Antenne telefoniche in condominio: contratto di locazione o concessione di un diritto di superficie?

Maurizio Tarantino
18 Giugno 2019

In tema di antenne di telefonia mobile in condominio, giova ricordare che il presupposto del godimento indiretto è l'impossibilità o irragionevolezza dell'uso promiscuo della cosa comune, la quale non sia tale da permettere una divisione del suo godimento tra i vari partecipanti alla comunione...
Il quadro normativo

Il nostro ordinamento prevede la possibilità di limitare il diritto di proprietà per motivi di interesse generale (art. 42 Cost.) e in presenza di causa di pubblico interesse (art. 834 c.c.).

Premesso ciò, in tema di installazione di ripetitori telefonici vicino alle abitazioni, giova ricordare che il d.lgs. 2 settembre 2002, n. 198 “Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese” concesse maggiori libertà nel posizionamento di ripetitori per la telefonia mobile sul territorio nazionale. Da quel momento ha avuto inizio una proliferazione incontrollata dei ripetitori soprattutto nei centri abitati. Secondo questa legge, infatti, i ripetitori dovevano considerarsi vere e proprie opere di urbanizzazione primaria ed essere trattati, dunque, allo stesso modo di strade, fogne, illuminazione pubblica, ecc.

L'art. 4 del citato decreto prevede che “(…) l'installazione di torri, di tralicci, di impianti radio-trasmittenti, di ripetitori di servizi di telecomunicazione, di stazioni radio base per reti di telecomunicazioni mobili Gsm/Umts (…) venga autorizzata dagli enti locali, previo accertamento, da parte delle Arpa ovvero dall'organismo indicato dalla regione, della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale”.

Successivamente, il d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259 ha, invece, introdotto il Codice delle comunicazioni elettroniche, norma che regola i servizi e il mercato delle telecomunicazioni e delle radiocomunicazioni. Tale normativa non contiene alcun riferimento alla “dichiarazione di pubblica utilità” prevista nell'art. 231 del d.P.R. n. 156/1973 sulle telecomunicazioni; tuttavia, agli artt. 91 e 209 prevede le limitazioni legali della proprietà per l'installazione di antenne riceventi del servizio di radiodiffusione e di antenne per la fruizione di servizi di comunicazione elettronica.

Nella specie, il comma 2 dell'art. 90 del d.lgs. n. 259/2003 stabilisce gli impianti di reti di comunicazioni elettronica e le opere accessorie di uso esclusivamente privato possono essere dichiarati di pubblica utilità con decreto del Ministro dello sviluppo economico, ove concorrano motivi di pubblico interesse. Mentre l'art. 209 del d.lgs. n. 259/2003 stabilisce che i proprietari di immobili o porzioni di immobili non possono opporsi alla installazione sulla loro proprietà di antenne appartenenti agli abitanti degli immobili stessi destinate alla ricezione dei servizi di radiodiffusione e per la fruizione dei servizi radioamatoriali. In ogni caso le antenne, i relativi sostegni, cavi ed accessori non devono in alcun modo impedire il libero uso della proprietà, secondo la sua destinazione, né arrecare danno alla proprietà medesima o a terzi (art. 209, comma 2).

Dall'esame della normativa indicata, secondo alcuni autori, per i gestori di reti telefoniche e telematiche esisterebbe solo, in via meramente ipotetica, la possibilità di limitare le proprietà altrui ovvero solo quando si sia in presenza dei requisiti di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e che sussistano motivi di pubblico interesse, e comunque sempre nel rispetto delle procedure previste dalla legislazione menzionata.

