Criticità tributarie nel concordato preventivo (II)

03 Giugno 2019

Gli Autori proseguono, in questa seconda parte del loro lavoro, con l'analisi delle criticità tributarie nell'ambito del concordato preventivo.
Premessa

Gli Autori proseguono, in questa seconda parte del loro lavoro, con l'analisi delle criticità tributarie nell'ambito del concordato preventivo (cfr. Prima parte).

Sull'impugnabilità della risposta dell'Agenzia delle Entrate alla proposta di transazione

L'art. 182-ter l. fall. prevede che si debba presentare all'Agenzia delle Entrate, nell'ambito di una proposta di concordato preventivo, una transazione fiscale con la “falcidia” di alcuni crediti erariali, il cui perimetro oggettivo è stato peraltro significativamente ampliato con la “Riforma” decorsa a partire dal 2017, che ha incluso IVA e ritenute. Inoltre, l'art. 182-ter l. fall. stabilisce criteri oggettivi entro i quali deve essere proposta la transazione fiscale (per completezza, va sin da ora evidenziato che, perlomeno nell'ambito del concordato preventivo, la proposta ex art. 182-ter l.fall. non costituisce più una “transazione”. Tuttavia, dato che il termine è generalmente utilizzato per “prassi storica”, nel presente contributo con “transazione fiscale” si farà riferimento proprio alla disciplina dell'art. 182-ter l. fall.).

Ebbene, a fronte della proposta avanzata dal contribuente, prima della Riforma l'Amministrazione finanziaria forniva riscontro con un “parere”, in accoglimento o in rigetto, di natura assai dibattuta.

Il filone interpretativo largamente maggioritario reputa sussistere un rimedio giurisdizionale teso a rimuovere l'illegittimo diniego manifestato dall'Amministrazione finanziaria, così da ottenere la produzione degli effetti derivanti dall'accettazione della proposta di transazione fiscale, sia in relazione alle modalità di manifestazione del diniego (assenza di motivazione; silenzio-rifiuto), sia in relazione ai fatti e agli elementi su cui erroneamente si fondasse la decisione di disattendere la proposta (un effettivo interesse all'impugnazione è stato ravvisato da Cass. Civ., 4 novembre 2011, n. 22931 e n. 22932, qualora il diniego alla proposta sia ostativo all'omologazione del concordato, non consentendo il raggiungimento della maggioranza richiesta dall'art. 177 l. fall.).

In questa prospettiva, merita soffermarsi su alcuni imprescindibili profili di coordinamento tra la normativa processualistica tributaria e quella concorsuale (si badi: coordinamento che incide direttamente sul merito, sulla fattispecie sostanziale), focalizzandosi anzitutto su come concretamente si estrinseca la presa di posizione dell'Erario.

Ebbene oggi, in un quadro di obbligatorietà della transazione, il “parere” dell'Amministrazione finanziaria in ordine alla “transazione fiscale” segue obbligatoriamente le regole fissate in materia concorsuale per il voto dei creditori dagli artt. 174 e ss. l. fall.: di talché, anche il “non voto” da parte dell'Erario qualifica un “silenzio rifiuto”, non contenuto in qualsivoglia “atto” formalizzato.

In alternativa, l'Agenzia delle Entrate potrebbe far constare il proprio diniego espresso direttamente nel processo verbale dell'adunanza. Per tacere, poi, del fatto che in ogni caso il Fisco potrebbe riservarsi di esprimere la propria manifestazione di voto negli ulteriori 20 giorni concessi dall'art. 178 l. fall..

In altre parole, va ben messo in luce che, rispetto al passato, dal momento che oggi la transazione si incapsula obbligatoriamente in seno al concordato preventivo, essa non segue più un procedimento “isolato” rispetto al concordato e per l'effetto non esiste più – tendenzialmente – un “atto autonomo” di risposta (negativa o positiva) da parte dell'Amministrazione finanziaria.

