Responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale (in genere)Fonte: Cod. Civ. Articolo 1218
30 Maggio 2019
Inquadramento
La responsabilità nel diritto civile comprende le regole in base alle quali l'autore di un danno è obbligato a risarcirlo. Tratto comune delle responsabilità contrattuale ed extracontrattuale è l'instaurarsi di un rapporto obbligatorio tra danneggiante e danneggiato come conseguenza, in un caso, dell'inadempimento della prestazione, e nell'altro, della commissione di un fatto doloso o colposo che abbia cagionato un danno ingiusto. La responsabilità civile è infatti considerata da alcuni come un unico genus nel cui ambito nella specie contrattuale all'obbligazione originaria si sostituisce l'obbligazione risarcitoria (art. 1218 c.c.), in quella extracontrattuale invece l'obbligazione si costituisce ex novo in conseguenza della commissione di un fatto non iure e contra ius (art. 2043 c.c.) (Giorgianni). Tuttavia la definizione di responsabilità civile viene spesso utilizzata quale sinonimo della responsabilità extracontrattuale (o aquiliana), a sottintendere l'esistenza di una generale responsabilità per fatto ingiusto che comprende la specie contrattuale (Gnani). Pure la sintetica definizione di contrattuale, con riferimento alla responsabilità ex art. 1218 c.c., in realtà ricomprende le conseguenze dell'inadempimento di prestazioni dovute non solo per contratto, ma anche in dipendenza di atti o fatti idonei a produrre obbligazioni secondo la previsione dell'art. 1173 c.c. Le sempre attuali diatribe, che continuano ad accendersi con riferimento alla qualificazione di alcune fattispecie come contrattuali o extracontrattuali, sono causate spesso dalle diverse conseguenze in termini di disciplina, sebbene tali differenze siano state progressivamente erose sia dall'attività ermeneutica di dottrina e giurisprudenza che da alcuni interventi settoriali del legislatore. Le principali differenze di disciplina
La disciplina della responsabilità aquiliana è complessivamente più favorevole per colui che deve risarcire il danno, anche se il debitore inadempiente può avvalersi della limitazione del risarcimento ai danni prevedibili (art. 1225 c.c.). Il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria è di norma decennale nella responsabilità da inadempimento (art. 2946 c.c.) e quinquennale in quella extracontrattuale (art. 2947 comma 1 c.c.). In caso di illecito aquiliano di regola grava sul danneggiato l'onere della prova della sussistenza dell'elemento soggettivo dell'illecito. La solidarietà dal lato passivo è regolata in caso di inadempimento dalla regola generale dell'art. 1298 c.c., mentre in base all'art. 2055 c.c. la misura del regresso è proporzionata alla gravità della colpa e all'entità delle conseguenze. Non costituisce invece più un tratto distintivo il risarcimento del danno non patrimoniale:la ammissibilità anche nell'ambito della responsabilità contrattuale è ormai ritenuta pacifica in giurisprudenza da quando la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (n. 26972/2008) ha affermato che «la lesione dei diritti inviolabili della persona che abbia determinato un danno non patrimoniale comporta l'obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della responsabilità, contrattuale o extracontrattuale» e che l'individuazione degli interessi non patrimoniali compresi nell'area del contratto va condotta accertando la causa concreta del negozio, così superando il dettato formale dell'art. 1321 c.c., secondo cui il contratto regola un rapporto giuridico patrimoniale, e tendendo a costruire un sistema unitario di responsabilità civile rivolto alla tutela dei diritti inviolabili della persona. Dalla Relazione al codice civile si apprende che il termine di prescrizione più breve per la responsabilità aquiliana si giustifica per la minore attendibilità della prova testimoniale, più frequente nella verifica dei fatti illeciti. L'esigenza di certezza della prova diventa però recessiva nei casi in cui il fatto costituisce reato e l'eventuale prescrizione penale più lunga, ai sensi dell'art. 2947, comma 3 c.c., si applica anche all'azione civile; si è ritenuto ingiusto in queste ipotesi dichiarare estinta l'azione di risarcimento mentre è in vita ancora l'azione penale, ed anzi la norma è stata ritenuta applicabile anche nei casi di danno da fatto illecito contrattuale integrante reato (Cass. civ., Sez. Un. n. 1449/1997). L'allungamento della durata della prescrizione può derivare