L’inefficacia delle ipoteche giudiziali ex art. 168, comma 3, l. fall. e la consecuzione delle procedure

31 Maggio 2019

La Cassazione precisa che, in caso di successione tra concordato preventivo e fallimento, l'inefficacia delle ipoteche giudiziali prevista dal terzo comma dell'art. 168 l. fall. si estende, in forza del principio della consecuzione delle procedure, anche ai creditori successivi, ma anteriori alla sentenza dichiarativa di fallimento.
Massima

Il disposto di cui all'art. 168, comma 3, l.fall., secondo cui sono inefficaci nei confronti dei creditori anteriori al concordato le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione del ricorso di concordato nel registro delle imprese, si applica, in forza del principio della consecuzione delle procedure, anche nel caso in cui al concordato preventivo faccia seguito la declaratoria di fallimento, ed a valere anche nei confronti dei creditori successivi, ma anteriori alla sentenza di fallimento.

Il caso

Il Tribunale di Mantova respingeva l'opposizione allo stato passivo di un fallimento, proposta da una società creditrice per ottenere l'ammissione di un proprio credito in privilegio ipotecario anziché al chirografo. In particolare, parte opponente assumeva di aver iscritto ipoteca giudiziale su diversi immobili di proprietà della società debitrice. Successivamente, quest'ultima presentava domanda di ammissione al concordato con riserva, alla quale seguiva l'apertura della procedura di concordato preventivo. Tuttavia, tale concordato veniva poi revocato ai sensi dell'art. 173 l. fall. e, contestualmente a tale revoca, veniva dichiarato il fallimento della società debitrice.

Il Tribunale di Mantova, come anticipato, respingeva l'opposizione allo stato passivo, ritenendo che il credito della società opponente non fosse privilegiato bensì chirografario. Ciò, in quanto l'ipoteca iscritta nei novanta giorni antecedenti la pubblicazione del ricorso per concordato preventivo era da considerarsi inefficace, ex art. 168 terzo comma l. fall.; detta inefficacia non sarebbe poi venuta meno per il sopraggiunto fallimento della società debitrice, in quanto il principio della consecuzione delle procedure sarebbe applicabile anche al citato terzo comma dell'art. 168 l. fall.

Avverso tale provvedimento, la società debitrice proponeva ricorso in Cassazione sulla base di un unico motivo, secondo il quale, laddove si seguisse l'impostazione adottata dal Tribunale di Mantova (i.e.: applicazione del principio della consecutio al terzo comma dell'art. 168 l. fall.), vi sarebbe un'irragionevole disparità di trattamento tra i creditori del fallimento consecutivo, gravati da una ipoteca inefficace ex lege senza possibilità di provare la inscienza decoctionis, e quelli del fallimento non consecutivo, che avrebbero invece la possibilità di resistere alla revocatoria.

La questione giuridica

La Cassazione si pronuncia per la prima volta su uno dei temi oggi più delicati in tema di consecuzione delle procedure: precisamente, la questione posta all'attenzione della Suprema Corte attiene all'applicabilità (o meno) del principio della consecuzione delle procedure al terzo comma dell'art. 168 l. fall.

La Cassazione ritiene che il principio della consecutio sia applicabile alla norma in esame, con la conseguenza che, allorquando al concordato preventivo faccia seguito la declaratoria di fallimento, l'inefficacia in parola si estende anche ai creditori successivi, ma anteriori alla sentenza dichiarativa di fallimento.

Osservazioni

Prima della introduzione (ad opera del d.l. 83/2012) dell'attuale terzo comma all'art. 168 l. fall., era del tutto pacifico che il sistema revocatorio era da considerarsi estraneo al procedimento di concordato preventivo: ciò, in quanto nella disciplina di diritto positivo sul concordato preventivo non si riscontrava alcuna disposizione dedicata al tema degli effetti del concordato su atti pregiudizievoli compiuti dal debitore prima della apertura della procedura.