Proprio qui si innestano i profili di problematicità con le (rigide) regole che governano il processo tributario.

Infatti, in breve si può affermare che quest'ultimo è un processo che muove dall'impugnazione di un atto che deve forzatamente ricadere entro il numerus clausus recato dall'art. 19, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

Se da un lato il “diniego” (tacito o espresso) alla “transazione” non è esplicitamente ricompreso tra gli atti elencati dalla predetta norma, dall'altro vi è che l'ormai maggioritaria giurisprudenza propugna – pur tenendo ferma l'elencazione de qua – la possibilità di interpretarla estensivamente o analogicamente, qualificando un atto come impugnabile poggiando non tanto sul nomen iuris, quanto sulla corrispondenza della funzione e degli effetti di esso con i tipi già normativamente previsti. Così, riconducendovi ulteriori atti di identico tenore che siano idonei a recare una pretesa tributaria potenzialmente lesiva degli interessi del contribuente (senza nessuna pretesa di esaustività, cfr. ex multis Cass. Civ., 8 aprile 2014, n. 8214; Cass. Civ., 22 febbraio 2013, n. 4490; Cass. Civ., 5 ottobre 2010, n. 17010; Cass. Civ., 11 maggio 2012, n. 7344; Cass. Civ., SS UU, 7 maggio 2010, n. 11087; Cass. Civ., SS UU, 23 aprile 2009, n. 9669; Cass. Civ., 25 febbraio 2009, n. 4513; Cass. Civ., 9 agosto 2007, n. 17526; Cass. Civ., 8 ottobre 2007, n. 21045; Cass. Civ., SS UU, 26 luglio 2007, n. 16429; Cass. Civ., SS UU, 24 luglio 2007, n. 16293; Cass. Civ., 9 agosto 2006, n. 18008; Cass. Civ., SS UU, 25 maggio 2005, n. 10958).

In questa prospettiva, si può quindi reputare applicabile nel caso in parola l'art. 19, comma 1, lett. h), d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che prevede come impugnabili: “il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari” (così, ex multis, V. Ficari, Riflessioni su “transazione” fiscale e “ristrutturazione” dei debiti tributari, in Rass. Trib., 2009, 79 ss.; L. Del Federico, Profili evolutivi della transazione fiscale, in A. Jorio- M. Fabiani (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna - Torino, 2010, 1224 ss.; V. De Bonis, Tutela giurisdizionale del contribuente avverso i provvedimenti della transazione fiscale in ambito fallimentare, in Boll. Trib., 2013, 1548 ss.. In giurisprudenza, sul punto, Comm. Trib. Prov. Milano, 14 febbraio 2014, n. 1541, commentata da E. Stasi, Impugnabilità del diniego alla transazione fiscale – Transazione fiscale – La transazione fiscale dal punto di vista del giudice tributario, in Il Fallimento, 2014, 1222 ss.).

In ogni caso, le stringenti tempistiche proprie della procedura concordataria non si attagliano perfettamente a quelle assai prolisse del processo tributario, pertanto v'è da chiedersi se la prima possa essere sospesa (o meno) in attesa dell'esito del secondo.

