La scissione societaria depauperativa

05 Giugno 2019

Integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la scissione di società, successivamente dichiarata fallita, mediante conferimento dei beni costituenti l'attivo alla società beneficiaria, qualora tale operazione, sulla base di una valutazione in concreto che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui operava l'impresa al momento della scissione, si riveli volutamente depauperativa del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale.
Massima

Integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la scissione di società, successivamente dichiarata fallita, mediante conferimento dei beni costituenti l'attivo alla società beneficiaria, qualora tale operazione, sulla base di una valutazione in concreto che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui operava l'impresa al momento della scissione, si riveli volutamente depauperativa del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale.

Il caso

Nell'ambito di un procedimento per bancarotta fraudolenta veniva contestata all'amministratore di fatto di una società fallita, in un provvedimento di sottoposizione alla misura cautelare degli arresti domiciliari, la realizzazione di plurime operazioni societarie ritenute distrattive e consistenti in operazioni straordinarie societarie di fusione per incorporazione e scissione parziale con costituzione di nuove società, operazioni che avevano condotto alla spoliazione della società fallita con trasferimento delle utilità riferibili alla medesima ad altre società dello stesso gruppo familiare, con concentrazione in capo alla fallita di un ingente debito erariale, rimasto insoluto.

In sede di ricorso per cassazione, la difesa censurava la qualificazione quale operazione dolosa della fusione per incorporazione, applicandosi a siffatta trasformazione societaria le garanzie di cui all'art. 2504-bis cod. civ., con conseguente inidoneità della condotta ad incidere in danno dei creditori.

Parimenti veniva negata la natura distrattiva della scissione societaria, solo apoditticamente ritenuta simulata dai giudici di merito e comunque inidonea ad incidere sulla garanzia patrimoniale generica in virtù del disposto di cui all'art. 2506-bis cod. civ.

La questione

Le operazioni di riorganizzazione societaria, come la fusione o scissione della persona giuridica, possono, quando tale operazione sia svolta con modalità diverse da quanto stabilito dal codice civile e se dalla condotta vietata derivi un danno in capo ai creditori, integrare una pluralità di fattispecie delittuose.

Le corrette modalità per procedere alle operazioni di fusione e scissione societaria sono indicate negli artt. 2501 e ss. c.c.. Alla luce di tale disciplina, la procedura di scissione o fusione societaria può presentarsi viziata sotto quattro profili:

  • quando una delle predette operazioni venga attuata senza che le deliberazioni delle società che vi partecipino siano state iscritte nel registro delle imprese, ovvero pubblicate nella Gazzetta Ufficiale;
  • quando si proceda a fusione o scissione prima che sia trascorso il termine di due mesi dalla predetta iscrizione o pubblicazione, sempre che non vi sia stato il consenso dei creditori - vantanti un credito sorto anteriormente alla iscrizione o pubblicazione - delle singole società, ovvero il pagamento dei creditori non consenzienti, o ancora il deposito delle somme corrispondenti presso l'istituto di credito;
  • quando si sia proceduto a scissione o fusione nonostante l'opposizione di uno o più creditori sociali, ed in mancanza di autorizzazione del tribunale;
  • quando la scissione o fusione sia stata operata con l'opposizione di alcuni creditori sociali ma in presenza dell'autorizzazione del tribunale, senza però prestare la garanzia pecuniaria cui l'autorizzazione era subordinata.

In presenza di una di tali condizioni è possibile procedere alla contestazione del reato di cui all'art. 2629 cod. civ., secondo il quale “1. gli amministratori che, in violazione delle disposizioni di legge a tutela dei creditori, effettuano riduzioni del capitale sociale o fusioni con altra società o scissioni, cagionando danno ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni. 2.Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato” (MARTIELLO, La tutela penale del capitale sociale nelle società per azioni, Firenze 2007, 203; CALLAIOLI, Art. 2629. Operazioni in pregiudizio ai creditori, in Leg. Pen., 2003, 500).

