Il “procedimento unitario” per l'accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza

Marco Terenghi
12 Giugno 2019

Una delle principali novità sistematiche introdotte dal nuovo Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza è rappresentata dal c.d. “procedimento unitario” disciplinato dal Titolo III – Capo IV – Sezione II (artt. 40-53), che costituisce la modalità uniforme di accesso alle varie procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza previste dall'ordinamento concorsuale. Sotto la lente le regole generali più rilevanti.
Premessa

Una delle principali novità sistematiche introdotte dal nuovo Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza è rappresentata dal c.d. “procedimento unitario” disciplinato dal Titolo III – Capo IV – Sezione II (artt. 40-53), che costituisce la modalità uniforme di accesso alle varie procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza previste dall'ordinamento concorsuale. Obiettivo del presente approfondimento è quello di delinearne le regole generali più rilevanti, con particolare riferimento ai principi enunciati a far tempo dalla legge-delega e senza analizzare in modo specifico le peculiarità procedimentali proprie di ogni singola procedura.

Il quadro normativo

a) Il D. lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, recante il “Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza” (“CCII”) in attuazione della Legge-Delega 19 ottobre 2017, n. 155, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 38 del 14 febbraio 2019, ed entrerà in vigore, ad eccezione di alcune disposizioni di applicazione più ravvicinata, il 15 agosto 2020.

Tutte le procedure di regolazione della crisi e dell'insolvenza contemplate dal CCII ed instaurate a far tempo da tale data, quindi, saranno disciplinate, sotto il profilo processuale, dal c.d. “procedimento unitario” previsto dagli artt. 40-53, oltreché dai principi generali contenuti nella Parte Prima, Titolo I, Capo II, Sezioni da I a IV del CCII (cfr. art. 390 CCII – “disciplina transitoria”). Per converso, tutte le procedure pendenti al 15 agosto 2020 (intese come quelle per cui è stato depositato anche solo l'atto introduttivo) continueranno ad essere regolate dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (“Legge Fallimentare”) e dalla L. 27 gennaio 2012, n. 3 (“Legge sul sovra indebitamento”), così come lo saranno le procedure aperte a seguito della definizione dei ricorsi e delle domande presentati prima dell'entrata in vigore del CCII (ad esempio un procedimento di esdebitazione susseguente alla chiusura di un fallimento o di una procedura di liquidazione del patrimonio: F. Rasile-G. Zanotti, Codice della crisi di impresa: le disposizioni finali e le modifiche immediate delle disposizioni societarie, IlFallimentarista.it, 14.2.2019).

b) Attualmente, come noto, la fase introduttiva delle varie procedure lato sensu concorsuali trova la propria disciplina generalistica in parte nella Legge Fallimentare (art. 15 per il fallimento; artt. 124-125 per il concordato fallimentare; art. 161 per il concordato preventivo; art. 182-bis per l'accordo di ristrutturazione dei debiti; art. 195 per la liquidazione coatta amministrativa), in parte nel D. Lgs. 8.7.1999, n. 270 per l'Amministrazione Straordinaria (artt. 3 e segg.) e nel D.L. 23.12.2003, 347 per l'Amministrazione Straordinaria “speciale” (artt. 1 e 2), ed in parte nella L. 27.1.2012, n. 3 per il sovraindebitamento (artt. 8-9 per l'accordo di composizione della crisi o per il piano del consumatore; art. 14-ter per la liquidazione del patrimonio).

Gli orientamenti della “commissione Rordorf” e la Legge-Delega

a) La frammentazione normativa che caratterizza l'attuale quadro processuale di attivazione dei vari strumenti di regolazione della crisi/dell'insolvenza, insieme alle possibili criticità derivanti dalla necessità di coordinamento tra questi ultimi per evitare sovrapposizioni o disarmonie, ha rappresentato uno degli stimoli principali per concepire l'introduzione del “procedimento unitario” oggi recepito dal CCII.