anche indirettamente dalla possibilità, introdotta dalla giurisprudenza per i cosiddetti danni lungolatenti (Cass. civ., Sez. Un. n. 576/2008), di uno slittamento in avanti del termine di decorrenza in coincidenza con il momento in cui la lesione viene percepita come danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo. Attualmente la prescrizione sembra rispondere, più che ad esigenze di certezza della prova, all'interesse del danneggiante a paralizzare l'azione del creditore dopo un lasso di tempo in cui è possibile fare affidamento sulla protratta inerzia di quest'ultimo. Anche il legislatore è intervenuto in più occasioni per disciplinare durata e decorrenza della prescrizione in relazione a determinate fattispecie e per specifiche esigenze, a prescindere dalla qualificazione della responsabilità come contrattuale o extracontrattuale. Emblematico è l'art. 4, comma 43, l. n. 183/2011 il quale stabilisce che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante dalla violazione della normativa comunitaria soggiace alla disciplina di cui all'art. 2947 c.c. e decorre dalla data in cui il fattosi è effettivamente verificato. Analogamente il d.lgs. n. 39/2010 disciplina in un'unica norma, art. 15, la responsabilità dei revisori legali, per i danni derivanti dall'inadempimento dei doveri, non solo nei confronti della società, con cui esiste un rapporto contrattuale, ma anche nei confronti dei terzi, stabilendo il medesimo termine di prescrizione quinquennale, decorrente dalla data della relazione di revisione sul bilancio a cui si riferisce l'azione di risarcimento. Tra i criteri di determinazione del risarcimento del danno l'art. 2056 c.c., in tema di illecito aquiliano, non richiama espressamente l'art. 1225 c.c., secondo cui il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l'obbligazione, e che consente di contenere il risarcimento da inadempimento nell'ambito dell'utilità che poteva ricavarsi dal rapporto obbligatorio. Analoga limitazione non è concepibile nell'illecito aquiliano in cui manca una aspettativa di utilità da parte del soggetto danneggiato prima del verificarsi del fatto dannoso. Tuttavia l'esclusione di un risarcimento integrale dei danni conseguenti all'inadempimento non è una conseguenza necessaria della genesi contrattuale dell'obbligazione, tanto che in altri ordinamenti manca una analoga previsione. Essa rappresenta piuttosto una scelta di politica legislativa, incentivante i traffici giuridici, di contenere nei limiti della normalità il sacrificio patrimoniale correlato alla assunzione di un vincolo obbligatorio (Cass. civ., n. 15559/2004). In alcune pronunce giurisprudenziali la verifica della prevedibilità del danno viene effettuata sulla base della cosiddetta regolarità causale, così venendosi a creare il dubbio di una commistione tra prevedibilità e nesso di causalità giuridica (Cass. civ., n. 21117/2015), anche se la prevedibilità si colloca ex ante al momento del sorgere dell'obbligazione, mentre la regolarità causale viene valutata ex post, a seguito dell'inadempimento. La limitazione ai danni prevedibili non si applica se l'inadempimento dipende da dolo, definito in giurisprudenza quale mera consapevolezza di dovere una determinata prestazione e intenzionalità di non darvi esecuzione, senza che occorra altresì il requisito della consapevolezza del danno (Cass. civ., n. 25271/2008). In dottrina è stato osservato che l'inadempimento doloso costituisce un danno ingiusto idoneo ad extracontrattualizzare la responsabilità (Franzoni), quindi enfatizzando la natura sanzionatoria della responsabilità aquiliana e la diversità ontologica dei due tipi di responsabilità. Si contrappone a tale opinione una idea unitaria di danno ingiusto (Gnani) nell'ambito del quale il danno da inadempimento avrebbe quale peculiarità il presupposto di un previo vincolo a contenuto economico. L'inadempimento doloso, manifestando il rifiuto di tale vincolo, comporterebbe il venir meno dell'elemento specializzante e la correlata limitazione di responsabilità. La prevedibilità rileva, sia pure come criterio di imputazione della responsabilità, anche nell'illecito aquiliano, in quanto la colpa presuppone la prevedibilità, oltre che la prevenibilità, dell'evento. Se questo non era prevedibile, il soggetto non sarà comunque responsabile. In questo modo l'obbligazione risarcitoria da illecito aquiliano acquisisce un limite analogo a quello previsto per la responsabilità del debitore (Cass. civ., n. 3964/2014).