Il problema è acuito dalla tendenziale lacunosità, nel procedimento concordatario, di strumenti espressi con i quali le parti possono far valere i propri diritti (anche dal lato del creditore, si pensi a mero titolo esemplificativo alla mancanza di una vera fase di accertamento del passivo): sicché, pare venire in rilievo la norma generale di cui all'art. 295 c.p.c.: “Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa”. A tal proposito, va segnalato che, mentre la decisione relativa all'ammissione al voto può essere assunta in via totalmente autonoma nell'ambito del processo concordatario, senza attendere l'esito di eventuali giudizi pendenti in altre sedi, ben maggiori complessità derivano dall'eventuale voto illegittimo (e determinante) dell'Agenzia delle Entrate. In questo caso, infatti, esiste un nesso di pregiudizialità sostanziale, se solo si pensa a quanto autorevolmente affermato dal Supremo Collegio (ex multis, Cass. Civ., 8 febbraio 2011, n. 3059; Cass. Civ., 25 giugno 2010, n. 15353; nonché Trib. Pordenone, 18 marzo 2011, e Corte App. Trieste, 18 luglio 2011). In specie, poi, Cass. Civ., SS UU, 19 giugno 2012, n. 10027 e Cass. Civ., 29 agosto 2008, n. 21924 hanno ulteriormente chiarito quali siano i presupposti applicativi della sospensione necessaria (e la “durata”). In breve, la Corte restringe il campo di applicazione dell'art. 295 c.p.c. (sospensione necessaria) al solo spazio temporale delimitato dalla contemporanea pendenza dei due giudizi in primo grado, senza che quello pregiudicante sia stato ancora deciso; per converso, qualora sia intervenuta la decisione di primo grado sul giudizio pregiudicante, si applicherà l'art. 337, comma 2, c.p.c. (sospensione facoltativa).

In definitiva, nel caso di voto determinante dell'Erario – quindi, di fattispecie idonea ad incidere sul contenuto del procedimento concordatario -, il nesso di dipendenza sostanziale del giudizio civile/concordatario rispetto a quello tributario appare concretamente ipotizzabile, non trattandosi di un mero coordinamento processuale.

Sul termine per impugnare

Quanto al termine da cui far decorrere i 60 giorni per l'impugnazione del “diniego”:

- in caso di voto negativo espresso, laddove

(a) formulato in sede di adunanza, il termine decorre dalla data di quest'ultima

(b) formalizzato anticipatamente rispetto all'adunanza, il termine decorre dalla data in cui il contribuente ne ha preso effettiva conoscenza;

- in caso di silenzio rifiuto, come termine può essere assunto il ventesimo giorno successivo alla data dell'adunanza (cfr. art. 178, u. comma, l. fall.).

La giurisdizione del Giudice tributario

Secondo l'autorevole magistero del Consiglio di Stato, 14 luglio 2016, n. 4021, la giurisdizione sull'impugnazione spetta al Giudice tributario, considerando:

(i) che la discrezionalità dell'Erario di disporre del proprio credito non è agganciata all'esercizio del potere pubblico autoritativo; (ii) che l'accettazione della proposta transattiva è condizionata a valutazioni di merito ed opportunità, sulle quali non è possibile un sindacato del Giudice amministrativo e (iii) che il debitore può accedere comunque al concordato preventivo anche laddove la transazione non sia accettata (sempre che, naturalmente, il voto erariale non risulti decisivo per la formazione delle maggioranze).

In senso conforme, altresì, Cass. Civ., SS UU, 14 dicembre 2016, n. 25632, seppur con riguardo all'impugnazione del diniego a una proposta di transazione fiscale presentata ai sensi della normativa precedente (cioè dell'art. 3, comma 2, d.l. n. 138 del 2002) (in tema, cfr. V. Ficari, Falcidia dell'IVA e transazione fiscale: la sentenza “Degano trasporti” è “tamquam non esset”?, in Corr. Trib., 183 ss.; C. Attardi, Transazione fiscale: questioni procedurali, effetti sui crediti e sulla tutela giurisdizionale, in Fisco, 2017,4455 ss.; E. Stasi, Impugnabilità del diniego alla transazione, cit., 1222 ss. a commento di Comm. Trib. Prov. Milano, 14 febbraio 2014, n. 1541).

Del resto, l'indirizzo appena riepilogato parrebbe ben suffragato dalla novellazione che ha interessato l'art. 182-ter, laddove sono ora previsti due peculiari criteri, al fine di regolare la valutazione dell'Agenzia delle Entrate.

Trattasi (i) del criterio della comparazione fra il soddisfacimento dei crediti erariali previsto dalla transazione ed il soddisfacimento conseguibile mediante altre soluzioni e (ii) del criterio del divieto di trattamento deteriore dei crediti erariali rispetto a quelli assistiti da una causa di prelazione di grado inferiore e ai crediti chirografari.