Ad ogni modo, sebbene astrattamente i gestori, qualora ricorrano tutti i presupposti richiesti dalla normativa, possano imporre l'installazione di impianti sulle proprietà di altri, per evitare azioni dei proprietari dirette a contrastare l'invasione dello spazio di proprietà, è utile per gli installatori trovare altre forme di consenso e accordo e, quindi, essere autorizzati dall'assemblea condominiale per quanto concerne le parti comuni, o dal singolo proprietario per quanto concerne la proprietà esclusiva, dal momento che la stessa procedura di esproprio prevista dall'art. 90 del d.lgs. n. 259/2003 può essere esperita solo dopo che siano andati falliti, o non sia stato possibile effettuare, i tentativi di bonario componimento con i proprietari dei fondi sul prezzo di vendita offerto, da valutarsi da parte degli uffici tecnici erariali competenti; mentre, nel caso di antenne destinate a servizi di comunicazione elettronica ad uso privato, è necessario il consenso del proprietario o del condominio, cui è dovuta un'equa indennità che, in mancanza di accordo fra le parti, sarà determinata dall'autorità giudiziaria (art. 209, ultimo comma, d.lgs. n. 259/2003).

I limiti all'installazione degli impianti nel condominio

Preliminarmente, si osserva che la legge di riforma del condominio n. 220/2012 è intervenuta in materia di installazione di impianti centralizzati e non centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informatico. In particolare, il legislatore, riformulando l'art. 1120 c.c., ha previsto che i condomini con la maggioranza del comma 2 dell'art. 1136 c.c. (maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio) possono disporre le innovazioni che nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto l'installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze, a esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto (art. 1120, comma 2, n. 3, c.c.).

Premesso quanto innanzi esposto, tuttavia, dall'analisi delle citate norme, secondo alcuni autori, la riforma non ha disciplinato la questione dei c.d. ripetitori (antenne telefoniche). Invero, la legge di riforma della materia condominiale ha omesso di occuparsene specificatamente, pur avendo espressamente disciplinato la fattispecie degli impianti fotovoltaici su spazi condominiali, assimilabile per certi versi a quella in questione.

In proposito, secondo l'attuale scenario, si osserva che in ipotesi in cui il gestore ha proposto all'amministratore di condominio la stipula di un contratto di locazione per l'utilizzo del tetto, del lastrico condominiale o di altra parte condominiale, si è sviluppato un contenzioso diretto a stabilire se l'installazione costituisce o meno una violazione:

- degli artt. 1102 e 1120 c.c. (ossia i limiti ai quali è sottoposto l'uso della cosa comune nonché le innovazioni vietate per le quali è necessario il consenso unanime dei condomini);

- dell'art. 1122 c.c. ai quali è sottoposto l'uso della porzione di proprietà esclusiva.

Sull'argomento, la giurisprudenza non sempre ha risposto in maniera univoca: in alcuni casi, i giudici di merito hanno escluso che l'installazione di un ripetitore per telefonia cellulare costituisca violazione dell'art. 1122 c.c., in quanto insussistente il riscontro scientifico della pericolosità di tale impianto per la salute dei condomini e perché la concessionaria del servizio di telefonia nel caso specifico aveva presentato all'Autorità competente un progetto attestante che l'impianto non arrecava danni alla statica dell'edificio; in senso contrario, è stato ritenuto che il diritto del condomino all'installazione sul tetto del condominio di un'antenna telefonica non necessiti (ove l'impianto sia di modeste dimensioni e non leda il decoro architettonico, la stabilità e la destinazione d'uso della parte comune) di preventiva autorizzazione dell'assemblea, essendo la stessa una mera modificazione volta al maggiore godimento della cosa comune, purché la realizzazione dell'impianto avvenga nel rispetto dei limiti di cui all'art. 1120 c.c.

Su tale ultimo aspetto, in un recente contenzioso, una condomina aveva impugnato la delibera condominiale con la quale era stata autorizzata l'installazione di un'antenna per la telefonia mobile sul lastrico solare del palazzo; in particolare, era stata lamentata la violazione dell'art. 1120, comma 2, c.c., poiché l'antenna, in ragione delle dimensioni dell'impianto e delle sue caratteristiche, comprometteva l'utilizzo del lastrico solare. In proposito, la Corte di legittimità ha confermato l'invalidità della delibera in relazione dello spazio occupato dall'antenna sul lastrico solare. Difatti, contrariamente a quanto sostenuto dal condominio, detto ingombro, ancorché limitato, era sufficiente a pregiudicare l'utilizzo del lastrico non solo riguardo alla porzione occupata, ma al bene nel suo complesso, considerando anche gli strumenti, gli elementi accessori e gli spazi che gli stessi occupavano (Cass. civ., sez. VI/II, 8 ottobre 2018, n. 24767).

