Copia e collazione di attiFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 743
29 Maggio 2019
Inquadramento
Ai sensi degli artt. 743, 744, 745 e 746 c.p.c. sono trattati i profili sostanziali e processuali degli istituti della copia e della collazione degli atti pubblici. Le norme in esame hanno un'importantissima funzione pratica data la struttura del processo civile e dei pubblici registri, i quali sono sempre orientati alla conservazione degli originali degli atti depositati. In assenza della possibilità della copia degli atti pubblici nonché della collazione, la quale permette il materiale confronto tra originale e copia per verificarne la conformità, sarebbe molto difficile, quando non praticamente impossibile, poter esercitare i propri diritti o proporne la relativa tutela.
In dottrina non si considera dubbio il riconoscimento della portata di natura anche sostanziale delle norme in esame, pur essendo queste ricomprese nel codice di procedura civile. Questo, in quanto non disciplinano solo i poteri processuali delle parti ma individuano anche la relativa posizione giuridico-soggettiva di cui il soggetto è titolare. Posizione giuridico-soggettiva che nel prosieguo sarà analizzata in maniera dettagliata, date le diverse tesi in ordine alla sua qualificazione. Venendo al primo dei due istituiti citati, ovvero il procedimento di copia degli atti pubblici, è necessario definire quali siano i soggetti che possano proporre la relativa pretesa, come questa possa essere qualificata e chi siano i soggetti tenuti al rilascio, definendo il contenuto del loro comportamento dovuto. Successivamente, poi, sarà indispensabile analizzare i limiti del potere stesso. L'art 743 c.p.c., rubricato “Copie degli atti”, al comma 1 dispone che: «Qualunque depositario pubblico, autorizzato a spedire copia degli atti che detiene, deve rilasciarne copia autentica, ancorché l'istante o i suoi autori non siano stati parte nell'atto, sotto pena dei danni e delle spese, salve le disposizioni speciali della legge sulle tasse di registro e bollo». Venendo ai soggetti legittimati a poter chiedere copia degli atti pubblici, tali sono da identificarsi nella totalità dei cittadini. Il richiedente deve avere un interesse ad ottenere il provvedimento. L'interesse può assumere il connotato di interesse semplice, il quale si risolve in re ipsa con la proposizione della domanda – non essendoci quindi bisogno di alcuna prova dello stesso – o di interesse qualificato, a seconda dell'atto di cui si richieda la copia. Le copie “semplici” sono rilasciate principalmente per motivi di studio. Il mero fine conoscitivo legittima il rilascio, vista l'assenza della certificazione di conformità all'originale. Un interesse qualificato si ritrova nel caso in cui si chieda la copia di un provvedimento tramite il quale si possa agire in via esecutiva: le copie devono essere rilasciate in forma esecutiva, con apposizione della cosiddetta “formula esecutiva” da parte del cancelliere. Queste possono essere richieste solo dalla parte a cui favore è stato pronunciato il provvedimento o dai suoi successori. In dottrina vi sono diverse teorie relative alla natura della pretesa fatta valere al fine di ottenere la copia dell'atto. Secondo una prima teoria, la posizione giuridica soggettiva fatta valere sarebbe una potestà. Secondo una seconda teoria, invece, la posizione giuridica soggettiva fatta valere sarebbe un vero e proprio diritto soggettivo.
In verità, il potere di richiedere copia non è mai fine a sé stesso, ma doveroso per chi voglia esercitare un'altra facoltà, sia essa lo studio, che quella di carattere processuale di procedere ad esecuzione forzata. Trattando dei soggetti ai quali va compiuta la richiesta, questi sono identificati dal combinato disposto degli artt. 743 e 744 c.p.c. Oltre al «depositario pubblico, autorizzato a spedire copia degli atti che detiene», come disposto dall'art. 743 c.p.c., sono tenuti a rilasciare copia dell'atto pubblico richiesto, secondo quanto previsto ex art. 744 c.p.c., anche i «cancellieri e i depositari di pubblici registri». L'art. 743 c.p.c. non definisce chi siano i soggetti qualificabili pubblici depositari. La giurisprudenza, allora, è intervenuta disponendo che tali siano i soggetti che detengano non per sé, bensì per il pubblico. È questa la pubblica funzione loro propria.
Sono allora pubblici depositari soggetti come i notai e i conservatori di registro. Anche i cancellieri sembrerebbero rientrare nell'ampia categoria dei pubblici depositari. Pare, quindi, che la loro espressa previsione nell'art. 744 c.p.c., accanto ai depositari dei pubblici registri, sia posta come esempio specifico di una categoria di soggetti che rientra nel genus dei pubblici depositari. I pubblici depositari, nel caso in cui l'istanza non rientri nelle limitazioni previste ex lege, sono tenuti a spedire o rilasciare copia degli atti richiesti. I limiti all'esercizio della posizione giuridica in esame sono previsti ai sensi dell'art. 743 c.p.c. Non possono essere rilasciate le copie se non sono rispettate le norme speciali sulle tasse e il bollo, previste ex d.P.R. 26 aprile 1986, n.131. Altra limitazione è quella relativa ai testamenti pubblici, i quali, in conformità all'art. 67, l. n. 89/1913, non possono essere rilasciati in copia finché il testatore sia in vita, salvo specifica autorizzazione di quest'ultimo.
