il quarto della somma assicurata, come previsto dall'art. 1917, comma 3, c.c. e ciò anche oltre i limiti del massimale (ex multis v. Cass. civ., n. 10595/2018; Cass. civ., n. 5242/2004).
b) Rivalutazione ed interessi
Per quanto attiene a rivalutazione ed interessi, la giurisprudenza di legittimità è concorde da decenni nell'affermare che ad un atteggiamento ingiustificatamente dilatorio dell'assicurazione consegua che l'assicurazione risponda in garanzia anche oltre il massimale (v. da ultimo Cass. civ. n. 14199/2014). Questo, in quanto «in tal caso, il fatto costitutivo della pretesa del danneggiato alla corresponsione di una somma superiore al massimale stesso è rappresentato (per la parte ad esso eccedente) non già dal fatto illecito del responsabile del sinistro, bensì da quello dell'assicuratore stesso» (Cass. civ., Sez. Un. n. 5218/1983; Cass. civ. n. 10394/2001). Nello specifico, è stato, altresì, statuito che sia sufficiente un ritardo rispetto al termine dei 60 giorni dalla richiesta prescritto dal codice delle assicurazioni per giustificare il superamento del massimale. La Suprema Corte ha, infatti, statuito che «l'assicuratore il quale, entro sessanta giorni dalla richiesta, ometta di adempiere all'obbligazione di corrispondere il risarcimento al danneggiato, è tenuto, anche oltre i limiti del massimale, a risarcire il danno conseguente all'incidenza della svalutazione e degli interessi, a meno che non provi che il ritardo sia dovuto a causa a lui non imputabile» (v. Cass. civ. n. 6820/2001). La Corte ha, dunque, in questo modo inteso creare una sorta di presunzione a carico dell'assicuratore, da cui egli si possa liberare solo dimostrando un ritardo incolpevole, essendo sennò obbligato anche oltre il massimale.
Transazione
Un discorso a sé merita la transazione, che coinvolge sia la tematica della mala gestio già affrontata che quella dell'efficacia della transazione stipulata tra assicurazione e danneggiato nei confronti dell'assicurato. Con riferimento alla mala gestio, è stato variamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità come «nella responsabilità civile obbligatoria, il rifiuto ingiustificato dell'assicuratore di aderire ad una proposta di transazione con il terzo danneggiato può comportare l'obbligo di rispondere, per mala gestio, anche oltre il limite del massimale, del danno arrecato all'assicurato con la sua condotta colposa (Cass. civ., n. 11038/1997; Cass. civ., n. 12302/1995), in misura pari alla maggior somma - rispetto a quella risultante dal massimale - che l'assicurato deve corrispondere al terzo danneggiato (Cass. civ., n. 2177/1994; Cass. civ., n. 5063/1987; Cass. civ., n. 2871/1983)». In senso ancora più pregnante, è stato statuito che «l'ingiustificato rifiuto, da parte dell'assicuratore, di addivenire ad una conveniente transazione proposta dal danneggiato, o il disinteresse dello stesso assicuratore di fronte ad una tale proposta, è riconducibile ad una gestione della lite colpevolmente manchevole in relazione agli obblighi di cui agli artt. 1175, 1176 e 1375, ed è, quindi, fonte di responsabilità per l'assicuratore, anche oltre il massimale, per il maggiore esborso cui la propria condotta inadempiente abbia costretto l'assicurato, nei limiti in cui la tempestiva accettazione della proposta transattiva avrebbe esonerato quest'ultimo dal pagamento di somme a titolo risarcitorio in favore del danneggiato» (v. Cass. civ., n. 12302/1995; Cass. civ., n. 7/1990; cfr. anche Cass. civ., n. 15036/2004). Possono integrare una cattiva gestione della lite un ritardo nella risposta ad una proposta transattiva od un ingiustificato rifiuto ad aderirvi. Risponde, infatti, ai principi già enunciati, che l'assicurato non debba sopportare le conseguenze di un colposo comportamento dell'assicuratore, il quale non abbia stipulato una transazione che sarebbe stata per lui favorevole. Con riferimento all'efficacia della transazione nei confronti dell'assicurato, invece, la giurisprudenza (dal 2001, superando la precedente impostazione) è concorde nel