Inammissibile il reclamo avverso l'ordinanza che dispone sulla sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo

Sara Caprio
27 Maggio 2019

La Suprema Corte si è occupata della questione circa la reclamabilità del provvedimento ovvero l'ordinanza con cui il giudice dell'opposizione a precetto dispone in merito all'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo ex art. 669-terdecies c.p.c., mancando nel corpo dell'art. 615 ogni riferimento espresso in tal senso.
Massima

È inammissibile il reclamo avverso l'ordinanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo disposta dal giudice dell'opposizione a precetto.

Il caso

Ricevuta la notifica dell'atto di precetto, una società proponeva opposizione a precetto ex art. 615, comma 1, c.p.c. con cui chiedeva la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo. Avverso l'ordinanza con cui il giudice disponeva sulla sospensione veniva proposto reclamo cautelare ex art. 669-terdecies c.p.c.

La questione

Oggetto della decisione è questione circa la reclamabilità del provvedimento ovvero l'ordinanza con cui il giudice dell'opposizione a precetto dispone in merito all'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo ex art. 669-terdecies c.p.c., mancando nel corpo dell'art. 615 ogni riferimento espresso in tal senso.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Fermo dichiara inammissibile il reclamo affermando che non solo il decreto inaudita altera parte non può essere soggetto a reclamo, ma nemmeno la successiva ordinanza di conferma o modifica dello stesso, emessa ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c., è soggetta a tale mezzo di gravame.

Non avendo il legislatore previsto espressamente la reclamabilità dell'ordinanza ex art. 615, comma 1, c.p.c., occorre verificare l'applicabilità in via analogica della disciplina dettata dall'art. 624 c.p.c. per le ordinanze che provvedono sull'istanza di sospensione emesse dal G.E. nelle opposizioni esecutive. L'estensibilità della disciplina del rito cautelare uniforme alle ordinanze in questione, peraltro, sembrerebbe implicitamente esclusa dall'art. 669-quaterdecies c.p.c., secondo cui dette norme si applicano esclusivamente nelle fattispecie tipiche previste dal codice di rito, disciplinando in via residuale i soli provvedimenti cautelari previsti dal codice civile e dalle leggi speciali. D'altra parte, se il legislatore avesse voluto includere nella disciplina del cautelare uniforme altri istituti del codice di rito, avrebbe potuto indicarlo espressamente, così come ha fatto per i provvedimenti elencati nell'art. 669-quaterdecies c.p.c.

Peraltro, l'applicazione analogica della disciplina dettata per la fase esecutiva (e, dunque, dal pignoramento in poi ex art. 491 c.p.c.) nell'art. 624 c.p.c., sembrerebbe esclusa da ragioni di carattere ermeneutico e sistematico: l'art. 624 c.p.c., innanzitutto, è norma dettata esclusivamente per il processo di esecuzione, essendo diretta a disciplinare l'attività del G.E. e stante l'espresso richiamo all'esecuzione forzata; l'ordinanza ex art. 615, comma 1, c.p.c., invece, andrebbe ricondotta ai provvedimenti sommari di natura inibitoria, piuttosto che cautelare in senso proprio, atteso che il periculum in sede di opposizione a precetto è immanente nella necessità di evitare l'esercizio illegittimo dell'azione esecutiva, con la conseguenza che laddove l'opposizione presenti immediatamente un elevato grado di fondatezza, operando un concreto bilanciamento dei contrapposti interessi, occorre inibire un'esecuzione contra ius, che deve essere oggetto di verifica puntuale e rigorosa, a differenza dei procedimenti cautelari in cui il periculum va apprezzato alla luce del concreto pregiudizio paventato in danno al destinatario del provvedimento (cfr. Trib. Napoli, 7 aprile 2015).

In definitiva, non sussistono valide ragioni – né di ordine costituzionale, né di natura sistemica – per ritenere necessaria l'equiparazione, quanto al regime delle impugnazioni, delle ordinanze “sospensive” adottate in sede esecutiva (art. 624 c.p.c.) con le ordinanze di (concessione o diniego della) sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo ex art. 615, comma 1, c.p.c., trattandosi questi ultimi di provvedimenti suscettibili di riesame (nel senso della conferma o della revoca) con la sentenza che definisce il giudizio e residuando, in ogni caso, il rimedio ex art. 624 c.p.c. per l'eventualità (affatto scontata) di avvio del processo esecutivo.

Osservazioni

Il potere di sospendere l'efficacia esecutiva del titolo è stato riconosciuto al giudice dell'opposizione a precetto soltanto con la riforma del 2005/2006. In precedenza, il giudice dell'opposizione a precetto non era titolare del potere di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo, sebbene a partire dal 2000 la Cassazione avesse riconosciuto al giudice dell'opposizione a precetto il potere di sospendere l'efficacia esecutiva del titolo laddove ricorressero i presupposti per l'adozione di un provvedimento di urgenza.