Semmai, il tema delle revocatorie fallimentari assumeva rilevanza solo allorquando la procedura di concordato aveva un esito infausto e ad essa faceva seguito la declaratoria di fallimento. Trovava così applicazione la risalente teoria, ora prevista dal legislatore, della consecuzione delle procedure concorsuali.

A riguardo, va ricordato che, per “consecuzione di due o più procedure concorsuali”, si fa riferimento ad un principio introdotto in giurisprudenza nell'ambito della normativa concorsuale anteriore alle riforme del 2005-2007. In particolare, la giurisprudenza costante della Suprema Corte riteneva che la dichiarazione di fallimento che seguisse all'esperimento infruttuoso del concordato preventivo o dell'amministrazione controllata (ora abrogata) desse luogo ad un fenomeno non di mera successione cronologica, bensì di “consecuzione di procedimenti”, i quali, sebbene formalmente distinti, costituivano, sotto il profilo funzionale, due fasi di un procedimento unitario.

Dall'impostazione così assunta, veniva fatto discendere (tra l'altro) che:

  • i termini per l'esercizio delle azioni revocatorie fallimentari decorressero dalla data del decreto di ammissione al concordato preventivo, non già dalla dichiarazione di fallimento;
  • la sospensione degli interessi convenzionali e legali prodotta dalla presentazione della domanda di concordato preventivo continuasse ad operare nel successivo fallimento;
  • il divieto di compensazione tra i crediti anteriori alla proposta di concordato ed i debiti successivi permanesse anche nel fallimento dichiarato successivamente;
  • gli atti compiuti dal debitore nel rispetto di quanto stabilito dall'art. 167 l. fall. non potessero essere assoggettati all'azione revocatoria fallimentare.

Il processo riformatore del 2005-2007 aveva messo in seria discussione la “stabilità” del principio della consecutio: al di là della abrogazione della procedura di amministrazione controllata, il legislatore aveva infatti, da un lato, mutato il presupposto oggettivo del concordato preventivo (ora individuato nello “stato di crisi”), e, dall'altro, aveva previsto che, in caso di esito infausto del concordato preventivo, la successiva dichiarazione di fallimento non potesse essere dichiarata senza una previa istanza di uno o più creditori oppure richiesta del pubblico ministero. In aggiunta, quindi, al problema della diversità del presupposto oggettivo del concordato preventivo rispetto al fallimento, si doveva tenere conto del fatto che, nelle ipotesi di esito infausto del concordato preventivo, la dichiarazione di fallimento potesse non essere più contestuale al provvedimento di chiusura della precedente procedura.

L'opinione di chi riteneva che il fenomeno della consecuzione del fallimento al concordato preventivo non fosse più applicabile al nuovo contesto normativo veniva disattesa, dapprima, dalla Suprema Corte (cfr. Cass. 6 agosto 2010 n. 18437) e, successivamente, anche dal legislatore: con la riforma del 2012, è stato infatti introdotto un secondo comma all'art. 69-bis l. fall., il quale prevede che, nel caso in cui alla domanda di concordato segua la dichiarazione di fallimento, i termini per l'esercizio delle azioni revocatorie decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese.

L'assunto, di cui si è fatto cenno in precedenza, secondo cui il sistema revocatorio è da ritenersi estraneo al concordato preventivo (salva l'ipotesi di successione tra concordato preventivo e fallimento) deve tuttavia essere rivisto, in quanto il più volte citato terzo comma dell'art. 168 l. fall. prevede un'ipotesi particolare di inefficacia delle ipoteche giudiziali. Più precisamente, detta norma prevede che le ipoteche giudiziali, iscritte sui beni del debitore nei novanta giorni che precedono la pubblicazione della domanda di concordato, “sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato”.

