Le nuove attribuzioni del professionista indipendente nel Codice della crisi

Gabriella Covino
Luca Jeantet
05 Giugno 2019

Con l'adozione del nuovo Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza il Governo si è posto l'encomiabile obiettivo di riformare in modo organico la disciplina delle procedure concorsuali di cui al Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (la legge fallimentare), come risultante all'esito delle modifiche normative che si sono succedute negli ultimi lustri, e, ciò, anche sulla scorta delle sollecitazioni provenienti dall'Unione Europea, con due principali finalità: quella di permettere una più precoce (e, quindi, auspicabilmente efficace) emersione dello stato di difficoltà in cui versa un'impresa e quello di salvaguardare la capacità imprenditoriale di quelle realtà aziendali che, a causa di determinate situazioni contingenti, appaiono a rischio di default.
Premessa

Con l'adozione del nuovo Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza il Governo si è posto l'encomiabile obiettivo di riformare in modo organico la disciplina delle procedure concorsuali di cui al Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (la legge fallimentare), come risultante all'esito delle modifiche normative che si sono succedute negli ultimi lustri, e, ciò, anche sulla scorta delle sollecitazioni provenienti dall'Unione Europea, con due principali finalità: quella di permettere una più precoce (e, quindi, auspicabilmente efficace) emersione dello stato di difficoltà in cui versa un'impresa e quello di salvaguardare la capacità imprenditoriale di quelle realtà aziendali che, a causa di determinate situazioni contingenti, appaiono a rischio di default.

In tale contesto, il legislatore della riforma ha confermato il ruolo centrale delle certificazioni “esterne” rese da professionisti indipendenti, i quali, rispetto alla disciplina della legge fallimentare, vedono, da un lato, accrescere le loro attribuzioni (cui ad esempio si aggiungono, come si dirà più diffusamente nel prosieguo, quelle afferenti all'attestazione circa l'adeguatezza degli indici di rilevazione della crisi rispetto alla specificità della singola impresa - di cui all'art. 13, terzo comma, CCII -, l'attestazione relativa alla capacità di soddisfare integralmente, con il ricavato della liquidazione, i crediti assistiti da garanzia reale su beni strumentali all'esercizio dell'impresa - di cui all'art. 100, secondo comma, CCII - e l'attestazione inerente alla necessità delle operazioni contrattuali e riorganizzative ai fini della continuità aziendale delle imprese facenti parte di un gruppo - di cui all'art. 285, secondo comma, CCII) e, dall'altro lato, sovrapporsi determinati compiti rispetto a quelli attribuiti non solo al collegio dell'Organismo di Composizione della Crisi d'impresa (“OCRI”), ma anche allo stesso tribunale, cui nel nuovo impianto legislativo compete non solo la verifica della fattibilità giuridica della proposta concordataria, ma anche quella inerente alla fattibilità economica del piano (cfr. art. 47, primo comma, CCII).

Anche a seguito dell'ultima novella legislativa il professionista attestatore non ha perso quindi quel ruolo chiave che il legislatore ha inteso attribuirgli negli ultimi anni, con l'obiettivo di un potenziamento degli strumenti per il risanamento e la continuità delle imprese in crisi, affinché le scelte effettuate dall'imprenditore possano essere vagliate (e, a seconda dei casi, votate ed accettate) sulla base di una corretta e sufficientemente completa base informativa (cfr. G. Lo Cascio, Il professionista attestatore, in Il Fallimento, 2013, n. 11, 1335), con maggiore tutela per i soggetti da considerarsi più “a rischio” (i.e. i terzi in generale ed i creditori in particolare). A ciò si aggiunga che, tanto nella fase di allerta quanto nella fase di composizione della crisi, la “certificazione” di un soggetto con elevata capacità professionale conferisce senza dubbio maggiore credibilità sia alle dichiarazioni che agli impegni assunti dal debitore, in special modo allorché questi ultimi tendano al fine ultimo del risanamento dell'impresa (cfr. Principi di attestazione dei piani di risanamento, a cura di AIDEA, IRDCEC, ANDAF, APRI, OCRI, in www.cndcec.it; S. Borrella, D. Rossetti, L'indipendenza dell'attestatore nella legge fallimentare, in Fisco, 2012, 45, 7228).

Appare quindi utile fare il punto sulla situazione corrente, alle soglie di una importante riforma del sistema delle procedure concorsuali che, pur non riguardando esclusivamente la figura ed il ruolo dell'attestatore, inserisce molteplici elementi di novità nel sistema concorsuale italiano.

Nei paragrafi seguenti sarà quindi dapprima brevemente delineata la figura dell'attestatore, con particolare riguardo ai requisiti d'indipendenza, professionalità ed onorabilità dello stesso, e quindi verranno affrontate le principali novità introdotte con l'ultima riforma. Infine, si farà brevemente cenno alle responsabilità, dal punto di vista civilistico e penalistico, del professionista attestatore.

La figura del professionista attestatore

Come noto, il legislatore della riforma del 2005, oltre ad introdurre le c.d. “procedure minori” (i.e., l'accordo di ristrutturazione dei debiti ed il piano attestato di risanamento), ha per la prima volta sancito l'obbligo per il debitore proponente di accompagnare la proposta di concordato con la “relazione di un professionista di cui all'art. 28 che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano”. A differenza della normativa fallimentare vigente prima dell'entrata in vigore della Legge 14 maggio 2005, n. 80, che non prevedeva l'intervento di professionisti terzi nell'ambito della procedura di concordato preventivo, ed era caratterizzata da una preponderante componente giudiziale, nonché orientata più ad una funzione liquidatoria che al risanamento dell'impresa (cfr. Di Marzio, dal ceppo della vergogna alle soluzioni concordate della crisi d'impresa. Nota apologetica sul nuovo ‘diritto fallimentare', in www.ilcaso.it, II, 282/2012), la novella del 2005 ha dunque creato una nuova figura – l'attestatore – i cui requisiti sono stati tuttavia individuati, per relationem, con riferimento alla figura del curatore fallimentare di cui agli articoli 27 ss. della legge fallimentare.

La riforma del 2005 non ha tuttavia stabilito in modo uniforme e coordinato i requisiti per la nuova figura professionale nell'ambito delle diverse procedure, rendendo così necessario, sul punto, un ulteriore intervento attuato con il D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, con cui si è tentato di semplificare e razionalizzare gli istituti afferenti alla risoluzione della crisi d'impresa, provvedendo, tra l'altro, ad uniformare le prerogative previste per i professionisti impegnati in tali procedure. I requisiti richiesti all'attestatore sono stati così introdotti nell'articolato dell'art. 67, comma 3, lett. d), l.fall. ed estesi in relazione sia al concordato preventivo che all'accordo di ristrutturazione, venendo ad aggiungersi al richiamo all'articolo 28 l.fall. già previsto in precedenza (S. Borella, D. Rossetti, L'indipendenza dell'attestatore nella legge fallimentare, in Fisco, 2012, 45, 7228).

Per la prima volta, con l'emanazione del nuovo Codice, il legislatore ha introdotto una vera e propria definizione della figura del “professionista indipendente”, qualificato come “il professionista incaricato dal debitore nell'ambito di una delle procedure di regolazione della crisi di impresa che soddisfi congiuntamente i seguenti requisiti: 1) essere iscritto all'albo dei gestori della crisi e insolvenza delle imprese, nonché nel registro dei revisori legali; 2) essere in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 2399 del codice civile; 3) non essere legato all'impresa o ad altre parti interessate all'operazione di regolazione della crisi da rapporti di natura personale o professionale”.La disposizione aggiunge altresì che “il professionista ed i soggetti con i quali è eventualmente unito in associazione professionale non devono aver prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore, né essere stati membri degli organi di amministrazione o controllo dell'impresa, né aver posseduto partecipazioni in essa” (cfr. art. 2, primo comma, lett. o, CCII).

In considerazione del ruolo decisivo che l'attestatore riveste nell'ambito delle diverse procedure di regolazione della crisi e dell'insolvenza, il legislatore della riforma ha inteso quindi evidenziare in modo esplicito le caratteristiche necessarie affinché tale ruolo possa essere assunto, fondate sull'indipendenza e sulla professionalità dell'attestatore.

I requisiti di indipendenza

Ponendosi nel solco delle novità introdotte dal legislatore della novella del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con L. 7 agosto 2012, n. 134, il nuovo art. 2 CCIII ha confermato – rispetto a quanto previsto dall'art. 67, terzo comma, lett. d), l.fall. – che la scelta, ad opera del debitore, del professionista incaricato è soggetta a talune limitazioni, derivanti dalla necessità che il professionista sia effettivamente indipendente rispetto al proponente, rinnovando così il ruolo fondamentale (in tema, la citata Cass. Civ., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, prevede in relazione alla necessaria indipendenza del professionista che “pur non essendo un consulente del giudice - come si desume dal fatto che è il debitore a nominarlo -, il professionista attestatore ha le caratteristiche di indipendenza (ulteriormente indirettamente rafforzate dalle sanzioni penali previste dalla l.fall., art. 236 bis, introdotto con il D.L. n. 83 del 2012) e professionalità` idonee a garantire una corretta attuazione del dettato normativo.”. Cfr. anche G. De Simone - L. Jeantet, L'indipendenza del professionista attestatore e la disciplina della sua responsabilità civile e penale, su www.giustiziacivile.com) di siffatto requisito al fine di poter qualificare l'operato dei soggetti incaricati di svolgere funzioni di controllo in luogo dell'autorità giudiziaria (nella relazione illustrativa al D.L 22 giugno 2012, n. 83, convertito con L. 7 agosto 2012, n. 134, era stato esplicitato come la mancanza di un requisito formale di indipendenza per il professionista attestatore dovesse essere considerato come uno dei più gravi disincentivi al tempestivo accesso delle imprese in crisi alle procedure di concordato preventivo e ai procedimenti di omologazione degli accordi di ristrutturazione).