Tuttavia, ben più grave, in questi casi, ed anche in ragione dell'esigua sanzione che viene applicata per il reato di operazioni in pregiudizio ai creditori, è la possibilità di contestare in caso di una scissione o fusione operata in violazione delle prescrizioni del codice civile il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Ciò pacificamente si verifica quando, ad esempio, l'operazione di scissione si risolva nel conferimento a favore di altra società di beni di rilevante valore e si riveli volutamente depauperatoria del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori, non essendo le tutele previste dagli artt. 2506 e seg. cod. civ. di per sé idonee ad escludere ogni danno o pericolo per le ragioni creditorie (FRASCAROLI SANTI, Il diritto fallimentare e delle procedure concorsuali, Padova 2016, 318; CAVALLI, Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie, in Il nuovo diritto fallimentare, a cura di Jorio, Torino, 2010, 458; BRICCHETTI, Bancarotta fraudolenta, bancarotta semplice e operazioni infragruppo, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2009, 219).

Più volte la Cassazione (da ultimo, Cass., sez. V, 17 aprile 2018, n. 17163) ha affermato infatti che integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la scissione di società, successivamente dichiarata fallita, mediante conferimento dei beni costituenti l'attivo alla società beneficiaria, qualora tale operazione, sulla base di una valutazione in concreto che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui operava l'impresa al momento della scissione, si riveli volutamente depauperativa del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale – si pensi al fenomeno societario della 'scissione' di una società in crisi, che, allo scopo di superare lo stato di difficoltà in cui versa l'impresa, separa le passività (il c.d. badwill), lasciate nella c.d. bad company, dalle attività (il c.d. goodwill), che vengono trasferite alla società di nuova costituzione, la c.d. new company.

Sebbene in dottrina (PICCARDI, La causazione del fallimento "per effetto di operazioni dolose". Profili soggettivi della fattispecie, in Cass. pen., 2011, 2837; MUCCIARELLI, La tutela penale del capitale sociale e delle riserve obbligatorie per legge, in AA.VV., Il nuovo diritto penale delle società, a cura di ALESSANDRI, Milano 2002, 334; ZANOTTI, Il nuovo diritto penale dell'economia, Milano 2017, 196) sia stato osservato che le fattispecie incriminatrici che astrattamente possono venire in rilievo ai fini della qualificazione sono tre (la bancarotta fraudolenta impropria per distrazione, la bancarotta fraudolenta impropria da reato societario, in riferimento all'art. 2629 cod. civ., che punisce le scissioni contra legem, e la bancarotta per effetto di operazioni dolose), la giurisprudenza di regola ritiene che integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la scissione di società, successivamente dichiarata fallita, mediante conferimento dei beni costituenti l'attivo alla società beneficiaria, qualora tale operazione, sulla base di una valutazione in concreto che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui operava l'impresa al momento della scissione, si riveli volutamente depauperativa del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale (Cass., sez. V, 21 gennaio 2015, n. 13522; Cass., sez. V, 13 giugno 2014. n. 42272).

Con particolare riferimento alla scissione, si ritiene che le tutele normative accordate ai creditori risultano inidonee ad escludere interamente il danno, o quanto meno il pericolo, per le ragioni dei creditori, in quanto, se è vero che ad essi è riconosciuto il diritto di rivalersi sui beni conferiti alle società beneficiarie, che rimangono obbligate per i relativi debiti, è vero altresì che un pregiudizio per gli stessi è comunque ravvisabile nella necessità di ricercare detti beni e che, soprattutto, all'esito di tale ricerca i creditori potranno trovarsi nella condizione di dover concorrere con i portatori di crediti nel frattempo maturatisi nei confronti delle società beneficiarie, con la concreta possibilità che tanto riduca le possibilità di un effettivo soddisfacimento delle loro pretese (Cass., sez. V, 10 aprile 2015, n. 20370).

Sotto il profilo dell'elemento soggettivo, infine, la Cassazione chiarisce che la finalità perseguita dall'imprenditore di consentire, mediante trasferimento dei beni e delle attività ad una nuova società, la prosecuzione delle attività imprenditoriali della società poi fallita non sarebbe, di per sé, elemento in grado di escludere la coscienza e volontà del fatto, trattandosi del mero movente dell'azione, della causa psichica della condotta umana, dello stimolo che ha indotto l'autore ad agire, facendo scattare la volontà.

In proposito, è pacifico che il movente dell'azione, pur potendo contribuire all'accertamento del dolo, costituendo una potenziale circostanza inferenziale, non coincide con la coscienza e volontà del fatto, della quale può rappresentare, invece, il presupposto; viceversa, l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Cass., sez. un, 31 marzo 2016, n. 22474).

