La SIS: un nuovo veicolo di investimento societario per lo sviluppo del venture capital in Italia

Fabrizio Rosso
06 Giugno 2019

Con il c.d. Decreto Crescita (D.L. 30 aprile 2019, n. 34), pubblicato in gazzetta ufficiale il 30 aprile 2019 ed entrato in vigore il 1° maggio 2019, è stata introdotta nell'ordinamento italiano la società di investimento semplice (SIS), un nuovo veicolo di investimento creato per sviluppare il venture capital in Italia, incentivando il finanziamento delle piccole e medie imprese (PMI) non quotate.Il modello societario concepito con lo schema del Decreto Crescita pareva assimilabile al fenomeno dei c.d. club deal, gruppi di investitori che, associandosi, impegnano collettivamente dei capitali per acquisire o finanziare una o più società target, su cui singolarmente non sarebbe possibile investire o vi sarebbe una eccessiva concentrazione del rischio.Le caratteristiche di tale veicolo societario sono poi mutate nel corso dell'iter che ha portato alle “intese” raggiunte il 23 aprile 2019 in Consiglio dei ministri. Il testo approvato dal Governo ha allontanato le SIS dal fenomeno dei club deal, collocandole piuttosto nell'ambito della gestione collettiva del risparmio.
L'introduzione delle SIS nel contesto della travagliata approvazione del D.L. Crescita: un modello societario distante da quello inizialmente concepito con lo schema di decreto-legge

Con la pubblicazione in gazzetta ufficiale del c.d. Decreto Crescita (D.L. 30 aprile 2019, n. 34), sono entrate in vigore il 1° maggio 2019 una serie di misure volte al rilancio economico del Paese. Fra queste, il presente contributo si propone di analizzare la società di investimento semplice (SIS), un nuovo veicolo di investimento creato per sviluppare il venture capital in Italia, incentivando il finanziamento delle piccole e medie imprese (PMI) non quotate.

Questo nuovo modello societario è sorto, inizialmente, con una proposta di emendamento al c.d. Decreto Semplificazioni (D.L. 14 dicembre 2018, n. 135), in occasione della conversione in legge del provvedimento, recepita poi nello schema del Decreto Crescita, approvato “salvo intese” dal Consiglio dei Ministri il 4 aprile 2019. Il modello societario concepito con lo schema di decreto-legge pareva assimilabile al fenomeno dei c.d. club deal, gruppi di investitori che, associandosi, impegnano collettivamente dei capitali per acquisire o finanziare una o più società target, su cui singolarmente non sarebbe possibile investire o vi sarebbe una eccessiva concentrazione del rischio.

Le caratteristiche di tale veicolo societario sono mutate nel corso dell'iter, alquanto travagliato sul piano politico, che ha portato alle “intese” raggiunte il 23 aprile 2019 in Consiglio dei ministri. Il testo approvato dal Governo ha allontanato le SIS dal fenomeno dei club deal, collocandole piuttosto nell'ambito della gestione collettiva del risparmio. Il Decreto Crescita, pubblicato in gazzetta ufficiale il 30 aprile 2019, ha comportato, infatti, una revisione delle misure prima ipotizzate con lo schema di decreto-legge e, fra queste, di quelle concernenti l'istituto in esame. Si consideri poi che la disciplina delle SIS potrà essere emendata in occasione della prossima conversione in legge del provvedimento.

Pertanto, prima di entrare nel merito della disciplina delle SIS, così come prevista dal Decreto Crescita (già in vigore, ma ancora oggetto, come detto, di possibili emendamenti), pare opportuno illustrare preliminarmente il modello di SIS ipotizzato con lo schema di decreto-legge. Ciò anche al fine di meglio comprendere la diversa struttura assunta dalle SIS con il Decreto Crescita e le eventuali revisioni che dovessero sopraggiungere in sede di conversione in legge del provvedimento (che dovrà concludersi entro il mese di giugno).