Ebbene, l'errata applicazione di questi criteri costituisce specifico motivo di impugnazione del rigetto della proposta di transazione fiscale, tale da comportare l'illegittimità di quest'ultimo.

Di recente, la sentenza Commissione Tributaria Provinciale di Roma, 1 dicembre 2017, n. 26135, ha confermato l'impugnabilità avanti al Giudice tributario del diniego opposto alla transazione da parte dell'Agenzia delle Entrate, laddove sia dimostrata la maggior convenienza della proposta transattiva, rispetto a quella meramente liquidatoria. Il tassello su cui fa leva il Giudice romano è la relazione del professionista, da cui si deve evincere il valore di mercato dei beni o dei diritti su cui sussiste la causa di prelazione, e in definitiva la maggior appetibilità della proposta transattiva. Peraltro, secondo chi scrive, tali assunti si mostrano ancor più convincenti e condivisibili, nell'ipotesi in cui anche il Commissario Giudiziale (organo della procedura) addivenga alle medesime risultanze del professionista e ne sposi le conclusioni.

Sul consolidamento e sulla prosecuzione dei contenziosi in essere, anche in ordine all'appostazione di fondi

L'apporto riformatore ha operato, inter alia, un duplice intervento: (i) da un lato, dalla nuova formulazione dell'art. 182-ter, comma 2, l. fall. è stato espunto l'inciso “al fine di consentire il consolidamento”, (ii) dall'altro è stato altresì eliso dalla norma in esame il comma 5, che disponeva la cessazione della materia del contendere nei giudizi aventi ad oggetto i tributi concordati (G. Andreani – A. Tubelli, La posizione dell'Agenzia sulla “transazione fiscale”: pregi e difetti, in Fisco, 2018, 3250; Andreani – A. Tubelli, Nota di variazione in diminuzione e altre problematiche fiscali della crisi d'impresa, in Fisco, 2018 1047 ss.. Per quanto concerne la disciplina previgente, si vedano le condivisibili considerazioni di E. Belli Contarini, La transazione fiscale deve includere tutte le controversie pendenti, in Corr. Trib., 2016, 1786 ss.).

Ne derivano significative conseguenze in termini di certezza del diritto, andando a ulteriormente stressare tensioni mai sopite. Infatti, secondo la Circolare n. 16/2018 “in ossequio ai principi generali del diritto, l'Agenzia delle entrate poteva, nonostante l'effetto del consolidamento connesso al perfezionamento del concordato, procedere ad accertare e ad iscrivere a ruolo le ulteriori somme dovute in relazione a fattispecie diverse da quelle che avevano generato il debito oggetto di transazione, sebbene riferibili ai medesimi periodi d'imposta. Le predette considerazioni, già svolte per l'ipotesi del consolidamento, risultano sicuramente valide nell'attuale assetto normativo, che prevede esclusivamente l'attività di certificazione del debito fiscale. Nonostante la certificazione del debito tributario, pertanto, l'Amministrazione finanziaria può, qualora ne sussistano le condizioni, emettere ulteriori atti di controllo. Nella disciplina delineata dalla nuova norma, la quantificazione del complessivo debito d'imposta vale, pertanto, ai soli fini della determinazione del voto spettante all'Amministrazione finanziaria in sede di adunanza dei creditori, nonché del quantum da soddisfare in moneta concordataria a seguito dell'omologazione del concordato”.

In definitiva, non è escludibile che vengano notificati nuovi atti accertativi relativi ai periodi d'imposta ancora suscettibili di accertamento: è evidente che una tale situazione di fluidità delle posizioni non preclude l'emersione di debiti che per il loro ammontare si potrebbero rivelare idonei a far risolvere il concordato stesso. D'altro canto, con riferimento alla prosecuzione dei contenziosi già in essere, anche laddove i relativi carichi siano oggetto della proposta transattiva, si potrebbe dar luogo alla definitiva cristallizzazione di importi dovuti che a piano potrebbero aver trovato diverso trattamento.