La dottrina inoltre ritiene sussistente il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale laddove la società interessata – senza minimamente prestare osservanza al disposto del codice civile - proceda ad una mera fusione o scissione “di fatto”, provvedendo ad atti di semplice disposizione patrimoniale, ancorché finalizzati, nelle intenzioni degli amministratori, alla confusione dei patrimoni di diverse persone giuridiche - come, ad esempio, laddove si provveda a pagare tutti i creditori di una società con il denaro di un'altra.

La decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Con particolare riferimento alla qualificazione di rilevanza penale delle operazioni straordinarie di fusione e scissione della società, in primo luogo la Suprema Corte ricorda come la violazione delle disposizioni penali fallimentari può ricorrere non solo in presenza di singole operazioni dannose - che possono esplicarsi sotto forma di distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione -, ma anche quando si assiste ad un fatto di maggiore complessità strutturale, riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato che, nel loro complessivo dispiegarsi, integrano le operazioni dolose di cui all'art. 223, comma secondo, n. 2, R.D. n. 267 del 1942 (Cass., sez. V, 25 settembre 2014, n. 47621).

In quest'ottica sono considerate dalla decisione in commento le operazioni straordinarie presenti nella vicenda in esame.

Quanto all'operazione di trasformazione societaria della persona giuridica fallita mediante fusione per incorporazione di altra società, già gravata da consistente debito erariale, è agevole evidenziarne la portata distrattiva della fusione stessa una volta che si consideri che l'art. 2504-bis cod. civ. prevede che la società risultante dalla fusione o la società incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti, proseguendo in tutti i loro rapporti, con la conseguenza che le vicende economiche delle società incorporate non vengono sterilizzate dall'operazione di incorporazione, ma proiettano i loro effetti sulla società incorporante, la cui consistenza patrimoniale viene ad essere influenzata da quella della società incorporata anche in riferimento ai fattori che, incidendo negativamente sul patrimonio dell'incorporata, abbiano determinato l'affievolimento della garanzia patrimoniale dei creditori. Infatti, posto che, come è noto, una volta intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento, i fatti pregiudizievoli delle ragioni dei creditori assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati posti in essere, quando ne abbiano messo in pericolo la soddisfazione (Cass., sez. un., 31 marzo 2016, n. 22474), va riconosciuto che, se e nella misura in cui l'operazione straordinaria che ha interessato la società fallita (unitamente ad altri soggetti imprenditoriali) abbia determinato un vulnus al patrimonio della prima, nulla impedisce di qualificare tali complesse condotte come operazioni dolose idonee a cagionate il fallimento ovvero come scelte consistenti in una distrazione patrimoniale.

Si ricorda peraltro che per la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui all'art. 216, comma 1 n. 1, e 223, comma 1, R.D. n. 267 del 1942 non occorre che la fusione abbia “prodotto” ovvero cagionato il dissesto dell'impresa posto che, secondo una consolidata ed indiscussa posizione della giurisprudenza, non occorre accertare il nesso di causalità tra le condotte contestate, poste in essere durante l'esercizio dell'impresa incorporata, e la crisi economica della società incorporante, essendo sufficiente che l'agente abbia cagionato il depauperamento della società amministrata destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (da ultimo, Cass., sez. V, 8 febbraio 2017, n. 13910; Cass., sez. V, 17 luglio 2014, n. 47616).

Tale impostazione riverbera i suoi effetti sulla valutazione dell'elemento psicologico, giacché il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato a dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria né la volontà di cagionare il fallimento, né la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di conferire al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Cass., sez. V, 23 giugno 2017, n. 38396), con la rappresentazione della pericolosità della condotta distrattiva, da intendersi come probabilità dell'effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, la rappresentazione del rischio di lesione degli interessi creditori tutelati dalla norma incriminatrice.

