La liquidazione giudiziale di gruppo nel Codice della crisi e dell'insolvenza

Diego Corrado
24 Maggio 2019

All'interno della disciplina della liquidazione giudiziale di gruppo, viene prevista l'alternativa tra procedura unitaria o coordinamento tra procedure distinte, ponendosi fine così a un vuoto legislativo sinora fonte di dubbi e incertezze, oltre che di ostacoli pratici.
Premessa

All'interno della disciplina della liquidazione giudiziale di gruppo, viene prevista l'alternativa tra procedura unitaria o coordinamento tra procedure distinte, ponendosi fine così a un vuoto legislativo sinora fonte di dubbi e incertezze, oltre che di ostacoli pratici. Il criterio di scelta è quello del migliore soddisfacimento dei creditori delle diverse imprese, ferma restando l'autonomia delle masse attive e passive. Sono inoltre previste una specifica azione di inefficacia di operazioni infragruppo, la possibilità per il curatore di esperire l'azione di responsabilità ex art. 2497 c.c. e di promuovere nei confronti le società del gruppo in bonis la denuncia di irregolarità ex art. 2409 c.c. Infine, viene estesa al fenomeno del gruppo la fattispecie della postergazione dei finanziamenti oggi prevista dall'art. 2467 c.c.

La definizione di gruppo e i principi di fondo della disciplina

Anche nel caso della disciplina della liquidazione giudiziale di gruppo, come già fatto per quella del concordato (Corrado, La disciplina del concordato di gruppo nel Codice della crisi e dell'insolvenza, in www.ilFallimentarista.it) è necessario partire dall'art. 3 della legge delega (legge n. 155/2017), che al terzo comma detta i principi che hanno poi guidato il legislatore delegato. Se il secondo comma è specificamente dedicato al concordato, importanti indicazioni sul tema del presente contributo vengono dal primo comma, che, tra l'altro: (i) definisce il gruppo di imprese, rifacendosi alla disciplina di cui agli artt. 2497 e seguenti c.c.; (ii) attribuisce all'organo di gestione della procedura specifici poteri ispettivi in relazione all'accertamento di legami di gruppo; (iii) prevede espressamente la possibilità di addivenire a una procedura unitaria in caso l'insolvenza colpisca più imprese appartenenti a un medesimo gruppo; (iv) impone obblighi reciproci di informazione e di collaborazione tra gli organi di gestione delle diverse procedure, nel caso in cui le imprese insolventi del gruppo siano soggette a separate procedure concorsuali, in Italia o all'estero; (v) stabilisce il principio di postergazione del rimborso dei crediti di società o di imprese appartenenti allo stesso gruppo, in presenza dei presupposti di cui all'articolo 2467 del codice civile.

Per quanto riguarda espressamente la liquidazione giudiziale, l'art. 3 in commento, al comma 3, dispone che nell'ipotesi di gestione unitaria di più procedure concernenti imprese appartenenti allo stesso gruppo devono essere previsti:

a) la nomina di un unico giudice delegato e di un unico curatore, ma di distinti comitati dei creditori per ciascuna impresa del gruppo;

b) un criterio di ripartizione proporzionale dei costi della procedura tra le singole imprese del gruppo;

c) l'attribuzione al curatore, anche nei confronti di imprese non insolventi del gruppo, del potere di: azionare rimedi contro operazioni antecedenti l'accertamento dello stato di insolvenza e dirette a spostare risorse a un'altra impresa del gruppo, in danno dei creditori; esercitare le azioni di responsabilità di cui all'articolo 2497 del codice civile; promuovere la denuncia di gravi irregolarità gestionali nei confronti degli organi di amministrazione delle società del gruppo non assoggettate alla procedura di liquidazione giudiziale; nel caso in cui ravvisi l'insolvenza di imprese del gruppo non ancora assoggettate alla procedura di liquidazione giudiziale, segnalare tale circostanza agli organi di amministrazione e di controllo ovvero promuovere direttamente l'accertamento dello stato di insolvenza di dette imprese;

d) la disciplina di eventuali proposte di concordato liquidatorio giudiziale.

La disciplina del Codice in materia prende avvio, all'art. 2, comma 1, lett. h, dalla definizione di gruppo di imprese. Oltre al rinvio ai principi dettati dall'art. 2497 del codice civile (che ravvisano il fenomeno del gruppo laddove vi sia attività di direzione e coordinamento in forza di un rapporto partecipativo o contrattuale, presumendo essa sussista comunque nel caso vi sia l'obbligo di redigere il bilancio consolidato), spicca nella definizione in esame l'espressa menzione dell'ipotesi del controllo congiunto e della holding persona fisica, quest'ultima al centro di un ampio dibattito in relazione all'ambito applicativo dell'art. 2497, co. 1.