Secondo gli originari intenti della “commissione Rordorf”, infatti, la semplificazione delle norme dirette a disciplinare l'introduzione delle varie procedure concorsuali doveva essere raggiunta attraverso la reductio ad unum della fase iniziale di queste ultime, rappresentata dalla creazione di un “contenitore processuale uniforme” di tutte le iniziative processuali fondate sulla prospettazione (e volte alla regolazione) della crisi o dell'insolvenza, fossero esse finalizzate alla conservazione o alla liquidazione dell'impresa o del patrimonio del debitore, a prescindere dalla sua natura (commerciale, civile, professionale, agricola), dimensioni (piccola, media, grande), struttura (persone fisiche, giuridiche, gruppi di imprese, cooperative, associazioni, fondazioni, onlus, enti ecclesiastici, società a partecipazione pubblica e società in house), con la sola eccezione degli enti pubblici.

In questo ambito procedimentale unico, espressamente deputato ad affrontare situazioni di crisi o di insolvenza attraverso strumenti di regolazione conservativa o disgregatoria, dovevano quindi confluire in contraddittorio tutte le domande e le istanze dei vari protagonisti (debitore, creditori, pubblico ministero), destinate ad essere scrutinate nella decisione dell'organo giurisdizionale attraverso l'adozione (in caso, ad esempio, di liquidazione giudiziale) oppure l'omologazione (nell'ipotesi, invece, di concordato preventivo) della soluzione più appropriata rispetto alla situazione di crisi o di insolvenza concretamente accertata.

Nelle intenzioni della Commissione, l'introduzione di un veicolo procedimentale unitario doveva altresì agevolare il coordinamento tra i molteplici modelli di procedure concorsuali esistenti ante riforma (fase prefallimentare, domanda di concordato prenotativo, concordato preventivo ed accordo di ristrutturazione dei debiti, dichiarazione d'insolvenza prodromica all'amministrazione straordinaria ed alla liquidazione coatta amministrativa, accordi e liquidazioni del debitore civile, dell'imprenditore non fallibile e del consumatore), ed in particolare la sovrapposizione tra procedimento per la dichiarazione di fallimento e domanda (più spesso pre-domanda) di concordato preventivo, da risolversi, in linea con gli orientamenti della Cassazione e con i principi affermati a livello europeo nella Raccomandazione 2014/135/UE e nel Regolamento UE 2015/848, mediante l'attribuzione di priorità agli strumenti negoziali di risoluzione della crisi e di ristrutturazione rispetto a quelli meramente liquidatori, salvi i casi di utilizzo dei primi in chiave meramente opportunistica.

A fronte di una fase iniziale di stampo unitario, il procedimento doveva poi ovviamente prestarsi a generare diversi possibili esiti, in relazione al tipo di provvedimento richiesto al giudice ed all'accertamento (positivo o negativo) della ricorrenza delle necessarie condizioni. In quest'ottica, secondo la Commissione, appariva coerente con il nuovo sistema che, all'interno del “contenitore unico”, un eventuale iter concordatario originario, una volta rivelatosi non praticabile, potesse automaticamente convertirsi, senza necessità di una nuova domanda, in uno scenario di tipo disgregatorio (o “fallimentare”, secondo la vecchia terminologia), poiché l'iniziale richiesta di attivazione del procedimento di regolazione della crisi ne avrebbe già ricompreso tutti i possibili esiti. Da qui, va segnalato, l'insorgere di alcune perplessità in ordine a possibili profili di criticità, o addirittura di costituzionalità, di una simile “conversione automatica” dell'iniziale percorso concordatario rivelatosi impraticabile, in un esito di tipo liquidatorio, su cui si tornerà brevemente nel prosieguo.

b) L'art. 2, lett. d)-e)-g), della legge-delega ha quindi imposto l'adozione di un unico modello processuale per l'accertamento dello stato di crisi o di insolvenza del debitore, ispirato proceduralmente all'art. 15 l.fall. e caratterizzato da:

