Tutela del disabile e del lavoratore che vi presta assistenza tra diritto europeo e diritto nazionale

03 Giugno 2019

L'efficacia della tutela della persona con disabilità' si realizza anche mediante la regolamentazione del contratto di lavoro in cui e' parte il familiare della persona tutelata. Conseguentemente, deve ritenersi illegittima la mancata assegnazione...
Massima

L'efficacia della tutela della persona con disabilità' si realizza anche mediante la regolamentazione del contratto di lavoro in cui e' parte il familiare della persona tutelata.

Conseguentemente, deve ritenersi illegittima la mancata assegnazione del lavoratore che assista uno o più parenti affetti da handicap, di cui uno in situazione di gravità, ad una sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere, ove il datore di lavoro non dimostri in modo specifico e puntuale quali siano le concrete ragioni che rendano impossibile detta assegnazione.

Il caso

La questione riguarda una lavoratrice cui la parte datoriale ha negato il trasferimento ad una sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, pur essendo la stessa impegnata nell'assistenza di ben tre familiari portatori di handicap, di cui uno in situazione di gravità ex art. 3, comma 3, l. n. 104 del 1992.

Di qui la richiesta di una tutela d'urgenza, finalizzata ad ottenere in via cautelare un ordine di assegnazione ad una sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, al fine di consentirle di effettuare una migliore assistenza in favore dei propri familiari, portatori di handicap.

Le questioni

La direttiva comunitaria 78/2000/CE sul trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro all'art. 5 impone al datore di lavoro di adottare provvedimenti appropriati, in relazione alle esigenze del caso concreto, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro e di svolgerlo, tranne nelle ipotesi in cui tali provvedimenti non richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato, che peraltro non deve ritenersi tale ove lo stesso sia compensato in maniera sufficiente da interventi statali in favore dei disabili.

La disposizione è stata di fatto ignorata dall'Italia per oltre un decennio, nella convinzione – evidentemente errata – che il quadro normativo esistente, anche per la presenza di interventi pubblici di incentivo e di sostegno ai disabili, ne garantisse la piena tutela, così attuando le finalità della direttiva.

Misure viceversa non ritenute sufficienti dalla Corte di giustizia, che ha rilevato come il quadro normativo all'epoca vigente non prevedesse alcun obbligo specifico in capo al datore di lavoro, pubblico o privato, di attuare “accomodamenti ragionevoli” nei confronti dei lavoratori disabili, come previsto dall'art. 5, direttiva 78/2000/CE, cit., e che tale omissione non potesse ritenersi compensata dalle misure previste in favore dei disabili a carico dello Stato.

Dopo le censure della Corte di giustizia per non aver correttamente e completamente recepito la direttiva 78/2000/CE nell'ordinamento interno (Corte giust. UE, 4 luglio 2013, C-321/11), all'art 3, d.lgs. n. 216 del 2003, è stato quindi aggiunto il comma 3-bis, che espressamente impone ai datori di lavoro pubblici e privati di adottare accomodamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori. L'adeguamento del quadro normativo nazionale alla direttiva 78/2000/CE deve peraltro ancora una volta ritenersi incompleto, posto che con riferimento alle pubbliche amministrazioni il citato comma 3-bis prevede espressamente che l'obbligo di accomodamento ragionevole debba essere soddisfatto “senza nuovi o maggiori oneri per la finanzi pubblica e con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente”: disposizione che evidentemente frustra le finalità della direttiva, essendo evidente che non tutti gli accomodamenti ragionevoli possano effettivamente realizzarsi a “costo zero”.

In ogni caso, alla luce della normativa sopra richiamata, il rifiuto della parte datoriale di adottare un accomodamento ragionevole, cui deve essere equiparata la mancata prova in ordine alla sussistenza di un elemento di gravosità finanziaria che impedisca al datore di lavoro di adempiere all'obbligo di ricercarlo, integra una discriminazione diretta, con conseguente nullità dei provvedimenti datoriali che da tale comportamento derivino.

La nozione di reasonable accomodation, contenuta nell'art. 5 della 78/2000/CE, è stata poi ripresa nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, approvata nell'agosto 2006 e ratificata con l. 3 marzo 2009, n. 18, ai sensi della quale sono considerati disabili le persone che “hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine che in interazione con varie barriere possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri”.

Nell'ordinamento interno, la l. 5 febbraio 1992, n. 104, recante disposizioni in tema di assistenza, integrazione sociale e diritti delle persone handicappate, al comma 5 dell'art. 33, l. n. 104 del 1992, attribuisce altresì al lavoratore che assista un parente o affine handicappato in situazione di gravità il diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere nonché il diritto di non essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.