Il Tribunale competente nella procedura unitaria di liquidazione giudiziale di gruppo

Fatta salva l'ipotesi del gruppo di imprese di rilevanti dimensioni (per cui l'art. 27, comma 1, del Codice, prevede una norma ad hoc) la regola generale in tema di individuazione del Tribunale competente per la procedura di liquidazione giudiziale di gruppo è quella che si ottiene dal combinato disposto dell'ora citato art. 27 e dell'art. 287, comma 4.

Le norme ora citate stabiliscono che la domanda unitaria di concordato di gruppo di imprese con sedi diverse dovrà essere presentata al Tribunale competente per la società o persona fisica che, secondo quanto dichiarato al Registro delle imprese, esercita attività di direzione e coordinamento, o – in mancanza della dichiarazione prevista dall'art. 2497-bis c.c. – per quella il cui ultimo bilancio approvato presenta la maggiore esposizione debitoria.

È necessario notare peraltro che la regola ora citata viene in rilievo solo nel caso in cui più imprese presentino domanda di liquidazione giudiziale “in proprio”. Negli altri casi, infatti, “il tribunale competente è quello dinanzi al quale è stata presentata la prima domanda di liquidazione giudiziale”.

Come l'esame della disciplina rende evidente, il criterio unitario di competenza, così come il principio della trattazione unitaria sono solo una eventualità, destinata a realizzarsi in presenza di specifici presupposti. In caso contrario (nel caso cioè più imprese appartenenti a un medesimo gruppo siano assoggettate a separate procedure di liquidazione giudiziale, eventualmente dinanzi a tribunali diversi”), la legge – all'art. 288 – si limita a stabilire un obbligo di “cooperazione” finalizzato a “facilitare la gestione efficace di tali procedure”.

Non sono chiari i limiti di questo obbligo di cooperazione, e non è difficile prevedere che l'indeterminatezza della norma potrà dare luogo a conflitti e attriti tra gli organi di diverse procedure, nel caso le stesse siano titolari di interessi confliggenti tra loro. Ma certo la norma costituisce un passo avanti rispetto alla situazione attuale, laddove anche nel caso di evidente interesse di una curatela ad acquisire dati e notizie in possesso del fallimento di una società collegata, alla facoltà della prima di chiedere collaborazione non fa da contraltare alcun obbligo in capo alla curatela del secondo, laddove la disciplina del Codice e specificamente l'art. 288 consentirà di sottoporre situazioni di questo tipo alla decisione del Tribunale.

L'istruttoria prefallimentare di gruppo

Presupposto dell'unitarietà della procedura di liquidazione giudiziale di più imprese appartenenti a un medesimo gruppo, dispone l'art. 287, comma 1, è il fatto che “risultino opportune forme di coordinamento nella liquidazione degli attivi, in funzione dell'obiettivo del migliore soddisfacimento dei creditori delle diverse imprese del gruppo”. A questo fine, prosegue la disposizione in esame, “il Tribunale tiene conto dei preesistenti reciproci collegamenti di natura economica o produttiva, della composizione dei patrimoni delle diverse imprese e della presenza dei medesimi amministratori”.

Per consentire questa valutazione, l'art. 289 prescrive che l'istanza di fallimento debba contenere informazioni analitiche sulla struttura del gruppo e sui vincoli partecipativi o contrattuali esistenti tra le società e imprese, nonché indicare il registro delle imprese o i registri delle imprese in cui è stata effettuata la pubblicità prevista dall'art. 2497-bis c.c. L'impresa, inoltre, dovrà depositare il bilancio consolidato di gruppo, ove redatto.

Sempre ai fini dell'istruttoria, al fine di accertare l'esistenza di collegamenti di gruppo, specifici obblighi di cooperazione sono posti dal medesimo art. 289 in capo alla Consob, a “qualsiasi altra pubblica autorità” e alle società fiduciarie. Questi soggetti sono infatti tenuti a comunicare le generalità degli effettivi titolari di diritti sulle azioni o (nel caso delle fiduciarie) sulle quote ad esse intestate. Le informazioni devono essere fornite entro quindici giorni dalla richiesta del Tribunale, ma è interessante notare che la facoltà di chiedere questi dati si trasferisce, successivamente alla sua nomina, al curatore.

Ciò è il segno evidente che nell'intenzione del legislatore alla “unificazione” delle procedure di liquidazione giudiziale si può giungere anche per gradi, come confermato dalla disposizione di cui all'art. 287, comma 5, che attribuisce al curatore “di gruppo” (nominato cioè per la gestione unitaria della liquidazione di più imprese, ex art. 287, comma 2) che ravvisi l'insolvenza di un'impresa del gruppo non ancora assoggettata alla procedura di liquidazione giudiziale, il compito di segnalare tale circostanza ai suoi organi di amministrazione e controllo ovvero di promuovere direttamente l'accertamento del suo stato di insolvenza.

