Sul reclutamento del personale nelle società pubbliche: l’ultimo arresto della Cassazione

23 Maggio 2019

Per le società a totale partecipazione pubblica il previo esperimento delle procedure selettive condiziona la validità del contratto di lavoro. Diversamente opinando si finirebbe per eludere il divieto posto dalla norma imperativa che tiene conto della necessità di non limitare l'attuazione dei precetti dettati dall'art. 97, Cost...
Massime

Cass., sez. un., 7 febbraio 2019, n. 3662: Per le società a totale partecipazione pubblica il previo esperimento delle procedure selettive condiziona la validità del contratto di lavoro. Diversamente opinando si finirebbe per eludere il divieto posto dalla norma imperativa che tiene conto della necessità di non limitare l'attuazione dei precetti dettati dall'art. 97, Cost., ai soli soggetti formalmente pubblici bensì di estenderne l'applicazione anche a quelli che, utilizzando risorse pubbliche, agiscono per il perseguimento di interessi di carattere generale.

Corte appello Roma 31 gennaio 2019, n. 407: Il legislatore ha esteso espressamente alle società che gestiscono servizi pubblici a totale partecipazione pubblica (anche se non specificamente qualificabili come società “in house”) la necessaria applicazione, nel reclutamento del personale, dei medesimi criteri a cui sono soggette le pubbliche amministrazioni. [Risulta] evidente che lo scopo perseguito è quello di uniformare, con riguardo alle società interessate, le modalità del reclutamento del personale ai principi di cui al comma 3 dell'art. 35, d.lgs. n. 165 del 2001.

Corte conti, sez. I app., 7 gennaio 2019, n. 9: Non può ammettersi una equiparazione estensiva tout court alle società in house di norme espressamente rivolte alla pubblica amministrazione, almeno in relazione al momento storico in cui i fatti all'attenzione si sono svolti. All'epoca in cui furono compiute tutte le procedure di reclutamento non esisteva alcuna norma che limitasse l'agire delle società in house in materia, soggette, esclusivamente, alla disciplina di diritto privato.

Le fattispecie oggetto delle sentenze in commento

La Corte di cassazione, con la decisione sopra riportata, nel rigettare il ricorso proposto da un ex dipendente di una società a capitale pubblico affidataria di un pubblico servizio, ha ritenuto che i Giudici di merito avessero correttamente applicato i principi di diritto “ripetutamente affermati” dalla giurisprudenza di legittimità in tema di reclutamento del personale dipendente. Il ricorrente, infatti, tra i motivi formulati, censurava la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d'appello di Ancona aveva ritenuto applicabile l'art. 18, d.l. n. 112 del 2008, e deduceva, altresì, che il decreto ministeriale che avrebbe dovuto disciplinare, ai sensi dell'art. 23-bis del medesimo decreto-legge, le procedure di reclutamento del personale delle società affidatarie di pubblici servizi, non era ancora stato emanato al tempo di proposizione della domanda giudiziale.

La seconda sentenza riguarda anch'essa la vicenda di un ex dipendente di una società a partecipazione pubblica in house, che proponeva reclamo – secondo il procedimento speciale di cui ai commi 58 e ss. dell'art. 1, l. n. 92 del 2012 – avanti alla Corte di appello di Roma, avverso la sentenza emessa dal Giudice di prime cure. In particolare, parte reclamante lamentava l'erronea qualificazione della società in questione come “partecipata pubblica”, presupposto sulla base del quale era stato ritenuto applicabile il comma 1 dell'art. 18, d.l. n. 112 del 2008.

La Corte territoriale, nel rigettare il reclamo proposto, ha rievocato i fatti richiamati nella lettera di licenziamento, fondati su elementi tratti dalla sentenza del tribunale penale di Roma che aveva condannato l'amministratore delegato della medesima società per il reato di abuso d'ufficio “per aver proceduto all'assunzione del lavoratore stesso […] in violazione di specifiche norme vigenti in materia […] quali l'art. 18, d.l. n. 112 del 2008, e l'art. 35, d.lgs. n. 165 del 2001”. Da ciò ne scaturiva pertanto la nullità del contratto di lavoro ex art. 1418, c.c., nonché “l'oggettiva impossibilità di prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi dell'art. 2119, c.c.”.