L'intervento riformatore del legislatore fu particolarmente tormentato: nonostante, l'art. 615, come modificato dalla l. n. 80/2005, attribuisse al giudice dell'opposizione al precetto il potere di sospendere l'efficacia esecutiva del titolo, ricorrendo gravi motivi, l'art. 624, comma 1, c.p.c., nella versione modificata dalla l. n. 80/2005, richiamava solo l'opposizione di cui al comma 2 dell'art. 615 c.p.c. (cioè la sola opposizione ad esecuzione già iniziata), quale possibile oggetto di reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., previsto dal comma 2 del medesimo art. 624 c.p.c.

L'esclusione della reclamabilità del provvedimento sospensivo adottato nell'ambito di una opposizione a precetto appariva, pertanto, il frutto di una precisa scelta del legislatore.

Sennonché la norma così formulata non ha mai avuto applicazione pratica, posto che la modifica apportata all'art. 624, comma 1, c.p.c. dalla l. n. 80/2005, fu, a sua volta modificata, prima ancora della sua entrata in vigore. Infatti, la l. n. 52/2006, con l'art. 18, comma 1 , lett. a), eliminò il riferimento al comma 2 dell'art. 615 c.p.c. Pertanto, tale ultima norma venne così richiamata in toto nella previsione di reclamabilità: senza, cioè, che si potesse distinguere fra opposizione a precetto ed opposizione a pignoramento. Tale ulteriore modifica non riuscì, però, a chiarire del tutto la problematica, visto che l'art.624, comma 1, c.p.c. si riferisce, pur sempre, al giudice "dell'esecuzione" (e non al giudice della causa di opposizione a precetto) ed alla sospensione dell'esecuzione (non alla sua inibizione pre-esecutiva, tipica dell'opposizione a precetto).

L'imperfetta tecnica di redazione e di coordinamento degli artt. 615, comma 1, e 624, commi 1e2, c.p.c., ha, pertanto, lasciato nel dubbio sia i commentatori che la giurisprudenza di merito sull'applicabilità o meno del rimedio del reclamo anche al provvedimento sospensivo che il giudice dell'opposizione a precetto può adottare ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c., quando si contesti il diritto del creditore a procedere in sede esecutiva, in quanto tale rimedio non era e non è espressamente previsto.

Al riguardo, si segnala che, nonostante l'art. 624 c.p.c. sia considerato una norma di settore, riferita soltanto al giudice dell'esecuzione ed alla sospensione del processo esecutivo, i primi commentatori della legge n. 80/2005, prendendo le mosse dalla ritenuta natura lato sensu cautelare del provvedimento, avevano ritenuto applicabile lo strumento del reclamo anche alla sospensione ex art. 615, comma 1, c.p.c. (cfr. Barreca; Cardino; Oriani; Proto Pisani).

La giurisprudenza di legittimità è propensa a qualificare come fornita di natura cautelare la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo esecutivo, in quanto con la stessa si persegue il fine di non consentire che possa darsi luogo all'esecuzione prima ancora che sia reso giudizio sul merito delle questioni che si portano, invece, a fondamento dell'opposizione a precetto. Con la conclusiva valutazione per la quale il regime di codesti provvedimenti è ritenuto quello proprio del procedimento cautelare (cfr. Cass. 10 marzo 2006, n. 5368).

Diversa, invece, è la conclusione a cui è giunta la giurisprudenza di merito, che non ha univocamente accolto la possibilità che potesse sottoporsi al mezzo del reclamo l'ordinanza cui il giudice dispone relativamente alla sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo sul fondamento del primo comma dell'art.615 c.p.c.

Sul tema sono ravvisabili due diverse tesi.

A favore della tesi che ritiene ammissibile il reclamo, si può evidenziare che: - l'eliminazione al comma 1 dell'art. 624 c.p.c. del richiamo dell'art. 615, comma 2, c.p.c. consentirebbe l'estensione del reclamo anche all'ordinanza sospensiva di cui al comma 1 dell'art. 615 c.p.c.; - pur peccando nel coordinamento delle diverse disposizioni, il legislatore avrebbe inteso costruire l'art. 624 c.p.c. non più come una norma di settore, ma come una norma quadro applicabile a tutte le opposizioni all'esecuzione, preventive e successive che siano, così come emergerebbe dalla generica formulazione del comma 2 dell'art. 624 c.p.c., che si riferisce in modo ampio al “provvedimento di sospensione” senza operare distinzioni; - una lettura sistematica delle norme far propendere per la tesi della estensibilità del reclamo non essendovi alcun motivo per negare l'impugnabilità del solo provvedimento sospensivo previsto dal comma 1 dell'art. 615 c.p.c., mentre è prevista certamente la reclamabilità dei provvedimenti sospensivi emessi nel corso della procedura esecutiva. (cfr. Trib. Vallo della Lucania, 11 luglio 2017; Trib. Latina, 31 gennaio 2017 e 21 novembre 2016; Trib. Castrovillari, 4 novembre 2014; Trib. Torino, 31 agosto 2012).

