Il caregiver familiare e il diritto alla scelta della sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere
10 Giugno 2019
Massima
Secondo quanto stabilito dall'art 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, il diritto del cd. caregiver familiare a scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio del congiunto disabile può essere esercitato sia all'atto dell'assunzione, mediante la scelta della sede in cui viene svolta l'attività lavorativa, sia nel corso del rapporto, con una domanda di trasferimento, ove ciò sia possibile e purché sussistano i requisiti oggettivi e soggettivi di cui all'art 33, comma 3, l. n. 104 del 1992. Invero la ratio della disposizione in oggetto è quella di agevolare coloro che si occupano dell'assistenza di un proprio parente non più autosufficiente, con il presupposto che il ruolo delle famiglie è fondamentale nella cura. Pertanto, è da ritenersi irrilevante se tale esigenza di assistenza sia sorta nel corso del rapporto di lavoro o sia presente già all'instaurazione dello stesso, poiché, la necessità di sostegno al congiunto disabile può essere fatta valere in ogni momento dal lavoratore.
Il caso
Un lavoratore dipendente di Poste Italiane S.p.a. avanzava domanda di trasferimento presso la sede di lavoro più vicina al Comune presso il quale era domiciliata la sorella necessitante di assistenza.
Tale diritto alla scelta della sede di lavoro era stato riconosciuto dalla Corte d'Appello, difformemente da quanto disposto dal giudice di primo grado. Infatti, la Corte territoriale di Milano aveva ritenuto integrati sia i requisiti di cui all'art 33, comma 3, l. n. 104 del 1992; sia la disponibilità di posti per lo svolgimento delle mansioni di recapito in uffici vicini alla residenza della predetta familiare; infine, aveva sostenuto che l'art 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, con riferimento alla scelta della sede lavorativa dovesse trovare applicazione tanto nella fase genetica del rapporto, quanto, successivamente, in caso di domanda di trasferimento proposta dal lavoratore.
Pertanto, la Corte d'Appello ordinava al datore di lavoro il trasferimento del lavoratore in una delle sedi più vicine al domicilio della sorella disabile tra quelle disponibili alla data della domanda di trasferimento.
Ciononostante, Poste Italiane S.p.a proponeva ricorso in Cassazione avanzando la pretesa di vedere riconosciuto l'agevolazione in favore del caregiver familiare solo in caso di prima scelta della sede lavorativa e non anche nelle ipotesi in cui la continuità dell'assistenza fosse stata interrotta con l'assegnazione iniziale della sede lavorativa e il dipendente mirasse a ripristinarla attraverso il trasferimento. Inoltre, la società ricorrente lamentava che l'ulteriore requisito dell'esclusività e della continuità dell'assistenza, ai fini dell'applicabilità dell'art 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, non era stato dimostrato dal lavoratore. Ulteriormente, la società argomentava che la posizione soggettiva del lavoratore era qualificabile non come diritto soggettivo, bensì come semplice interesse legittimo a scegliere la propria sede di servizio e sosteneva che il diritto al trasferimento del caregiver familiare, in quanto non incondizionato, avrebbe dovuto essere soggetto a un bilanciamento con le esigenze economiche, organizzative e produttive dell'impresa.
La Cassazione rigettava il ricorso e confermava la statuizione della Corte d'Appello.
Le questioni
La questione in esame riguarda i profili applicativi dell'art 33, comma 5, l. n. 104 del 1992 in ordine al riconoscimento del diritto del lavoratore a scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio del proprio congiunto non più autosufficiente non solo al momento iniziale di instaurazione del rapporto di lavoro, ma anche durante lo svolgimento dello stesso, a seguito di domanda di trasferimento, ove ciò sia possibile Le soluzioni giuridiche
Nell'ordinanza in commento, riguardante un caso di domanda di trasferimento del lavoratore presso la sede più vicina al domicilio del familiare disabile da assistere, la Suprema Corte prende una decisione di rilievo intervenendo sui profili applicativi dell'art 33, comma 5, l . n. 104 del 1992.
Infatti, la Cassazione afferma che la disposizione predetta non fa alcun riferimento letterale alla scelta iniziale della sede lavorativa e, altresì, la dizione letterale non implica la «preesistenza dell'assistenza in favore del familiare rispetto alla scelta della sede lavorativa (anche a seguito di trasferimento)». Dunque, secondo la Suprema Corte, il diritto alla scelta della sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere può essere esercitato dal lavoratore sia all'inizio del rapporto di lavoro, sia nel corso dello stesso con la domanda di trasferimento. Inoltre, il diritto alla scelta della sede può essere fatto valere tanto nel caso in cui la necessità di assistenza del congiunto disabile sia sopravvenuta, quanto se questa sia già sussistita al momento dell'assunzione, ma sia stata fatta valere dal lavoratore solo in un momento successivo. Invero, la Suprema Corte nega l'operatività dei requisiti di continuità ed esclusività dell'assistenza per effetto dell'art. 24, l. n. 183 del 2010 e della l. n. 53 del 2000, che ha eliminato il requisito della convivenza tra il lavoratore e il familiare portatore di handicap.