Le disposizioni succitate rilevano, poi, anche in relazione alla terza decisione in commento, emessa però nell'ambito del processo gius-contabile in materia di responsabilità. Tale pronuncia ha ad oggetto la vicenda dell'amministratore delegato di una società a partecipazione pubblica, anch'essa in house, il quale, a fronte di condanna per danno erariale, promuoveva appello avanti alla Corte dei conti avverso la relativa sentenza.

Tra le fattispecie dannose poste alla base della condanna erariale – in relazione alle quali l'amministratore delegato aveva, peraltro, già riportato condanna penale, divenuta poi definitiva, per i reati di abuso d'ufficio e falso in atto pubblico – il primo giudice aveva annoverato sia la violazione dei principi stabiliti ex art. 35, d.lgs. n. 165 del 2001, in materia di reclutamento del personale, sia l'illegittima assunzione di risorse avvenuta in violazione della normativa di cui all'art. 18, d.l. n. 112 del 2008.

La Sezione di appello della Corte dei conti ha ritenuto fondato l'appello, accogliendo la quasi totalità dei motivi di impugnazione formulati.

La controversa questione interpretativa in tema di reclutamento del personale delle società pubbliche

Le tre pronunce in oggetto devono essere analizzate congiuntamente, in quanto affrontano tutte la dibattuta questione legata all'applicabilità, in fattispecie, alle società con partecipazione dello Stato o di Enti pubblici, ivi comprese le società in house, delle disposizioni relative ai principi e ai vincoli in materia di reclutamento del personale.

Nei suddetti termini, vengono pertanto in rilievo – con riferimento all'epoca dei fatti di causa – le disposizioni di cui all'art. 18, d.l. n. 112 del 2008 che, ai sensi del primo e del secondo comma (ad oggi abrogati dall'art. 28, d.lgs. n. 175 del 2016) richiama[va] i principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”, nonché “i principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità”, cui dovevano, rispettivamente, essere improntate le procedure di reclutamento del personale delle “società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica” e quelle delle “altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo”.

Tali disposizioni devono essere esaminate in combinato disposto con l'art. 23-bis, comma 10, lett. a), d.l. n. 112 del 2008, la cui applicabilità ha altresì costituito specifico oggetto di trattazione delle sentenze in commento (l'art. 23-bis, la cui rubrica era intitolata “Servizi pubblici locali di rilevanza economica”, ai sensi della disposizione sopra citata stabiliva quanto segue: “Il Governo, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni ed entro il 31 dicembre 2009, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, nonché le competenti Commissioni parlamentari, emana uno o più regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di: a) prevedere l'assoggettamento dei soggetti affidatari cosiddetti in house di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno, tenendo conto delle scadenze fissate al comma 8, e l'osservanza da parte delle società in house e delle società a partecipazione mista pubblica e privata di procedure ad evidenza pubblica per l'acquisto di beni e servizi e l'assunzione di personale”).

La norma da ultimo citata, anch'essa ad oggi abrogata – che aveva introdotto una disciplina specifica per le c.d. società in house affidatarie di servizi pubblici locali e per le società miste – attribuiva al Governo l'emanazione di regolamenti attuativi volti a prevedere “l'osservanza da parte [di detti organismi] di procedure ad evidenza pubblica […] per l'assunzione di personale”.

Il dissenso della Corte di appello avverso “la diversa opinione enunciata” dal Giudice gius-contabile

In relazione alle questioni sopra sinteticamente riportate, sono state prospettate soluzioni contrastanti.

Al riguardo, giova evidenziare che l'orientamento giurisprudenziale di legittimità (espresso ex plurimis con sentenza Cass. 22 febbraio 2018, n. 4358) ha ripetutamente affermato, con valenza chiarificatrice, che “il previo esperimento delle procedure […] selettive condiziona la validità del contratto di lavoro”, ribadendo peraltro l'intenzione del legislatore, anche nella vigenza dell'art. 18, d.l. n. 112 del 2008, di “estendere alle società partecipate i vincoli procedurali imposti alle amministrazioni pubbliche nella fase del reclutamento del personale”.