  • particolare celerità anche nella fase di reclamo;
  • attribuzione della legittimazione ad agire al pubblico ministero “in ogni caso in cui egli abbia notizia dell'esistenza di uno stato di insolvenza”, nonché ai soggetti con funzioni di controllo e vigilanza sull'impresa;
  • possibilità di adozione di misure cautelari, anche da parte della corte d'appello;
  • armonizzazione del regime delle impugnazioni, “con particolare riguardo all'efficacia delle pronunce resa avverso i provvedimenti di apertura della procedura di liquidazione giudiziale ovvero di omologazione del concordato”;
  • assoggettamento al procedimento di ogni categoria di debitore (persona fisica o giuridica, ente collettivo, consumatore, professionista o imprenditore esercente un'attività commerciale, agricola o artigianale), con esclusione dei soli enti pubblici;
  • duttilità procedimentale, ravvisabile nella vocazione del modello unitario a disciplinare in modo distinto i diversi esiti possibili con riguardo all'apertura di procedure di regolazione concordata o coattiva, conservativa o liquidatoria, attraverso la valorizzazione delle peculiarità soggettive ed oggettive della fattispecie di volta in volta interessata;
  • attribuzione della priorità nella trattazione, salvi i casi di abuso, alle proposte dirette al superamento della crisi tramite la continuità aziendale, anche indiretta, purché funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori.

Si è voluto ravvisare, in questa prospettiva unificatrice, un'inversione di tendenza rispetto al sistema della Legge Fallimentare del 1942 così come riformato negli interventi normativi degli anni 2005, 2006 e 2007, in cui il procedimento per la dichiarazione di fallimento (riguardante le sole situazioni di insolvenza) ed il procedimento per l'ammissione e l'omologazione del concordato preventivo (orientato a regolare anche gli episodi di crisi) erano nettamente distinti (v. V. Lenoci, Le misure cautelari e protettive nella riforma concorsuale, in www.ilFallimentarista.it, 27.4.2018). L'affermazione può essere condivisa in linea generale, senza dimenticare, tuttavia, che proprio nella riforma introdotta dal D. Lgs. 9.1.2006, n. 5 si rinviene l'istituzione di un primo esempio di “procedimento uniforme” in ambito fallimentare, vale a dire quello previsto dagli artt. 98-99 l.fall. per unificare il rito delle varie tipologie di impugnazioni adottabili contro il provvedimento di chiusura dello stato passivo, sino a quel momento diversificato a seconda del singolo rimedio concretamente esperito. Il rilievo non deve stupire, poiché gli interventi normativi cominciati nei primi anni 2000 rappresentavano pur sempre il precipitato, seppur applicato in modo settoriale e particolare, della dinamica riformatrice a vocazione universalistica culminata nei lavori della “Commissione Trevisanato”, che però non era riuscita a trasformarsi, nonostante le intenzioni, in un reale momento di riforma organica e sistematica.

Il modello adottato dal Codice

I) I criteri elaborati dalla Commissione e successivamente trasfusi in sede di legge-delega trovano ora una sostanziale riaffermazione nella Relazione illustrativa del Governo al testo del D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, pubblicata il 10.1.2019. Al suo interno, in particolare, viene segnalato che la riforma organica si è attenuta al principio di adottare un unico modello processuale per l'accertamento dello stato di crisi o di insolvenza del debitore, valido per ogni categoria di debitore (persona fisica o giuridica, ente collettivo, consumatore, imprenditore esercente attività commerciale, agricola o artigianale, professionista, con esclusione dei soli enti pubblici), caratterizzato da particolare celerità e dalla priorità di trattazione riservata alle proposte che prevedano il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale, anche tramite un diverso imprenditore (pagg. 58-59). Anche lo stato di crisi e di insolvenza dei debitori indicati nell'art. 2, comma 1., lett. c) del CCII (consumatori, professionisti, imprenditori minori ed agricoli, start-up innovative, ogni altro debitore non assoggettabile alle procedure liquidatorie tipiche), quindi, viene ad essere regolato dal procedimento unitario nei limiti di compatibilità previsti dalle norme di richiamo specificamente dettate a tale scopo (art. 65, comma 2. ed art. 270, comma 5.).

