Le sanzioni fiscali nel fallimento

16 Novembre 2018

Il regime delle sanzioni tributarie è attualmente informato a principi di stampo penalistico (afflittività della “pena”); in precedenza, sino all'entrata in vigore del D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, il sistema era fondato su una concezione risarcitoria della sanzione (L. 7 gennaio 1929, n. 4).
Premessa

Il regime delle sanzioni tributarie è attualmente informato a principi di stampo penalistico (afflittività della “pena”); in precedenza, sino all'entrata in vigore del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, il sistema era fondato su una concezione risarcitoria della sanzione (L. 7 gennaio 1929, n. 4).

Quanto premesso, il presente contributo tratterà della questione se le sanzioni tributarie relative a violazioni commesse ante fallimento dal debitore in crisi debbano essere ammesse al concorso, così partecipando alle ripartizioni dell'attivo fallimentare.

Le sanzioni tributarie di natura amministrativa

Sotto un aspetto generale, la sanzione rappresenta la conseguenza derivante dal mancato rispetto di una regola contenuta nell'ordinamento volta a proteggere un determinato interesse giuridico.

In ambito tributario, la sanzione ha la finalità di favorire il rispetto degli obblighi posti a carico dei soggetti passivi e/o dei terzi previsti dalla legge, prevenendo, e poi, al verificarsi della fattispecie, reprimendo, le condotte che violino la norma fiscale.

Il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 ha introdotto una serie di principi di stampo penalistico, così abbandonando, come detto in premessa, la logica risarcitoria della sanzione, in favore di una concezione afflittiva della stessa.

Fra tali principi, si segnalano:

  • il principio di legalità: nessuno può essere assoggettato ad una sanzione amministrativa tributaria se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione (art. 3, comma 1);
  • il principio di favor rei: salvo diversa previsione normativa, nessuno può essere assoggettato a sanzione per un fatto considerato non punibile da una legge posteriore; qualora la sanzione sia già irrogata in via definitiva, il debito residuo si estingue, senza ripetizione di quanto pagato (art. 3, comma 2). Ove, poi, una legge successiva preveda una pena inferiore rispetto a quella prevista dalla legge in vigore al momento del fatto, si applica la legge più favorevole all'autore, salvo che la sanzione non sia già divenuta definitiva (art. 3, comma 3);
  • il principio di personalità: la sanzione – in conformità al precetto ex art. 27, comma 1, Cost. – è riferibile alla persona fisica che ha commesso la violazione ovvero che abbia concorso a commetterla (art. 2, comma 2):
  • il principio d'imputabilità – corollario, unitamente a quello di colpevolezza, del principio di personalità -: non può essere assoggettato a sanzione chi al momento della commissione del fatto non avesse, in base a criteri penalistici, la capacità d'intendere e volere (art. 4);
  • il principio di colpevolezza: ciascuno risponde della propria condotta, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa (art. 5, comma 1). La colpa è grave quando l'imperizia o negligenza della condotta siano indiscutibili, da non poterne ragionevolmente dubitare, risultando evidente l'inosservanza degli elementari obblighi tributari; può non essere viziato da colpa grave il cd. inadempimento occasionale (art. 5, comma 3).
La sanzione fiscale fra debitore in crisi e fallimento

Un tema di particolare interesse è se le sanzioni siano applicabili in sede concorsuale e se, una volta contestate ed irrogate da parte dell'Amministrazione finanziaria, il relativo credito possa essere ammesso al passivo, concorrendo, così, alle ripartizioni dell'attivo fallimentare.

L'argomento attiene, in particolare, al trattamento delle sanzioni tributarie “concorsuali”, ovvero correlate a violazioni di norme fiscali commesse, prima dell'apertura della procedura, dal debitore in crisi, ove anche non ancora contestate al momento della sentenza dichiarativa di fallimento.

In relazione al profilo della concorsualità della sanzione (elemento temporale), la Corte di Cassazione ritiene che “in base alla natura dell'accertamento tributario, la data di riferimento, ai fini del giudizio sulla anteriorità al fallimento del credito per sanzione pecuniaria, debba essere quella dell'infrazione e non quella dell'irrogazione della sanzione” (Cass., civ. sez. I, 14 dicembre 1983, n. 1868).

Il credito sanzionatorio avrà, pertanto, natura concorsuale qualora sia correlato ad una violazione tributaria posta in essere dall'imprenditore prima dell'apertura della procedura fallimentare.

Non rileva, al riguardo, il momento della contestazione della violazione: “con l'accertamento, l'Amministrazione finanziaria si limita ad evidenziare l'esistenza di presupposti già verificatisi, al solo fine di precisare, in termini quantitativi, gli effetti giuridici, scaturiti da quei presupposti e da essa non modificabili, trattandosi di materia sottratta alla sua disponibilità […]. Non sembra, pertanto, dubbio che, in base alla natura dell'accertamento tributario, la data di riferimento, ai fini del giudizio sulla anteriorità al fallimento del credito per sanzione pecuniaria, debba essere quella dell'infrazione e non quella dell'irrogazione della sanzione” (in senso conforme: Cass., civ. sez. I, 13 settembre 1983, n. 5552).

