Risarcimento del danno da circolazione stradale con esito mortale: le Sezioni Unite si pronunciano sul rapporto tra azione civile e penale
27 Maggio 2019
Il caso. Originariamente era stata assegnata alla Terza Sezione la decisione in merito al regolamento di competenza proposto nei confronti dell'ordinanza di sospensione emessa dal Tribunale di Milano in una causa di risarcimento del danno da circolazione stradale con esito mortale. In quella sede il giudice aveva ritenuto infatti necessario sospendere il processo civile, che era stato intrapreso dai famigliari del deceduto a seguito di sentenza di primo grado di condanna dell'imputato-danneggiante nel procedimento penale, in cui solo alcuni dei famigliari (e segnatamente i fratelli della vittima) si erano costituiti come parti civili. La Terza Sezione, osservando come non vi fosse coincidenza tra i soggetti che si sono costituiti parti civili nel processo penale e coloro che hanno poi promosso il giudizio civile, nonché il fatto che nel giudizio civile fosse presente anche la società assicuratrice della responsabilità civile, ha però prospettato al Primo Presidente l'opportunità che a decidere fossero le Sezioni Unite, segnalando tre possibili esiti, ovvero: a) che il giudizio civile dovesse essere necessariamente sospeso nei confronti di tutti i litisconsorti; b) che la sospensione dovesse operare solo con riferimento all'azione risarcitoria proposta nei confronti del danneggiante-imputato; c) che non dovesse operare alcuna sospensione. Le ipotesi di sospensione devono essere interpretate restrittivamente. Le Sezioni Unite si sono dunque trovate a decidere il campo di applicazione del 3° comma dell'art. 75 c.p.p. («Se l'azione è proposta in sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge»). Nella motivazione è stato ricordato come il codice penale del 1988 abbia ripudiato il principio di unità della giurisdizione e di prevalenza del giudizio penale, a favore di quello della parità e originarietà dei diversi ordini giurisdizionali e dell'autonomia dei giudizi: conseguentemente il legislatore ha scoraggiato la proposizione dell'azione civile nel processo penale, favorendo invece la separazione dei giudizi, sia ponendo uno sbarramento al trasferimento dell'azione civile nel processo penale (art. 75, comma 1, c.p.p.) che permettendo al danneggiato di evitare, in sede civile, gli effetti dell'assoluzione dell'imputato-danneggiante (art. 652, comma 1, c.p.p.). É stato inoltre ricordato come anche il valore dell'uniformità dei giudicati abbia nel tempo perso d'importanza, nell'ambito del rapporto giudizio tributario-giudizio penale (cfr. art. 20 d.lgs. n. 10 marzo 2000 n. 74), nell'ambito del rapporto procedimento disciplinare degli avvocati-procedimento penale (cfr. art. 54 l. 31 dicembre 2012 n. 247), nell'ambito del rapporto giudizio disciplinare del lavoratore pubblico-giudizio penale (cfr. art. 55-ter d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165), e finanche nell'ambito del medesimo giudizio penale (l'art. 576 c.p.p. consente alla parte civile di impugnare, ai soli effetti della responsabilità civile, la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio). A fronte della regola generale della separazione dei giudizi e dell'autonoma prosecuzione di ciascuno di essi, le ipotesi di sospensione previste dal comma 3 dell'art. 75 c.p.p. rappresentano evidentemente una eccezione, che in quanto tale non può che essere interpretata restrittivamente: pertanto ne costituisce condizione necessaria l'identità sia di oggetto ma anche di soggetti coinvolti. Viceversa, «estendere l'applicazione di un'ipotesi derogatoria a un caso, come quello in esame, in cui tutte le parti del giudizio civile non coincidano con tutte quelle del processo penale, sacrificherebbe in maniera ingiustificata l'interesse dei soggetti coinvolti alla rapida definizione della propria posizione». La separazione e autonomia dei giudizi civile e penale, inoltre, si evidenzia anche nella diversa ricostruzione del nesso di causalità, che risponde al canone della ragionevole certezza in ambito penale, e invece alla regola del “più probabile che non” in quello civile. Pertanto, le Sezioni Unite hanno chiarito che i casi di sospensione necessaria previsti dall'art. 75, comma 3, c.p.p. rispondo a finalità diverse da quella di preservare l'uniformità dei giudicati e vanno interpretati restrittivamente. In particolare, «la sospensione non si applica qualora il danneggiato proponga azione di danno nei confronti del danneggiante e dell'impresa assicuratrice della responsabilità civile dopo la pronuncia di primo grado nel processo penale nel quale il danneggiante sia imputato». Conseguentemente, le Sezioni Unite hanno annullato l'ordinanza di sospensione e disposto la prosecuzione del processo.
*Fonte: www.dirittoegiustizia.it |