È stata quindi introdotta per la prima volta nel concordato preventivo un'ipotesi di revoca ex lege, assimilabile in parte a quella prevista, in tema di fallimento, agli artt. 64 e 65 l. fall.

La ratio della disposizione in esame risulta ispirata dall'esigenza di tutelare più intensamente il debitore che intenda definire la propria posizione debitoria complessiva con lo strumento concordatario. A riguardo, la sentenza in commento della Suprema Corte precisa del tutto opportunamente che “la ratio della disposizione è chiaramente nel senso di evitare che i creditori, avvedutisi dello stato di crisi, si muniscano di titoli di prelazione, destinati ad incidere sul buon esito della procedura concordataria e del piano di concordato, nonché a danno della massa dei creditori”. Tale nuovo effetto della pubblicazione della domanda di concordato viene meno in tutte le ipotesi in cui la procedura concordataria si chiude anticipatamente, senza che ad essa segua la dichiarazione di fallimento del debitore. In questi casi, le iscrizioni interessate dalla previsione di legge riprenderanno efficacia con effetto ex tunc.

Ben più problematico, invece, appare il tema della “tenuta” della inefficacia in parola nei casi di successione tra il concordato preventivo e fallimento. In questo scenario, vi è quindi da chiedersi se possa trovare applicazione il principio della consecuzione delle procedure.

In merito, si registrano due diverse letture interpretative.

Precisamente:

(i) secondo una prima impostazione, allorquando al concordato preventivo faccia seguito la declaratoria di fallimento, l'inefficacia in esame verrebbe meno, non tanto per limiti all'applicabilità del principio della consecuzione delle procedure, ma perché (detta inefficacia) sarebbe destinata ad esaurire la propria funzione nel contesto del solo concordato preventivo;

(ii) secondo un'altra impostazione, invece, allorquando al concordato preventivo faccia seguito la declaratoria di fallimento, l'inefficacia in esame si estenderebbe, in forza del principio della consecuzione del fallimento al concordato preventivo, anche ai creditori successivi, ma anteriori alla sentenza dichiarativa di fallimento.

Come anticipato, su questo delicato tema è intervenuta ora la Cassazione, la quale ha adottato, con la sentenza in commento, il secondo orientamento sopra riferito.

Ad avviso della Suprema Corte, nel caso di successione tra concordato preventivo e fallimento, l'inefficacia di cui all'art. 168 l. fall. si estende, in forza del principio della consecutio,anche ai creditori successivi, ma anteriori alla sentenza dichiarativa di fallimento; ciò, sul presupposto fondamentale secondo cui il principio della consecuzione delle procedure ha “valenza di carattere generale”.

In questo senso, ad avviso della Cassazione, non sarebbe condivisibile la tesi secondo cui l'inefficacia ex art. 168 l. fall. resterebbe confinata alla sola procedura di concordato: infatti, “in questa procedura i creditori portatori dei crediti ipotecari colpiti da inefficacia e come tali legittimati al voto perché degradati a chirografari, avrebbero tutto l'interesse a votare contro l'approvazione della proposta di concordato in quanto con la dichiarazione di fallimento essi riacquisterebbero la natura di creditori ipotecari. Dunque la finalità della norma ne uscirebbe stravolta”.

La sentenza in commento è condivisibile, in quanto il principio della consecuzione delle procedure impedisce che l'atto, inefficace ai sensi dell'art. 168 l. fall. verso i creditori anteriori alla pubblicazione della domanda di concordato, possa acquisire efficacia a seguito della dichiarazione di fallimento.

In quest'ottica, è pur vero che l'inefficacia in questione è, di regola, destinata ad esaurire la propria funzione nel contesto della singola procedura, tanto da venir meno in tutte le ipotesi in cui la procedura di concordato si chiude anticipatamente, senza che ad essa segua la declaratoria di fallimento; purtuttavia, nei casi di consecuzione del fallimento al concordato preventivo, viene necessariamente in rilievo il relativo principio di unitarietà del procedimento concorsuale, con la conseguenza che l'inefficacia permane nei confronti dei creditori anteriori alla declaratoria di fallimento.