II) I principi più rilevanti recepiti nel Codice, sotto il profilo sistematico, possono venire sintetizzati come segue.

a) Il procedimento unitario continua ad essere imperniato sul principio della domanda (si veda la Relazione illustrativa del Governo – pag. 117). In particolare, il suo esito è condizionato dal petitum formulato nel proprio atto introduttivo dai vari soggetti dotati di legittimazione ad agire, siano essi il ricorrente originario, il resistente o gli interventori (figura sicuramente nuova in un simile ambito procedimentale, sulla quale si tornerà nel prosieguo).

La precisazione in ordine alla centralità del principio della domanda è importante, poiché chiarisce e risolve quei dubbi che si erano affacciati tra i primi commentatori in ordine ai possibili profili di criticità, o addirittura di costituzionalità, di quella “conversione automatica” dell'iniziale percorso concordatario, rivelatosi impraticabile, in un esito di tipo liquidatorio, testualmente prospettata dalla Relazione Rordorf. Per quanto quest'ultima avesse avuto cura di precisare che una simile opzione non avrebbe comportato la reintroduzione sotto mentite spoglie della fallibilità d'ufficio, anzi espressamente esclusa, non si era mancato di notare tra gli interpreti come l'automatismo correlato al meccanismo di conversione lasciasse comunque intravedere una sorta di officiosità in capo all'organo giudicante nel dirottare la procedura verso l'esito liquidatorio, tanto da segnalare l'esigenza di rendere necessaria, a questo punto, un'espressa previsione normativa che autorizzasse la deroga al fondamentale principio della domanda ex art. 112 c.p.c., pena l'emersione di discrasie nel coordinamento tra quest'ultimo e la decisione finale (F. De Santis, Il processo uniforme per l'accesso alle procedure concorsuali, in Il Fallimento, 2016, 1051. La necessità di chiarimenti, già in sede di legge-delega, sulla scansione procedimentale si rinveniva anche in F: Lamanna, Osservazioni sul DDL delega della Commissione Rordorf , IlFallimentarista.it, 22.9.2016).

b) Viene codificata (art. 7) la regola generale di trattazione unitaria delle varie domande, affiancata da quella che attribuisce priorità alla delibazione delle istanze di accesso alle procedure di regolazione diverse dalla liquidazione giudiziale. In particolare:

i) Le domande dirette alla regolazione della crisi o dell'insolvenza vengono trattate in via d'urgenza ed in un unico procedimento: quindi, ogni domanda sopravvenuta va riunita a quella eventualmente già pendente.

ii) Se sono proposte più domande dirette all'apertura di procedure tra loro diverse (ad esempio una domanda di liquidazione giudiziale ed una di concordato preventivo), va trattata prioritariamente quella diretta a regolare la crisi o l'insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale o dalla liquidazione controllata, a condizione che nel piano sia espressamente indicata la convenienza per i creditori e che la domanda medesima non sia manifestamente inammissibile o infondata. Una diretta applicazione di tale principio si rinviene nell'art. 49, comma 1., il quale prevede l'apertura della liquidazione giudiziale una volta “definite le domande di accesso ad una procedura di regolazione concordata eventualmente proposte”: in sostanza, il tribunale dichiara l'apertura della liquidazione giudiziale quando eventuali domande alternative di regolazione della crisi/insolvenza non sono accolte, ed è accertato lo stato di insolvenza (oltreché nei casi in cui il concordato preventivo si trovi ad essere soggetto a fenomeni di terminazione anticipata: cfr. artt. 44 e 49, comma 2.).