Fra i requisiti indicati dall'art. 2, primo comma, lett. o), CCIII, difatti, permane la necessità che il professionista non sia legato all'impresa o ad altre parti interessate all'operazione di regolazione della crisi da rapporti di natura personale o professionale. La formulazione della nuova norma, a ben vedere, non si limita solamente ad aggiornare la precedente disposizione, per adattarne il contenuto rispetto allo scenario normativo in cui la stessa va ad inserirsi (modificando il precedente riferimento all'operazione “di risanamento” con il più coerente richiamo all'operazione “di regolazione della crisi”), ma restringe ulteriormente i criteri per determinare l'effettiva indipendenza dell'attestatore.

Scompare infatti, rispetto alla lettera dell'art. 67, terzo comma, lett. d), l.fall., ogni eventuale profilo di discrezionalità legato alla valutazione del grado di estensione dei rapporti di natura personale e/o professionale intrattenuti dal professionista con il debitore o con i diversi soggetti portatori di un interesse rispetto all'esito dell'operazione di regolazione della crisi avviata dal primo. Invero, mentre la disposizione della legge fallimentare qualifica come “indipendente” il professionista che non abbia, con tali soggetti, rapporti di natura personale o professionale “tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio”, ammettendo per questa via la dimostrazione circa la irrilevanza di taluni rapporti rispetto alle capacità di libera valutazione del professionista, la definizione di cui alla lettera o) dell'art. 2 CCIII ha espunto tale correttivo, rendendo così ancora più stringenti i criteri di selezione dell'attestatore.

La formulazione permane peraltro particolarmente ampia, ricomprendendo non solo i rapporti intercorsi tra il professionista ed il debitore, ma anche quelli intercorsi con il ceto creditorio e con qualunque soggetto interessato all'esito dell'operazione di regolazione della crisi, con la chiarificazione che tali rapporti per avere rilevanza non devono avere sola natura professionale ma possono avere anche origine personale (in relazione ai rapporti di natura personale, cfr. Trib. Modena, 12 giugno 2013, in www.ilfallimentarista.it, in cui si esclude l'indipendenza del professionista attestatore in virtù di rapporti di ordine personale con il debitore derivanti dalla condivisione di spazi di lavoro), potendo in ogni caso compromettere l'imparzialità del professionista (Cfr. S. Ambrosini, Accordi di Ristrutturazione dei debiti e finanziamenti alle imprese in crisi, Zanichelli, Bologna, 2012, 123 e ss.; V. Lenoci, Ruolo e responsabilità dell'esperto. L'indipendenza e il richiamo alla disciplina sui sindaci, in www.ilfallimenterista.it; G. Bersani, Crisi di impresa: nomina, indipendenza e responsabilità penale del professionista, in Fisco, n. 36, 2012. È peraltro opportuno evidenziare come, anche a seguito della riforma, la presenza dei requisiti di indipendenza dovrebbe essere valutata anche a cura del medesimo professionista incaricato che, con una sorta di autocensura, valuterà la sussistenza dei requisiti di legge in capo a sé stesso prima di accettare l'incarico. In relazione ai requisiti di indipendenza di cui all'art. 67, terzo comma, lett. d), il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Norme di comportamento del collegio sindacale, testo in vigore dal primo gennaio 2012, in www.cndcec.it., prevede infatti che “tali criteri impongono al professionista di effettuare una autovalutazione circa la ricorrenza e la rilevanza di situazioni direttamente riconducibili a rapporti personali o professionali che quest'ultimo intrattenga con il committente o con altri soggetti a vario titolo interessati all'operazione di risanamento.”. Cfr. anche G. De Simone - L. Jeantet, op.cit..).

L'elencazione dei requisiti di indipendenza previsti dalla disposizione in commento contempla altresì il possesso, da parte del professionista, “dei requisiti previsti dall'art. 2399 del codice civile”; la disposizione del Codice in commento estende peraltro la portata temporale di taluni divieti già imposti dalla previsione codicistica, precisando che l'asseveratore ed i soggetti con cui egli sia unito in associazione professionale non devono aver prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore, né essere stati membri degli organi di amministrazione e di controllo dell'impresa, né aver posseduto partecipazioni in essa. Segnatamente, il professionista incaricato dal debitore non può essere interdetto, inabilitato, fallito o condannato ad una pena che importi l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l'incapacità ad esercitare uffici direttivi, e non può essere il coniuge o un parente o affine entro il quarto grado degli amministratori della società debitrice o degli amministratori delle società da quest'ultima controllate, controllanti o sottoposte a comune controllo. Ai sensi del combinato disposto dell'art. 2, primo comma, lett. o), CCII e dell'art. 2399 cod. civ. non può altresì essere incaricato dal debitore il professionista che sia legato alla società debitrice o alle società da questa controllate o controllanti o sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza. Secondo il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, cit. supra, la ratio di siffatta previsione normativa è quella di limitare possibili interferenze di ordine patrimoniale al compimento dell'incarico da parte del professionista. Mentre la previsione testuale della norma incide su rapporti, relazioni e incarichi esistenti tra i soggetti presi in considerazione dalla disposizione in commento, la valutazione dell'indipendenza ai sensi del richiamato art. 2399 cod. civ. viene effettuata verso “altri rapporti di natura patrimoniale” che possono incidere anche indirettamente sull'obbiettività di giudizio del professionista.

Per quanto concerne il requisito della mancata prestazione di attività lavorativa in favore del debitore e della estraneità del professionista, anche passata, dagli organi di amministrazione o di controllo del debitore, la prassi applicativa della disposizione di cui all'art. 67, terzo comma, lett. d), l.fall. (sovrapponibile, sul punto, alla disposizione in commento) ha provveduto a meglio specificare le modalità di computo di tali limitazioni.

In particolare, con riferimento al requisito della mancata prestazione di attività lavorativa nei precedenti cinque anni, si è affermato che tale termine debba essere computato a ritroso dal momento in cui risulterà sottoscritta l'attestazione, in quanto da tale momento la paternità delle dichiarazioni in essa contenute sarà imputata al professionista che le ha redatte (cfr. Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Il ruolo del professionista attestatore nella composizione negoziale della crisi: requisiti di professionalità ed indipendenza e contenuto delle relazioni, Circolare n. 30/IR dell'11 febbraio 2013).

Per quanto riguarda i possibili profili di incompatibilitàdel professionista, se con riferimento all'ipotesi di rapporto di lavoro subordinato intercorso tra quest'ultimo ed il debitore non possono sorgere dubbi riguardo la compromissione dell'indipendenza del professionista, con riguardo ai profili applicativi dell'art. 67, terzo comma, lett. d), l.fall. il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili ha avuto modo di suggerire (cfr. ancora Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Il ruolo del professionista attestatore nella composizione negoziale della crisi: requisiti di professionalità ed indipendenza e contenuto delle relazioni, Circolare n. 30/IR dell'11 febbraio 2013) che in presenza di rapporti di lavoro autonomo sia necessaria una distinzione tra prestazione occasionale e prestazione continuativa d'opera. Secondo il Consiglio, quindi, la mancanza di indipendenza non dovrebbe ricorrere in caso di prestazione di consulenza occasionale, per cui l'entità del corrispettivo non induca a ritenere compromessa l'imparzialità del professionista. La validità di tale assunto, tuttavia, dovrebbe essere oggi riconsiderata con riferimento alla disposizione di cui al primo comma, lett. o), dell'art. 2 CCII, dal momento che, come si è detto, il legislatore della riforma ha espunto da tale norma ogni riferimento al criterio di graduazione della capacità di compromettere l'indipendenza del giudizio dell'attestatore dei rapporti di natura professionale da quest'ultimo eventualmente intrattenuti con il debitore.

I requisiti di professionalità ed onorabilità

Quanto, invece, ai requisiti richiesti dal Codice ai fini di garantire la professionalità del soggetto incaricato dal debitore coinvolto in una procedura per la regolazione della crisi o dell'insolvenza, la previsione di cui alla lett. o) del primo comma dell'art. 2 richiede che l'attestatore sia iscritto non solo nel registro dei revisori legali, ma anche nell'albo dei gestori della crisi e insolvenza delle imprese, istituito dallo stesso Codice e definito alla lett. n) del primo comma dell'art. 2 come “l'albo, istituito presso il Ministero della giustizia e disciplinato dall'articolo 356, dei soggetti che su incarico del giudice svolgono, anche in forma associata o societaria, funzioni di gestione, supervisione o controllo nell'ambito delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza previste dal presente codice”.