Tali vincoli imporrebbero quindi, necessariamente, anche il rispetto dei principi di cui all'art. 35, comma 3, d.lgs. n. 165 del 2001, posti a garanzia di meccanismi di selezione oggettivi, sì da assicurare l'uso trasparente delle risorse pubbliche. Ciò in quanto, puntualizza la Corte di cassazione richiamando una pronuncia del Consiglio di Stato “l'erogazione di servizi di interesse generale pone l'esigenza di selezionare secondo criteri di merito e di trasparenza i soggetti chiamati allo svolgimento dei compiti che quell'interesse perseguono”.

La citata sentenza n. 4358 del 2018 si inserisce nell'ambito di una più ampia serie di pronunce – contenenti tutte le medesime statuizioni – espressamente richiamate dalla Corte d'appello di Roma, con funzione argomentativa, nella sentenza n. 407 del 2019.

Sulla scorta della più recente giurisprudenza di legittimità, la Corte di merito ha dunque ritenuto sussistenti, con riferimento al caso di specie, i presupposti per l'applicazione dell'art. 18, ossia “la gestione da parte dell'ente interessato di servizi pubblici locali e la totale partecipazione pubblica”, condizioni sufficienti a ricondurre la società medesima nell'ambito di applicazione della norma citata.

Pertanto, stante la necessaria applicazione degli artt. 18 e 35, sopra richiamati, il Collegio ha confermato la nullità del contratto di lavoro di parte reclamante, la cui assunzione era avvenuta in violazione di tali disposizioni, ossia dei prescritti criteri e procedure selettive.

Peraltro, trattandosi di società in house affidataria di pubblici servizi, la Corte territoriale ha ritenuto di dover trattare “per mera esigenza di completezza”, seppure non rilevante ai fini della questione sopra prospettata, l'ulteriore questione legata all'applicazione del comma 10 dell'art. 23-bis, d.l. n. 112 del 2008.

In merito, è stato dunque precisato che tra le due disposizioni “non vi è antinomia [ma al contrario] trovano applicazione cumulativa […] per le società in house e per le società a totale partecipazione pubblica che gestiscono pubblici servizi di rilevanza economica ed hanno diversa portata dispositiva, seppure medesima ratio”.

Il legislatore avrebbe, così, provveduto “immediatamente, con l'art. 18, cit., a ‘bloccare' tempestivamente i criteri di assunzione per le società che gestiscono servizi pubblici a totale partecipazione pubblica, rendendoli conformi ai principi di cui all'art. 35 […]; nel più lungo termine [invece] previsto dall'art. 23-bis, cit., [a far sì] che le medesime società […] si sarebbero dovute adeguare ai regolamenti delegati, i quali avrebbero previsto l'obbligatoria adozione di ‘modalità di reclutamento ad evidenza pubblica' ” (nei medesimi termini, v. Cass., sez. pen., 23 gennaio 2018, n. 3046, fattispecie relativa ad una società in house providing).

Diverse sono, invece, le considerazioni formulate dal Giudice gius-contabile nella sentenza n. 9 del 2018, anche riguardo l'interpretazione congiunta delle due norme. Si tratta di una “diversa opinione enunciata sul punto”, alla quale la Corte di appello di Roma ha esplicitamente ritenuto di non aderire “per le ragioni sopra illustrate”.

La Corte dei conti, almeno con riferimento all'epoca dei fatti di causa, risalenti al periodo 2008-2009, ha ritenuto non applicabile l'art. 18 in virtù dell'“inquadramento in ambito privatistico delle Società con partecipazione dello Stato o di Enti pubblici, ivi comprese le società in house [con conseguente] applicazione del regime giuridico proprio dello strumento societario adoperato e cioè quello delle norme del codice civile e del diritto privato”. Ha, inoltre, precisato che tale norma “si limita[va] ad indicare i principi [in materia] di procedure di reclutamento del personale, senza disporre alcuna sanzione per l'ipotesi di assunzioni fatte in assenza di procedure selettive conformi al sistema pubblicistico”.