Tale intervento normativo costituisce attuazione di valori costituzionali, in quanto, essendo teso a favorire la socializzazione del portatore di handicap, costituisce un fattore di realizzazione di sviluppo della personalità del disabile oltre che di tutela della sua salute psico-fisica.

Nella realizzazione di tali obiettivi di rilievo costituzionale, il Giudice delle leggi ha assegnato un valore imprescindibile alla famiglia “il cui ruolo resta fondamentale nella cura e nell'assistenza dei soggetti portatori di handicap” (Corte cost. n. 203 del 2013; Corte cost. n. 19 del 2009; Corte cost. n. 158 del 2007; Corte cost. n. 233 del 2005).

Le soluzioni giuridiche

L'ordinanza del Tribunale di Bari si segnala, in termini di novità, per aver riconosciuto il diritto della lavoratrice ad un avvicinamento ad una sede di lavoro più vicina al suo domicilio, ove prestava assistenza in favore dei congiunti disabili, di cui uno in situazione di gravità, sul presupposto che l'efficacia della tutela della persona con disabilità – di cui un tassello fondamentale come innanzi detto è costituito dalla famiglia – si realizza anche mediante la regolamentazione del contratto di lavoro in cui e' parte il familiare della persona tutelata, in quanto il riconoscimento dei diritti in capo al lavoratore che richiede l'avvicinamento della sede di lavoro e' strumentale alla realizzazione del diritto del congiunto con disabilità ad effettive condizioni di assistenza.

Il diritto del lavoratore ad espletare la sua prestazione in una sede di lavoro più vicina al luogo ove presta assistenza al congiunto affetto da grave handicap trova quindi fondamento nel diritto del disabile all'assistenza, che si realizza pienamente ove si rimuovano tutti gli elementi ostativi alla sua realizzazione, ivi compresa una sede di lavoro disagevole per il lavoratore che gli presta assistenza, che e finirebbe per frustrare gli obiettivi di tutela riconosciuti dalla direttiva, dalla Convenzione ONU del 2006 e dalla Carta costituzionale.

Nella fattispecie, precisato che l'unico limite alla ricerca di un accomodamento ragionevole è costituito dalla sussistenza di un onere finanziario sproporzionato in capo al datore di lavoro, il Tribunale di Bari ha correttamente affermato - richiamando l'orientamento della Suprema Corte sul punto (Cass., sez. un., n. 27 marzo 2008, n. 7945), nonché il principio secondo cu l'onere probatorio deve essere posto in capo al soggetto “più vicino” al fatto da provare - che la prova in ordine alla sussistenza di un elemento di carattere finanziario ostativo all'adozione di un provvedimento di accomodamento ragionevole spetti alla parte datoriale .

Prova nella fattispecie non fornita, non avendo la società datrice dedotto e comunque provato non solo la sussistenza di oneri sproporzionati o eccessivi rispetto all'attuazione di una misura di accomodamento ragionevole in favore della lavoratrice, ma neanche provato la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, ostative alla richiesta di avvicinamento dalla stessa avanzata, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte.

Osservazioni

L'ordinanza in commento si segnala per un condivisibile “ampliamento d'orizzonte” nell'interpretazione delle disposizioni, nazionali e sovranazionali, che garantiscono la tutela effettiva del disabile, nella misura in cui afferma che detta tutela può effettivamente realizzarsi solo ove si adottino adeguate misure di sostegno in ambito lavorativo nei confronti dei soggetti appartenenti al nucleo familiare che al disabile prestano assistenza.

Nonostante la direttiva, nella parte in cui impone alla parte datoriale l'adozione di ragionevoli accomodamenti, faccia esclusivo riferimento al lavoratore disabile, e' infatti evidente che una tutela effettiva del disabile possa essere realmente assicurata solo ove la rete di sostegno della quale lo stesso si avvale, costituita in primis dalla famiglia, trovi a sua volta adeguata tutela, nel rispetto dei principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 4, 29, 32 e 35 della Costituzione, nonché della normativa sovranazionale in tema di tutela del disabile.

Di qui una lettura di più ampio respiro, alla luce dei principi espressi dalla Carta costituzionale e dai provvedimenti sovranazionali in materia di disabilità quale fattore di discriminazione, della norma nazionale che attribuisce al lavoratore che assista un parente o affine handicappato in situazione di gravità il diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere; norma che correttamente il Giudice interpreta con un taglio teleologico, finalizzando la disposizione alla realizzazione delle effettive esigenze di tutela del disabile, anche attraverso accorgimenti che incidono sul rapporto di lavoro di chi lo assiste.

