Inapplicabilità della clausola di prelazione al change of control
03 Novembre 2017
Massima
In materia di S.p.a., pur in presenza di clausola di prelazione statutaria avente portata applicativa molto ampia, la fattispecie del trasferimento della partecipazione sociale non può equipararsi al fenomeno, del tutto differente, del mutamento del controllo di un socio. Il caso
Con atto depositato ai sensi dell'art. 700 c.p.c. un socio di una società per azioni si rivolgeva al Tribunale di Roma al fine di veder dichiarata l'inefficacia, sia verso la società che verso tutti i suoi soci, di un contratto di cessione dell'intero capitale sociale di altra società socia della S.p.a. Il socio ricorrente, infatti, asseriva la violazione della clausola di prelazione contenuta nello statuto sociale e chiedeva l'inibizione dei diritti di voto ed amministrativi collegati alle azioni di titolarità del socio persona giuridica le cui azioni sono state oggetto di trasferimento. A fondamento della sua domanda, il ricorrente affermava che al fine di evitare l'accesso nella compagine sociale di terzi non graditi, era stata inserita nello statuto sociale una clausola di prelazione in favore degli altri soci per il caso in cui le partecipazioni azionarie della S.p.A. fossero messe in vendita. In particolare, la domanda posta al Tribunale poneva a suo fondamento la ratio della clausola di prelazione e quindi faceva leva sull'interesse sociale all'omogeneità della compagine, alla coesione dei soci stessi, nonché all'equilibrio dei rapporti tra gli stessi. Ancora, in sede di ricorso veniva evidenziato come la clausola statutaria era stata costruita e pensata in modo tale da comprendere ogni ipotesi di trasferimento delle azioni, in guisa da dover comprendere nel campo applicativo della stessa anche ogni atto che importi, seppur indirettamente, il cambio di controllo del socio persona giuridica titolare delle azioni (c.d. Change of control). Infine, il ricorrente chiedeva di accertare l'integrazione di atti di concorrenza sleale, ai sensi dell'art. 2598 c.c. da parte del terzo acquirente le azioni del socio della S.p.A. di cui trattasi. Le questioni giuridiche e la soluzione
Il Tribunale di Roma, nel ritenere infondato il ricorso sottoposto alla sua attenzione, procede ad un'analisi interpretativa della clausola di prelazione contenuta nello statuto sociale e quindi rigetta il ricorso sulla base di alcune considerazioni che saranno mostrate nel presente contributo. Il provvedimento del giudice fa il suo esordio ricordando come la domanda proposta ai sensi dell'art. 700 c.p.c. presuppone l'esistenza dei due famosi requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora. Il primo deve essere inteso come dimostrazione della probabile esistenza del diritto che viene fatto valere, essendo sufficiente, sulla base di un giudizio sommario, la verosimile fondatezza della pretesa; il secondo, invece, come il fondato motivo di temere che, in considerazione del tempo necessario a far valere il diritto richiesto in via ordinaria, lo stesso rimanga, di fatto, insoddisfatto. Ciò chiarito, l'attenzione del giudice si sposta sulla possibilità di applicare la clausola di prelazione contenuta in uno Statuto sociale al caso di change of control (mutamento del controllo di un socio). Il Tribunale, che giunge a negare l'applicabilità della clausola di prelazione al caso in esame, inizia il suo operato enunciando il principio generale, valido per le società di capitali, della libera circolazione delle partecipazioni sociali: questo, si sostiene, è quanto emerge dalla lettura dell'art. 2355-bis, comma 1, c.c. (cfr. anche art. 2469 c.c. in materia di S.r.l.; in dottrina ZANARONE, Della società a responsabilità limitata, Milano, 2010, 555; in giur. App. Milano, 27 settembre 2012) con cui il legislatore si è preoccupato esclusivamente di limitare, sotto un profilo temporale, l'operatività di quelle clausole che vietano il trasferimento, delle partecipazioni. Tuttavia, è lo stesso codice che tempera l'enunciato principio prevedendo al secondo comma degli articoli sopra citati che, con apposita previsione statutaria, i soci possono prevedere di circoscriverne o comunque graduarne l'operatività. A tal fine, un meccanismo – certamente molto diffuso nella prassi, in special modo in sede di S.r.l. - che di fatto consente ai soci di stemperare il sopra citato principio è la previsione nella lex societatis della clausola di prelazione. Come noto, la prelazione è quel diritto, in capo ad un soggetto, di essere preferito a parità di condizioni con terzi nella costituzione di un negozio giuridico. L'inserimento della clausola di prelazione nello statuto sociale – che, come detto, costituisce un c.d. limite alla circolazione della quota ex art. 2355 bis, comma 2 c.c. – da un lato, consente al socio, ricorrendone i presupposti convenzionalmente previsti, di realizzare il proprio intento dispositivo e il valore della propria partecipazione; dall'altro lato, rappresenta per i consoci uno strumento di tutela che consente anche di mantenere invariata la loro posizione nella compagine sociale accrescendone proporzionalmente la partecipazione (BUSI, Le clausole di prelazione nelle S.P.A., in Riv. not., 2005, 457; TUCCI, Limiti alla circolazione delle azioni, in ABBADESSA e PORTALE (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, I, Torino, 2006, 615; STANGHELLINI, sub art. 2355 bis, in NOTARI (a cura di), Azioni, Milano, 2008, 559; Cass. 12 giugno 2001 n. 7879). Tali clausole, in altre parole, hanno come obiettivo la selezione della compagine dei soci ed il mantenimento dei suoi equilibri. Con la loro previsione all'art. 2355-bis, comma 2, c.c. si palesa l'intento del legislatore di operare un bilanciamento tra due distinti interessi: da un lato impedire l'ingresso in società di terzi non graditi; dall'altro tutelare l'esigenza del singolo socio di essere titolare di una facoltà di exit. La clausola di prelazione deve, quindi, considerarsi un meccanismo idoneo ad assicurare il singolo socio dal pericolo di restare “prigioniero” del rapporto sociale.