I cancellieri, per precise disposizioni di legge, sono sottoposti ad ulteriori limitazioni. Non possono: rilasciare più di una copia dell'atto (art. 96, l. 8 maggio 1924, n. 745), rilasciare, senza l'autorizzazione del giudice, copia degli atti impugnati di falso (art. 100 disp. att. c.p.c.), copie di atti in materia penale (art. 165 c.p.c.) e copia degli atti a futura memoria. Infine, non possono rilasciare copia di copia di atti detenuti dai pubblici ufficiali. Nel caso in cui la richiesta dell'interessato non sia eseguita o non sia eseguita nei tempi previsti, la legge, ai sensi dell'art. 745 c.p.c., prevede la possibilità per l'interessato di agire di fronte all'organo giurisdizionale. La natura del procedimento in esame è dibattuta. Si sono, infatti, sviluppate tre teorie in ordine alla qualificazione sul punto: a) quella della natura di giurisdizione volontaria del procedimento, b) quella della natura disciplinare del procedimento e c) quella della natura contenziosa del procedimento.
L'impossibilità di individuare un diritto perfetto leso, ma piuttosto la necessità di operare un controllo sul corretto operato del sulle condizioni richieste per il rilascio della copia richiesta lasciano protendere per le tesi a) o b). L'ipotesi sub b), quella della natura disciplinare, presenta, tuttavia, alcuni profili di criticità. Principalmente, la natura disciplinare non si spiegherebbe nel caso in cui la copia dovesse essere rilasciata da pubblici depositari diversi dai cancellieri. Caso emblematico è quello che riguarda i notai: la funzione disciplinare, in questo caso, è esercitata dal Consiglio Nazionale del Notariato. Se può riconoscersi la funzione di vigilanza del presidente del tribunale nei confronti di quella subspecie di pubblici depositari che sono i cancellieri, analoga funzione non può in nessun caso riconoscersi verso le altre figure di pubblici depositari che non rientrano negli uffici giudiziari. Sembra, perciò, preferibile riconoscere al procedimento natura di volontaria giurisdizione. Il presupposto per accedere alla tutela è aver ottenuto un diniego ingiustificato alla propria richiesta o il ritardo nell'esecuzione del rilascio. La domanda va proposta al giudice competente, cioè quello del luogo in cui il depositario esercita le proprie. La domanda va rivolta al presidente del tribunale territorialmente competente. In giurisprudenza si è aperto il dibattito sulla possibilità di impugnare o meno il decreto con il quale il giudice decide sull'illegittimità del diniego o del ritardo nel rilascio della copia. I dubbi sorgono data la forma del provvedimento stesso: il decreto, infatti, di solito è un provvedimento non definitivo, potendo essere successivamente oggetto di modifiche e che quindi non sempre apre alla possibilità di impugnazione. Se si aderisce alla tesi che vuole il procedimento in esame come di volontaria giurisdizione, si può pensare al provvedimento come impugnabile con reclamo ex art. 739 c.p.c., in applicazione delle disposizioni generali sui procedimenti in camera di consiglio. Dalla giurisprudenza, tuttavia, è esclusa la possibilità di proporre reclamo contro il decreto che chiude il procedimento, non essendo questo contemplato tra i procedimenti in camera di consiglio.
Data la natura del procedimento deve negarsi anche la ricorribilità del provvedimento mediante ricorso straordinario in cassazione.
Data l'inidoneità al giudicato del provvedimento finale, si può pensare solo alla revoca e modifica dello stesso ovvero all'azione di nullità, se il procedimento si viziato in modo insanabile nel suo inter. Collazione atti
La colazione degli atti, disciplinata ex art. 746 c.p.c., consiste nel confronto della copia dell'atto pubblico che si è ottenuto con l'originale detenuto dal depositario. L'utilità pratica della collazione è evidente: richiesto un documento nasce l'esigenza di verificare la conformità della copia allo stesso. L'art. 746 c.p.c., ultimo periodo, dispone che: «Se questi si rifiuta [il depositario], può ricorrere al tribunale nella cui circoscrizione il depositario esercita le sue funzioni. Il giudice, sentito il depositario, dà con decreto le disposizioni opportune per la collazione e può eseguirla egli stesso recandosi nell'ufficio del depositario». Nel caso di negata collazione, il soggetto interessato può rivolgersi al giudice compete, il quale si pronuncerà sull'istanza con decreto. Per quanto relativo alla posizione giuridica soggettiva sostanziale dedotta in giudizio, alla natura e allo svolgimento del processo, nonché per le considerazioni sull'impugnabilità del provvedimento e sul giudicato, si rinvia a quanto esposto per il procedimento di copia di atti pubblici. Riferimenti
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