Liti pendenti: la controversa sorte dei contributi previdenziali

18 Giugno 2019

Ho definito ai sensi dell'art. 6 del d.l. n. 119 del 2018 un avviso di accertamento, il quale era stato oggetto di contenzioso in primo grado, all'esito del quale ho ottenuto una sentenza favorevole. La definizione, pertanto, si è avuta con la corresponsione dell'imposta nella misura del quaranta per cento.In tale avviso sono stati calcolati anche i contributi previdenziali: a seguito della definizione in oggetto, i contributi previdenziali sono dovuti ed, eventualmente, in che misura?

Ho definito ai sensi dell'art. 6 del d.l. n. 119 del 2018 un avviso di accertamento, il quale era stato oggetto di contenzioso in primo grado, all'esito del quale ho ottenuto una sentenza favorevole. La definizione, pertanto, si è avuta con la corresponsione dell'imposta nella misura del quaranta per cento. In tale avviso sono stati calcolati anche i contributi previdenziali: a seguito della definizione in oggetto, i contributi previdenziali sono dovuti ed, eventualmente, in che misura?

L'Agenzia delle Entrate, con Circolare n. 6/E del 1 aprile 2019, ha chiarito che “Nonostante gli avvisi di accertamento relativi alle dichiarazioni dei redditi presentate a partire dal 1° gennaio 1999 rechino, oltre alle imposte accertate, anche l'indicazione dei contributi e premi previdenziali e assistenziali liquidati in base al maggior imponibile accertato, le controversie relative a tali contributi e premi, instaurate nei confronti degli enti previdenziali, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario. Ne consegue che le controversie riguardanti i contributi non sono definibili ai sensi dell'articolo 6”.

L'INPS con Circolare n. 140 del 2 agosto 2016, emanata con riferimento alla chiusura delle liti fiscali pendenti di cui al comma 12 dell'art. 39 del d.l. n. 98 del 6 luglio 2011, ha osservato come “la norma consente di definire tutte le liti fiscali aventi ad oggetto tributi originati da avvisi di accertamento dell'Agenzia delle Entrate, che presuppongono la rettifica delle dichiarazioni dei redditi.

L'istituto in esame non assume rilevanza rispetto alle originarie pretese dell'Amministrazione fiscale, ma semplicemente consente la definizione agevolata del processo tributario mediante il versamento di una somma.

Per effetto di quanto appena esposto, non può ritenersi che la definizione della lite nella modalità in trattazione determini la quantificazione di un reddito inferiore rispetto a quello oggetto dell'accertamento.

Quindi, in relazione agli accordi di chiusura agevolata delle liti fiscali pendenti, gli stessi non avranno efficacia sulle azioni di recupero promosse dall'Istituto il quale procederà alla riscossione degli importi da versare a titolo di contributi calcolati sull'intero ammontare originariamente accertato.

In definitiva, i contributi richiesti dall'Istituto con Avviso di Addebito (o cartella esattoriale) non dovranno essere oggetto di annullamento (sgravio) e dovranno essere versati dal contribuente per l'intero ammontare originariamente quantificato dall'Agenzia delle Entrate”.

Traslando i chiarimenti resi dall'INPS nella fattispecie che ne occupa, nonostante la definizione ai sensi dell'art. 6 del d.l. n. 119 del 2018 abbia comportato una riduzione dell'imposta nella misura del 40%, i contributi previdenziali da versare saranno quelli di cui all'originario avviso di accertamento, anche se questo sia stato annullato dalla commissione tributaria e sia, poi, divenuto oggetto di definizione tramite l'istituto della c.d. “lite pendente”.

Di segno opposto è stata la giurisprudenza formatasi in occasione della precedente chiusura delle liti pendenti.

Sul punto si segnala la sentenza del Tribunale di Ancona, in funzione di Giudice del Lavoro, n. 559 del 30 ottobre 2013, la quale, pronunziatasi con riferimento al comma 12 dell'art. 39 del d.l. n. 98 del 6 luglio 2011, evidenziava che, alla luce delle disposizioni che regolano tale istituto, l'accordo tra contribuente ed Amministrazione finanziaria avrebbe riguardato solo l'ammontare dell'imposta, mentre non avrebbe comportato il riconoscimento da parte del soggetto contribuente di un maggiore imponibile; ciò avrebbe significato, a detta del Tribunale, che solo l'ammontare dell'imposta sarebbe stato influenzato dalla definizione de qua (e non anche quanto dovuto a titolo di contributi).