In altro precedente (di merito), una simile delibera è stata ritenuta invalida sotto un diverso profilo, relativo al divieto di eseguire innovazioni sulle parti comuni che pregiudicano la stabilità o la sicurezza del fabbricato, che ne alterano il decoro architettonico o che rendono le parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino. Difatti, l'installazione degli apparati radio o dei supporti di antenna unitamente all'esecuzione sull'immobile di tutti i lavori, necessari per il passaggio di cavi di alimentazione o di telefonia e di ogni altro tipo di apparecchiatura necessaria per il regolare funzionamento dell'impianto o per l'aggiornamento tecnologico dello stesso, configura una innovazione e non una semplice modificazione, perché incide in maniera notevole sulla cosa comune dato che altera la funzione originaria (di copertura e di terrazzo calpestabile) del lastrico solare (Trib. Genova 12 aprile 2006, n. 1385).

In tale precedente, si trattava di una innovazione vietata ai sensi dell'art. 1120, comma 2, c.c., secondo due ordini di motivi: alle caratteristiche strutturali dell'edificio, in quanto l'installazione comportava una disarmonia e una alterazione del decoro architettonico; all'utilizzazione della cosa comune, in quanto l'opera comportava una riduzione quantitativa conseguente all'occupazione di una porzione del lastrico solare e un pregiudizio non tollerabile in quanto non temporaneo.

In ogni caso, è comunque annullabile una delibera condominiale con la quale si autorizza l'amministratore a stipulare un contratto con una società telefonica per l'installazione in una parte comune dell'edificio di una stazione radio-base per la telefonia mobile, senza che i condomini siano stati preventivamente informati dei possibili rischi che le onde elettromagnetiche emesse possono arrecare alla salute e siano stati conseguentemente posti in grado di valutare tali rischi (Trib. Milano 23 ottobre 2002, n. 12663).

Il problema della natura (immobiliare o mobiliare) degli impianti ripetitori per la telefonia mobile

In argomento, sappiamo che il d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 3, comma 1, lett. e) (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), ricomprende fra gli “interventi di nuova costruzione”: “e.3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato; e.4) l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione”. Così, ancora, il d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259, art. 86, comma 3, pure come modificato dal d.l. 12 settembre 2014, art. 6, comma 5 quinquies, convertito in l. 11 novembre 2014, n. 164, dispone che “le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli artt. 87 e 88, e le opere di in fra strutturazione per la realizzazione delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica in grado di fornire servizi di accesso a banda ultralarga, effettuate anche all'interno degli edifici sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 16, comma 7, pur restando di proprietà dei rispettivi operatori, e ad esse si applica la normativa vigente in materia”. A tale comma è stato aggiunto dal d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 33, a decorrere dal 1 luglio 2016, il seguente periodo: “gli elementi di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità e le altre infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli artt. 87 e 88, nonchè le opere di infrastrutturazione per la realizzazione delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica in grado di fornire servizi di accesso a banda ultralarga, effettuate anche all'interno di edifici, da chiunque posseduti, non costituiscono unità immobiliari ai sensi dell'art. 2 del d.m. delle Finanze 2 gennaio 1998, n. 28, e non rilevano ai fini della determinazione della rendita catastale”.

In tema, in giurisprudenza amministrativa, è stato ribadito la necessità di munirsi di permesso di costruire anche da parte dei soggetti autorizzati alla realizzazione di infrastrutture dei servizi di comunicazione elettronica ai sensi del Codice delle comunicazioni elettroniche (Cons. Stato, sez. III, 11 maggio 2017, n. 2200; Cons. Stato, sez. III, 19 maggio 2014, n. 2521); in giurisprudenza civile, invece, nel giudicare sulla legittimità di avvisi di accertamento ai fini ICI, i giudici hanno invece valutato corretta la classificazione catastale nella categoria “D” di un ripetitore di telefonia mobile, sulla base della circolare dell'Agenzia del Territorio n. 4/2006 (contenente uno specifico riferimento ai “ripetitori e impianti similari”), in quanto struttura stabilmente infissa al suolo (Cass. civ., sez. V, 25 novembre 2015, n. 24026).