c) Il modello adottato è “unitario” non solo nell'accezione di “uniforme” o “comune” alle varie possibili declinazioni procedurali (liquidazione giudiziale, concordato preventivo, accordo di ristrutturazione dei debiti, etc.), soggettive (debitore persona fisica o giuridica, imprenditore o consumatore, e così via) ed oggettive (situazione di crisi o stato di insolvenza), ma anche in quella di “monofasico”. In particolare, esso non implica l'introduzione di un sistema propriamente “bifasico”, come ad esempio quello caratteristico dell'amministrazione straordinaria disciplinata dal D.lgs. n. 270/1999, dove ad un preliminare accertamento dello stato di insolvenza (o di crisi) segue l'apertura della procedura vera e propria (o viceversa, come accade invece nelle ipotesi regolate dal D.L. 347/2003). Al contrario, il modello in questione va considerato come un procedimento unico, caratterizzato da un ingresso nella concorsualità tendenzialmente anticipato, “a tutela crescente e a protezione progressiva della proposta procedura” (Relazione, pag. 118), anche alla luce della possibilità di adottare le misure cautelari e protettive previste dagli artt. 54-55.

d) L'atto introduttivo del procedimento unitario, che si svolge dinnanzi al Tribunale in composizione collegiale, assume la forma del ricorso, per la presentazione del quale viene prevista, in via generale, la necessità del patrocinio ad opera del difensore munito di procura. L'unica deroga all'obbligo di difesa tecnica è prevista per l'accesso alla liquidazione giudiziale, dove il debitore può stare in giudizio personalmente (art. 9, comma 2.), e ciò per evitare di incidere ulteriormente sulla sua situazione di insolvenza con i costi derivanti dal patrocinio, anche alla luce della celerità e del carattere sommario che caratterizzano il procedimento d'ingresso alla liquidazione giudiziale, la cui disciplina risulta molto simile a quella dettata dall'attuale art. 15 l.fall.

Le regole-base ora esaminate possono tuttavia trovare una diversa declinazione in relazione alle domande concretamente formulate dalle parti. Si pensi, ad esempio, al ricorso per l'apertura della liquidazione giudiziale presentato da un creditore, con la conseguente applicazione dell'art. 41 (fissazione dell'udienza di comparizione, del termine per la notifica e di quello per la costituzione del debitore, il quale ha la facoltà di presentare una memoria e l'obbligo di depositare i documenti di cui all'art. 39). Ora, nulla esclude che il debitore, costituendosi, chieda in via principale il rigetto della domanda del creditore istante, contestando ad esempio la sussistenza dell'insolvenza, ed in subordine l'ammissione ad una procedura di regolazione della crisi (accordo di ristrutturazione o concordato preventivo): in questo caso, la domanda di accesso al procedimento di regolazione della crisi assume la forma di una memoria, anziché di un ricorso (si veda la Relazione Illustrativa sub art. 44), mentre il resistente evocato da una domanda di liquidazione giudiziale non può stare in giudizio personalmente laddove, oltre a difendersi rispetto ai presupposti per la declaratoria di insolvenza, intenda comunque chiedere l'accesso ad una procedura regolatoria di natura negoziata.

e) Secondo la Relazione, la vera innovazione rispetto alla Legge Fallimentare è rappresentata dalla possibilità di intervento di terzi legittimati a proporre la domanda e del P.M., pensata per agevolare la trattazione unitaria di più domande proposte contro lo stesso debitore ed ammissibile finché la causa non sia stata rimessa al collegio per la decisione. In effetti, l'art. 41 (“procedimento per l'apertura della liquidazione giudiziale”), al fine di assicurare la trattazione il più possibile unitaria di più domande proposte contro il medesimo debitore, prevede espressamente la possibilità di intervento nel procedimento da parte di terzi (creditori e pubblico ministero) legittimati a proporre la domanda, con il limite temporale della rimessione della causa al collegio per la decisione. Si tratta di un'evidente novità rispetto alla disciplina della Legge Fallimentare, che non contemplava forme di intervento in senso tecnico nel procedimento diretto alla dichiarazione di fallimento o alla presentazione della domanda di concordato preventivo (tuttalpiù, in presenza di più istanza di fallimento dirette contro la medesima persona, si procedeva alla loro riunione in previsione dell'udienza di comparizione del debitore in camera di consiglio)

f) La legittimazione attiva per l'accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza appartiene unicamente al debitore (art. 40, comma 3.), mentre quella diretta all'apertura della liquidazione giudiziale compete altresì ai creditori, al P.M. ed agli organi o alle autorità amministrative che svolgono funzioni di controllo sull'impresa.