La Società di Investimento Semplice (SIS): la precedente versione prevista dall'art. 28 dello schema del Decreto Crescita

Le modifiche al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo Unico della Finanza), progettate dall'art. 28 dello schema del Decreto Crescita, configuravano la SIS come una “società per azioni”, dotata di un “capitale” massimo di 25 milioni di euro, da raccogliersi presso “investitori professionali e/o business angel”, mediante l'offerta di “azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi”, con sede legale e direzione generale in Italia e gestita da uno o più soggetti in possesso dei requisiti di onorabilità di cui all'art. 13, commi 2 e 5, del TUF.

Tale veicolo societario doveva avere quale oggetto sociale esclusivo “l'investimento collettivo del patrimonio raccolto in PMI non quotate su mercati regolamentati di cui all'art. 2 paragrafo 1, lettera f), primo alinea, del regolamento (UE) n. 2017/1129 del 14 giugno 2017 che si trovano nella fase di sperimentazione, di costituzione e di avvio dell'attività”.

L'oggetto sociale delle SIS prevedeva, quindi, l'investimento collettivo nelle PMI (ai sensi del Regolamento UE 2017/1129), della società che, in base al suo più recente bilancio annuale o consolidato, soddisfi almeno due dei tre criteri seguenti:

(i) numero medio di dipendenti nel corso dell'esercizio inferiore a 250;

(ii) totale dello stato patrimoniale non superiore a 43 milioni di euro;

(iii) fatturato annuo netto non superiore a 50 milioni di euro, che versavano “nella fase di sperimentazione, di costituzione e di avvio dell'attività”.

Come si evince anche dalla relazione illustrativa e tecnica dello schema di decreto-legge, lo scopo del legislatore era quello di aumentare gli investimenti nelle imprese in fase di crescita, facilitando mediante tali veicoli societari la raccolta dei capitali, a tutt'oggi ancora contenuta in Italia ma in costante crescita, presso investitori professionali e business angel.

Lo schema del Decreto Crescita concepiva, di fatto, le SIS come un organismo di investimento collettivo, rendendo tuttavia inapplicabile alle stesse SIS l'intera disciplina degli OICR, con una espressa disposizione che introduceva nell'elenco di cui all'art. 32-quater, secondo comma, TUF la lettera g-bis. Secondo tale impostazione, le SIS avrebbero operato in assenza di autorizzazione preventiva da parte di Banca d'Italia, sottraendosi anche alla vigilanza da parte delle Autorità che, tipicamente, vigilano sul comparto della gestione collettiva (Banca d'Italia e Consob).

Tale esenzione, seppur apprezzabile in termini di semplificazione, sembrava alquanto contraddittoria: l'ambito proprio delle SIS era – esclusivamente – quello della gestione collettiva del risparmio, che tuttavia sfuggiva all'intero corpus normativo applicabile al medesimo ambito. Ciò avrebbe determinato un potenziale contrasto tra la disciplina nazionale e quella europea (si pensi, in particolare, all'impianto normativo previsto dalla Direttiva AIFMD, applicabile ai soggetti che svolgono l'attività di gestione collettiva del risparmio), che avrebbe probabilmente compromesso la stabilità e lo sviluppo di tale istituto. Probabilmente, risiede in tale criticità la ragione principale che ha portato all'espunzione della suddetta esenzione dal testo “definitivo” del Decreto Crescita, che, come si vedrà, riconduce invece l'istituto delle SIS nell'ambito proprio dei gestori collettivi del risparmio, applicando alle stesse talune semplificazioni dei gestori FIA c.d. “sotto soglia”, ossia quei gestori di FIA con un patrimonio al di sotto delle soglie individuate dalla Direttiva AIFMD.

Lo schema del Decreto Crescita prevedeva poi l'aggiunta, dopo l'art. 50-quinquies del TUF, di un capo IV intitolato “società di investimento semplice”, nell'ambito del quale si inseriva il nuovo art. 50-sexies, contenente la “disciplina delle società di investimento semplice”. Tale disposizione stabiliva, in primo luogo, che i “soci fondatori” di una o più SIS, con “capitale” complessivo di 25 milioni di euro, e i soggetti a questi legati da un rapporto di controllo o collegamento (ai sensi dell'art. 2359 c.c.) potessero procedere alla costituzione di un'altra SIS o anche di più SIS – rispettando il limite di 25 milioni di euro di capitale – solo dopo aver deliberato la messa in liquidazione di una o più delle SIS preesistenti. L'intento di tale previsione, il cui ambito applicativo è stato poi rivisto con il Decreto Crescita, era quello di disincentivare la frammentazione di progetti di investimento più rilevanti, in aggiramento del suddetto limite previsto per ciascuna SIS.