Alla luce della citata analisi normativa e giurisprudenziale, da ultimo, si osserva che secondo l'art. 812 c.c., sono beni immobili “tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo”, essendo “mobili tutti gli altri beni”. Dunque, alla stregua dell'art. 812 c.c., la c.d. immobilizzazione del bene, come si osserva in dottrina, suppone che lo stesso sia suscettibile di una utilizzazione stabile e duratura nel luogo in cui si trova, costituendo oggetto di un diritto realizzabile sulla base di una relazione funzionale con tale luogo, indipendentemente dal sistema di unione o incorporazione al suolo concretamente utilizzato.

La questione non è di poco conto, pertanto, ai fini di una corretta qualificazione secondo il diritto, occorre anche analizzare il contratto giuridico posto a base dell'impianto telefonico.

La qualificazione giuridica del contratto: locazione, diritto di servitù o diritto di superficie?

La Suprema Corte ha emesso due ordinanze interlocutorie, rimettendo il procedimento alle Sezioni Unite per un caso relativo all'importante e decisiva questione della qualificazione giuridica del contratto concluso tra il Condominio e la società telefonica, alla luce di una contrastante giurisprudenza in materia. Invero, con le due ordinanze 8943 e 8944, la II sezione della Cassazione ha posto in discussione la qualificazione giuridica del contratto tra condomìni e compagnie telefoniche, chiedendo l'intervento delle Sezioni Unite.

a) Prima ordinanza: Cass. civ, sez. II, ord. interlocutoria 29 marzo 2019, n. 8943

In tal vicenda, il condominio agiva avverso una società condomina contestando la concessione effettuata da questa, anni addietro, ad una società telefonica. In particolare, quando il condominio era formato da due soli condomini, la società convenuta aveva deciso di concedere alla compagnia telefonica l'installazione sul lastrico solare di antenne e strumentazioni inerenti alla trasmissione di dati di telefoni cellulari.

Tale operazione era stata fatta con il tacito assenso dell'altra condomina e poi incorporata nel regolamento condominiale come servitù nei confronti dell'azienda di telecomunicazioni. Stante l'assenza dell'assenso del condominio, il palazzo domandava giudizialmente la rimozione degli impianti.

Si costituiva in giudizio la compagnia telefonica, allegando di avere sottoscritto un contratto di locazione con la stessa condomina succitata. Per meglio dire, la locazione era nota ai condomini perché questi avevano dichiarato nel regolamento di condominio, di natura contrattuale, di conoscere l'esistenza della servitù derivante dall'installazione dell'impianto di telefonia sul tetto condominiale.

Il Tribunale di prima cure respingeva la domanda attorea; in secondo grado, la Corte d'Appello dichiarava tenuta la società telefonica alla rimozione degli impianti e manufatti oggetto di causa.

Alla luce dell'esito del giudizio di appello, la società che aveva concesso il lastrico solare proponeva ricorso in Cassazione; la società di telecomunicazioni depositava, invece, controricorso.

Entrambe le iniziative giudiziarie erano volte a far riconoscere al giudice la legittimità dell'atto dispositivo del lastrico solare e la concessione dello stesso, qualificata come locazione o concessione di servitù.

  • Locazione.

Quanto al contratto di locazione, i giudici di legittimità hanno osservato che l'uso indiretto della cosa comune può essere disposto a maggioranza purché non sia possibile l'uso diretto del bene da parte dei singoli condomini e rilevato che sono beni immobili “tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo” (art. 812 c.c.) e che il contratto con cui il proprietario di un fondo concede ad un terzo, dietro corrispettivo, il diritto di installare e mantenere infrastrutture e impianti sul proprio fondo, riservando al concessionario la proprietà dei manufatti, il contratto in esame può essere qualificato come locazione, che regoli tuttavia in derogatoria il regime delle addizioni di cui all'art. 1593 c.c.

Dunque, in tema di locazione, chi dispone di un determinato bene può concedere ad altri il godimento di una particolare utilità del bene medesimo, senza trasferirne al conduttore l'esclusiva sua detenzione, potendo concedersi al conduttore determinate facoltà d'uso della cosa locata, senza che vengano travalicati i confini caratterizzanti lo schema causale della locazione.