La novità della pronuncia consiste proprio in questo allargamento di prospettiva nell'interpretazione del comma 5 dell'art. 33, l. n. 104 del 1992, che viene letta in un'ottica integrata con le fonti di diritto sovranazionale e con i principi di tutela del disabile contenuti nella Costituzione.

La giurisprudenza nazionale sinora espressasi in materia di accomodamenti ragionevoli ha infatti riguardato provvedimenti datoriali direttamente incidenti su lavoratori affetti da disabilità in assenza di un accomodamento ragionevole, sia in fase di accesso al lavoro (Trib. Bologna, 30 ottobre 2013, est. Marchesini) sia in sede di espulsione dal contesto aziendale per sopravvenuta inidoneità fisica permanente (Trib. Pisa, 16 aprile 2015, est. Tarquini, che ha evidenziato come il licenziamento della lavoratrice divenuta fisicamente inidonea allo svolgimento delle sue mansioni potesse essere evitato mediante una mera ridistribuzione dei compiti tra i dipendenti, ovvero Trib. Ivrea, 24 febbraio 2016, est. Fadda, che arriva alle medesime conclusioni, aggiungendo che il datore di lavoro, oltre ad affidare alla lavoratrice divenuta permanentemente inidonea allo svolgimento delle sue mansioni compiti differenti comunque compatibili con il suo stato di salute, avrebbe potuto anche, con una spesa minima, modificare la sua postazione lavorativa, e, da ultimo, Cass., sez. lav.,19 marzo 2018, n. 6798, riguardante un caso di un licenziamento per inidoneità sopravvenuta intimato in periodo anteriore all'entrata in vigore della norma di recepimento della direttiva).

L'ordinanza in commento induce poi ad alcune riflessioni in ordine alla recente normativa in materia di lavoro agile contenuta nella l. n. 81 del 2017, secondo la quale tale modalità di esecuzione di un rapporto di lavoro subordinato è frutto di un accordo individuale tra lavoratore e datore di lavoro. L'interpretazione letterale della norma porterebbe infatti ad escludere che al datore di lavoro possa essere imposta dal lavoratore disabile (o che assista un disabile) l'espletamento dell'attività lavorativa in modalità agile, in assenza di suo consenso espresso.

Ci si chiede, tuttavia, se il rifiuto del datore di lavoro a prestare attività lavorativa in modalità agile possa costituire comportamento discriminatorio, ove tale modalità di espletamento della prestazione si configuri quale “accomodamento ragionevole” del lavoratore disabile o del lavoratore che debba prestare assistenza in favore di un congiunto disabile.

A riguardo va evidenziato che la legge di bilancio per il 2019 (l. n. 145 del 2018), al comma 486 del suo articolo unico, ha previsto che i datori di lavoro pubblici e privati che stipulano accordi per l'esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile sono tenuti in ogni caso a riconoscere priorità alle richieste di esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile formulate dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità ovvero dai lavoratori con figli in condizioni di disabilità ai sensi del comma 3 dell'art. 3, l. 5 febbraio 1992, n. 104.

La norma lascia perplessi per un duplice ordine di ragioni: in primo luogo, nella parte in cui la priorità è circoscritta solo in favore dei lavoratori che assistano figli in condizioni di disabilità e non altri congiunti parimenti affetti da disabilità, ed in secondo luogo – a monte - in quanto la stessa introduce un mero diritto di precedenza nell'accoglimento della richiesta di lavorare in modalità agile, e non un diritto senza condizionamenti dei soggetti disabili o di chi li assiste a prestare attività lavorativa in tale modalità, cui è correlato un obbligo del datore di lavoro, ove il lavoro agile costituisca un accomodamento ragionevole, nel senso e nei limiti fissati dalla direttiva.

Minimi riferimenti bibliografici

  • C. SPINELLI,La sfida degli “accomodamenti ragionevoli” per i lavoratori disabili dopo il Jobs Act

    , in DLM, 2017, I, 39 ss.;

  • A.C. SCACCO, Rifiuto della richiesta di lavoro agile da parte del lavoratore disabile: quali conseguenze per il datore?, in Boll. Spec. ADAPT, 2016, n. 7;
  • F. CHIETERA, Il lavoro agile, in La nuova frontiera del lavoro: autonomo – agile – occasionale, a cura di D. Garofalo, ADAPT University Press, 2018, 345 e ss.

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