L'illegittima parcellizzazione dell'inadempimento del lavoratore

Teresa Zappia
27 Maggio 2019

Qualora il CCNL disponga una sanzione conservativa, prevedendo invece il licenziamento nelle ipotesi di recidiva, è illegittima la parcellizzazione della condotta del dipendente da parte del datore di lavoro. Il disvalore della condotta recidivante si individua nella perpetrazione dell'illecito in seguito ad una sanzione disciplinare precedentemente applicata...
Massima

Qualora il CCNL disponga una sanzione conservativa, prevedendo invece il licenziamento nelle ipotesi di recidiva, è illegittima la parcellizzazione della condotta del dipendente da parte del datore di lavoro.

Il disvalore della condotta recidivante si individua nella perpetrazione dell'illecito in seguito ad una sanzione disciplinare precedentemente applicata.

È dunque illegittimo il licenziamento irrogato per un inadempimento solo strumentalmente parcellizzato per la pluralità degli episodi, da considerarsi invece unitariamente in quanto rilevati in un unico contesto temporale.

Il caso

Il giudizio prende avvio dall'impugnazione del licenziamento, per giustificato motivo soggettivo, irrogato in data 18 aprile 2013 nei confronti di Borelli P. per la mancata timbratura all'orologio marcatempo delle uscite effettuate nel corso delle giornate lavorative del 10, 11 e 19 marzo 2013, nonché per il tempo trascorso, senza giustificazione, al fuori dello stabilimento.

La BSP Pharmaceuticals s.r.l. sosteneva il grave inadempimento del lavoratore anche in ragione della recidiva specifica del 4 aprile 2013 e della contestazione disciplinare del 29 marzo 2013 (determinata dallo scarso impegno nello svolgimento dell'attività lavorativa) tenuto conto di quanto disposto dagli artt. 50, 51 punto e) ed f), 52, primo capoverso, e punto a) ed l) del CCNL vigente.

Il Tribunale di Latina dichiarava l'illegittimità del recesso datoriale in quanto riteneva l'addebito contestato privo di rilievo disciplinare.

Il lavoratore, in forza del regolamento aziendale, era tenuto unicamente alla timbratura del cartellino nel rilevatore presenze, al fine di imputare la sospensione dell'attività lavorativa ai permessi dello stesso.

Si rilevava altresì la illegittimità della recidiva in quanto le lettere di contestazione del 4 aprile 2013 duplicavano ingiustificatamente gli illeciti e le correlative sanzioni. Si disponeva pertanto la reintegra del lavoratore ai sensi dell'art. 18, comma 4, l. n. 300 del 1970, con condanna del datore al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto.

La BSP presentava tempestiva opposizione chiedendo l'accertamento della legittimità del licenziamento irrogato.

La questione

Può il datore parcellizzare l'inadempimento del lavoratore per mezzo di distinte contestazioni disciplinari?

La soluzione

Il Tribunale di Latina prende atto innanzitutto della disciplina vigente in materia, ricordando come la l. n.92 del 2012, abbia modificato la formulazione dell'art. 18, l. n. 300 del 1970, introducendo una graduazione delle ipotesi di illegittimità del licenziamento, con corrispondente distinta tutela del lavoratore: la condanna alla reintegrazione viene limitata ai casi in cui il fatto addebitato sia insussistente ovvero per lo stesso il CCNL preveda una sanzione di carattere conservativo, esulando ogni valutazione attinente al profilo della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell'inadempimento; in ogni altro caso il licenziato godrà di una tutela indennitaria. All'insussistenza del fatto è equiparato il caso in cui il comportamento contestato sia materialmente esistente ma privo di illiceità o rilevanza giuridica, inapprezzabile quindi sotto il profilo disciplinare, ovvero non sia imputabile al lavoratore.

Nel caso di specie il Tribunale, tenuto conto del regolamento aziendale e della condotta in concreto tenuta dal dipendente, ne riconosce sia l'esistenza materiale sia la rilevanza sul piano disciplinare, contrastando le ripetute sospensioni dell'attività ai principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione della prestazione lavorativa. Tuttavia, la lettura combinata degli artt. 51 e 52, CCNL applicato, consentiva di rilevare come al comportamento posto in essere dal lavoratore corrispondesse una sanzione di natura conservativa, disponendosi il licenziamento nel caso di recidiva dello stesso.

Dagli accertamenti operati si constatava l'artificiosa parcellizzazione dell'inadempimento del dipendente ad opera della BPS s.r.l. la quale, a fronte di una pluralità di episodi identici e, soprattutto, rilevati in un unico contesto temporale, aveva disposto due diverse sanzioni disciplinari, così da poter applicare la disposizione contrattuale sulla recidiva. Evidenzia il Tribunale che il disvalore di una condotta recidivante non risiede nella mera pluralità e ripetitività delle condotte bensì nel contegno assunto dal lavoratore il quale, ammonito con una precedente sanzione disciplinare, abbia proseguito successivamente con il medesimo inadempimento, pregiudicando il rapporto di fiducia con la parte datoriale.