Infine, l'ipotizzato art. 50-sexies del TUF disponeva l'impossibilità per le SIS di emettere obbligazioni e disapplicava alcune norme proprie della società per azioni:

  • l'art. 2349 c.c., concernente l'emissione di speciali categorie di azioni e di strumenti finanziari a favore dei prestatori di lavoro;
  • l'art. 2350, commi secondo e terzo, c.c., secondo cui la s.p.a. può emettere azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell'attività sociale in un determinato settore, ma ai possessori di tali azioni non possono essere pagati dividendi se non nei limiti degli utili risultanti dal bilancio d'esercizio;
  • l'art. 2353 c.c., relativo alle azioni di godimento;
  • gli artt. da 2447-bis a 2447-decies c.c., ossia la disciplina relativa ai patrimoni destinati a uno specifico affare.
La Società di Investimento Semplice per Azioni a Capitale Fisso: la “nuova” SIS alla luce dell'art. 27 del Decreto Crescita

Come anticipato, le SIS assumono con il Decreto Crescita una nuova veste, distante da quella inizialmente ipotizzata. L'art. 27 del Decreto Crescita inserisce, infatti, nell'art. 1, primo comma, del TUF una “nuova” definizione di SIS, che la riconduce a pieno titolo nell'ambito della gestione collettiva del risparmio.

Questa viene configurata come il FIA (fondo d'investimento alternativo) italiano, riservato a investitori professionali, costituito in forma di Sicaf (società di investimento a capitale fisso), che gestisce direttamente il proprio patrimonio (c.d. Sicaf autogestita). Da un veicolo societario inizialmente assimilabile ai club deal, si giunge quindi ad un gestore collettivo avente forma societaria, in particolare ad un OICR di tipo chiuso riservato ai soli investitori professionali e non più anche ai “business angel” (categoria quest'ultima di investitori inizialmente prevista dallo schema di decreto-legge, senza però una sua definizione). Si configura così un nuovo strumento societario di investimento dedicato al settore del venture capital ed armonizzato alla disciplina del mercato dei capitali.

Per essere qualificata come SIS, la società deve rispettare tutte le seguenti condizioni:

(i) il patrimonio netto non può eccedere l'importo di 25 milioni di euro;

(ii) l'oggetto sociale deve essere esclusivamente quello dell'investimento diretto del patrimonio raccolto in PMI non quotate su mercati regolamentati, di cui all'art. 2 paragrafo 1, lettera f), primo alinea, del regolamento (UE) 2017/1129 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2017, che si trovino nella fase di sperimentazione, di costituzione e di avvio dell'attività;

(iii) non può ricorrere alla leva finanziaria;

(iv) deve disporre di un capitale sociale almeno pari a quello previsto per le s.p.a. di diritto comune (50 mila euro).

La ridefinizione della SIS giova senz'altro alla stabilità del nuovo istituto. Anzitutto, il limite di 25 milioni di euro viene più correttamente riferito al “patrimonio netto” della società e non al “capitale […] raccolto […] mediante l'offerta di proprie azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi”. La nuova formulazione risolve, in primo luogo, l'antinomia presente nello schema di decreto-legge: è evidente, infatti, come la raccolta di “capitale” non potesse avvenire mediante l'offerta di “strumenti finanziari partecipativi” (questi ultimi, a seconda che sia previsto o meno l'obbligo di rimborso, sono da iscriversi fra i debiti della società o in una apposita riserva del patrimonio netto). Inoltre, il riferimento al patrimonio netto include l'eventuale sovrapprezzo, che viceversa nella precedente formulazione non si sarebbe potuto considerare nel computo del capitale sociale (ciò poteva comportare l'aggiramento del limite di 25 milioni di euro, in quanto tale limite veniva prima parametrato al solo “capitale”).