Gli organi della procedura “unitaria” e le spese della procedura

All'esito dell'istruttoria (quando ravvisa i presupposti di legge per la procedura unitaria), il Tribunale procederà alla nomina di un unico giudice delegato e di un unico curatore (art. 287, comma 2), cui farà da contraltare – in coerenza con il principio di persistente autonomia delle masse attive e passive – la nomina di un comitato dei creditori per ciascuna impresa del gruppo.

Benché prevedere un unico curatore sia la soluzione che di norma consentirà maggior efficacia gestoria, è evidente che essa incontra limiti sotto il profilo dei potenziali conflitti di interesse, ove l'organo in questione debba valutare la legittimità di atti di gestione sotto il profilo della violazione dell'art. 2497 c.c. o del depauperamento di una componente del gruppo a favore di un altro (l'esperienza pratica spesso pone di fronte a situazioni in cui alcune società, dotate di maggiore liquidità, facciano da “banca” alle altre, con le conseguenze del caso al sopravvenire della crisi).

Per questo la legge (art. 287, comma 2) subordina la previsione di un unico curatore all'assenza di “specifiche ragioni” che obblighino a nominare organi distinti. Si pone in tal caso il problema di capire che cosa accade quando il conflitto di interessi emerge a procedura avviata. In questo caso, peraltro, non si tratterà solo di procedere alla nomina di uno o più ulteriori curatori, ma al vero e proprio “smembramento” di quella che sino a quel momento era un'unica procedura. Queste considerazioni consentono di affermare che la nomina di un unico curatore, ancorché prevista dalla legge come opzione di default, sarà nella prassi circondata da notevole cautela.

Tra i compiti specifici che la legge attribuisce al curatore “unico”, l'obbligo di illustrare nel programma di liquidazione le modalità del coordinamento nella liquidazione degli attivi delle diverse imprese. E proprio la stesura del programma potrà essere l'occasione per rilevare non tanto l'insussistenza di sinergie positive nella liquidazione (di per sé irrilevanti, ove la procedura “unitaria” sia ormai stata avviata) quanto eventuali “specifiche ragioni” per procedere in modo separato, che non siano già emerse in sede di apertura della procedura.

L'art. 287 prevede infine al comma 3 che le spese generali della procedura “unitaria” siano imputate alle imprese del gruppo in proporzione delle rispettive masse attive, una soluzione (come già si è osservato per quanto analogamente previsto in tema di concordato preventivo) che non soddisfa appieno, ove si osservi che potrà spesso tradursi di fatto in un drenaggio di risorse a favore delle imprese più indebitate del gruppo, cui peraltro i creditori dell'impresa più ricca non potranno opporsi, atteso che il principio dettato in proposito dalla legge delega si limita a stabilire che il legislatore delegato individui “un criterio di ripartizione proporzionale dei costi della procedura tra le singole imprese del gruppo” (cfr. art. 3, comma 3, lett. b), senza ulteriori specificazioni.

La revocatoria infragruppo

L'art. 290 del Codice introduce nel nostro ordinamento una specifica azione revocatoria infragruppo, in attuazione dell'art. 3, comma 3, lett. c, n. 1. Come evidenziato nella relazione di accompagnamento, la logica che informa la disposizione in esame è analoga a quella della revocatoria aggravata in caso di amministrazione straordinaria, prevista dall'art. 91 del D. Lgs. n. 270/99, prevedendo un'estensione del periodo “sospetto” ai cinque anni antecedenti il deposito dell'istanza giudiziale per la dichiarazione di inefficacia di “atti e contratti … che abbiano avuto l'effetto di spostare risorse a favore di un'altra impresa del gruppo con pregiudizio dei creditori”. La condivisibile ratio della norma è che i legami infragruppo facilitino, e rendano quindi più frequenti e insidiosi, i trasferimenti di risorse potenzialmente lesivi degli interessi dei creditori di questa o quella impresa appartenente al gruppo.

Da notare peraltro che la legge delega preveda questa azione “rafforzata” nel caso di “gestione unitaria”, mentre l'art. 290 in commento estende la facoltà di promuoverla anche al caso di “apertura di una pluralità di procedure”, con il rischio che il convenuto in questo secondo caso sollevi questione di costituzionalità della norma sotto il profilo dell'eccesso di delega.