In altri termini: nel caso di credito tributario contestato, il fondo rischi deve essere sempre pari all'intero ammontare del credito?

A tal proposito, si segnala la stringente impostazione di Cass., Sez. I civ., 13 giugno 2018, n. 15414, secondo cui consta l'obbligo – anche a carico del Tribunale – di operare l'accantonamento a fronte di importi tributari controversi, facendo leva su una rigida interpretazione dell'art. 90, d.p.r. n. 602/1973. Già qui si pone un tema: è sufficiente l'accantonamento della somma (a tal proposito, se l'accantonamento non era originariamente previsto a piano nulla muta, salva l'ipotesi di soccombenza e l'eventuale conseguente infattibilità/risoluzione); o il Tribunale deve imporre di considerare l'accantonamento non solo come “rischio eventuale”, ma come “impegno”, tale per cui il piano è omologabile solo se, al netto di questa somma, la proposta risultasse fattibile? E' evidente che, laddove si avallasse quest'ultima esegesi, di fatto si potrebbe “paralizzare” la procedura concordataria. Per tacere poi del fatto che altro è l'inserimento nell'elenco dei creditori previsto dalle disposizioni della l. fall., altro è l'obbligo di accantonare le somme relative a tali rapporti.

Un ancor più recente provvedimento di merito (Tribunale di Catania, 27 settembre 2018 (sul quale cfr. S. Nicolosi, Credito tributario contestato e fondo rischi nel concordato preventivo: il Tribunale di Catania chiarisce i limiti di applicazione di Cass. 2018, n. 15414, in www.ilcaso.it, 17 ottobre 2018), in sede di procedimento ex art. 173 l. fall., ha – correttamente – ricalibrato l'applicazione dell'appena richiamata pronuncia del Supremo Collegio, affermando che l'istituzione di un fondo rischi pari all'intero ammontare del credito tributario in contestazione non deve effettuarsi le volte che i crediti iscritti a ruolo siano stati annullati con sentenze del Giudice tributario, ancorché si tratti di pronunzie non ancora passate in giudicato.

Del resto, quest'ultimo decreto pare a ben vedere conformarsi a quanto espresso da Cass. Civ., SS UU, 13 gennaio 2017, n. 758, secondo cui, stante l'annullamento dell'avviso di accertamento ad opera di una sentenza del Giudice di merito – ancorché non passata in giudicato – l'ente impositore ha l'obbligo di agire in conformità alla statuizione giudiziale (ciò, sia nel caso in cui l'iscrizione non sia ancora stata effettuata sia, se già effettuata, adottando i consequenziali provvedimenti di sgravio ed eventualmente di rimborso dell'eccedenza versata). Tale autorevole pronuncia espande il ruolo del Giudice della procedura, dimostrando che non sarebbe possibile applicare passivamente il disposto dell'art. 90, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602 (norma che, letteralmente, per le somme iscritte a ruolo e contestate contiene riferimenti a norme non più vigenti, o meglio ora di differente contenuto, cfr. l'art. 181, comma 3, l. fall.); diversamente, infatti, la richiesta controversa di una parte processuale (quale è l'Amministrazione finanziaria nell'ambito del processo tributario) troverebbe totale ed automatico riconoscimento nell'ambito del concordato.

Del resto, a conferma di quanto appena esposto, va infine sottolineato che mentre alcune Direzioni Provinciali ritengono sufficiente che i flussi previsti a piano siano in grado di coprire le passività potenziali recate dagli atti accertativi impugnati, altri Uffici locali richiedono espressamente lo stanziamento di appositi accantonamenti a piano.

Ad evidenza, si staglia in ogni caso un quadro tutt'altro che univoco per quanto riguarda le esigenze di certezza, affidamento e buon esito della procedura volta alla conservazione della funzionalità aziendale.