La disposizione da ultimo citata istituisce infatti, presso il Ministero della Giustizia, un albo dei soggetti “destinati” (sic!) a svolgere, su incarico del tribunale, “le funzioni di curatore, commissario giudiziale o liquidatore” nelle procedure previste dal Codice stesso. Al fine di ottenere l'iscrizione nell'albo in parola, occorre non soltanto possedere i requisiti stabiliti dall'art. 358 CCII, ma anche dimostrare di aver assolto gli obblighi di formazione professionale previsti dall'art. 4, quinto comma, lett. b), c) e d), del D.M. 24 settembre 2014, n. 202 e s.m. e i. (ai fini del primo popolamento dell'albo, la previsione in discorso consente l'iscrizione anche ai soggetti in possesso dei requisiti di cui all'art. 358, primo comma, CCII, che provino di essere stati nominati curatori fallimentari, commissari o liquidatori giudiziali in almeno quattro procedure negli ultimi quattro anni, decorrenti a ritroso dalla data di entrata in vigore del Codice.). Trattasi, in particolare: (i) del possesso di una specifica formazione acquisita tramite la partecipazione a corsi di perfezionamento (organizzati anche da soggetti in convenzione con università pubbliche o private) di durata non inferiore a duecento ore nell'ambito disciplinare della crisi dell'impresa e di sovraindebitamento, anche del consumatore, costituiti con gli insegnamenti concernenti almeno i settori disciplinari del diritto civile e commerciale, del diritto fallimentare e dell'esecuzione civile, oltre che dell'economia aziendale e del diritto tributario e previdenziale; (ii) dello svolgimento di un periodo di tirocinio presso uno o più organismi, curatori fallimentari, commissari giudiziali, professionisti indipendenti ai sensi della legge fallimentare, professionisti delegati per le operazioni di vendita nelle procedure esecutive immobiliari ovvero nominati per svolgere i compiti e le funzioni dell'organismo o del liquidatore, di durata non inferiore a sei mesi che abbia consentito l'acquisizione di competenze mediante la partecipazione alle fasi di elaborazione ed attestazione di accordi e piani omologati di composizione della crisi da sovraindebitamento, di accordi omologati di ristrutturazione dei debiti, di piani di concordato preventivo e di proposte di concordato fallimentare omologati, di verifica dei crediti e di accertamento del passivo, di amministrazione e di liquidazione dei beni e (iii) dell'acquisizione di uno specifico aggiornamento biennale, di durata complessiva non inferiore a quaranta ore, nell'ambito disciplinare della crisi dell'impresa e di sovraindebitamento, anche del consumatore, acquisito presso uno degli ordini professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai, ovvero presso un'università pubblica o privata.

Fra i requisiti di professionalità che l'attestatore deve possedere ai fini dell'iscrizione nel predetto albo, l'art. 358 CCII annovera altresì l'iscrizione agli albi degli avvocati, dei dottori commercialisti e degli esperti contabili (possono tuttavia essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore, commissario giudiziale e liquidatore (oltre che, ai fini che qui interessano, di attestatore) anche gli studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse siano in possesso dei requisiti professionali di cui alla lett. a) del primo comma dell'art. 358 CCII. In tal caso, la norma in commento impone l'indicazione della persona fisica responsabile della procedura al momento dell'accettazione dell'incarico.), categorie già previste dall'art. 28 l.fall. (richiamato dall'art. 67, terzo comma, lett. d) della stessa legge), cui aggiunge le nuove categorie dei consulenti del lavoro e dei soggetti “che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società di capitali o società cooperative, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione di apertura della procedura di liquidazione giudiziale”. Tra i primi commentatori della norma in esame, qualcuno ha rinvenuto nel rinvio operato dalla norma al D.M. 202/2014 l'intenzione del legislatore di imporre obblighi formativi diversi per le differenti categorie di soggetti cui è consentita l'iscrizione nell'albo in questione (cfr. M. Damiani, Albo curatori, strade differenti, in Italia Oggi, 16 febbraio 2019), giungendo ad affermare che, in applicazione del sesto comma dell'art. 4 del citato decreto ministeriale, “per i professionisti appartenenti agli ordini professionali di cui al comma 2 [i.e., avvocati, commercialisti e notai], la durata dei corsi di cui al comma 5, lettera b è di 40 ore”. In applicazione del sesto comma del citato decreto, inoltre, gli stessi ordinamenti professionali avrebbero la facoltà di individuare specifici casi di esenzione dall'applicazione delle disposizioni di cui al comma 5, lett. b) e d) e per avvocati e commercialisti non dovrebbe essere previsto l'obbligo di tirocinio. Ad avviso di chi scrive, tuttavia, tale lettura appare oltremodo estensiva, dal momento che la disposizione di cui al secondo comma dell'art. 356 CCII opera un rinvio diretto esclusivamente al quinto comma, lett. b), c) e d), dell'art. 4 del D.M. 202/2014, non già a tale articolo, nella sua interezza.

All'ampliamento della platea dei professionisti legittimamente abilitati a ricevere dal debitore l'incarico di assisterlo nelle procedure per la regolazione della crisi o dell'insolvenza corrisponde dunque, quale contraltare, un rafforzamento degli obblighi di formazione e di aggiornamento professionale (per mantenere l'iscrizione all'albo è infatti prevista l'acquisizione di uno specifico aggiornamento biennale, le cui linee guida generale per la definizione dei relativi programmi sono elaborate dalla Scuola Superiore della Magistratura) che tali soggetti dovranno assolvere al fine di essere iscritti nel nuovo albo costituito presso il Ministero.

Da ultimo, il terzo comma dell'art. 356 CCII introduce, ai fini dell'iscrizione nell'albo dei gestori della crisi e insolvenza delle imprese, il possesso di taluni requisiti di “onorabilità”, tra cui, oltre alla insussistenza delle condizioni di ineleggibilità o decadenza previste dall'art. 2382 cod. civ. (riferimento ultroneo con riguardo al professionista attestatore, alla luce del rinvio operato dall'art. 2, primo comma, lett. o), CCII al possesso dei requisiti previsti dall'art. 2399 cod. civ., che, a sua volta, rinvia espressamente all'art. 2382 cod. civ..), l'assenza di misure di prevenzione o di condanne a carico del professionista e la mancata condanna negli ultimi cinque anni ad una sanzione disciplinare più grave di quella minima prevista dai rispettivi ordinamenti professionali.

Poiché le norme di cui al succitato art. 356 ed al successivo art. 357 CCII – che attribuisce al Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, il compito di stabilire con decreto, entro il 1° marzo 2020, le modalità di iscrizione, di sospensione e cancellazione all'albo in parola, nonché le modalità di esercizio del potere di vigilanza da parte del Ministero della Giustizia –, trovano applicazione a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, si potrebbero sollevare legittimi dubbi in merito alla data di effettiva applicabilità delle regole relative alla nomina del professionista indipendente.

Ci si potrebbe interrogare, ad esempio, in merito alla concreta possibilità di iscrivere nell'albo dei gestori della crisi e insolvenza delle imprese, già a decorrere dal 16 marzo 2019 e pur in assenza di un decreto attuativo relativo al suo funzionamento, i soggetti che, in possesso dei requisiti di professionalità di cui al primo comma dell'art. 358 CCII, possano provare di essere stati nominati curatori fallimentari, commissari o liquidatori giudiziali in almeno quattro procedure negli ultimi quattro anni.

Ad un primo esame, tuttavia, non sembrano sussistere sufficienti elementi per rispondere positivamente a tale quesito, dal momento che, come detto in precedenza, il primo comma, lett. a), dell'art. 357 CCII attribuisce al Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, il compito di stabilire con decreto, entro il 1° marzo 2020, anche “le modalità di iscrizione all'albo di cui all'articolo 356”. Almeno sino all'emanazione del provvedimento attuativo in parola, quindi, non dovrebbe essere possibile l'iscrizione all'albo neppure a chi, in fase di primo popolamento, possa offrire prova degli incarichi precedentemente ricevuti (di questo avviso M. Pollio, Un albo ministeriale ad hoc per gli incaricati dall'autorità giudiziaria (e OCRI), in La riforma del fallimento. Il nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, a cura di M. Pollio, Italia Oggi, Serie speciale n. 2, 23 gennaio 2019. Ciò appare, peraltro, coerente con la necessità di assolvere gli obblighi formativi previsti dal D.M. 24 settembre 2014, n. 202).

Le principali novità introdotte dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 con riguardo all'attestatore

Con il Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza il legislatore si è posto per diversi aspetti nel solco, ormai profondo e segnato da anni di arresti giurisprudenziali e di interventi della migliore dottrina, della disciplina previgente risultante dalle diverse riforme che si sono susseguite nel corso degli ultimi lustri, confermando larga parte della disciplina stessa e provvedendo ad integrare e/o ad adattare, in particolare, le norme che regolano il ruolo del professionista indipendente rispetto alla nuova normativa concorsuale.