Invero, i giudici di legittimità hanno evidenziato che nell'ambito di un condominio edilizio, l'uso indiretto di una parte comune mediante locazione può essere disposto con deliberazione a maggioranza, sempre che non sia possibile l'uso diretto dello stesso bene per tutti i partecipanti alla comunione, proporzionalmente alla loro quota, promiscuamente ovvero con sistema di frazionamento degli spazi o di turni temporali, costituendo, dunque, l'indivisibilità del godimento o l'impossibilità dell'uso diretto il presupposto per l'insorgenza del potere assembleare circa l'uso indiretto (Cass. civ.,sez. II, 27 ottobre 2011, n. 22435; Cass. civ.,sez. II, 22 marzo 2001, n. 4131; Cass. civ, sez. II, 21 ottobre 1998, n. 10446).

Quando la maggioranza dei condomini deliberi di locare la cosa comune ad un terzo, non si pone proprio questione di violazione dell'art. 1102 c.c., in quanto tale norma tutela l'uso diretto di ciascun condomino sulla medesima e non quello indiretto (Cass. civ.,sez. II, 22 marzo 2001, n. 4131).

Per riconoscere, peraltro, al singolo condomino il potere di concedere in locazione una parte condominiale, anche senza l'espresso assenso degli altri partecipanti, occorre che lo stesso agisca quale utile gestore o mandatario tacito nell'interesse degli altri condomini o, quanto meno della maggioranza di essi; mentre, è necessaria l'espressa adesione di tutti i condomini quando la locazione non sia diretta alla tutela degli interessi collettivi ma miri a soddisfare un proprio esclusivo interesse, che può essere anche in contrasto con quello degli altri. Sancire come questo rapporto afferisca alla locazione tuttavia, prosegue la Cassazione, pone il problema dell'accessione. Ai sensi dell'art. 934 c.c., infatti, “qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, salvo quanto è disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 e salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge”.

In buona sostanza, quindi, si è posto il problema di valutare se il contratto di locazione fosse di per sé titolo sufficiente ad impedire che gli impianti divenissero, a seguito della costruzione, di proprietà del condominio, anche in ragione del fatto che il “titolo” ex art. 934 c.c. che annulla l'accessione doveva avere comunque un carattere “reale” e quindi la mera locazione sarebbe risultata insufficiente (Cass. civ.,sez. un, 16 febbraio 2018 n. 3873). Ciò detto, ad ogni modo, la Cassazione parrebbe propendere per qualificare il contratto oggetto di causa come una locazione, sussistendone i requisiti di cui all'art. 1571 c.c. (concessione temporanea del godimento dalla quale è possibile trarre un'utilità e relativo obbligo di pagare il canone per l'uso stabilito).

  • Diritto di servitù

Quanto alla servitù, secondo i giudici, più difficile appare qualificare il negozio volto a permettere ad un concessionario l'installazione e il mantenimento di infrastrutture ed impianti sul fondo del concedente come contratto costitutivo di servitù prediale, facendo difetto il carattere di predialità supposto dall'art. 1027 c.c., ovvero l'inerenza passiva di un peso su un fondo servente a vantaggio di un contiguo fondo dominante, ciò supponendo necessariamente l'esistenza di due fondi distinti, appartenenti a proprietari diversi.

D'altro canto, la qualificazione di un siffatto negozio in termini di servitù non risolverebbe la questione della proprietà dell'impianto realizzato dal concessionario sempre in rapporto al principio dell'accessione. Nè potrebbe valere a costituire la servitù una clausola del regolamento di condominio che riconosca l'esistenza di una servitù su una parte comune, potendo il regolamento, di portata contrattuale, validamente costituire servitù tra le proprietà dei condomini che vi prestino consenso all'unanimità, ma non riconoscere, con efficacia costitutiva, una servitù in favore di un terzo altrimenti sprovvisto di idoneo titolo.

b) Seconda ordinanza: Cass. civ, sez. II, ord. interlocutoria 29 marzo 2019, n. 8944

In tal vicenda, Tizio e Caio, titolari di un'unità immobiliare con annesso lastrico solare, posta al settimo piano dell'edificio del Condominio, domandarono la declaratoria di illegittimità della delibera che aveva approvato l'installazione di un impianto ripetitore di telefonia cellulare sul lastrico condominiale di 15 metri quadrati, in assenza della necessaria unanimità ed in violazione dell'art. 6 del regolamento condominiale, il quale vietava le innovazioni che rendevano inservibili le parti comuni al godimento di ciascun partecipante.