L'obbligo di risarcire il danno di cui all'art. 1218 c.c. prescinde dalla prova da parte del danneggiato della colpa o del dolo in capo all'obbligato, mentre l'onere della prova della incolpevolezza grava sul debitore il quale è liberato solo in caso di impossibilità della prestazione e di assenza di colpa riguardo alla determinazione dell'evento che l'ha resa impossibile (Cass. civ., n. 14915/2018). Questa regola è temperata dal criterio della diligenza nell'adempimento di cui all'art. 1176 c.c. che si atteggia diversamente nelle obbligazioni “di risultato”, ove appunto si è tenuti a raggiungere un determinato risultato, e in quelle “di mezzi”, ove la condotta diligente coincide con l'obbligazione e il debitore, dimostrando la propria diligenza, ne prova l'esatto adempimento. Il creditore ha comunque interesse al conseguimento di una utilità oggettivamente apprezzabile, fermo restando che nelle obbligazioni di risultato quest'ultimo è in rapporto di causalità necessaria con l'attività del debitore, non dipendendo da alcun fattore ad essa estraneo, mentre nell'obbligazione di mezzi il risultato dipende, oltre che dal comportamento del debitore, da fattori ulteriori e concomitanti (Cass. civ., n. 4876/2014). Da tale discrimine deriva che le cause ignote che non consentono l'adempimento della prestazione dedotta in obbligazione sono a carico del creditore nei rapporti non governabili e a carico del debitore nei rapporti controllabili (Cass. civ., 28 febbraio 2014, n. 4876). La governabilità degli eventi deve essere valutata in concreto, verificando se il costo economico per evitare il fortuito appartenga o meno all'equilibrio causale del rapporto. Alla regola generale dell'art. 1218 c.c. si oppongono in ogni caso numerose eccezioni nel senso dell'aggravamento della responsabilità (ad es. art. 1805 c.c., perimento della cosa in comodato) o dell'alleggerimento dell'onere della prova liberatoria (es. art. 1694 c.c. che ammette delle presunzioni di caso fortuito nel trasporto di cose), mentre limitazioni alla responsabilità possono anche essere pattuite nel rispetto dei limiti di cui all'art. 1229 c.c.. Analogamente, e in modo speculare rispetto alla regola dell'art. 1218 c.c., al criterio soggettivo di imputazione della responsabilità aquiliana di cui all'art. 2043 c.c. fanno eccezione le numerose presunzioni di imputabilità, poste a carico del danneggiante e correlate alla qualità dei soggetti o alla natura dell'attività esercitata, previste dagli artt. 2047-2054 c.c.. Quanto alla ammissibilità nella responsabilità extracontrattuale di patti di limitazione o di esonero da responsabilità ai sensi dell'art. 1229 c.c., 'assenza in astratto di un rapporto giuridicamente rilevante tra le parti prima dell'accadimento del fatto illecito non dovrebbe costituire ostacolo se si considera che spesso in concreto gli illeciti aquiliani si collocano in una relazione di “contatto” (v. infra par. 3).