Resta fermo l'oggetto sociale della SIS, limitato all'investimento collettivo nelle PMI non quotate che si trovano “nella fase di sperimentazione, di costituzione e di avvio dell'attività”. Permane, tuttavia, un aspetto non del tutto chiaro in ordine allo spettro delle PMI in cui le SIS potranno investire, in quanto la predetta formulazione sembra sì identificare il periodo iniziale dell'attività sociale, ma manca una precisa demarcazione temporale e, comunque, oggettiva delle fasi in cui deve versare la PMI target. Probabilmente, la definizione normativa vuol riferirsi alle seguenti fasi, riconosciute nel settore del venture capital: “seed financing” (sperimentazione), “start-up financing” (costituzione) ed “early-stage financing” (avvio dell'attività). È comunque auspicabile, in sede di conversione in legge del decreto, una precisazione sul punto, sì da identificare chiaramente le PMI oggetto del possibile investimento da parte delle SIS.

Viene poi precisato che la SIS non può far ricorso alla leva finanziaria. Inizialmente, con lo schema di decreto-legge, si era previsto il divieto di emettere obbligazioni: pareva, quindi, ammessa la possibilità per la SIS di raccogliere finanziamenti da parte di soci o di terzi, che peraltro non si sarebbero computati nella soglia massima di “capitale” (25 milioni di euro). In ogni caso, non era precluso l'utilizzo della leva finanziaria. Con la nuova formulazione, viene espressamente escluso l'utilizzo della leva finanziaria, a differenza delle ordinarie Sicaf per cui l'utilizzo della leva è ammesso entro certi limiti. Si consideri, altresì, che la SIS, in quanto costituita in forma di Sicaf, non può emettere obbligazioni. Pertanto, il patrimonio della SIS potrà essere raccolto esclusivamente mediante l'emissione di azioni o di altri strumenti finanziari partecipativi, esclusi comunque gli strumenti finanziari aventi natura obbligazionaria.

Trattandosi di “Sicaf” – e non più di una comune società per azioni – è stata prevista, con un chiaro intento agevolativo, una deroga all'art. 35-bis, primo comma, lett. c), TUF, prevedendo quale requisito della SIS un capitale sociale almeno pari a quello previsto dal Codice Civile per le s.p.a. (50 mila euro), in luogo di quello determinato in via generale dalla Banca d'Italia per le Sicaf.

L'art. 27 del Decreto Crescita, dopo aver fornito la definizione della SIS, introduce tre nuovi commi nell'art. 35-undecies del TUF, disposizione quest'ultima che conferisce alla Banca d'Italia e alla Consob la possibilità di esentare, nell'ambito delle rispettive competenze, i “gestori sotto soglia” dall'applicazione di alcune delle disposizioni attuative della normativa primaria da esse rispettivamente adottate. I nuovi commi, aventi ad oggetto le sole SIS, riguardano alcune peculiarità di tali organismi, che in considerazione delle dimensioni ridotte e dei vincoli di operatività sono sì soggetti alla disciplina della gestione collettiva del risparmio, ma in forma attenuata.

In primo luogo, alle SIS non si applicano le disposizioni attuative dell'art. 6, commi 1, 2 e 2-bis del TUF. Il riferimento è alla maggior parte delle disposizioni secondarie di Banca d'Italia e Consob in materia di gestione collettiva (queste riguardano, inter alia, l'adeguatezza patrimoniale, il contenimento del rischio, le informative da rendere al pubblico, i criteri e i divieti di investimento del patrimonio, l'organizzazione amministrativa e contabile, i controlli interni, i sistemi di remunerazione e di incentivazione, ecc.). Si configura così per le SIS un regime particolarmente snello, sul piano regolamentare, rispetto a quello comunemente applicabile ai gestori collettivi del risparmio, ciò in linea con i propositi agevolativi del provvedimento.