considerare che essa giovi all'assicurato laddove egli dichiari di volersene valere (v. Cass. civ., n. 4005/2001) e solo nei limiti del massimale di polizza. Tra l'assicuratore della r.c.a. e l'assicurato, infatti, sussiste, nei confronti del terzo danneggiato, un vincolo di solidarietà passiva solo entro i limiti del massimale (v. Cass. civ., n. 23057/2009). Questo implica che il danneggiato resti obbligato per l'eccedenza, a meno che nel contratto di transazione non sia previsto diversamente e non si faccia menzione del danno eccedente tale limite (v. Cass. civ., n. 573/2001; Cass. civ., n. 23057/2009). In tale ultimo caso la transazione non potrà comunque estendersi alla quota di danno eccedente il massimale, in relazione al quale sussiste il solo ed unico debito illimitato dell'assicurato danneggiante (v. Cass. civ., n. 10115/2000; Cass. civ., n. 1873/1997). Aspetti processuali
a) Domanda di condanna per mala gestio dell'assicurazione
Con riferimento alla domanda di condanna per mala gestio dell'assicurazione, la giurisprudenza di legittimità ha considerato il caso, di frequente verificazione nella pratica, se la domanda debba essere esplicitamente formulata o possa desumersi in via implicita (e, di conseguenza, se debba considerarsi domanda nuova nel giudizio d'appello), in caso di superamento del massimale e di un comportamento dell'assicuratore integrante una mala gestio. Con sentenza n. 14637 del 27 giugno 2014 (sulla scia delle precedenti Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2008, n. 20058, cfr. anche Cass. civ., sez. III, sent., 28 giugno 2010, n. 15397; Cass. civ.,sez. III, sent., 13 ottobre 2009, n. 21688), la Cassazione ha sul punto statuito che «nell'assicurazione obbligatoria per responsabilità civile da circolazione dei veicoli, la domanda di condanna dell'assicuratore al risarcimento del danno per "mala gestio" cosiddetta impropria deve ritenersi implicitamente formulata tutte le volte in cui la vittima abbia domandato la condanna al pagamento di interessi e rivalutazione, anche senza riferimento al superamento del massimale o alla condotta renitente dell'assicuratore. Ne consegue che non costituisce domanda nuova quella con cui in appello i danneggiati chiedano la condanna dell'assicuratore al pagamento della differenza tra danno liquidato e superamento del massimale di polizza, che va intesa quale riproposizione della domanda originaria nei limiti del riconoscimento di interessi moratori e rivalutazione oltre il massimale di legge». È sufficiente, dunque, la domanda da parte del danneggiato alla rivalutazione ed agli interessi, per poter considerare legittimamente proposta in appello la domanda alla rifusione degli stessi dall'assicurazione, anche in caso di superamento del massimale, ove si dimostri la colpa della medesima nella gestione del sinistro. La recentissima Cass. civ., sez. III, ord. 11 dicembre 2018, n. 31964 ha ribadito detto principio, precisando però che «la responsabilità da c.d. mala gestio impropria, che attiene al rapporto diretto tra assicuratore e danneggiato, trova fondamento nel comportamento ingiustificatamente dilatorio mantenuto dall'assicuratore in ordine alla prestazione risarcitoria in favore del danneggiato, quando l'assicuratore ometta di pagare o di mettere a disposizione del danneggiato il massimale nonostante che i dati obiettivi conosciuti consentano di desumere l'esistenza della responsabilità dell'assicurato e la ragionevolezza delle pretese del danneggiato nei limiti del massimale di polizza. Ma la mala gestio scatta quando si va oltre il massimale e nel caso nessuno lo ha dedotto». In assenza di deduzione del superamento del massimale, dunque, la domanda non può in ogni caso trovare accoglimento. È stato, del resto, anche chiarito che la condanna per mala gestio segue il principio della domanda, quindi non possa essere pronunciata d'ufficio dal giudice, dovendo costituire oggetto di specifica domanda che, si ribadisce, può essere proposta per la prima volta anche in appello (v. Cass. civ., n. 338/1991).