Quanto detto, essendo intervenuta solo dopo i fatti di causa, ossia nel 2010, una disciplina specifica per le società in house, dettata da apposito regolamento attuativo dell'art. 23-bis, circa il rispetto delle procedure ad evidenza pubblica in materia di reclutamento del personale, ovvero “dei soli principi” concorsuali pubblici di cui all'art. 35, comma 3, d.lgs. n. 165 del 2001 (“L'applicazione dei soli principi, di cui al comma 3 dell'articolo 35 cit., è stata infatti introdotta normativamente, solo successivamente ai fatti di causa, […] ai sensi del combinato disposto dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 e dell'articolo 7 del d.P.R. 7 settembre 2010, n. 168” (cfr. C. conti, sez. I App., 7 gennaio 2019, n. 9).

Peraltro, il Collegio ha puntualizzato che i citati articoli 18 e 23-bis rappresentavano “due norme differenziate” presenti all'interno del medesimo decreto-legge, non applicabili pertanto congiuntamente e delle quali soltanto la seconda riguardava specificamente le società in house.

Brevi osservazioni alla luce della giurisprudenza di legittimità: la recentissima decisione della Cassazione

Le problematiche emerse devono essere affrontate alla stregua del più recente orientamento giurisprudenziale di legittimità, peraltro menzionato anche nella sentenza della Corte di appello di Roma n. 407 del 2019, e del quale le pronunce in commento hanno riproposto alcuni stralci a sostegno delle rispettive interpretazioni.

La Corte di cassazione, infatti, da un lato ha più volte confermato la natura di soggetto di diritto privato delle società partecipate sottoposte pertanto “al regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato”e, dall'altro, ha evidenziato la natura pubblica del capitale impiegato il quale legittimerebbe, di per sé, significative deroghe alla disciplina generale (così Cass. 1° marzo 2018, n. 4897).

Tali deroghe, tuttavia, anche sulla base dell'evoluzione del quadro normativo di riferimento di cui al d.lgs. n. 175 del 2016, non determinerebbero l'assimilabilità delle società in questione agli enti pubblici, né tantomeno l'applicabilità ai rapporti di lavoro dalle stesse instaurati delle disposizioni dettate dal d.lgs. n. 165 del 2001 (a conferma di ciò, v. artt. 1, comma 3, e 19, comma 1, d.lgs. n. 175 del 2016).

In particolare, sulla scorta delle precedenti decisioni, la sentenza della Corte di cassazione del 7 febbraio 2019, n. 3662, ha statuito nei confronti di una società a capitale interamente pubblico affidataria di un pubblico servizio l'applicazione immediata dell'art. 18, d.l. n. 112 del 2008.

Quanto detto anche in assenza di un regolamento governativo attuativo dell'art. 23-bis di cui al medesimo decreto-legge.

La Corte di legittimità, infatti, al punto n. 35 della sentenza da ultimo citata, ha affermato che “l'art. 23-bis, comma 10, lett. a), […] si limita a riservare al Governo l'emanazione di uno o più regolamenti […] e non deroga affatto alla immediata operatività nei confronti delle società a totale partecipazione pubblica, che gestiscono servizi pubblici locali, dei criteri stabiliti in tema di reclutamento del personale dal d.lgs. n. 165 del 2001, art. 35, comma 3” (nei suddetti termini si è espressa anche la Corte di cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 3046 del 2018, precedentemente richiamata in nota, la quale tra l'altro ha evidenziato che in fattispecie “il parametro violato era pur sempre l'articolo 18 […] indipendentemente dalle disposizioni [del] regolamento”).

L'ultimo arresto della Cassazione consentirebbe dunque di sostenere, con riferimento ai fatti di causa verificatisi nella vigenza dell'art. 18, l'applicabilità alle società pubbliche, in house o meno, dei relativi vincoli in materia di reclutamento del personale, avallando così la soluzione accolta dalla Corte di appello di Roma con la sentenza in esame.

A tale riguardo, si rende doveroso segnalare che la nuova normativa di cui all'art. 19, comma 2, d.lgs. n. 175 del 2016, nel ribadire detti vincoli procedurali nei confronti delle società pubbliche, ha eliminato la precedente distinzione tra “società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica” e “le altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo”, facendo invece riferimento alle sole “società a controllo pubblico”, nell'ambito delle quali rientrano certamente anche le società in house.

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