In primo e in secondo grado, i giudici del merito accolsero la domanda, ritenendo che si trattasse di innovazione necessitante della unanimità dei consensi dei condomini. In particolare, la Corte d'Appello, come già il Tribunale, aveva ravvisato l'esistenza di un contratto costitutivo di un diritto di superficie; invero,secondo il ragionamento esposto, la deliberazione che approvi la locazione di una parte del tetto comune per installarvi un'antenna per la telefonia cellulare è costitutiva di un diritto reale di superficie in favore dell'apparente conduttore e perciò impone il voto unanime di tutti i condomini.

Anche in questo caso, la questione di massima che si pone, dunque, è stata quella della esatta qualificazione del contratto col quale un condominio conceda in godimento ad un terzo, dietro il pagamento di un corrispettivo, il lastrico solare, o altra idonea superficie comune, allo scopo precipuo di consentirgli l'installazione di infrastrutture ed impianti.

  • Diritto di superficie

Con l'ordinanza in commento, secondo i giudici di legittimità, per gli atti costitutivi di diritti reali sulle parti condominiali (quale anche il contratto costitutivo di un diritto di superficie) occorre il consenso di tutti i partecipanti, ai sensi dell'art. 1108, comma 3, c.c., applicabile al condominio in virtù del rinvio operato dall'art. 1139 c.c. (Cass. civ,sez. II, 24 febbraio 2006, n. 4258; Cass. civ.,sez. II, 14 giugno 2013, n. 15024), anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 1120, comma 2, n. 2), c.c. introdotto dalla l. n. 220/2012, in tema di installazione di impianti per la produzione di energia rinnovabile, ove si prevede una maggioranza agevolata per disporre in assemblea la relativa innovazione, ma non si contempla alcuna deroga all'art. 1108, comma 3, c.c. al fine di concedere a terzi un diritto reale di godimento della superficie comune.

Peraltro, se i condomini intendono costituire un diritto reale (nella specie, di superficie) sul lastrico solare o su altra area condominiale, si ha riguardo ad un negozio di disposizione giuridica, in modo diretto, della cosa comune, ed il consenso di tutti i comunisti è imposto dall'art. 1108, comma 3, c.c.

Diversa è la fattispecie delle innovazioni ex art. 1120 c.c., in cui i condomini intendono approvare non un atto dispositivo della cosa comune, quanto opere di trasformazione dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento della stessa, che però incidono sull'essenza del bene, alterandone l'entità materiale o l'originaria funzione e destinazione. Se le innovazioni da approvare rendono la parte comune dell'edificio inservibile all'uso o al godimento anche di un solo condomino, è del pari necessaria l'unanimità dei consensi dei partecipanti (Cass. civ.,sez. II, 14 giugno 2006, n. 13752).

In proposito, si osserva che è stato rigettato il ricorso avverso la sentenza di merito che aveva dichiarato nulla la deliberazione assembleare, approvata a maggioranza, finalizzata a consentire l'installazione di un'antenna per la telefonia mobile sul lastrico solare del palazzo, poiché le dimensioni e le caratteristiche dell'impianto compromettevano l'utilizzo della superficie comune (Cass. civ., sez. VI, ord. 8 ottobre 2018, n. 24767)

c) La questione di diritto rimessa alle Sezioni Unite

In virtù di tutto quanto innanzi esposto, data la complessità dell'argomento trattato, con le citate ordinanze interlocutorie gemelle, la questione è stata rimessa all'esame delle Sezioni Unite. La questione di diritto è la seguente: “se è necessario il consenso di tutti i partecipanti, ai sensi dell'art. 1108, comma 3, c.c., per l'approvazione del contratto col quale un condominio conceda in godimento ad un terzo, dietro il pagamento di un corrispettivo, il lastrico solare, o altra idonea superficie comune, allo scopo precipuo di consentirgli l'installazione di infrastrutture ed impianti (nella specie, necessari per l'esercizio del servizio di telefonia mobile), che comportino la trasformazione dell'area, riservando comunque al detentore del lastrico di acquisire e mantenere la proprietà dei manufatti nel corso del rapporto come alla fine dello stesso”.