In conclusione

Tirando le fila di quanto sin qui illustrato, e concentrandoci sulla risposta “negativa” dell'Agenzia delle Entrate verso la proposta di transazione, si può conclusivamente affermare che:

  • nell'attuale quadro di obbligatorietà della transazione, il “parere” dell'Amministrazione finanziaria in ordine alla “transazione fiscale” segue obbligatoriamente le regole fissate in materia concorsuale per il voto dei creditori dagli artt. 174 e ss. l. fall.: di talché, è evidente che anche il “non voto” da parte dell'Erario qualifica un “silenzio rifiuto”, non contenuto in qualsivoglia “atto” formalizzato;
  • in tale ottica, pur in assenza di un esplicito dato testuale, è ragionevole ritenere che possa soccorrere l'art. 19, comma 1, lett. h), d.lgs. n. 546/1992, stando al quale sono impugnabili: “il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari”;
  • la giurisdizione in merito all'impugnazione de qua appartiene alla Commissione Tributaria Provinciale;
  • al fine di coordinare il procedimento concordatario con quello processual-tributario, appare ragionevole ipotizzare che, stante il nesso di pregiudizialità sostanziale, il primo sia oggetto di sospensione ex art. 295 c.p.c. in attesa dell'esito del secondo (quantomeno, del primo grado).
Guida all'approfondimento

Quanto alla giurisprudenza che ha considerato come impugnabili taluni provvedimenti non espressamente catalogati nell'art. 19, d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (ciò, in forza della corrispondenza della funzione e degli effetti degli stessi con i tipi già normativamente previsti): Cass. Civ., 8 aprile 2014, n. 8214; Cass. Civ., 22 febbraio 2013, n. 4490; Cass. Civ., 5 ottobre 2010, n. 17010; Cass. Civ., 11 maggio 2012, n. 7344; Cass. Civ., SS UU, 7 maggio 2010, n. 11087; Cass. Civ., SS UU, 23 aprile 2009, n. 9669; Cass. Civ., 25 febbraio 2009, n. 4513; Cass. Civ., 9 agosto 2007, n. 17526; Cass. Civ., 8 ottobre 2007, n. 21045; Cass. Civ., SS UU, 26 luglio 2007, n. 16429; Cass. Civ., SS UU, 24 luglio 2007, n. 16293; Cass. Civ., 9 agosto 2006, n. 18008; Cass. Civ., SS UU, 25 maggio 2005, n. 10958.

Sulla riconducibilità del “diniego” alla transazione fiscale nel campo applicativo dell'art. 19, comma 1, lett. h): V. Ficari, Riflessioni su “transazione” fiscale e “ristrutturazione” dei debiti tributari, in Rass. Trib., 2009, 79 ss.; L. Del Federico, Profili evolutivi della transazione fiscale, in A. Jorio- M. Fabiani (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna - Torino, 2010, 1224 ss.; V. De Bonis, Tutela giurisdizionale del contribuente avverso i provvedimenti della transazione fiscale in ambito fallimentare, in Boll. Trib., 2013, 1548 ss.; E. Stasi, Impugnabilità del diniego alla transazione fiscale – Transazione fiscale – La transazione fiscale dal punto di vista del giudice tributario, in Il Fallimento, 2014, 1222 ss.

Sulla giurisdizione del Giudice tributario, cfr. V. Ficari, Falcidia dell'IVA e transazione fiscale: la sentenza “Degano trasporti” è “tamquam non esset”?, in Corr. Trib., 183 ss.; C. Attardi, Transazione fiscale: questioni procedurali, effetti sui crediti e sulla tutela giurisdizionale, in Fisco, 2017,4455 ss.; E. Stasi, Impugnabilità del diniego alla transazione fiscale – Transazione fiscale – La transazione fiscale dal punto di vista del giudice tributario, in Il Fallimento, 2014, 1222 ss.

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