b) Prova del massimale
Riguardo alla prova del massimale, la Suprema Corte ha sancito, evidentemente per il principio di vicinanza della prova ed in favore del danneggiato, che l'onere della prova dell'ammontare del massimale assicurato ricada sull'assicuratore. La Cass. civ.,sez. III, sent., 28 settembre 2012, n. 16541 ha, infatti, statuito che «nella controversia tra l'assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli ed il terzo danneggiato, l'onere di provare la misura del massimale assicurato grava sul primo; tale prova, tuttavia, può essere data sia attraverso la produzione in giudizio della polizza, sia attraverso l'esibizione di altri documenti, dai quali sia desumibile il contenuto del contratto». La prova del massimale, dunque, deve essere in ogni caso documentale.
c) Eccezioni
Altra questione risolta dalla giurisprudenza in materia di massimale riguarda le eccezioni relative al contratto di assicurazione, se possano o meno essere sollevate nei confronti del danneggiato. Non essendo parte del contratto, tuttavia, è evidente che non possano essere eccepite al medesimo eccezioni derivanti da un contratto che ha vigenza solo interna, tra assicuratore ed assicurato. Ai sensi dell'art. 144, comma 2 cod. ass. (che attiene all'azione diretta del danneggiato), l'azione per il risarcimento dei danni nei confronti del danneggiante può essere proposta per l'intero massimale di polizza senza possibilità che l'assicuratore stesso opponga eccezioni derivanti dal contratto, né clausole che prevedano l'eventuale contributo dell'assicurato al risarcimento del danno (salvo il diritto di rivalsa nei confronti dell'assicurato). Questione dibattuta è se debbano intendersi eccezioni in senso proprio o in senso stretto (ossia rilevabili d'ufficio), le eccezioni relative al massimale. Benché si registrino pronunce di senso opposto, tra cui la sentenza Cass. civ. n. 13754/2006, l'orientamento maggioritario considera le eccezioni attinenti al massimale e all'inoperatività della polizza non come eccezioni in senso proprio, bensì come semplici argomentazioni difese, volte a paralizzare in tutto od in parte la domanda avversaria, sulla base di una data interpretazione del contratto, quindi, proponibili anche per la prima volta in appello. Tra le pronunce di merito si cita la sentenza n. 2082/17 del 2.10.17 del Tribunale di Bologna, Giudice Dott. D'Orazi, secondo la quale «la giurisprudenza è da tempo pacifica nel ritenere che la deduzione circa la inoperatività della copertura assicurativa costituisca mera difesa, e non eccezione in senso proprio. Con tale difesa, infatti, l'assicurazione mira solamente a contestare la fondatezza della pretesa del proprio assicurato. Ciò sia nel caso in cui la compagnia di assicurazione contesti la riconducibilità dell'evento dedotto in giudizio nella classe di rischi coperti dalla polizza, sia nel caso in cui contesti i limiti di copertura, così come previsti da contratto» (cfr. tra la giurisprudenza di legittimità Cass. civ. n. 1967/2000, anche Cass. civ. n. 16582/2005 e Cass. civ. n. 15228/2014). Anche la pronuncia della Suprema Corte n.15228/2014 ha ammesso la deduzione per la prima volta in appello, da parte della compagnia assicuratrice, della mancata copertura assicurativa del sinistro dedotto in giudizio, ritenuta ammissibile sulla scorta dell'argomento secondo cui quella relativa alla inoperatività della polizza assicurativa non costituisce un'eccezione in senso proprio, ma una semplice difesa; una mera argomentazione giuridica volta a contestare il fondamento della domanda con l'assumere l'estraneità dell'evento ai rischi contemplati nel contratto (v. Cass. civ., 3 luglio 2014 n. 15228 e Cass. civ., 22 febbraio 2000 n. 1967). Casistica
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