Poiché dunque, al di là delle suddette rettifiche e/o integrazioni, il legislatore della riforma non ha stravolto l'impianto delle disposizioni atte a disciplinare l'attività ed il ruolo del professionista indipendente, è parso più utile evidenziare, nei paragrafi seguenti, le principali attribuzioni introdotte ex novo dal nuovo Codice con specifico riferimento all'attestatore, circoscrivendo l'esame di quelle norme che, pur con qualche differenza rispetto al passato, ricalcano tuttavia le precedenti disposizioni della legge fallimentare.

Tra queste ultime, pare in ogni caso opportuno segnalare l'attribuzione al professionista indipendente, compiuta dall'art. 54, terzo comma, CCII, del compito di attestare che sull'accordo di ristrutturazione dei debiti sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta percento dei crediti, ai fini della richiesta delle misure cautelari e protettive previste dal secondo comma della medesima disposizione, precedentemente demandato allo stesso imprenditore che, a tal fine, avrebbe dovuto rendere, ai sensi dell'art. 182-bis, sesto comma, l.fall., una dichiarazione avente valore di autocertificazione (con ciò confermando il ruolo di garante riconosciuto al professionista indipendente, chiamato a confermare l'effettiva fondatezza delle trattative in essere).

Per quanto concerne, invece, le attestazioni già previste dagli artt. 67, terzo comma, lett. d), 182-bis, primo comma e 161, terzo comma, l.fall, con riguardo, rispettivamente, ai piani attestati di risanamento, agli accordi di ristrutturazione dei debiti ed alla domanda di concordato preventivo, il legislatore è intervenuto per confermare che, oltre all'attestazione afferente alla veridicità dei dati aziendali, il professionista indipendente è chiamato anche ad asseverare la fattibilità “economica e giuridica” del piano (cfr. artt. 56, quarto comma e 57, quarto comma, CCII).

Con riferimento, poi, all'attestazione afferente al valore di mercato dei beni o diritti su cui sussiste una causa di prelazione, ai fini del possibile soddisfacimento non integrale dei creditori muniti di privilegio, l'art. 85, settimo comma, CCII ha precisato, al precipuo scopo di superare i dubbi determinati dalla formulazione del corrispondente art. 160, secondo comma, l.fall., che tale valore deve essere ridotto “del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali”.

Più rilevanti le modifiche apportate dal legislatore con riguardo all'istituto della transazione fiscale, nel cui ambito gli artt. 63, primo comma (nel contesto degli accordi di ristrutturazione) e 88, secondo comma, CCII (in relazione al concordato preventivo) precisano che la valutazione di convenienza del trattamento proposto per i crediti fiscali e previdenziali cui è chiamato il professionista indipendente non deve essere più riferita genericamente alle “alternative concretamente praticabili”, come stabilito nell'art. 182-ter, comma quinto, l.fall., bensì specificamente all'alternativa della liquidazione giudiziale.

A seguito della riforma risulta altresì decisamente ampliato l'oggetto dell'attestazione demandata al professionista indipendente in caso di c.d. “convenzione di moratoria”, istituto che oggi non è più applicabile solo alle convenzioni stipulate con banche o intermediari finanziari (come precedentemente previsto dal quinto comma dell'art. 182-septies l.fall.), ma anche a tutti gli altri creditori. Conseguentemente, è mutato altresì l'oggetto dell'attestazione cui è chiamato, in tal caso, il professionista indipendente, che non ha più riguardo all'“omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici fra i creditori interessati dalla moratoria”, ma concerne la veridicità dei dati aziendali, nonché “l'idoneità della convenzione a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi, e la ricorrenza delle condizioni di cui alla lettera c)”, ossia l'esistenza di concrete prospettive che i creditori della medesima categoria, non aderenti alla convenzione di moratoria, cui sono estesi gli effetti di quest'ultima, possano risultare soddisfatti in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale (cfr. art. 62, secondo comma, CCII).

Da ultimo, oltre ad una modifica dei contenuti della relazione che il professionista indipendente deve predisporre al fine di rendere inammissibile le eventuali proposte concordatarie concorrenti (i.e., riduzione della percentuale dei crediti chirografari di cui la proposta concordataria deve assicurare, a tal fine, il pagamento, passata, ai sensi dell'art. 90, quinto comma, CCII, dal quaranta al trenta percento anche nel caso di procedure liquidatorie), si segnala l'intervento operato dal legislatore della riforma con riguardo alle attestazioni previste al fine di favorire la continuità aziendale di quelle imprese che intrattengono rapporti contrattuali con pubbliche amministrazioni.

Ai sensi dell'art. 95, secondo comma, CCII, difatti, il deposito della domanda di accesso al concordato preventivo non impedisce la continuazione dei contratti pubblici pendenti, a condizione che il professionista indipendente attesti “la conformità al piano, ove predisposto, e la ragionevole capacità di adempimento” (il Codice, peraltro, riconosce la possibilità di beneficiare della continuazione dei contratti pubblici anche alle società cessionarie o conferitarie dell'azienda o dei rami d'azienda cui detti contratti siano trasferiti, sempre che queste ultime siano in possesso dei requisiti di legge per la partecipazione alla gara e per l'esecuzione del contratto). La disposizione in esame estende poi la sua efficacia anche al concordato liquidatorio, richiedendo, in tal caso, una specifica attestazione inerente alla circostanza che “la continuazione è necessaria per la migliore liquidazione dell'azienda in esercizio”. Analoga asseverazione circa la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto è richiesta infine dal quarto comma della disposizione in commento per la partecipazione dell'impresa proponente il concordato a procedure di affidamento dei contratti pubblici.

La nuova attestazione di cui all'art. 13, terzo comma, CCII

Una delle principali novità della riforma è stata l'introduzione dei c.d. strumenti di allerta e, in particolare, la previsione di alcuni “indicatori della crisi”, capaci di offrire evidenza “della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l'esercizio in corso” (cfr. art. 13, primo comma, CCII).

Con la riforma, il legislatore ha inteso difatti costruire un sistema di allerta preventivo finalizzato all'emersione anticipata dello stato di crisi in cui versa il debitore, da intendersi, ai sensi del primo comma, lett. a) dell'art. 2 CCII, quale “stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l'insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”.

Nell'ambito di tale sistema, l'art. 13 CCII ha individuato gli indicatori della crisi in quegli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rilevabili attraverso appositi indici economici elaborati con cadenza triennale dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili (CNDCEC) e sottoposti all'approvazione del Ministero dello Sviluppo Economico che, rapportati alle specifiche caratteristiche dell'impresa e dell'attività imprenditoriale svolta dal debitore e tenuto conto della data di inizio di attività, siano in grado di evidenziare la sostenibilità dell'esposizione debitoria nel breve termine e della continuità aziendale durante l'esercizio in corso. La norma precisa che rappresentano indici significativi, in tal senso, “quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell'indebitamento con i flussi di cassa che l'impresa è in grado di generare e l'adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi” e che “costituiscono altresì indicatori di crisi ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, anche sulla base di quanto previsto nell'articolo 24”. Ai sensi di tale ultima disposizione, dovrebbero quindi considerarsi significativi: (i) l'esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno 60 giorni per un ammontare pari ad oltre la metà dell'ammontare complessivo mensile delle retribuzioni; (ii) l'esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno 120 giorni per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti e (iii) il superamento, nell'ultimo bilancio approvato, o comunque per oltre tre mesi, degli indici elaborati ai sensi dell'articolo 13, commi 2 e 3.

Con il precipuo scopo di “tener conto delle specificità delle singole organizzazioni imprenditoriali, che potrebbe rendere gli indici elaborati concretamente inidonei a evidenziare la possibile situazione di crisi” (cfr. Relazione illustrativa al decreto legislativo di attuazione della legge delega 19 ottobre 2017, n. 155), il terzo comma dell'art. 13 CCII consente all'impresa che non reputi adeguati gli indici elaborati dal CNDEC in considerazione delle proprie peculiari caratteristiche, di evidenziare le ragioni di tale discrepanza nella nota integrativa al bilancio di esercizio, indicando contestualmente gli indici idonei, nel caso specifico, a far ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi.

È proprio in questa sede che compare una nuova “attestazione speciale”, rimessa dal legislatore della riforma all'esclusiva competenza del professionista indipendente incaricato dal debitore (cfr., in proposito, A. I. Baratta, La nuova tipologia di attestazione prevista dall'art. 13 del Codice della crisi e dell'insolvenza, in Ilfallimentarista.it). Quest'ultimo, difatti, è chiamato ad attestare l'adeguatezza degli indici rappresentati dall'impresa nella sua nota integrativa “in rapporto alla specificità dell'impresa”. La norma specifica, altresì, che la relazione del professionista deve essere allegata alla nota integrativa al bilancio di esercizio, costituendone parte integrante, e dunque resa pubblica a seguito del deposito del fascicolo di bilancio nel Registro delle Imprese (in questo senso, cfr. F. Pongiglione, L'attestatore e le attestazioni conquistano nuovo risalto e dignità, in La riforma del fallimento. Il nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, a cura di M. Pollio, Italia Oggi, Serie speciale n. 2, 23 gennaio 2019), e produce effetti a partire dall'esercizio successivo.