Nel diritto vivente sono stati individuati obblighi accessori rispetto a quelli contrattuali principali, con prevalente contenuto di protezione, fondati sulle regole di buona fede e correttezza di cui all'art. 1175 c.c., un tempo riconducibili ai principi della solidarietà corporativa, mentre la nozione attuale di solidarietà poggia piuttosto sull'insieme dei principi fondamentali della Carta costituzionale. La teoria, di matrice tedesca, del “contatto sociale” si basa sulla osservazione di alcune relazioni non contrattuali nel cui ambito però si determina egualmente un affidamento nella condotta altrui e un correlato dovere di tutelare tale affidamento (Castronovo). La figura del contatto sociale si scontra con l'orientamento tradizionale, che considera tipizzati gli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni, di cui all'art. 1173 c.c., e secondo cui lo stesso art. 2043 c.c. offre una sufficiente protezione ai diritti fondamentali della persona e del suo patrimonio (Di Majo). La giurisprudenza è invece piuttosto incline alla individuazione di figure di contatto sociale e quindi all'attrazione nella responsabilità contrattuale, per ragioni contingenti e non sempre omogenee, di alcune fattispecie che sarebbero tutelate ai sensi dell'art. 2043 c.c. comunque possibile per grandi linee classificare tali fattispecie in diverse tipologie a seconda della ragione per cui si ritiene che l'ordinamento voglia offrire una tutela “forte” a determinati interessi, a causa dell'affidamento ingenerato dal danneggiante, in ragione della particolare professione o attività esercitata da questi (mediatore, notaio, avvocato, pubblica amministrazione, istituto di credito, società di consulenza), o della posizione di garanzia (insegnante di scuola, ex datore di lavoro) o dello scopo che le parti intendono conseguire (trattative precontrattuali) (v. par. 6, Casistica). In direzione opposta alla presumibile evoluzione giurisprudenziale, la dottrina pare accingersi al superamento della figura del contatto sociale, anche in considerazione del rischio di un incremento eccessivo dell'ambito dei danni risarcibili. Nonostante tale teoria abbia il merito di indirizzare l'interpretazione della legge in coerenza con l'inevitabile mutare del sottostante contesto sociale ed economico, sarebbe per alcuni più semplice intervenire normativamente, mediante l'equiparazione dell'onere probatorio tra responsabilità contrattuale e delittuale e l'incremento delle fattispecie di responsabilità aquiliana caratterizzate da inversione dell'onere della prova (Gallo). Non sempre giurisprudenza e legislatore procedono armonicamente nella rilevazione del diritto vivente. Emblematico è il settore della responsabilità sanitaria. Con sentenza n. 589/1999 la Suprema Corte aveva affermato, a tutela dei diritti del danneggiato, che la responsabilità del medico doveva considerarsi sempre di natura contrattuale, in virtù del semplice “contatto” col paziente. Il legislatore, con la c.d. legge Gelli (l. n. 24/2017), a fronte di un crescente atteggiamento difensivo da parte della classe medica, e del conseguente aumento dei costi della spesa pubblica sanitaria, ha allora definito espressamente il regime di responsabilità del medico, inibendo diverse chiavi di lettura a livello di interpretazione giurisprudenziale. L'art. 7, comma 3, stabilisce che il medico risponde del proprio operato ai sensi dell'art. 2043 c.c., salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. In altri casi, come già accennato, la presa di posizione del legislatore, sempre per esigenze di contenimento della spesa pubblica, si è limitata al richiamo solo di alcuni aspetti della disciplina della responsabilità aquiliana. L'art. 4, comma 43 l. n. 183/2011 ha disposto espressamente l'applicazione dell'art. 2947 c.c. in tema di prescrizione, nonostante la violazione del diritto comunitario sia ormai da tempo attratta dalla giurisprudenza nell'alveo della responsabilità da inadempimento quale obbligazione ex lege di natura indennitaria per attività non antigiuridica (Cass. civ., Sez. Un. n. 9147/2009), o comunque quale “altro fatto idoneo” menzionato dall'art. 1173 c.c. (Cass. civ., n. 23558/2011). Il contatto sociale è di recente stato individuato in alcune fattispecie di responsabilità precontrattuale, tradizionalmente riconducibile alla violazione del precetto generale del neminem laedere, a tutela dell'interesse alla libertà negoziale. Dopo alcuni sporadici interventi delle sezioni semplici, sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 14188/2016, qualificando la responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione, per le condotte poste in essere in pendenza della approvazione del contratto, come di tipo contrattuale da "contatto sociale qualificato”. Tale pronuncia avvalora una lettura dell'art. 1173 c.c. contraria ad un sistema chiuso di fonti delle obbligazioni. L'identità di natura tra il rapporto precontrattuale e le altre relazioni da contatto sociale qualificato consentirebbe di trovare una base normativa nell'applicazione analogica dell'art. 1337 c.c. L'apertura giurisprudenziale è stata però contestata dalla dottrina che evidenzia come l'art. 1173 c.c. faccia riferimento “agli altri atti o fatti idonei” a produrre obbligazione, soltanto “in conformità dell'ordinamento giuridico”, mentre il “contatto sociale” rappresenta una fonte extralegale di obbligazioni (Zaccaria). È stato anche osservato che il ricorso alla nozione del ‘‘contatto sociale qualificato'' in un settore come quello della responsabilità precontrattuale, ove già esiste la norma di legge quale fonte di obblighi specifici, finisce con l'apparire una vera e propria ‘‘quinta ruota del carro” (Di Majo).