Solo nel caso in cui venga presentata dal debitore, la domanda introduttiva del procedimento unitario è comunicata entro il giorno successivo al deposito, a cura del cancelliere, al registro delle imprese ai fini dell'iscrizione (oltreché trasmessa al Pubblico Ministero con la documentazione allegata). Qualora la domanda contenga la richiesta di misure protettive (che il debitore può formulare ai sensi dell'art. 54, comma 2., ottenendo l'inammissibilità/improcedibilità delle azioni cautelari o esecutive da parte dei creditori anteriori), il conservatore deve farne espressa menzione nell'eseguire l'iscrizione.

g) Nel caso di domanda proposta da un soggetto diverso dal debitore, la notificazione a quest'ultimo del decreto di convocazione dev'essere effettuata a cura dell'ufficio in via telematica (art. 40, comma 5.) all'indirizzo del servizio elettronico di recapito certificato qualificato o di posta elettronica certificata, risultante dal registro delle imprese ovvero dal registro INI-PEC delle imprese e dei professionisti. Nel caso in cui la notifica a mezzo P.E.C. non risulti possibile o non abbia esito positivo per causa imputabile al destinatario, la cancelleria procede senza indugio alla notificazione mediante l'inserimento del ricorso e del decreto nella c.d. “area web riservata” di cui all'art. 359 CCII, che sarà realizzata e disciplinata dal Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero della giustizia, e sentito il Garante per la protezione dei dati personali; in questo caso, la notifica si ha per eseguita nel terzo giorno successivo a quello dell'inserimento (art. 40, comma 6.). Il decreto diretto a disciplinare le modalità di accesso e funzionamento dell'area web riservata dovrà essere emanato entro l'1.3.2020 (art. 359, comma 2.); sino alla sua emanazione, trova applicazione la disciplina prevista per l'ipotesi di notifica non possibile o con esito negativo per causa non imputabile al destinatario, che prevede (in consonanza con quanto previsto dal vigente art. 15, terzo comma, l.fall.) la notifica a mani presso la sede risultante dal registro delle imprese, ovvero presso la residenza. Laddove non ne sia possibile l'esecuzione con tali modalità, la notificazione si intende perfezionata con il deposito dell'atto nella casa comunale della sede iscritta presso il registro delle imprese, ovvero presso la residenza (art. 40, comma 7.).

A garanzia dell'effettiva conoscenza della notifica da parte dei debitori non obbligati a munirsi di indirizzo P.E.C., l'art. 40, comma 7. prevede un adempimento aggiuntivo, costituito dalla notizia del deposito dell'atto e dell'avvenuta notifica anche mediante affissione dell'avviso in busta chiusa e sigillata alla porta dell'abitazione o dell'ufficio e mediante raccomandata con avviso di ricevimento.

h) Viene esplicitamente previsto (art. 43) che la rinuncia alla domanda comporta l'estinzione del procedimento, senza alcuna necessità di accettazione, ma è fatta salva la legittimazione del P.M. intervenuto a chiedere la liquidazione giudiziale, allo scopo di evitare un utilizzo strumentale del potere di rinuncia. Il tribunale pronuncia l'estinzione con decreto e può condannare alla rifusione delle spese la parte che vi ha dato causa; il provvedimento viene comunque comunicato al Pubblico Ministero, onde consentirgli l'esercizio del suo potere d'iniziativa, ed è soggetto all'iscrizione nel registro delle imprese ogniqualvolta lo era stata originariamente anche la domanda introduttiva.