La richiesta di archiviazione delle segnalazioni aperte prevista dall'art. 18, terzo comma, CCII

Tra i nuovi compiti cui è chiamato il professionista indipendente nominato dal debitore, il CCII prevede, altresì, che quest'ultimo possa rilasciare una speciale attestazione volta a confermare l'esistenza di crediti di imposta o di altri crediti nei confronti di pubbliche amministrazioni in relazione ai quali siano decorsi novanta giorni dalla data di messa in mora, per un ammontare complessivo che, portato in compensazione con i debiti, determini il mancato superamento delle soglie rilevanti ai fini della segnalazione da parte dei c.d. “creditori pubblici qualificati”, ossia Agenzia delle Entrate, INPS ed agente della riscossione. Segnatamente, trattasi “delle soglie di cui all'articolo 15, comma 2, lettere a), b) e c)”, il cui superamento si verifica: a) per l'Agenzia delle Entrate, quando l'ammontare totale del debito a titolo di IVA scaduto e non versato, come risultante dalla comunicazione della liquidazione periodica, sia pari ad almeno il trenta percento del volume d'affari del medesimo periodo e non inferiore ad Euro 25.000 in caso di volume d'affari risultante dalla dichiarazione IVA relativa all'anno precedente fino ad Euro 2.000.000, non inferiore ad Euro 50.000 in caso di volume d'affari risultante dalla dichiarazione IVA relativa all'anno precedente fino ad Euro 10.000.000 e non inferiore ad Euro 100.000 in caso di volume d'affari risultante dalla dichiarazione IVA relativa all'anno precedente superiore ad Euro 10.000.000; b) per l'INPS, quando il debitore è in ritardo di oltre sei mesi nel versamento dei contributi previdenziali di ammontare superiore alla metà di quelli dovuti nell'anno precedente e superiore alla soglia di Euro 50.000 e c) per l'agente della riscossione, quando la sommatoria dei crediti affidati per la riscossione dopo l'entrata in vigore del CCII, autodichiarati o definitivamente accertati e scaduti da oltre 90 giorni superi la soglia di Euro 500.000 per le imprese individuali e quella di Euro 1.000.000 per le imprese collettive.

Con tale nuova attribuzione – cui il professionista indipendente sembrerebbe chiamato solamente nel caso in cui il debitore non sia dotato di un organo di controllo societario (la norma, difatti, riconosce tale attribuzione al professionista indipendente solo “in […] mancanza” dell'organo di controllo societario, cui è invece rimesso, “se esistente”, il compito in questione) – il legislatore ha inteso introdurre una sorta di correttivo rispetto a quelle situazioni in cui le difficoltà che il debitore incontra in ragione di una carenza di liquidità siano soltanto apparenti, e derivino dal mancato incasso dei crediti dallo stesso vantati nei confronti di debitori pubblici (nella Relazione Illustrativa si afferma difatti che “Con tale previsione si è voluto evitare che imprese in (apparente) difficoltà a causa del mancato pagamento da parte di debitori pubblici debbano subire conseguenze pregiudizievoli ulteriori a causa dei tempi delle procedure di liquidazione e di pagamento”).

I sindaci o, per quel che qui interessa, il professionista indipendente, possono dunque attestare nella loro relazione l'esistenza di crediti nei confronti di pubbliche amministrazioni tali da far rientrare l'esposizione debitoria al di sotto delle soglie stabilite ai fini dell'avviso al debitore e della successiva segnalazione all'Organismo di Composizione della Crisi d'Impresa (OCRI) previsti dall'art. 15 CCII. Ciò vale, come si legge nella Relazione Illustrativa del Decreto Legislativo, anche con riferimento ai “crediti non definitivamente accertati, quando ad esempio gli ostacoli all'accertamento ed al pagamento siano di ordine meramente formale o derivino da contestazioni pretestuose o limitate solo ad una parte dell'importo che l'imprenditore assume essergli dovuto”. In tali casi, i membri dell'organo di controllo o l'attestatore si assumeranno personalmente la responsabilità (esclusivamente sotto il profilo civilistico, come si dirà meglio nel prosieguo) delle loro dichiarazioni, che dovranno essere supportate da tutti i documenti afferenti ai crediti in questione e potranno essere utilizzate solamente nell'ambito del procedimento avviato dinnanzi all'OCRI.

Il ruolo dell'OCRI nel procedimento di composizione assistita della crisi

Come detto in precedenza, con l'introduzione del nuovo Codice il legislatore non ha soltanto attribuito nuove prerogative al professionista indipendente, ma ha anche assegnato, in determinate circostanze, un ruolo concorrente a taluni dei nuovi organi previsti dalla novella legislativa con riguardo ad alcuni compiti sinora riconosciuti dalla legge fallimentare in via esclusiva all'attestatore.

Oltre alla verifica del tribunale circa la fattibilità anche economica della proposta di concordato preventivo, espressamente prevista dal primo comma dell'art. 47 CCII in sede di apertura della procedura (tale importante innovazione travalica i ristretti confini dell'oggetto di questo scritto e merita pertanto maggiore approfondimento in altra sede), ci si riferisce, in particolare, all'onere di attestare la veridicità dei dati aziendali, sino ad ora esclusivo appannaggio del professionista nominato dal debitore, che oggi è stato, in determinate circostanze, attribuito al collegio dell'Organismo di Composizione della Crisi d'impresa.

Ai sensi dell'art. 19 CCII, difatti, nel caso in cui il debitore, anche all'esito dell'audizione in via riservata e confidenziale del debitore dinnanzi al collegio dell'OCRI prevista dall'art. 18 CCII, presenti istanza per l'accesso al procedimento di composizione assistita della crisi, il collegio fissa un termine non superiore a tre mesi, prorogabile per un massimo di ulteriori tre mesi in caso di positivi riscontri delle trattative in corso, per la ricerca di una soluzione concordata della crisi stessa. In pendenza di tale termine, il Collegio deve quindi acquisire dal debitore, ovvero predisporre direttamente, su richiesta di quest'ultimo, la documentazione di cui al secondo comma dell'art. 19 CCII e, segnatamente: (i) una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa e (ii) un elenco dei creditori e dei titolari di diritti reali o personali, con indicazione dei rispettivi crediti e delle eventuali cause di prelazione.

Il terzo comma della disposizione in esame – e qui si ritrova la novità introdotta dalla riforma – dispone espressamente che “Quando il debitore dichiara che intende presentare domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti o di apertura del concordato preventivo, il collegio procede, su richiesta del debitore, ad attestare la veridicità dei dati aziendali”.

Come si evince dalla lettura della Relazione Illustrativa del Decreto Legislativo, la ratio che sottende alla disposizione in commento (così come quella che rimette eventualmente al collegio dell'OCRI la predisposizione della documentazione inerente all'impresa che abbia richiesto di accedere al procedimento di composizione assistita della crisi) deve rinvenirsi nell'“opportunità di disporre di tutti gli elementi conoscitivi utili a valutare la situazione dell'impresa e ad individuare il possibile oggetto delle trattative, […] anche al fine di precostituire la documentazione necessaria per l'accesso ad una procedura concorsuale, così realizzandosi evidenti economie di tempi e costi procedurali in linea con il principio di cui all'articolo 2, comma 1, lettera l), legge delega n. 155/2017”.

Sebbene la formulazione testuale della norma non sia particolarmente chiara sul punto, lasciando supporre che l'attestazione inerente alla veridicità dei dati aziendali debba essere rimessa all'esclusiva competenza del collegio dell'OCRI nel caso in cui il debitore, all'esito del procedimento di composizione assistita della crisi, dichiari la sua intenzione di accedere ad una procedura concorsuale (i.e., accordo di ristrutturazione omologato o concordato preventivo), da una lettura sistemica del nuovo Codice sembra potersi affermare che il debitore possa invece, anche in tal caso, optareliberamente per il conferimento di tale compito ad un professionista indipendente di sua nomina.

Ciò, invero, si evince sia dal riferimento, operato dal terzo comma dell'art. 19 CCII, alla imprescindibile “richiesta del debitore”, prodromica all'attestazione del collegio circa la veridicità dei dati aziendali, sia dalla formulazione degli articoli 57, quarto comma, e 87, secondo e terzo comma, CCII, secondo cui tale attestazione deve essere rilasciata da un professionista indipendente in caso di accesso, rispettivamente, alla procedura per l'omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti ed al concordato preventivo.