A questo proposito, secondo la decisione in commento, come non è richiesta alcuna forma di rappresentazione e volizione dello stato di dissesto né del possibile fallimento dell'impresa da parte degli autori dei reati quando l'impresa non abbia subito modificazioni nel corso della sua storia, lo stesso deve affermarsi in presenza di un fenomeno successorio tra imprese, non essendovi ragioni per derogare ai principi sopra richiamati, con la conseguenza che la dichiarazione di fallimento della società incorporante è idonea, nel concorso delle altre condizioni di legge, a determinare la punibilità della condotte poste in essere dagli amministratori della società incorporata e la stessa incorporazione di una società gravata da note passività o da obbligazioni insolute costituisce - ove le medesime incidano sulla derivata situazione economica e patrimoniale dell'incorporante, aggravandola - condotta distrattiva.

Quanto invece alla operazione di scissione e costituzione di altra società immobiliare, parimenti nulla ne impedisce la qualificazione come modalità di distrazione giacché tali scelte organizzative si sono tradotte – secondo la valutazione dei giudici di merito che la Cassazione non ritiene censurabile – nella sostanziale trasfusione di beni della fallita a vantaggio di terzi soggetti, riconducibili peraltro alla posizione del figlio dell'indagato, il quale si è trovato ad acquistare tale immobile ad un prezzo incongruo. Si noti, peraltro, come per giungere al giudizio di penale rilevanza dell'operazione di scissione, la Cassazione condivide la valorizzazione, operata dai giudici di merito, della circostanza che la scissione della società fallita appariva ingiustificata anche in riferimento all'oggetto sociale della fallita, non comprensivo di rami immobiliari sicché il trasferimento dell'immobile rappresentava solo un modo per depauperare la società danneggiata.

La motivazione della decisione inoltre rigetta la tesi difensiva secondo cui di fatto la scissione, pur se astrattamente riconducibile ad una distrazione, era comunque inoffensiva in virtù delle tutele apprestate dal codice civile in materia di scissione societaria. Secondo la Corte, infatti, l'operazione di scissione societaria non può ritenersi neutrale rispetto alle successive vicende fallimentari in quanto legalmente assistita dal vincolo di solidarietà della società beneficiaria per i debiti della società scissa, previsto dall'art. 2506-quater cod.civ.. Invero, siffatta forma di tutela, che consente anche - come disposto dall'art. 2506-bis, comma 2, cod. civ. - l'assegnazione alla società beneficiaria dell'intero patrimonio della società scissa, e che si coniuga (Cass., sez. V, 18 gennaio 2013, n. 10201) con altre forma di salvaguardia in favore dei creditori della società distaccata (art. 2506-bis, comma 3, e art. 2506-quater cod.civ.), non comporta l'irrilevanza dell'operazione sotto il profilo penale con particolare riguardo all'ipotesi della bancarotta fraudolenta per distrazione.

A giustificare tale conclusione, la Cassazione evidenzia come il delitto di bancarotta presenti intrinseci caratteri di offensività che assurgono, a seguito della dichiarazione di fallimento, ad una dimensione di pericolo di insoddisfazione delle ragioni creditorie dalla pregressa ed indebita diminuzione patrimoniale (Cass., sez. V, 7 maggio 2014, n. 1354), a prescindere dall'eventuale, astratta riconducibilità della condotta ad una categoria di atti gestionali leciti e disciplinati dall'ordinamento. Ciò che rileva, in altri termini, è che una determinata operazione, per le modalità con le quali è stata realizzata, si presenti come produttiva di effetti immediatamente e volutamente depauperativi del patrimonio ed in prospettiva pregiudizievole per i creditori laddove si addivenga ad una procedura concorsuale: in siffatto contesto, le descritte tutele normative per la posizione dei creditori, rispetto agli effetti della scissione, risultano inidonee ad escludere interamente il danno o quanto meno il pericolo per le ragioni dei creditori della società scissa, nel caso in cui venga dichiarato il fallimento di quest'ultima (Cass., sez. V, 28 novembre 2013, n. 1597).

Considerazioni conclusive

La conclusione della Cassazione non è certo sorprendente né presenta profili di novità. Da sempre infatti si afferma che mediante le operazioni straordinarie di scissione o fusione per incorporazione possa farsi luogo ad una fattispecie di bancarotta fraudolenta per distrazione.