Esaminare se il credito sanzionatorio per violazioni commesse ante fallimento possa partecipare al concorso presuppone una risposta alla preliminare domanda se, nel nostro ordinamento, vi sia una causa di “esclusione” qualora il contribuente venga a trovarsi in stato di insolvenza (impossibilità economica ad adempiere).

Attualmente, non esiste alcuna norma che preveda una simile causa d'esclusione.

In passato, ha operato l'art. 97, comma 5, D.P.R. n. 602/1973.

Esso prevedeva la mancata applicazione della sanzione qualora il contribuente avesse provato che l'inadempimento era dipeso da “impossibilità economica”.

Analoga norma non è stata riprodotta all'interno del D.Lgs. n. 472/1997.

Fra le cause di non punibilità ex art. 6, D.Lgs. n. 472/1997, non vi è, infatti, alcun espresso riferimento alla situazione di difficoltà economica del soggetto passivo d'imposta.

La Corte Costituzionale, in passato, ha avuto modo di affermare come l'assenza di una generale causa d'esclusione da responsabilità tributaria legata a motivi economici del contribuente non fosse contraria ai dettati costituzionali (Corte Cost., 13 aprile 1994, n. 1409, ord.).

Sull'argomento si rilevano, in giurisprudenza di merito, pronunzie tendenti ad escludere la responsabilità fiscale sanzionatoria in capo al debitore insolvente.

In questo senso, è stato ritenuto che l'impossibilità economica (causa di forza maggiore) “costituisce esimente dall'applicazione delle sanzioni pecuniarie amministrative in considerazione del difetto del requisito della colpevolezza prevista dall'art. 5, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e, pertanto, le stesse vanno annullate” (Comm. Trib. Reg. Lazio, 20 giugno 2012; v. anche Comm. Trib. Prov. Lecce, 23 luglio 2010).

In dottrina, è stato evidenziato come costituisca condotta sempre connotata da colpa grave, ex art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 472/1997, l'inadempimento sistematico; mentre può essere connotato da colpa lieve l'inadempimento occasionale, ex art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 472/1997 (in questo senso: A. Giovannini, Impossibilità di pagare le imposte nelle imprese in crisi: la forza maggiore esclude la pena?, in Corr. trib., 2012, 3253 ss.).

La tesi della rilevanza dell'impossibilità economica ha preso impulso da quell'orientamento dottrinario il quale, enfatizzando gli aspetti “personalistici” della sanzione, ha ricondotto, nella prospettiva concorsuale, l'inadempimento tributario a canoni sostanzialmente patrimoniali, tipici del diritto civile.

La violazione della norma tributaria, a motivo della “terzietà” della procedura rispetto all'autore dell'illecito (il debitore, con condotta posta in essere ante fallimento), genererebbe, così, solo un diritto di credito a titolo d'interessi, secondo le misure fissate dalla legge, e non anche un diritto di credito a titolo di sanzioni, le quali – pertanto – sarebbero inopponibili alla massa (G. Selicato, L'applicazione delle sanzioni tributarie nelle procedure concorsuali di tipo liquidatorio, in F. Paparella(a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, Milano, 2013, 457 ss.).

È stato, al riguardo, rilevato come contrasti con le regole sostanziali del concorso la circostanza che l'ente impositore faccia valere il credito sanzionatorio in sede fallimentare, quando la relativa pretesa è piuttosto riconducibile ad una condotta imputabile, in via personale e diretta, al solo contribuente.

In questo senso: “nel caso delle procedure concorsuali, all'adempimento delle pene pecuniarie che sono state irrogate si deve procedere attingendo dalla cd. massa attiva. Viene così palesemente contraddetta la naturale funzione delle sanzioni medesime che, infatti, finiscono in tal modo con il punire non più il soggetto autore della violazione, bensì i creditori, a decremento dei cui diritti soltanto va la pretesa avanzata da parte dell'Erario” (così, F. Dami,, Alcune riflessioni sull'applicazione delle sanzioni amministrative tributarie nelle procedure concorsuali, in Rass. trib., 2002, 1288 ss.).

Ne consegue che gli organi della procedura – ed il giudice delegato, in particolare – dovrebbero “prendere posizione su quello che si profila come un possibile contrasto tra norme e (prassi) procedimentali e principi di diritto”, regolando dunque i vari interessi in gioco (G. Selicato, L'applicazione delle sanzioni tributarie nelle procedure concorsuali di tipo liquidatorio, cit. 463).

In realtà, agli organi fallimentari sarebbe precluso il decidere circa la debenza, nel merito, del credito sanzionatorio, avuto riguardo ai profili di esclusività della giurisdizione tributaria in relazione ad ogni aspetto che attenga al rapporto giuridico d'imposta (Cass., civ. sez. V, 14 giugno 2001, n. 15715; Cass., civ. sez. un., 19 novembre 2007, n. 23832).