L'attestazione del professionista indipendente per il rimborso a scadenza delle rate del contratto di mutuo con garanzia reale sui beni strumentali all'esercizio dell'impresa

Nell'ambito della procedura di concordato preventivo con continuità aziendale, il legislatore della riforma, accanto all'attestazione del professionista prevista dal primo comma dell'art. 100 CCII per il pagamento di crediti anteriori alla presentazione della domanda di concordato per prestazioni di beni o servizi, volta a confermare l'essenzialità di tali prestazioni ai fini della prosecuzione dell'attività d'impresa e la funzionalità degli stessi per il miglior soddisfacimento dei creditori, da un lato, ha chiarito che l'autorizzazione del tribunale di cui alla disposizione in commento può riguardare anche “il pagamento della retribuzione dovuta per la mensilità antecedente il deposito del ricorso ai lavoratori addetti all'attività di cui è prevista la continuazione” e, dall'altro lato, ha introdotto una ulteriore facoltà per il debitore proponente, in precedenza non prevista dalla legge fallimentare.

Con il secondo comma dell'art. 100 CCII, difatti, il legislatore ha consentito al debitore che, alla data di presentazione della domanda di concordato preventivo con continuità aziendale, abbia adempiuto le sue obbligazioni o che sia stato autorizzato dal tribunale a pagare il debito per capitale ed interessi scaduto a tale data, di chiedere al tribunale di essere autorizzato a rimborsare, alle scadenze contrattualmente convenute, le rate a scadere del contratto di mutuo con garanzia reale gravante su beni strumentali all'esercizio dell'impresa. A tal fine, il professionista indipendente dovrà attestare non solo l'essenzialità del mantenimento del bene ai fini della prosecuzione dell'attività d'impresa ed il vantaggio che i creditori potranno trarre dal regolare soddisfacimento del contratto di mutuo, ma dovrà inoltre asseverare “che il credito garantito potrebbe essere soddisfatto integralmente con il ricavato della liquidazione del bene effettuata a valore di mercato e che il rimborso delle rate a scadere non lede i diritti degli altri creditori”.

La ratio della nuova previsione è da rinvenire nella opportunità, ravvisata dal legislatore della riforma, di evitare che il debitore, al fine di soddisfare il debito per la restituzione di un finanziamento, sia costretto a contrarre, in pendenza della procedura concordataria, un nuovo debito, eventualmente a condizioni deteriori in ragione del peggioramento del suo merito creditizio, in evidente pregiudizio per la massa dei creditori concorsuali. Per questa via, in altri termini, il debitore che propone una domanda di concordato preventivo con continuità aziendale potrà – se debitamente autorizzato dal tribunale – considerare il debito derivante dal contratto di mutuo non già come interamente scaduto alla data del deposito della domanda di concordato preventivo (così come accade attualmente, ai sensi del combinato disposto degli artt. 169 e 55 della legge fallimentare), bensì come un flusso periodico, da inserire nel prospetto finanziario dell'impresa e, quindi, nel piano concordatario. La significativa rilevanza dell'innovazione appare evidente se si considerano, in particolare, quelle situazioni in cui un'impresa che avanzi una domanda di concordato preventivo con continuità aziendale intenda mantenere la proprietà dell'immobile in cui svolge la propria attività, senza trovarsi costretta, in ragione dell'avvio della procedura concorsuale, a considerare come scaduto tutto il debito garantito da ipoteca e senza, quindi, dover prevedere obbligatoriamente il pagamento di siffatto debito entro due anni dall'omologazione, ai sensi dall'art. 86 CCII (ad oggi entro un anno dall'omologazione, ex art. 186-bis l.fall.).

In tale contesto, il legislatore ha ribadito ancora una volta la centralità del ruolo del professionista indipendente nominato dal debitore, cui è affidato il delicato compito di verificare ed attestare, assumendosene la responsabilità anche penale (cfr. art. 342 CCII), il valore di mercato del bene concesso in garanzia e la potenziale capacità del debitore di soddisfare integralmente, grazie alla liquidazione di tale bene, l'importo residuo del credito garantito. Una volta compiuta tale verifica e resa la predetta attestazione, quella afferente alla mancanza di pregiudizio dei diritti degli altri creditori a seguito del pagamento delle rate a scadenza appare, prima facie, una diretta conseguenza della prima (fatti salvi i casi particolari in cui, ad esempio, nel corso della procedura il debitore non dovesse disporre di flussi sufficienti per soddisfare le rate a scadere del contratto di mutuo e potrebbe invece potenzialmente disporre delle risorse necessarie per soddisfare integralmente il debito garantito entro il periodo di moratoria consentito dal nuovo Codice).

L'attestazione del professionista indipendente relativa al compimento di operazioni contrattuali e riorganizzative del gruppo

Come noto, con il nuovo Codice il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento le procedure di composizione delle crisi che coinvolgono non già un singolo debitore, bensì un gruppo di imprese, dedicando finalmente attenzione a tale diffuso fenomeno, sino ad oggi considerato solo nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria (cfr. artt. 80 e ss. del D.Lgs. n. 270 dell'8 luglio 1999).

L'art. 284 CCII prevede infatti che “Più imprese in stato di crisi o di insolvenza appartenenti al medesimo gruppo e aventi ciascuna il centro degli interessi principali nello Stato italiano possono proporre con un unico ricorso la domanda di accesso al concordato preventivo di cui all'articolo 40 con un piano unitario o con piani reciprocamene collegati e interferenti. Parimenti può essere proposta con un unico ricorso, da più imprese appartenenti al medesimo gruppo e aventi tutte il proprio centro degli interessi principali nello Stato italiano, la domanda di accesso alla procedura di omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti, ai sensi degli articoli 57, 60 e 61”.

Il legislatore, quindi, ha proposto una soluzione normativa che recepisce taluni approdi della giurisprudenza di merito, consentendo così una valutazione unitaria della sussistenza dello stato di crisi e delle possibilità di superarlo per il tramite di una procedura all'uopo prevista dal nuovo Codice (sul punto, cfr. L. Benedetti, La disciplina dei gruppi d'impresa e il piano unitario di risanamento, in La riforma del fallimento. Il nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, a cura di M. Pollio, Italia Oggi, Serie speciale n. 2, 23 gennaio 2019).

In tal caso, e ferma restando la necessità di mantenere autonome le masse attive e passive delle singole imprese del gruppo coinvolte nella procedura, il professionista indipendente è chiamato ad attestare la veridicità dei dati aziendali afferenti a ciascuna impresa e la fattibilità del piano unitario o dei piani concordatari all'uopo predisposti. Come disposto dal primo comma dell'art. 285 CCII, il piano concordatario (o i diversi piani redatti dalle imprese facenti parte del gruppo) può prevedere la liquidazione di alcune imprese e la continuazione dell'attività di altre e, per verificare l'applicabilità della disciplina sul concordato in continuità aziendale, occorrerà confrontare i flussi complessivi derivanti dalla continuazione dell'attività con i flussi complessivi rivenienti dalla liquidazione: se i creditori delle imprese del gruppo sono soddisfatti prevalentemente grazie ai flussi derivanti dalla continuità aziendale diretta o indiretta (ivi compresa la cessione del magazzino), allora nella sua relazione il professionista indipendente dovrà altresì attestare che la prosecuzione dell'attività d'impresa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori, come previsto dal terzo comma dell'art. 87 CCII.

Una nuova tipologia di attestazione è stata introdotta dal legislatore della riforma proprio in relazione ai concordati di gruppo. Il secondo comma dell'art. 285 CCII consente infatti alle imprese del gruppo di prevedere, nell'ambito del piano o dei piani concordatari, “operazioni contrattuali e riorganizzative, inclusi i trasferimenti di risorse infragruppo”, a condizione che un professionista indipendente attesti che tali operazioni siano necessarie ai fini della continuità aziendale delle imprese coinvolte e rispondano all'obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo. Resta ferma, in tal caso, la facoltà dei soci delle società interessate dall'operazione di tutelare i propri diritti mediante l'opposizione all'omologazione del concordato, prevista dal quinto comma della disposizione in esame (che tuttavia compie un riferimento, a prima vista erroneo, alle “operazioni di cui al comma 1”). Il tribunale potrà nondimeno determinarsi ad omologare il concordato nel caso in cui ritenga di escludere la sussistenza di un pregiudizio “in considerazione dei vantaggi compensativi derivanti alle singole società dal piano di gruppo”.

La norma, quindi, sembrerebbe consentire alle società appartenenti al medesimo gruppo, che abbiano presentato una domanda di concordato unitaria (o comunque più domande collegate tra loro), di prevedere il trasferimento di una parte del patrimonio di una impresa ad un'altra del gruppo, al precipuo scopo di rendere il concordato di gruppo fattibile o, in ogni caso, più conveniente per i creditori. Secondo i primi commentatori, la norma sembra destinata a suscitare ampia discussione, dal momento che essa potrebbe comportare una deroga al principio di universalità della responsabilità patrimoniale di cui all'art. 2740 cod. civ., ed alla luce del fatto che il legislatore della riforma non ha ricevuto una espressa delega in tal senso nella Legge n. 155/2017. Sul punto, in dottrina si è già affermato che: “si tratta di una norma che, ove non ritenuta incostituzionale, vale a superare il contrasto interpretativo sino alla riforma risultato non componibile fra la giurisprudenza pressoché unanime e la dottrina largamente maggioritaria: la prima nega l'ammissibilità di proposte concordatarie (relative in particolare a concordati liquidatori con cessione di beni) che prevedano una cessione soltanto parziale dei beni del debitore anche quando l'eccedenza del ricavato dalla liquidazione dell'intero patrimonio sia destinato ai creditori di diverse società del medesimo gruppo, per violazione della norma (qualificata inderogabile) dell'art. 2740 c.c.; la seconda, invece, assume un orientamento molto più liberale in tema di determinazione del contenuto della proposta concordataria da parte dell'autonomia privata – vieppiù rispetto a proposte strutturate in una logica di concordato di gruppo – non ritenendo un ostacolo all'esplicarsi della stessa il principio dell'universalità della responsabilità patrimoniale del debitore” (in questi termini, cfr. L. Benedetti, op. cit.).