Il Tribunale procede quindi ad analizzare la fattispecie posta al suo esame, facendo proprio un orientamento della giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Milano, 10 giugno 2016 n. 7232) che pone l'accento sulla necessità di interpretare le singole clausole di prelazione contenute negli Statuti sociali in senso restrittivo. Sulla base di quanto sopra illustrato, allora, non sarebbe possibile sostenere la tesi che predica l'assimilazione della fattispecie del trasferimento della partecipazione sociale a quella, differente, del mutamento del controllo di un socio e ciò sotto due profili. Da un lato, sotto il profilo soggettivo i soci del socio di una società la cui lex societatis contenga la clausola di prelazione non possono, in quanto terzi, ritenersi ad essa assoggettati: non si vede come una clausola statutaria, espressione di una volontà sociale, possa vincolare soggetti che soci non sono. Considerando, pertanto, l'orientamento restrittivo - sopra richiamato – è necessario circoscrivere il perimetro applicativo della clausola di prelazione esclusivamente a quei soggetti che rivestono la qualità di socio. Ancora, sotto il profilo oggettivo, la fattispecie del c.d. change of control del socio opera su un piano del tutto differente rispetto a quello della clausola di prelazione, che si attiva nel momento in cui viene posto in essere un atto che importi il mutamento della titolarità della partecipazione societaria. È evidente, quindi, che nel caso di mutamento del controllo di un socio manca il presupposto per l'operatività della clausola: resta immutato il soggetto titolare della proprietà delle azioni. Secondo la dottrina che si è occupata del tema oggetto del presente contributo (cfr. MACRÌ, Patto parasociale di prelazione e di covendita e denuntiatio, in Riv. dir. soc., 2007, 103), richiamata dal Tribunale, la soluzione ai problemi derivanti dal mutamento del controllo di un socio non può certo rintracciarsi nella clausola di prelazione – stante la diversità dei presupposti applicativi – quanto, piuttosto, nell'adozione di patti parasociali, nella previsione statutaria di clausole c.d. di put & call, nella previsione di azioni riscattabili al mutamento del controllo del socio detentore, oppure, infine, la previsione di un diritto di exit degli altri soci nel caso in cui muti il controllo. Infine, il Tribunale, senza svolgere ulteriori considerazioni nel merito, ritiene infondata anche la domanda relativa alla presunta adozione di comportamenti integranti concorrenza sleale ai sensi dell'articolo 2598 c.c., da parte del soggetto acquirente le partecipazioni sociali della società-socio. La motivazione, seppur breve, appare fondata sulla considerazione che il soggetto ricorrente, seppur socio della S.p.a., non ha la legittimità di far valere un diritto che, in verità, appartiene alla società medesima; il danno che al socio-ricorrente potrebbe derivare dalla condotta anticoncorrenziale è, infatti, solo un riflesso del pregiudizio recato al patrimonio della società.
Conclusioni
Il fenomeno del c.d. change of control di uno dei soci può avere dei riflessi problematici sull'equilibrio della compagine sociale, considerando che, di fatto, si realizza, seppur indirettamente, un effetto analogo al trasferimento della partecipazione sociale. In verità, se anche formalmente non muta la titolarità delle azioni, rimanendo il socio-società identico a sé stesso, il mutamento del suo controllo potrebbe, nel caso concreto, renderlo sgradito agli altri soci della società partecipata. Il Tribunale con il presente provvedimento, facendo proprio l'orientamento dottrinale da ultimo sopra richiamato, insegna, tuttavia, che l'interesse all'omogeneità o all'equilibrio della compagine sociale non può trovare riparo sotto l'ombrello della clausola di prelazione, che, operando sotto altro profilo, non riesce a coprire anche il fenomeno del change of control. La tutela deve quindi ravvisarsi, in altre fattispecie quali la previsione di patti parasociali che vincolino i soci di controllo della società socia, l'inserimento di clausole put e call, la previsione di azioni riscattabili al mutamento del controllo del soggetto detentore fino a giungere alla previsione di un diritto di recesso degli altri soci nel caso in cui muti il controllo di uno dei soci.
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