Emendatio e mutatio libelli nel giudizio di primo grado
28 Maggio 2019
Il quadro normativo
Occorre premettere che le norme che prevedono preclusioni assertive ed istruttorie nel processo civile sono preordinate a tutelare interessi generali e la loro violazione è sempre rilevabile d'ufficio, anche in presenza di acquiescenza della parte legittimata a dolersene; ne consegue che l'attore deve produrre, a pena di inammissibilità, i documenti costituenti prova del fatto costitutivo della domanda entro il secondo termine di cui all'art. 183 c.p.c., fissato per l'indicazione dei mezzi di prova e le produzioni documentali, e ciò indipendentemente dalla tardiva costituzione della controparte oltre il detto termine e dagli argomenti da essa introdotti, atteso che tale circostanza non consente la remissione in termini né l'applicazione del principio di non contestazione, il quale è richiamato dall'art. 115 c.p.c. con espresso riferimento alle sole parti costituite, restando così esclusa la sua validità rispetto a quelle contumaci (v. Cass. civ., sez. III, n. 16800/2018). Secondo una impostazione consolidata in dottrina come in giurisprudenza si realizzava una inammissibile mutatio libelli, vietata anche nel corso del giudizio di primo grado, in sede di prima memoria ex art. 183 c.p.c., ogni qual volta fosse modificato un elemento costitutivo della domanda giudiziale, con una “attenuazione” di questo principio per i soli diritti cd. autodeterminati, che restavano immutati anche nell'ipotesi di modifica dei relativi fatti costitutivi. É noto che, almeno nella giurisprudenza di legittimità, si è realizzata, ad opera delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, una significativa evoluzione per la quale la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c.può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali (Cass. civ., Sez. Un., n. 12310/2015 per la quale ne consegue l'ammissibilità della modifica, nella memoria ex art. 183 c.p.c., dell'originaria domanda formulata ex art. 2932 c.c. con quella di accertamento dell'avvenuto effetto traslativo). In sostanza, a seguito di tale fondamentale intervento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione deve ritenersi ammissibile in sede di prima memoria di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la modifica anche di elementi costitutivi sul piano oggettivo della domanda giudiziale, ossia la proposizione di una domanda “complanare” a quella introduttiva, nell'ambito di una considerazione del principio di economia processuale in senso complessivo e non correlato alla durata del singolo processo. In particolare, l'introduzione di una domanda in aggiunta a quella originaria costituisce domanda "nuova", come tale implicitamente vietata dall'art. 183 c.p.c., atteso che il confine tra quest'ultima e la domanda "modificata" – che, invece, è espressamente ammessa nei limiti dell'udienza e delle memorie previste dalla norma citata – va identificato nell'unitarietà della domanda, nel senso che deve trattarsi della stessa domanda iniziale modificata, eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali, o di una domanda diversa che, comunque, non si aggiunga alla prima ma la sostituisca, ponendosi, pertanto, rispetto a quella, in un rapporto di alternatività (Cass. civ., sez. III, n. 16807/2018). La richiamata decisione delle Sezioni Unite assume, evidentemente, rilevanza soprattutto con riguardo ai diritti cd. eterodeterminati, per le quali viene ammessa la modifica in corso di causa della domanda originaria, mediante l'allegazione di un diverso fatto costitutivo, che ne comporti la sostituzione con una nuova domanda ad essa alternativa, purché abbia ad oggetto il medesimo bene della vita (nel senso che la domanda modificata risulti comunque inerente alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio: Cass. civ., sez. III, n. 27566/2017) e siano rispettate le preclusioni processuali previste dall'art. 183 c.p.c. (cfr. Cass. civ., sez. III, n. 18956/2017). L'intervento sui rapporti tra domanda di adempimento negoziale e di indennizzo per indebito arricchimento
Significativa declinazione del principio sancito dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 12310/2015 è costituita dalla più recente decisione resa dalle stesse con riferimento al ricorrente tema dei rapporti tra domanda di adempimento negoziale e domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento. Ponendosi nel solco del richiamato precedente, le Sezioni Unite hanno risolto la questione enunciando il principio per il quale nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell'art. 183, comma 6, c.p.c., qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta (Cass. civ., Sez. Un., n. 22404/2018, la quale ha così superato un diverso indirizzo interpretativo, affermato anche di recente, per il quale poiché la domanda di adempimento contrattuale e quella di arricchimento senza causa si differenziano strutturalmente e tipologicamente, la seconda integra, rispetto alla prima originariamente formulata, una domanda nuova con la conseguenza che nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo al creditore opposto, che riveste la posizione sostanziale di attore, è consentito avanzare con la comparsa di costituzione e risposta domanda di arricchimento senza causa soltanto qualora l'opponente abbia introdotto nel giudizio, con l'atto di citazione, un ulteriore tema di indagine che possa giustificare tale esigenza). Casistica
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