La Cassazione ha peraltro correttamente escluso che possa sussistere (come invece riteneva il ricorrente in cassazione) un'irragionevole disparità di trattamento tra i creditori del fallimento consecutivo (gravati da una ipoteca inefficace ex lege senza possibilità di provare la inscienza decoctionis) e quelli del fallimento non consecutivo (che avrebbero la possibilità di resistere alla revocatoria), “dato che sono diverse le fattispecie di partenza”: in altri termini, la diversità di fattispecie a confronto ne giustifica, in termini di ragionevolezza, la diversità di disciplina.

Dall'ipotesi di consecuzione del fallimento al concordato preventivo, va invece tenuta ben distinta l'ipotesi in cui vi sia una successione di più concordati: in questo caso, una precedente sentenza della Cassazione (Cass. 6 giugno 2018 n. 14671), condivisa dalla pronuncia in commento, ha chiarito che il riferimento al principio della consecuzione delle procedure sia da considerarsi del tutto incongruo, in quanto questo opera soltanto nel caso di successione tra concordato preventivo e fallimento. Ne consegue, pertanto, che nelle ipotesi di successione di due concordati, l'inefficacia di cui all'art. 168, comma 3, l. fall. opera esclusivamente con riferimento alla singola domanda di concordato preventivo ed in funzione del suo buon esito, sicché tale inefficacia non può essere invocata nell'ambito dell'eventuale successiva domanda di concordato presentata dal medesimo debitore, non trovando come detto applicazione il principio della consecuzione delle procedure.

Riferimenti giurisprudenziali e dottrinali

M. Fabiani, Concordato preventivo, Bologna, 2014, 522.

Per un approfondimento sulla teoria della consecuzione delle procedure, oltre alla sentenza della Cassazione citata nel testo, sia consentito rinviare ai seguenti due contributi e a tutti i riferimenti ivi contenuti: T. Iannaccone, La consecuzione del fallimento al concordato preventivo, e (al più recente contributo) T. Iannaccone, Consecuzione di procedure.

Sul novellato terzo comma dell'art. 168 l. fall., in termini generali, si vedano M. Vitiello, Le soluzioni concordate della crisi di impresa, Milano, 2013, 44; L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino, 2012, 338.

Per la tesi secondo cui, allorquando al concordato preventivo faccia seguito la declaratoria di fallimento, l'inefficacia di cui all'art. 168 l. fall. verrebbe meno, non già per limiti all'applicabilità del principio della consecuzione delle procedure, ma perché (detta inefficacia) sarebbe destinata ad esaurire la propria funzione nel contesto del solo concordato preventivo: P. Pototschnig, Consecuzione tra procedure concorsuali e nuovi scenari applicativi nella stagione riformatrice, in Fall. 2016, 785; nello stesso senso, A.Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2014, 383, i quali rilevano peraltro che nel fallimento esiste una specifica disciplina della revoca delle ipoteche giudiziali, con la conseguenza che “non si vede per quale ragione la stessa non dovrebbe applicarsi per il mero fatto che il debitore abbia preventivamente presentato la domanda di concordato preventivo”.

Per la tesi secondo cui, allorquando al concordato preventivo faccia seguito la declaratoria di fallimento, l'inefficacia in esame si estenderebbe, in forza del principio della consecuzione del fallimento al concordato preventivo, anche ai creditori successivi, ma anteriori alla sentenza dichiarativa di fallimento, si vedano (oltre ovviamente alla sentenza della Cassazione in commento): F.S. Filiocamo, Sub art. 168, in La legge fallimentare Commentario teorico pratico, Padova, 2014, 805; nella giurisprudenza di merito, Trib. Forlì 22 ottobre 2014, in www.ilcaso.it.

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