A fronte di tale semplificazione, si precisa che il sistema di governo e controllo deve essere adeguato al fine di assicurare la sana e prudente gestione delle SIS e l'osservanza delle disposizioni loro applicabili. Tale profilo sarà senz'altro oggetto di valutazione da parte di Banca d'Italia e Consob all'atto del rilascio dell'autorizzazione preventiva – prevista, in generale per tutte le Sicaf, dall'art. 35-bis del TUF e necessaria, quindi, anche per la costituzione delle SIS – e nel contesto della vigilanza esercitata dalle Autorità. Le attenuazioni regolamentari di cui sopra vengono compensate, altresì, dalla necessaria stipula, da parte delle SIS, di un'assicurazione sulla responsabilità civile professionale adeguata ai rischi derivanti dall'attività svolta. Inoltre, vengono espressamente applicate alle SIS le disposizioni dettate dalla Consob in materia di commercializzazione di OICR.

Sempre in chiave derogatoria, è prevista una ulteriore agevolazione. I partecipanti al capitale di cui all'articolo 15, primo comma, del TUF devono rispettare i soli requisiti di onorabilità previsti dall'art. 14 del TUF (e, conseguentemente, dal D.M. 11 novembre 1998, n. 469), e non anche i criteri di competenza e correttezza richiesti generalmente per i partecipanti al capitale di Sim, Sgr, Sicav e Sicaf.

In deroga all'art. 35-bis, quinto comma, del TUF, si precisa che la denominazione sociale della SIS deve contenere l'indicazione di “società di investimento semplice per azioni a capitale fisso”, ciò coerentemente con la forma di Sicaf assunta dalla “nuova” SIS.

Infine, con il nuovo comma 1-quater dell'art. 35-undecies del TUF, è stata riproposta, con una migliore formulazione, la norma, già presente nello schema di decreto-legge, volta a limitare il ricorso seriale alle SIS in aggiramento del limite di 25 milioni di euro. Tale disposizione dispone ora quanto segue: “I soggetti che controllano una SiS, i soggetti da questi direttamente o indirettamente controllati o controllanti, ovvero sottoposti a comune controllo anche in virtù di patti parasociali o vincoli contrattuali ai sensi dell'art. 2359 c.c., nonché i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso una o più SiS possono procedere alla costituzione di una o più SiS, nel rispetto del limite complessivo di euro 25 milioni”. Il nuovo campo applicativo ricomprende, dunque, alcune ipotesi di rilievo che lo schema di decreto-legge non aveva considerato. Come si è detto, la norma prima ipotizzata metteva a fuoco i soli “soci fondatori” (mancava, peraltro, una definizione di tali soggetti, non essendo chiaro, tecnicamente, chi fossero i “fondatori”), contemplando poi solo i soggetti a questi legati da un rapporto di controllo o collegamento ai sensi dell' art. 2359 c.c.

In conclusione

La ricostruzione del percorso che ha portato all'introduzione nel nostro ordinamento della SIS, ancora da perfezionarsi con la conversione in legge del Decreto Crescita, consente una prima riflessione in ordine a tale modello societario.

È da accogliersi certamente con favore lo strumento di investimento creato con il Decreto Crescita, che inevitabilmente ne ha mutato le caratteristiche inizialmente delineate per allinearlo ai vincoli derivanti dalla normativa europea in materia di gestione collettiva del risparmio.

Sotto un profilo regolamentare, questa nuova tipologia di Sicaf risulta attraente, beneficiando la stessa di un regime particolarmente agevolato, che riduce fortemente gli oneri sul piano organizzativo ed economico, altrimenti dovuti in ragione della natura di OICR assunta dalla SIS.

D'altra parte, considerata la ridotta dimensione patrimoniale del fenomeno, sarebbe auspicabile un sostegno, anche sul piano fiscale, di tale veicolo, sì da amplificarne gli effetti a favore di tutte le PMI e non soltanto di quelle “innovative”, come noto già agevolate sul piano fiscale.

Alla luce dei possibili emendamenti che dovessero sopraggiungere con la conversione in legge del Decreto Crescita e delle auspicate misure aggiuntive di natura fiscale, si potrà meglio apprezzare l'appeal di questo nuovo veicolo d'investimento, che senz'altro richiamerà l'attenzione degli operatori del settore.

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