È proprio in quest'ultimo caso che il legislatore, confermando ulteriormente la centralità della figura e del ruolo del professionista indipendente incaricato dal debitore, ha assegnato a quest'ultimo il compito di attestare la necessità di siffatte operazioni nell'ottica della continuità aziendale ed il fatto che esse consentano il miglior soddisfacimento dei creditori, con una valutazione complessiva che dovrebbe aver riguardo non tanto alle specifiche imprese coinvolte, singolarmente considerate, quanto all'intero piano concordatario, o ai diversi piani facenti capo a ciascuna impresa del gruppo e tra loro strettamente collegati.

La responsabilità civile e penale dell'attestatore

Pur a seguito della recente novella legislativa, la peculiarità del ruolo che continua a rivestire l'attestatore, la rilevanza della posizione da quest'ultimo ricoperta e la crucialità del suo intervento nell'ambito delle procedure di composizione della crisi d'impresa consentono di confermare quanto già affermato con riferimento alla legge fallimentare con riguardo alle sue responsabilità, nel caso di attestazioni dolosamente o colposamente non veritiere.

Anche alla luce del nuovo Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza, infatti, si ritiene che la disciplina della responsabilità dell'attestatore possa farsi discendere sia dall'applicazione delle disposizioni del codice civile in tema di danno, sia da fattispecie di rilevanza penale espressamente previste dal Codice stesso. In relazione all'applicazione delle disposizioni in tema di danno, ci si riferisce in particolare alla responsabilità di natura contrattuale (ex art. 1218 cod. civ.) del professionista indipendente nei confronti dell'imprenditore che lo ha nominato ed alla responsabilità dello stesso nei confronti dei terzi, questa volta extracontrattuale (ex art. 2043 cod. civ.), in quanto riveniente dalla lesione del diritto ad una corretta informazione e derivante dall'affidamento che i soggetti estranei all'impresa debitrice ripongono nell'attività dell'attestatore, in considerazione della rilevanza del suo ruolo e della particolare posizione dallo stesso assunta. Sotto quest'ultimo profilo, si configura quindi sia una responsabilità del professionista nei confronti dei creditori anteriori all'omologazione, il cui danno può essere quantificato come la minor somma che tali creditori potranno ricavare dal fallimento successivo al tentativo di concordato - non andato a buon fine a causa dell'attestazione negligente o infedele - rispetto a quanto avrebbero potuto ottenere nel caso di una tempestiva apertura della procedura fallimentare, sia nei confronti dei creditori successivi all'omologazione, scaturente da una lesione della libertà contrattuale (si presume cioè che, nel caso in cui il debitore fosse fallito in precedenza, tali creditori non avrebbero stipulato alcun contratto), anche se, in quest'ultimo caso, la quantificazione del danno appare particolarmente complessa. Sul punto, vedasi più diffusamente G. Covino, L. Jeantet, La relazione del professionista attestatore tra fattibilità del piano ed “assicurazione” del pagamento proposto nel ricorso, in www.dirittobancario.it, Approfondimenti, Concordato preventivo, 29 marzo 2016.

Per quanto concerne, in particolare, tale ultimo profilo, l'art. 342 CCII ha confermato il reato di falso in attestazioni e relazioni del professionista nell'ambito delle procedure in esame, già introdotto dall'art. 236-bis l.fall. a seguito della riforma di cui al D.L 22 giugno 2012, n. 83, convertito con L. 7 agosto 2012, n. 134 e modificato dalla c.d. miniriforma del 2015. La nuova disposizione, tuttavia, se da un lato ha esteso l'ambito di punibilità del professionista indipendente, prevedendo l'applicabilità della norma per molte delle nuove mansioni oggi attribuite a quest'ultimo (ma, come si dirà, non per tutte), dall'altro ha in qualche modo circoscritto la portata delle fattispecie atte a determinare la sussistenza del reato.

Ai sensi della disposizione in commento, infatti: “Il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli articoli 56, comma 4, 57, comma 4, 58, commi 1 e 2, 62, comma 2, lettera d), 87, commi 2 e 3, 88, commi 1 e 2, 90, comma 5, 100, commi 1 e 2, espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro. Se il fatto è commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri, la pena è aumentata. Se dal fatto consegue un danno per i creditori la pena è aumentata fino alla metà.

Nella sua nuova formulazione, la norma annovera quindi, accanto alle attestazioni già previste dall'art. 236-bis l.fall., nuove fattispecie di reato, connesse, in particolare: (a) all'attestazione richiesta dal primo comma dell'art. 58 CCII nel caso in cui, prima dell'omologazione degli accordi di ristrutturazione, intervengano modifiche sostanziali del piano (in tal caso, la norma richiede altresì che vengano rinnovate le manifestazioni di consenso dei creditori parti degli accordi), o modifiche sostanziali degli accordi stessi; (b) all'attestazione prevista dal secondo comma della disposizione citata, nel caso in cui, dopo l'omologazione degli accordi di ristrutturazione, si dovessero rendere necessarie eventuali modifiche sostanziali del piano, necessarie al fine di assicurare l'esecuzione delle intese raggiunte con i creditori; (c) all'attestazione afferente al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste una causa di prelazione, nel caso in cui il debitore, con il piano di concordato, intenda presentare una proposta per il pagamento, parziale o dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, ai sensi dell'art. 88 CCII, che deve avere ad oggetto, inter alia, la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale; (d) alla relazione afferente alla circostanza che la proposta di concordato presentata dal debitore assicura il pagamento di almeno il trenta percento dell'ammontare dei crediti chirografari (percentuale ridotta al venti percento, quale misura premiale, nel caso in cui il debitore abbia richiesto l'apertura di un procedimento di allerta o utilmente avviato la procedura di composizione assistita della crisi), volta ad impedire l'ammissione di eventuali proposte concorrenti, come previsto dall'art. 90, quinto comma, CCII ed (e) all'attestazione richiesta dal secondo comma dell'art. 100 CCII nel caso in cui il debitore intenda essere autorizzato dal tribunale al rimborso delle rate a scadere del contratto di mutuo con garanzia reale gravante su beni strumentali all'esercizio dell'impresa, afferente alla circostanza che il credito garantito possa essere soddisfatto integralmente con il ricavato della liquidazione del bene effettuata a valore di mercato e che il rimborso di tali rate non lede i diritti degli altri creditori.

Attestazioni già previste dall'art. 236-bis

Trattasi, segnatamente:

  • dell'attestazione relativa alla veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica e giuridica del piano rivolto ai creditori e idoneo a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria, di cui all'art. 56 CCII;
  • dell'attestazione circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica e giuridica del piano economico-finanziario che consente l'esecuzione degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 57 CCII;
  • dell'attestazione relativa alla veridicità dei dati aziendali ed alla idoneità della convenzione di moratoria di cui all'art. 62 CCII a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi, e la ricorrenza di concrete prospettive che i creditori della stessa categoria non aderenti, cui sono estesi gli effetti della convenzione, possano risultare soddisfatti in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale;
  • della relazione di attestazione della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano concordatario (da rendere anche in caso di eventuali modifiche sostanziali della proposta p del piano) e che, in caso di concordato con continuità aziendale, deve confermare anche che la prosecuzione dell'attività d'impresa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori; e
  • nell'ambito del concordato con continuità aziendale, dell'attestazione richiesta ai fini del pagamento di crediti anteriori, afferente all'essenzialità di talune prestazioni di beni o servizi per la prosecuzione dell'attività d'impresa e la funzionalità del loro pagamento alla migliore soddisfazione dei creditori (oggi estensibile anche alla retribuzione dovuta ai lavoratori dipendenti per la mensilità antecedente il deposito del ricorso per concordato preventivo).

Alla luce di quanto sin qui esposto, risulta quantomeno singolare che il legislatore della riforma non abbia previsto alcuna sanzione penale con riferimento a talune delle nuove prerogative del professionista indipendente da lui stesso introdotte. Ci si riferisce, ad esempio, all'attestazione prevista dall'art. 13, terzo comma, CCII, nel caso in cui l'impresa che non ritenga adeguati, in considerazione delle sue caratteristiche, gli indici elaborati dal CNDCEC ai fini della presunzione di sussistenza di uno stato di crisi, in relazione alla quale la mancata previsione di una sanzione penale potrebbe in ipotesi depotenziare l'intera struttura degli strumenti di allerta previsti dal nuovo Codice.