i) Un'altra rilevante novità procedimentale introdotta dal CCII è costituita dal possibile esito del giudizio di reclamo dinnanzi alla corte d'appello contro il decreto motivato con cui il tribunale abbia rigettato la domanda di apertura della liquidazione giudiziale. Se la corte, pronunciando in camera di consiglio, decide di accogliere il reclamo, dichiara motu proprio aperta la liquidazione giudiziale (art. 50, comma 5.) e rimette gli atti al tribunale per l'adozione dei provvedimenti di cui all'art. 49, comma 3. (nomina degli organi, fissazione dell'udienza di verifica e così via): ciò in evidente diversità rispetto alla disciplina dell'attuale Legge Fallimentare, dove la corte d'appello, in caso di accoglimento del reclamo, rimette le parti al tribunale per la dichiarazione di fallimento.

l) Sempre in tema di impugnazioni, va registrata l'ulteriore innovazione recata dall'art. 51, comma 15. La norma prevede che, con la sentenza resa sull'impugnazione contro l'omologa del concordato preventivo o dell'accordo di ristrutturazione o contro l'apertura della liquidazione giudiziale, il giudice possa:

  • dichiarare se la parte soccombente ha agito o resistito con mala fede o colpa grave, revocando in tal caso con efficacia retroattiva l'eventuale provvedimento di ammissione della stessa al patrocinio a spese dello Stato;
  • in caso di società o enti, accertare se sussiste la mala fede del legale rappresentante che ha conferito la procura e, in caso positivo, condannarlo in solido con la società o l'ente al pagamento delle spese dell'intero giudizio e di una somma pari al doppio del contributo unificato ex art. 9, DPR 30.5.2002, n. 115.

Una simile previsione appare evidentemente volta a responsabilizzare ulteriormente gli organi di gestione delle società di capitali insolventi ed a scoraggiare la poco commendevole prassi delle impugnazioni strumentali “a costo zero”: accade spesso, infatti, che la curatela ed i creditori, trascinati in impugnazioni pretestuose da parte di soggetti palesemente decotti, si ritrovino poi nell'impossibilità di conseguire il ristoro delle spese di lite nei confronti della società insolvente, e prive di azione contro gli amministratori che hanno conferito la procura, i quali, non essendo parte processuale, non rispondono dei debiti sociali maturati in relazione all'attività giudiziale svolta.

In conclusione

Solo la concreta applicazione del nuovo modello processuale consentirà di valutare il suo funzionamento, la sua “tenuta” pratica e la sua effettive idoneità nel raggiungere gli obiettivi enunciati nella legge-delega e nella Relazione Illustrativa.

Va infatti segnalato come non mancassero, anche tra gli interpreti più autorevoli, dubbi o timori circa l'opportunità di adottare in via definitiva il criterio del modello unitario per l'introduzione della domanda in tutte le procedure concorsuali, ritenuto potenzialmente suscettibile di dare vita “ad una formula complessa e poco chiara, determinando eccessivo contenzioso e maggiore durata dei processi rispetto a quella che potrebbe essere una regolamentazione processuale meno invasiva” (G. Lo Cascio, Legge fallimentare attuale, legge delega di riforma e decreti attuativi in fieri, cit.).

Per quanto la vocazione dello strumento in questione sia dichiaratamente universale, la sua adattabilità alle singole fattispecie richiederà sicuramente una serie di aggiustamenti, necessariamente adeguati al profilo frastagliato che le varie procedure di regolazione della crisi/dell'insolvenza finiscono inevitabilmente per presentare. Ciò dovrà avvenire, comunque, nel rispetto dei principi generali richiamati dal Codice, la cui opportuna enucleazione a livello normativo rappresenterà per forza di cose una delle eredità più rilevanti lasciate agli interpreti dalla commissione Rordorf.

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