La tesi opposta, invece, fa leva sulla lettera della legge e ritiene non ammissibile il reclamo avverso il provvedimento di sospensione adottato ex art. 615, comma 1, c.p.c., contestando la natura cautelare di quel provvedimento e collocandolo nella categoria dei provvedimenti sommari non cautelari. L'art. 624 c.p.c. fa riferimento al solo giudice dell'esecuzione e, dunque, ad un organo diverso da quello cui è attribuito il potere di sospendere l'efficacia esecutiva del titolo. La disposizione normativa richiamata contempla solo le ordinanze emesse dal giudice dell'esecuzione, riferendosi chiaramente alle ipotesi di sospensione emesse in sede di opposizione al pignoramento, non essendovi prima di allora il giudice dell'esecuzione. Un'interpretazione letterale e sistematica delle disposizioni normative induce a disattendere l'opinione secondo cui con la locuzione “gravi motivi” il legislatore abbia voluto attribuire al provvedimento di sospensione natura cautelare così da sottoporlo alla relativa disciplina codicistica. La natura non cautelare dei provvedimenti in esame è dimostrata dalla nozione di periculum in sede di opposizione a precetto e dalla comparazione tra l'attività del giudice chiamato a decidere in quella sede rispetto al procedimento cautelare: il periculum in sede di opposizione a precetto è immanente nella necessità di evitare l'esercizio illegittimo dell'azione esecutiva, con la conseguenza che laddove l'opposizione presenti immediatamente un elevato grado di fondatezza, operando un concreto bilanciamento dei contrapposti interessi, occorre inibire un'esecuzione contra ius, a differenza dei procedimenti cautelari, che deve essere oggetto di verifica puntuale e rigorosa. Partendo da tale rilievo, dunque, in difetto di una espressa previsione normativa circa la sussumibilità di tali ordinanze al regime del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., troverebbe applicazione la regolamentazione imposta dall'art. 669-quaterdecies c.p.c., che limita l'applicazione del regime cautelare uniforme ai provvedimenti previsti nelle sezioni II, III e IV del capo III del libro IV del codice di rito e, salvo un giudizio di compatibilità, dal codice civile e dalle leggi speciali (cfr. Trib.Teramo 24 ottobre 2018; Trib. Latina 9 ottobre 2018; Trib. Milano 10 novembre 2015; Trib. Napoli 7 aprile 2015; Trib. Savona 16 ottobre 2012).

L'alto tasso di incertezza che il contrapposto orientamento sta generando ha spinto la Procura generale presso la Corte di cassazione a presentare ricorso nell'interesse della legge, ex art. 363 c.p.c., chiedendo alla Suprema Corte l'affermazione del seguente principio di diritto:

«l'ordinanza, prevista dall'art. 615, comma 1, secondo periodo, c.p.c., con la quale il giudice dell'opposizione all'esecuzione, proposta prima che questa sia iniziata (opposizione pre-esecutiva od opposizione a precetto), sospende, su istanza di parte, l'efficacia esecutiva del titolo (o rigetta l'istanza di sospensione), è impugnabile con il rimedio del reclamo, ex art. 669-terdecies c.p.c., come previsto dall'art. 624, comma 2, c.p.c.».

Il ricorso è stato presentato avverso ordinanza del Tribunale di Latina con la quale veniva dichiarata l'inammissibilità del reclamo proposto contro il provvedimento di rigetto dell'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo; istanza proposta dal debitore nell'ambito di opposizione precedente l'inizio dell'esecuzione forzata (o opposizione a precetto).

Tale iniziativa si inserisce in una più generale rivitalizzazione dell'istituto del ricorso nell'interesse della legge, allo scopo di permettere alla Suprema Corte di esercitare il suo compito di organo supremo di nomofilachia, essenziale per la corretta esplicazione del “servizio giustizia”.

Guida all'approfondimento
  • Barreca, La riforma della sospensione del processo esecutivo, in www.judicium.it;
  • Cardino, I nuovi titoli esecutivi. Modifiche in tema di sospensione e opposizione, in www.csm.it;
  • Oriani, La sospensione dell'esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e 624 c.p.c.), in www.judicium.it, 2006;
  • Proto Pisani, Premessa a Le modifiche al codice di procedura civile previste dalla l. n. 80 del 2005, in Il Foro it., V, 2005.
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