In conclusione

Ancora oggi, tra le questioni di maggior rilievo che, a tale riguardo, si possono porre vi è la decisione di uno o più condomini di installare su una parte comune un impianto di telecomunicazione, al fine di trarre un reddito aggiuntivo dal canone mensile convenuto con gli operatori.

Sebbene le aziende telefoniche si affrettino ad assicurare che la trasmissione delle onde avviene da ponte a ponte, cioè da un'estremità all'altra delle antenne e non coinvolga dunque le abitazioni che si trovano sotto il livello di emissione, l'elevata concentrazione di antenne, ripetitori, stazioni radio base (SRB) nelle nostre città genera inevitabilmente una situazione di allerta per gli abitanti. Peraltro, con la futura introduzione del nuovo 5G, ossia della rete di nuova generazione che andrà a superare l'attuale 4G LTE, sta nuovamente riportando l'attenzione sul tema dell'installazione dei ripetitori sulle terrazze condominiali e sul potenziale inquinamento elettromagnetico che ne può derivare.

Premesso ciò, l'installazione dei ripetitori dei gestori delle antenne di telefonia mobile sul tetto o lastrico solare condominiale è un tema di grande interesse e attualità soprattutto in relazione alle possibili conseguenze derivate dall'inquinamento elettromagnetico e pone particolari problemi quando viene sottoposta all'assemblea. In argomento, sappiamo che il condominio quale ente di gestione delle parti comuni richiede che sia l'assemblea quale organo sovrano a dettare legge all'interno dell'edificio e, quindi, a decidere se concedere o meno in locazione parti condominiali. In tal senso, però, i quesiti che si pongono sono: la tipologia contrattuale e la maggioranza richiesta.

Come abbiamo visto, la questione non è pacifica quando si tratta di locare/concedere il lastrico solare o il terrazzo per l'installazione delle antenne per telefonia mobile, difatti:

  • Se parliamo di locazione di una parte condominiale, per pacifico orientamento giurisprudenziale, è sufficiente il voto della maggioranza dei condomini qualora la durata del contratto non superi i nove anni; occorre invece, a pena di nullità, il voto unanime dei condomini nell'ipotesi di locazione ultranovennale.
  • Se pariamo di diritto di superficie, invece, occorre il consenso di tutti i partecipanti.

Il discrimine sta nella vera natura dell'accordo tra condominio e operatore telefonico, indipendentemente dalla formale qualificazione cui le parti ricorrano. Le due ordinanze “gemelle”, dunque, indagano sulla corretta qualificazione del rapporto.

A questo punto, ritengo che la risposta delle Sezioni Unite comporterà nuovi scenari non solo dal punto di vista giuridico (contratto e successivi effetti), ma anche in ambito commerciale. Difatti, a seconda dell'effettivo contratto, le società di telecomunicazioni potranno attuare specifiche campagne finalizzate all'installazione dei ripetitori in condominio, utilizzando le regole del rispettivo contratto giuridico (locazione o superficie).

A parere di chi scrive, tuttavia, sarebbe più corretto seguire la tesi della locazione, soprattutto in considerazione dei rigidi vincoli esistenti per la stipula di una cessione temporanea del diritto di superficie.

Guida all'approfondimento

Tarantino, L'installazione di un'antenna telefonica è illegittima se pregiudica l'utilizzo del lastrico solare condominiale, in Condominioelocazione.it;

Avigliano, Locazione del tetto per installazione di antenne, in Guida al diritto, 27 aprile 2017, fasc. 4, 36;

Cassano, Manuale pratico del nuovo condominio, Rimini, 2013, 64.

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