Nel caso in cui il dipendente, dopo l'irrogazione della sanzione conservativa, avesse perseguito nelle mancanze contestate, dimostrando in tal modo di non volersi conformare alle direttive aziendali, sarebbe certamente risultata legittima la sanzione del licenziamento. Nel caso in esame si constatava invece una sostanziale parcellizzazione dell'inadempimento nella esecuzione della prestazione resa dal Borelli nel mese di marzo 2013, risultando pertanto esclusivamente strumentale alla contestazione della recidiva e ad evitare l'applicazione della sanzione conservativa prevista nel CCNL.

Il Tribunale dichiarava quindi l'illegittimità della sanzione del licenziamento, in considerazione del fatto che, sulla base delle previsioni del CCNL applicabile al rapporto in questione, la condotta addebitata rientrava tra le condotte punibili con una sanzione conservativa.

Osservazioni

Mediante l'abuso del diritto, considerato come principio generale dell'ordinamento, è posto un controllo in ordine all'effettiva corrispondenza fra l'interesse tutelato dalla norma e quello perseguito dal titolare del diritto.

Secondo quanto sostenuto dalla giurisprudenza, una ipotesi di abuso del diritto è ravvisabile non soltanto nel fatto che una parte del contratto abbia tenuto una condotta non idonea a salvaguardare gli interessi dell'altra, quando tale condotta persegua un risultato lecito attraverso mezzi legittimi, ma anche allorché il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono attribuiti. L'abuso del diritto si identifica, quindi, in un uso distorto del diritto rispetto alla sua funzione, volto a soddisfare un interesse concreto diverso da quello tutelato in astratto dalla norma.

In materia di potere disciplinare del datore, il legislatore nel regolarne l'esercizio effettivo, pone determinati limiti destinati precipuamente a garantire il diritto di difesa del lavoratore al quale il fatto è contestato. Nei casi in cui venga applicata la sanzione espulsiva si parlerà di licenziamento illegittimo qualora il datore non si sia attenuto alle regole procedurali (recte art. 7, st. lav.) ovvero sia stato accertato il difetto del motivo giustificante il recesso datoriale, come ad esempio nell'ipotesi in cui il fatto oggetto della contestazione sia materialmente inesistente. Quid iuris se la procedura è stata rispettata ed il comportamento, rilevante sul piano disciplinare, è stato concretamente posto in essere dal lavoratore? Il legislatore si ferma alla soglia della valutazione, escludendo che la scelta datoriale possa essere sindacata nel merito se non in specifiche situazioni. Tra queste ultime è inclusa quella della previsione, nel CCNL applicato, di una sanzione conservativa per la condotta posta in essere dal dipendente, il che manifesta una valutazione operata a monte dalle parti circa la gravità del fatto e la proporzionalità della reazione datoriale rispetto allo stesso. Nel caso di specie, il contratto collettivo considerava la recidiva quale elemento di integrazione della condotta sanzionabile con il licenziamento.

Sul punto, nella decisione esaminata, il Tribunale ha evidenziato come il disvalore della recidiva non possa essere individuato nella pluralità degli episodi, talaltro accertati nel medesimo contesto temporale (trattandosi di mera reiterazione), ma proprio nella perpetrazione dell'inadempimento in seguito all'applicazione della sanzione conservativa, il che giustificherebbe il venire meno della fiducia datoriale nel corretto espletamento della prestazione lavorativa e la conseguente irrogazione del licenziamento. Quanto posto in essere dal datore nel caso esaminato manifesterebbe, ad avviso di chi scrive, un comportamento abusivo in quanto, sebbene venga escluso un sindacato nel merito della scelta sanzionatoria e nonostante il licenziamento fosse stato valutato proporzionale alla condotta recidivante nel CCNL applicato, era stata operata una parcellizzazione dei diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare al solo fine di poter procedere all'applicazione della sanzione espulsiva e non di quella conservativa. Anche in tale fattispecie si rinverrebbe il perseguimento di un interesse ulteriore ed estraneo alla normativa fondante il potere disciplinare della parte datoriale come reazione all'inadempimento del dipendente, venendo il recesso utilizzato con modalità manifestamente irrispettose del dovere di correttezza e buona fede e causando uno sproporzionato e ingiustificato pregiudizio per il lavoratore. Il datore non avrebbe potuto sovrapporre il proprio giudizio di proporzionalità tra azione e reazione a quello espresso in sede contrattuale, né ovviamente valutare separatamente i giorni di sospensione ingiustificata dell'attività lavorativa in quanto, nonostante la condotta fosse stata ripetuta nel tempo, non avrebbe potuto parlarsi tecnicamente di recidiva, sicché sanzione applicabile avrebbe dovuto e potuto essere esclusivamente quella conservativa fissata nel CCNL.

Per approfondire

R. Diamanti, L'abuso nel rapporto di lavoro, in Riv. it. dir. lav., dicembre 2017, fasc. 4, 589 ss.

S. Mainardi (a cura di), Il potere disciplinare del datore di lavoro, in Nuova giurisprudenza di diritto civile e commerciale, Milano, 2012.

E. Ceccarelli, Reiterazione del comportamento illecito e contestazione della recidiva, in Giur. it., 2010, fasc. 4, 882 ss.