Aspetti processuali
Da tempo ormai in giurisprudenza è ammesso il concorso tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale quale alternativa che consente di agire a scelta del danneggiato ai sensi dell'art. 1218 c.c. oppure dell'art. 2043 c.c., quando un medesimo fatto lesivo costituisca inadempimento e in pari tempo illecito aquiliano (solitamente in caso di lesione della persona o un bene del creditore), e di potersi giovare quindi del regime che, in concreto, ritenga a sé più favorevole, o dell'unico rimasto applicabile (Cass. civ., n. 2773/1979). Deve rilevarsi tuttavia che spesso l'attore, più che effettuare una scelta, domanda l'accertamento della responsabilità contrattuale “e/o” di quella extracontrattuale senza ulteriori specificazioni. Non sempre difatti è chiaro se nella pratica processuale il concorso di responsabilità venga riconosciuto ed applicato come concorso di azioni diverse o concorso di norme all'interno di un'unica azione. Se si ritiene che siano lesi due diritti distinti, fondati uno sull'inadempimento e l'altro su un fatto illecito, coerentemente la parte dovrebbe indicare a pena di nullità la domanda, rimanendo vincolata alla causa petendi prescelta, così come il giudice non potrebbe decidere ultra petita. La scelta dell'azione deve effettuarsi però, non tramite un mero richiamo alle norme di legge, ma con la deduzione di un comportamento inadempiente o di un fatto illecito (Cass. civ., n. 17547/2010). Ove vi sia dubbio circa la precisa scelta del danneggiato, l'azione proposta va qualificata come extracontrattuale ex art. 2043 c.c. (Cass. civ., n. 24197/2014; Cass. civ., n. 5244/2006). Solo se si considera la domanda come fondata su unicità di causa petendi e di petitum, la qualificazione giuridica del diritto avviene da parte del giudice sulla base del principio iura novit curia e come tale non è sottoposta a preclusioni processuali. Ma, a ben vedere, ritenere che sussista il potere dovere da parte del giudice di inquadrare correttamente la fattispecie concreta, significa ammettere implicitamente che la sussistenza di un tipo di responsabilità esclude l'altra. Secondo parte della dottrina infatti sussisterebbe una relazione di genere a specie secondo cui la disciplina della responsabilità extracontrattuale, proprio perché di carattere più generale, si applicherebbe soltanto quando manca l'inadempimento di un preciso obbligo verso soggetti predeterminati (Castronovo). La responsabilità contrattuale infatti, ove sussistente, consente una disciplina più mirata. Riconoscere, ad esempio, al creditore/danneggiato la possibilità di richiedere egualmente il risarcimento integrale del danno secondo le regole del neminem laedere equivarrebbe a frustrare la disposizione di cui all'art. 1225 c.c. La negazione esplicita dell'ammissibilità del concorso, in favore di una concezione di una rapporto di genere a specie, si ritrova solo in isolate pronunce giurisprudenziali.
Casistica
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