Resta infine da determinare con attenzione il perimetro dell'azione revocatoria “aggravata”, atteso che l'art. 290, comma 3, attribuisce al curatore la legittimazione ad esercitare, “nei confronti delle altre società del gruppo”, l'azione revocatoria fallimentare “ordinaria” prevista dall'art. 166 del Codice, tuttavia estendendone il periodo sospetto.

Il confronto tra le norme (art. 290, co. 1, art. 166 e art. 163) non è del tutto agevole. Parrebbe potersi concludere che la revocatoria infragruppo sia una specie del più ampio genus della revocatoria degli atti a titolo gratuito (disciplinati appunto dall'art. 163), caratterizzata dall'estensione del periodo sospetto, in un certo modo “temperata” dalla diversa modulazione dell'onere della prova. Nel caso in esame infatti l'art. 290, comma 2, consente alla società beneficiaria di sottrarsi alla dichiarazione di inefficacia provando di non essere stata a conoscenza del carattere pregiudizievole dell'atto o del contratto, laddove l'art. 163 la conoscenza del pregiudizio è presupposta ex lege.

Da notare infine che l'art. 290, co. 1, ultimo periodo, precisa che dovrà tenersi conto dei vantaggi compensativi ottenuti dalla società “depauperata”, richiamando a tal fine l'art. 2497, comma 1, c.c.

L'azione di responsabilità e la denuncia di gravi irregolarità infragruppo

Anche l'art. 291 appare diretta emanazione di specifiche disposizioni della legge delega (art. 3, co. 3, lett. c, nn. 2 e 3).

Il primo comma della disposizione attribuisce al curatore la legittimazione ad esperire le azioni previste dall'art. 2497 c.c. Non a caso la disposizione citata parla di “azioni”, al plurale, poiché come è noto la norma codicistica prevede, nei confronti di società o enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscano nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, una duplice legittimazione all'azione risarcitoria: quella dei soci, per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché dei creditori sociali, per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società.

Anche in questo caso dovrà tenersi conto dei “vantaggi compensativi” eventualmente conseguiti dalla società per cui si agisce, visto il richiamo integrale all'art. 2497.

Se il primo comma non fa che confermare quanto già previsto dalla legge (cfr. art. 2497, co. 4, c.c.), del tutto innovativa è la disposizione di cui al secondo comma dell'art. 291, a mente del quale “il curatore è altresì legittimato a proporre, nei confronti di amministratori e sindaci delle società del gruppo non assoggettate alla procedura di liquidazione giudiziale, la denuncia di cui all'articolo 2409 del codice civile”.

Anche per le disposizioni di cui all'art. 291 vale quanto già osservato a proposito dell'art. 290: la legge delega prevede la legittimazione all'azione ex art. 2497 e alla denuncia ex art. 2409 nel caso di “gestione unitaria” delle procedure, requisito che non è presente nel Codice, con il conseguente dubbio di costituzionalità per eccesso di delega nel caso in cui tali istituti vengano attivati dal curatore di una società insolvente appartenente sì a un gruppo, ma assoggettata a procedura di liquidazione giudiziale “atomistica”.

La postergazione del rimborso dei crediti infragruppo

L'art. 292 del Codice estende al caso del gruppo insolvente la regola di cui all'art. 2497-quinquies c.c., che a sua volta “adatta” al caso del gruppo la norma che dispone la postergazione del rimborso dei finanziamenti dei soci posta dall'art. 2467 c.c.

Lo fa, tuttavia, con un'importante differenza, ove si osservi che l'ambito di applicazione dell'art. 2497-quinquies limita il suo ambito di applicazione ai “finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti”, ovvero ai cosiddetti finanziamenti “discendenti”, limitazione non presente nel Codice, che anzi espressamente prevede la postergazione anche dei finanziamenti “ascendenti”. Ciò peraltro non pone problemi formali, atteso che la legge delega a sua volta non prevedeva detta limitazione.

Semmai, si deve rilevare che l'art. 292 non richiama i vincoli posti dall'art. 2467 (a mente del quale ai fini dell'applicazione della norma “s'intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”), nonostante la disposizione sia espressamente richiamata dalla legge delega. Così come non c'è traccia, né nella legge delega né nella norma codicistica da essa espressamente richiamata, dei vincoli temporali previsti dal Codice, a mente dei quali la postergazione o, in caso di avvenuto rimborso, la dichiarazione di inefficacia ex art. 164, si applicano rispettivamente solo ai crediti sorti sulla base di “rapporti di finanziamento contratti dopo il deposito della domanda che ha dato luogo all'apertura della liquidazione giudiziale o nell'anno anteriore” o a quelli “rimborsati nell'anno anteriore alla domanda che ha dato luogo all'apertura della liquidazione giudiziale”.

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