I gatti possono costituire una forma di molestia nei confronti dei vicini?
12 Giugno 2019
La Corte d'appello confermava, anche agli effetti civili, la condanna nei confronti di Caia per il reato di atti persecutori commesso ai danni della vicina di casa. Secondo i giudici di merito, nonostante le ripetute lamentele, la condomina aveva avuto una incuria colposa nel governo dei propri animali: volontariamente continuava a liberare i gatti nelle parti comuni dell'edificio, nell'evidente consapevolezza delle conseguenze sul piano igienico e della molestia che in tal modo arrecava alla propria vicina. Avverso la sentenza, la condomina ha proposto ricorso in Cassazione eccependo che gli episodi relativi alle deiezioni dei gatti erano stati occasionali; dunque, difettava il requisito dell'abitualità della condotta, quanto il dolo richiesto per la sussistenza del reato. Nel giudizio di legittimità, la S.C. conferma il ragionamento espresso nel provvedimento impugnato. Difatti, anche gli agenti della polizia municipale, allertati dalla persona offesa, avevano riferito della presenza di escrementi di animali ovvero del persistente olezzo delle loro deiezioni. Oltre a ciò, erano state rivenute alcune scritte e cartelli contenenti insulti e minacce nei confronti della vittima. Dunque, secondo i giudici di legittimità, il comportamento della condomina Caia era certamente riconducibile a quello tipizzato dall'art. 612-bis c.p. (atti persecutori), tanto più che lo stesso non poteva essere considerato disgiuntamente dagli ulteriori atti contestati, soprattutto ai fini della prova dell'elemento soggettivo del reato e dell'abitualità della condotta, requisiti entrambi motivatamente ritenuti sussistenti dalla Corte territoriale. Per le suesposte ragioni, il ricorso è stato rigettato.
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