In particolare, quanto all'ipotesi di una fusione per incorporazione di altra società in quella poi fallita, giustamente nella decisione si legge che “ove il fallimento sia pronunciato nei confronti dell'incorporante il fenomeno estintivo, che riguarda l'incorporata, concerne l'ente in sé e non le situazioni giuridiche - attive e passive - che ad essa fanno capo, né quelle maturate in capo al suo amministratore. Tali situazioni, infatti, sono state influenzate, e spesso determinate, da operazioni rischiose - quale anche l'assunzione di un rilevante debito fiscale - effettuate in danno dell'incorporata, sicché il fallimento dell'incorporante — attualizzando l'offesa all'interesse tutelato dalle norme penali fallimentari — realizza la condizione cui è, per legge, subordinata la punibilità del trasgressore”.

Va inoltre considerato come l'esigenza di assicurare la punibilità di condotte che realizzano il paradigma normativo dei reati in questione e di impedire — attraverso operazioni di trasformazione societaria — facili elusioni della normativa fallimentare, particolarmente agevole nei gruppi di società e in quelli caratterizzati da rapporti interpersonali tra i suoi membri non sia perseguibile altrimenti che concludendo nel senso anzidetto. D'altronde, se ai creditori è riconosciuto il diritto di rivalersi sui beni conferiti alle società beneficiarie che rimangono obbligate per i relativi debiti, cionondimeno un pregiudizio per gli stessi è comunque ravvisabile nella necessità di ricercare detti beni e, in ogni caso, nel concorrere con i titolari di crediti medio tempore sorti nei confronti delle società beneficiarie, con il rischio concreto di pregiudizio di un effettivo ed integrale soddisfacimento delle loro pretese.

Peraltro, la previsione normativa della praticabilità della scissione e delle garanzie per i creditori esclude unicamente che il conferimento di beni alla società beneficiaria, nel caso dell'intervenuto fallimento della società scissa, possa qualificarsi condotta inevitabilmente produttiva di pericolo per gli interessi dei creditori della fallita e idonea ad integrare gli estremi del reato di bancarotta per distrazione, evidenziandosi la necessità, ai fini del giudizio sulla ravvisabilità del reato, di una valutazione in concreto, che tenga conto dell'effettiva situazione debitoria in cui versava la società poi fallita al momento della scissione.

Ciò posto, e ricostruita in questi termini la possibilità di attribuire ad una condotta apparentemente lecita e consentita, nonché regolamentata dall'ordinamento – quale appunto la scissione di una società – una rilevanza penale, la Cassazione richiede tuttavia un approfondimento avente ad oggetto la valutazione, in concreto, dell'effettiva situazione debitoria in cui versava la società poi fallita al momento della scissione, giacché in assenza di tale situazione di insolvenza non potrebbe attribuirsi ad uno schema civilisticamente lecito (come la scissione) la finalità di realizzare uno scopo penalmente illecito. Infatti, la Cassazione non giunge certo a “criminalizzare”, in quanto tale, la scelta di scindere la società mediante costituzione di nuova persona giuridica (Cass., sez. V, 18 gennaio 2013, n. 10201), ma tale operazione di conferimento di tutti gli elementi attivi alla società beneficiaria ha natura distrattiva qualora detta operazione sulla base di una valutazione in concreto, avuto riguardo alla situazione di dissesto dell'originaria società al momento della scissione, si riveli avulsa dalle finalità dell'impresa fallita, volutamente depauperativa del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale, non essendo in tal caso le tutele previste dagli artt. 2506 e seg. cod. civ. di per sé idonee ad escludere il danno o il pericolo per le ragioni creditorie (Cass., sez. V, 8 ottobre 2014, n. 6404).

In sostanza, per comprendere se dietro scelte aziendali di questo tipo si annidi un fatto di bancarotta fraudolenta patrimoniale occorre verificare se tali manovre assumano i connotati dell'operazione distrattiva per l'assenza di un concreto vantaggio economico e per l'impossibilità di continuare l'attività di impresa (Cass., sez. V, 28 novembre 2013, n. 15715). Anche un'operazione astrattamente riconducibile ad una categoria di atti gestionali leciti e disciplinati dall'ordinamento può essere, per le modalità con le quali è stata realizzata, produttiva di effetti immediatamente e volutamente depauperativi del patrimonio ed in prospettiva pregiudizievole per i creditori laddove si addivenga ad una procedura concorsuale (in proposito può richiamarsi a titolo esemplificativo l'affitto di azienda, in determinate condizioni, avente ad oggetto l'intero complesso aziendale della fallita, in modo da privare quest'ultima della concreta possibilità di proseguire nella propria attività).

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