Allo stesso modo, il mancato inserimento nell'elenco di cui all'art. 342 CCII di un richiamo al terzo comma dell'art. 18 CCII, nel porre al riparo il professionista dalle conseguenze penali derivanti da una infedele attestazione circa l'esistenza di crediti d'imposta o di altri crediti verso le pubbliche amministrazioni, potrebbe comportare un significativo indebolimento del ruolo affidato agli Organismi di Composizione della Crisi d'Impresa, che potrebbero trovarsi in qualche modo obbligati, a fronte della presentazione di una attestazione inveritiera, a disporre l'archiviazione delle segnalazioni ricevute (la disposizione di cui al terzo comma dell'art. 18 CCII, difatti, precisa che il collegio debba disporre “in ogni caso” l'archiviazione delle segnalazioni ricevute allorché l'organo di controllo societario, se esistente, o, in sua mancanza, un professionista indipendente, attesti l'esistenza dei crediti in parola).

Sorprende, infine, che il legislatore della riforma non abbia incluso nel novero delle fattispecie da cui può discendere una responsabilità penale del professionista indipendente anche l'espressione di false o reticenti informazioni nell'ambito delle attestazioni previste per il concordato di gruppo. A ben vedere, difatti, né l'attestazione inerente alla veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano o dei piani concordatari di cui al quinto comma dell'art. 284 CCII, né quella afferente alla necessità delle operazioni contrattuali e riorganizzative del gruppo, inclusive dei trasferimenti di risorse infragruppo, ai fini della continuità aziendale, di cui al secondo comma dell'art. 285 CCII sono contemplate dalla norma in commento quali fonti di potenziale responsabilità penale del professionista indipendente. In considerazione della rilevanza, nell'economia moderna, del fenomeno dei gruppi di imprese, la gravità di tale omissione appare evidente e rende oltremodo opportuno un immediato intervento riparatore da parte del legislatore.

Come affermato in precedenza, con la formulazione del nuovo art. 342 CCII il legislatore ha altresì posto un limite alle fattispecie atte a determinare la sussistenza del reato, dirimendo taluni contrasti interpretativi sorti già con riferimento all'art. 236-bis l.fall..

La norma in commento, difatti, precisa che le “informazioni false” esposte dal professionista indipendente e le “informazioni rilevanti” che lo stesso omette di riferire afferiscono la “veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati”. Per questa via, il legislatore sembra aver inteso chiarire che, a tutela del diritto dei creditori di esprimere il loro consenso informato in merito alle diverse procedure di composizione della crisi (già con riferimento all'art. 236-bis l.fall. la giurisprudenza ha avuto modo di osservare che l'ambito di applicazione di tale norma si estende, sotto il profilo oggettivo, a qualsiasi informazione rilevante affinché i creditori possano esprimere il loro consenso informato. Secondo la giurisprudenza di merito, quindi, è corretto instaurare il procedimento di revoca dell'ammissione al concordato e dichiarazione del fallimento nel corso di una procedura ex art. 173 l.fall. che abbia ad oggetto la divergenza tra commissario e liquidatore rispetto alle prospettive finanziarie dell'impresa in stato di crisi. In questo caso la valutazione del Tribunale dovrà riguardare la correttezza dei procedimenti logici e tecnici adottati dal professionista attestatore in relazione al vaglio di fattibilità del piano), ciò che rileva in primo luogo è la veridicità e la completezza delle informazioni contenute nelle relazioni che il professionista indipendente è incaricato di rendere. Oltre alla veridicità dei dati aziendali, su cui l'attestatore è chiamato espressamente a pronunciarsi, la veridicità deve riguardare, ad esempio, l'effettiva necessità di proseguire l'attività d'impresa per garantire la miglior soddisfazione dei creditori.

La più recente novella non ha tuttavia superato i dubbi già sollevati con riferimento alla corrispondente norma contenuta nella legge fallimentare in relazione all'individuazione della condotta omissiva da considerare ai fini della configurabilità del reato e, in particolare, con riguardo alla tipizzazione del requisito di “rilevanza” che deve essere riconosciuto nelle “informazioni” omesse. Tale espressione può essere infatti interpretata in una prospettiva soggettiva, includendo quindi le informazioni omesse che abbiano un rilievo ai fini della creazione della volontà dei creditori, oppure il concetto di rilevanza può essere interpretato secondo una lente quantitativa ed oggettiva, configurandosi quindi come rilevanti esclusivamente le omesse informazioni che possano generare importanti conseguenze economiche sulle procedure di composizione della crisi d'impresa (cfr. G. Bersani, La responsabilità penale del professionista attestatore ai sensi dell'art.236 bis L.F. fra analisi dottrinali e prime applicazioni giurisprudenziali, in www.ilcaso.it., 2015).

A tal riguardo, si ritiene possa tornare ancora utile l'orientamento espresso con riferimento all'art. 236-bis l.fall. dall'Ufficio Studi della Corte di Cassazione, secondo cui la genericità del requisito di rilevanza per le informazioni omesse “potrebbe essere attenuata qualora si ipotizzasse che il legislatore abbia ritenuto necessario per la configurabilità del reato che lo scostamento dalla realtà debba considerarsi “rilevante” quando risulti idoneo a falsare, nel complesso e in maniera significativa, la relazione o l'attestazione” (cfr. Centro Studi Suprema Corte di Cassazione, rel. n. III/07/2012, in www.cortedicassazione.it). Di conseguenza, aderendo a tale prospettazione, risulterebbe che il requisito della “rilevanza” vada valutato prevalentemente in relazione al giudizio finale della relazione o attestazione, in modo da considerare consumato il reato esclusivamente quando l'omessa informazione rilevante abbia falsato tale giudizio (cfr. G. Sandrelli, Le esenzioni dai reati di bancarotta e il reato di falso in attestazioni e relazioni, in www.ilfallimentarista.it, n. 2, 2013; F. Tetto, Le false o fraudolente attestazioni del professionista ex art. 161, comma 3, l.fall.: alla ricerca di un'evanescente tipicità penalmente rilevante, in Il Fallimento, 2012).

In relazione all'elemento psicologico del reato, il falso in attestazioni o relazioni di cui all'art. 342 CCII risulta integrato dal dolo generico per quanto concerne la fattispecie base prevista al primo comma. Il dolo generico deve essere riferito a tutti gli elementi della fattispecie di reato e consiste, quindi, nella consapevolezza della falsità delle informazioni esposte e/o della omissione di informazioni rilevanti, e nella volontà di trasmettere o omettere di riferire tali informazioni (cfr. M. Monteleone, La responsabilità penale e civile dell'attestatore nei procedimenti di composizione della crisi d'impresa, in Osservatorio sulle Crisi d'Impresa, in www.osservatorio-oci.org). Parte della dottrina ha inoltre affermato che attraverso l'applicazione del dolo generico nella sua forma del dolo eventuale, possa considerarsi realizzato l'elemento soggettivo del reato anche nelle ipotesi di negligenza e mancato rispetto della necessaria diligenza da parte del professionista nell'espletamento delle sue funzioni (cfr. G. Bersani, La responsabilità penale del professionista attestatore ai sensi dell'art.236 bis L.F. fra analisi dottrinali e prime applicazioni giurisprudenziali, in www.ilcaso.it., 2015., secondo cui tale posizione assume particolare rilevanza in considerazione del fatto che, sussistendo una vasta disponibilità di istruzioni tecnico-pratiche elaborate dalle sezioni fallimentari dei Tribunali e dagli ordini professionali, risulta difficile ritenere che un professionista che non abbia applicato la necessaria diligenza nello svolgimento delle proprie mansioni nell'ambito di una procedura di risoluzione della crisi d'impresa, lo abbia fatto per mera negligenza e in assenza di una precisa volontà o previsione delle conseguenze che sarebbero derivate da tale comportamento.). In particolare, tale fattispecie potrebbe configurarsi quando un professionista attestatore, invece di compiere direttamente tutte le attività a lui preposte, deleghi parte di tale attività a terzi, limitandosi successivamente a rivendicare la paternità della relazione. Anche se ignaro della violazione delle norme tecniche e dei principi di diligenza che dovrebbero essere applicati nel corso di tale attività, il professionista si assumerebbe in ogni caso in prima persona il rischio di porre in essere una condotta riconducibile alla disposizione in esame (cfr. R. Fontana, La responsabilità penale del professionista attestatore, in www.ilfallimentarista.it, 2014.).

In relazione alla fattispecie prevista dal comma 2 dell'art. 342 CCII sembra invece configurabile una punibilità a titolo di dolo specifico, essendo necessaria la coscienza e volontà di conseguire un ingiusto profitto per sé e per altri. In ogni caso, ed in ossequio ai principi generali in tema di diritto penale, l'accertamento dell'elemento psicologico del reato deve essere provato caso per caso, non potendosi considerare implicito in seguito alla semplice realizzazione del fatto (cfr. S. Fiore, Nuove funzioni e vecchie questioni per il diritto penale nelle soluzioni concordate della crisi d'impresa, in Il Fallimento, n. 9, 2013, 1193 ss.).

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