Conforme alla pronuncia del Tribunale Marchigiano è anche quella resa dal Tribunale di Lucca, in funzione di giudice del lavoro, con sentenza n. 608 del 5 dicembre 2013, il quale ha affermato che, avuta considerazione della definizione ai sensi del comma 12 dell'art. 39 del d.l. n. 98 del 6 luglio 2011, risulta preclusa all'INPS la possibilità di richiedere al contribuente i contributi previdenziali contestati con l'avviso di accertamento (prima impugnato innanzi alla CTP e poi definito da parte del ricorrente e della stessa Amministrazione finanziaria).

Ciò in virtù del fatto che l'avviso di accertamento non era divenuto in alcuna maniera definitivo (essendo stato impugnato innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale prima per venire definito poi): siffatta situazione comporta che il reddito ricalcolato al suo interno non si è sostituito, cristallizzandosi, a quello originariamente riportato nella dichiarazione Irpef della parte ricorrente (che rimaneva, dunque, valido parametro di riferimento).

Di conseguenza, secondo dette pronunce (alla quale si è aggiunta anche quella della Corte di Appello di Milano, sez. lavoro, n. 1571 del 12 settembre 2017), la definizione della lite pendente non consente all'INPS di calcolare i contributi dovuti sulla base dei valori reddituali espressi nell'atto impositivo impugnato ed oggetto della lite poi definita.

In pratica, tale forma di estinzione del giudizio non è idonea ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale con la conseguenza che l'accertamento fiscale, originariamente trasmesso all'INPS da parte dell'Agenzia dell'Entrate, non viene nè rimosso, né ne viene accertata la fondatezza nel merito. Ciò non significa escludere tout court la valenza del suddetto accertamento, bensì, occorre considerarlo “un atto ricognitivo che come tale può servire da elemento di prova in altri processi nei quali rilevi la consistenza del reddito dell'interessato, come è nel caso di specie…

Come statuito dalla Cassazione (sentenza n. 17529 del 12 ottobre 2012), spetterà all'INPS, nel giudizio previdenziale conseguente all' accertamento tributario, già oggetto di una controversia fiscale definita agevolmente con il condono ex art. 39, comma 12 del d.l. 98 del 2011, provare la fondatezza della propria pretesa creditoria, non potendo ritenersi assolto siffatto onere probatorio invocando (da parte dell'INPS) la definitività dell'accertamento tributario (conseguente alla definizione tramite l'istituto della lite pendente) e, dunque, la sua indiscutibilità.

In assenza di assolvimento dell'onere probatorio in questione, l'INPS non potrà esigere alcun contributo previdenziale.

Il predetto orientamento presta il fianco ad una censura, in quanto è giuridicamente infondato onerare l'istituto previdenziale della dimostrazione dell'esistenza di un fatto (il maggior reddito conseguito dal contribuente-assicurante), la cui prova richiede l'esercizio di poteri di accertamento dei quali l'Istituto è privo, costituendo una peculiare prerogativa dell'Amministrazione finanziaria, competente ad accertare anche la debenza dei contributi previdenziali nell'esercizio del potere ex art. 1, comma 1, d.lgs. 462 del 1997.

Di diverso avviso la Corte di Appello di Venezia che, con sentenza del 30 giugno 2016, ha affermato che in caso di definizione agevolata del contenzioso tributario, deve considerarsi come accertato ai fini previdenziali il maggior reddito, la base imponibile fiscale, per l'appunto, da determinarsi a ritroso in relazione all'importo pagato per la definizione della lite.

Tale soluzione si colloca a metà strada tra quanto affermato dall'INPS, secondo cui l'accertamento originario sopravvive in toto a seguito dell'estinzione della lite tributaria per definizione e quanto ritenuto dalla giurisprudenza innanzi citata, secondo la quale l'accertamento viene meno a fini contributivi salvo che l'INPS fornisca adeguato riscontro probatorio.

Appare chiara l'incertezza che regna al riguardo.

Tuttavia, sia consentito rilevare come la definizione della lite non si configuri quale “transazione”, sia perché non vi è alcuna rideterminazione del reddito imponibile, sia perché non vi è alcuna “discrezionalità” in capo all'Amministrazione finanziaria, la quale deve limitarsi a verificare se la lite sia “definibile” e quale sia l'importo dell'imposta accertata e, di conseguenza, se la percentuale che il contribuente intende pagare sia corretta. Si tratta, quindi, di una riduzione dell'imposta già calcolata sul reddito imponibile accertato nell'avviso di accertamento.

Tale reddito imponibile non viene in alcun modo inciso dalla definizione della lite, sicchè appare ragionevole ritenere, come rilevato dall'INPS, che i contributi previdenziali, i quali vengono calcolati proprio sulla base del reddito imponibile, possano essere richiesti per intero, così come risultanti dall'avviso di accertamento.

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