Pertanto, la Cassazione specifica, nell'ordinanza in commento, che la ratio dell'art 33, comma 5, l. n. 104 del 1992 è quella di «favorire l'assistenza al parente o affine diversamente abile» e definisce la predetta disposizione come «uno strumento indiretto di tutela a vantaggio delle persone in condizione di handicap, che si concretizza nell'agevolazione del familiare lavoratore nella scelta della sede dove svolgere la propria attività di modo che quest'ultima risulti il più possibile compatibile con la funzione solidaristica di assistenza».
Tuttavia, il diritto alla scelta della sede lavorativa non è incondizionato, infatti, oltre ai requisiti oggettivi e soggettivi di cui all'art 33, comma 3, l. n. 104 del 1992, dovrà essere operata una valutazione in ordine all'effettiva possibilità di trasferimento. Ovvero si dovrà verificare che «non vi siano esigenze aziendali effettive così urgenti da imporsi sulle contrapposte esigenti assistenziali» (Cass., sez. lav., 12 dicembre 2016, n. 25379, in italgiure.giustizia.it).
Ebbene, il datore di lavoro dovrà provare tali specifiche esigenze aziendali, «tecniche, organizzative e produttive, che in un equilibrato bilanciamento tra interessi risultino effettive e comunque non suscettibili di essere diversamente soddisfatte» (Cass., 12 ottobre 2017, n. 24015, in italgiure.giustizia.it Cfr. Cass., 12 dicembre 2016, n. 25379; Cass., 7 giugno 2012, n. 9201).
Pertanto, a fronte della «tutela “rafforzata” di cui beneficia il lavoratore che assiste il disabile» (M. Salvagni, L'interpretazione costituzionalmente orientata in materia di trasferimento del lavoratore che assiste il soggetto affetto da disabilità non grave, Nota a Cass., sez. lav., 12 dicembre 2016, n. 25379, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 2017, fasc. 2, pt. 2, p. 253), l'azienda dovrà provare che la scelta di rigettare l'istanza di trasferimento proposta dal lavoratore sia l'unica percorribile e dovrà motivare «con ragioni serie e oggettive e, soprattutto, non pretestuose» (M. Salvagni, Il diritto del lavoratore titolare dei benefici ex art. 33, comma 5, l. n. 104/92 a scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio del disabile, Nota a ord. Trib. Roma 28 febbraio 2017; ord. Trib. Roma 5 maggio 2017, n. 8853, in Lavoro e previdenza oggi, 2017, fasc. 11-12, pp. 735-744). Osservazioni
L'art 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, inserito nel più ampio sistema di disposizioni che tutelano le persone disabili, «trova fondamento sia nei principi costituzionali di solidarietà e tutela della salute della famiglia, sia nei diritti fondamentali contenuti nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità» (D. Mesiti, L'handicap ed il divieto di trasferimento del lavoratore, Nota a Cass., sez. lav., 7 giugno 2012, n. 9201, in Il Lavoro nella giurisprudenza, 2013, fasc. 5, pp. 514).
Infatti, come ha avuto modo di evidenziare la Corte Costituzionale, il diritto fondamentale alla salute psico-fisica del disabile, tutelato dall'art 32 Cost, ricomprende al suo interno anche l'assistenza e la socializzazione e va «garantito e tutelato, al soggetto con handicap in situazione di gravità, sia come singolo, che in quanto facente parte di una formazione sociale per la quale, ai sensi dell'art. 2 Cost., deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico».(Corte cost., sent. 5 luglio 2016, n. 213, incortecostituzionale.it Cfr. Corte cost., sent. 23 marzo 2010, n. 138).
Ebbene, il diritto alla scelta della sede di lavoro, di cui all'art 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, si pone in stretta correlazione con la tutela della salute psico-fisica della persona disabile, poiché è proprio attraverso l'agevolazione riconosciuta in favore di coloro che si occupano di un familiare non più autosufficiente che è possibile proteggere e garantire «il soddisfacimento dell'esigenza di socializzazione, in tutte le sue modalità esplicative» e tutti gli altri «fondamentali fattori di tutela della salute del portatore di handicap» stesso. (Corte cost., 5 luglio 2016, n. 213, in cortecostituzionale.it Cfr. Corte cost., 8 maggio 2007,n. 158; Corte cost., 5 dicembre 2003, n. 350).
Pertanto, in tale attuale sistema di tutele in cui «lo svantaggio delle persone con disabilità viene ricondotto a barriere che devono essere rimosse» (Marra A. D., Voce Disabilità, in Digesto delle Discipline Privatistiche – Sez. Civ. – IV Ed. Agg., UTET, Torino 2010), la garanzia e la protezione del diritto soggettivo del lavoratore a scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio del proprio familiare disabile può essere fatta valere ogni volta che si manifesti l'esigenza di sostegno. |