A questo riguardo, la competenza del foro concorsuale è da intendersi circoscritta alla verifica dei seguenti aspetti:

i) requisito di concorsualità (anteriorità al fallimento del presupposto di legge);

ii) titolo che dà origine alla pretesa fiscale (prova del credito);

iii) collocazione del credito (cause di prelazione).

Ne consegue che qualora l'Amministrazione finanziaria agisca, in sede di verifica dello stato passivo, sulla base di un idoneo titolo definitivo, il credito sanzionatorio dovrebbe essere ammesso al passivo, senza alcun rilievo.

Ove, al contrario, l'ente impositore e/o l'agente della riscossione agiscano in base ad un titolo non definitivo, il credito fiscale dovrebbe essere ammesso al passivo con riserva, ex art. 88, comma 2, D.P.R. n. 602/1973, riserva che sarà poi sciolta all'esito definitivo del procedimento tributario introdotto dalla curatela fallimentare.

È dunque avanti al giudice tributario che la curatela dovrebbe muovere ogni contestazione circa l'insussistenza del diritto alla sanzione tributaria, valutata la natura della pena pecuniaria, in funzione delle regole del concorso (afflittività della sanzione, mancanza dei requisiti di personalità, imputabilità, ecc.).

È in tale sede che il curatore potrà sollevare ogni eventuale questione di illegittimità costituzionale in ordine alla “incompatibilità” delle norme tributarie sanzionatorie rispetto alla natura del procedimento concorsuale.

Peraltro, in ordine al merito di tali profili, la Corte di Cassazione ha già avuto modo di ritenere come lo stato di dissesto dell'imprenditore non sia idoneo – di per sé – ad integrare alcuna causa d'esclusione dalla responsabilità sanzionatoria.

In questo senso: “lo stato di dissesto di un'azienda, ancorché possa essere stato influenzato anche da fattori esterni, non può essere però considerato fatto eccezionale e, soprattutto, non può essere considerato estraneo alla condotta dell'imprenditore, e non imputabile alle sue capacità di valutazione dei fattori economici e di rischio”, con la conseguenza che “il successivo assoggettamento a procedure concorsuali deve ritenersi originato da azioni, valutazioni, previsioni e da quant'altro caratterizza la conduzione dell'impresa e non già dal caso ovvero da forza maggiore” (così, Cass., civ. sez. V, 16 febbraio 2010, n. 3569).

Tornando, dunque, all'iniziale domanda – se il nostro ordinamento giuridico tuteli, sotto il profilo della sussistenza di cause “esimenti”, l'imprenditore insolvente –, deve darsi, a nostro avviso, risposta negativa.

Il contribuente non è liberato dalle conseguenze sanzionatorie qualora l'inadempimento sia dipeso da situazioni legate a proprie oggettive difficoltà economico/finanziarie.

D'altra parte, per quanto attiene alla partecipazione al concorso del credito sanzionatorio, il principio di par condicio è assicurato dalla stessa legge, con la graduazione delle singole cause di prelazione, nell'ambito delle quali il diritto alla sanzione trova espressa collocazione (per i crediti erariali), nonché dalle regole che disciplinano il concorso, soggettivo e oggettivo, cui pure si uniforma l'azione tributaria.

In senso conforme: “l'equilibrata composizione tra gli interessi dei creditori è assicurata non solo dal titolo di preferenza, ma anche da un complesso di regole volte a determinare l'ammontare del credito secondo principi comuni ed in questo secondo ambito si collocano le questioni dovute all'esigenza di coordinare razionalmente le norme tributarie e quelle fallimentari nei casi in cui le rispettive indicazioni sono incompatibili” (F. Paparella, La partecipazione delle sanzioni amministrative tributarie al riparto nelle procedure concorsuali, in Rass. trib., 2015, p. 598 ss.).

Del resto, vige, sotto il profilo fiscale, un principio di “continuità” fra attività d'impresa ante e post fallimento (anche l'attività liquidatoria concorsuale è attività d'impresa): ciò fa sì che la procedura subisca una sorta di “trascinamento”, in seno al patrimonio fallimentare, del debito sanzionatorio consolidatosi in capo al debitore in bonis.

Conclusioni

Se, sotto il profilo del diritto positivo, la sanzione fiscale relativa a violazioni poste in essere dal debitore in crisi prima del fallimento partecipa al concorso, la questione del rapporto fra conseguenze sanzionatorie e difficoltà economiche dell'imprenditore, meritevole di tutela giuridica, dovrebbe trovare idonea soluzione attraverso un intervento legislativo che attribuisca espressa rilevanza alla fattispecie della sopravvenuta “impossibilità” ad adempiere per motivi economico/finanziari.

Peraltro, l'auspicabile intervento normativo dovrebbe circoscrivere la causa d'esclusione ad ipotesi invero rigorose e ben individuate, anche sotto il profilo probatorio, al fine di prevenire possibili ricorsi abusivi a tale causa scriminante, così danneggiando gli interessi erariali, costituzionalmente tutelati.

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