Giudizio di rinvio e nuova procura al difensore

Francesco Bartolini
19 Giugno 2019

Nella pronuncia in commento la Suprema Corte si è occupata di stabilire se il giudice del rinvio avrebbe dovuto assegnare d'ufficio alla parte privata un termine perentorio per il rilascio della procura alle liti reputata necessaria.
Massima

La parte che riassume la causa dinanzi al giudice del rinvio non è tenuta a conferire una nuova procura al difensore che già l'ha assistita nel giudizio di merito mentre un nuovo mandato è necessario se la causa viene riassunta con il ministero di un difensore diverso, come avviene se questi ha difeso la parte nel giudizio di cassazione munito di un mandato che, per la sua specialità, non estende i propri effetti alla successiva fase di rinvio. In difetto di tale nuovo mandato il giudice di rinvio deve assegnare un termine perentorio perché sia conferito l'incarico a un difensore abilitato e può dichiarare l'inammissibilità della riassunzione soltanto a seguito della mancata esecuzione del suo ordine.

Il caso

Il giudice del rinvio (nella specie, una Commissione tributaria regionale) ha dichiarato con sentenza che l'atto di riassunzione del processo proposto dal contribuente dopo la pronuncia di cassazione disposta dalla Corte di legittimità era inammissibile per difetto di procura difensiva e di sottoscrizione dell'atto introduttivo. L'atto risultava sottoscritto dal difensore cassazionista che aveva assistito il contribuente nella sola fase di legittimità e non da quello al quale era stato conferito mandato per i gradi di merito: così come, asseritamente, avrebbe dovuto avvenire in quanto il giudizio di rinvio costituisce la naturale prosecuzione del giudizio sul merito.

Per l'annullamento della pronuncia il contribuente ha proposto ricorso con il quale si deducono: in primo luogo, l'erroneità della sentenza per non essersi considerato che il giudice a quo non era quello di appello, bensì la Corte di cassazione che aveva disposto il rinvio; nonchè la violazione degli artt. 82 e 182 c.p.c. in quanto la Commissione aveva omesso di concedere un termine per sanare il difetto di rappresentanza.

La questione

La prima doglianza assume a fondamento l'affermazione per cui, essendo la Corte di cassazione il giudice a quo, rispetto al giudizio di rinvio, era sufficiente e valida a fornire rituale rappresentanza nell'atto introduttivo di tale giudizio la procura conferita per il grado di legittimità al difensore cassazionista. L'affermazione in tal senso demanda alla Corte di stabilire se il giudizio di cassazione costituisca la naturale prosecuzione del giudizio di merito, così da rendere efficace la procura rilasciata al difensore cassazionista per il successivo giudizio di rinvio; o ne costituisca, invece, una fase a sè e la prosecuzione della causa di merito avvenga con il giudizio di rinvio. Si chiede poi al Collegio di affermare che anche nella vicenda di specie – un procedimento dinanzi alle Commissioni tributarie – il giudice del rinvio avrebbe dovuto assegnare d'ufficio alla parte privata un termine perentorio per il rilascio della procura alle liti reputata necessaria.

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha ricordato che il giudizio di rinvio si configura quale prosecuzione non del giudizio di cassazione (che lo ha disposto) ma del giudizio di primo o di secondo grado culminato nella sentenza cassata. Per tale ragione la parte che riassume la causa non è tenuta a conferire una nuova procura al difensore che lo ha già rappresentato nel giudizio di merito. Il conferimento di una nuova procura è, invece, necessario se la causa viene riassunta con il ministero di un difensore diverso: e ciò specificamente nel caso in cui questi abbia difeso la parte dinanzi alla Corte di cassazione poiché il mandato conferito per il relativo giudizio, data la sua specialità, non può estendere i suoi effetti alla successiva fase di rinvio. Nella vicenda in oggetto risultava pacificamente che il difensore che aveva riassunto la causa era quello nominato per il solo giudizio di legittimità e non già quello munito di mandato per il giudizio di merito. Da qui l'affermata correttezza, sul punto, della pronuncia impugnata e il conseguente rigetto della censura.

A diversa conclusione la Corte è pervenuta con riguardo all'eccezione di inosservanza dell'art. 182 c.p.c. Anche nel processo tributario, infatti, vale (artt. 12, comma 5, e 18, commi 3 e 4, d.lgs. n. 546/1992) la regola in base alla quale il giudice di merito è tenuto a disporre che la parte priva di assistenza tecnica si munisca di essa con il conferire mandato a un difensore abilitato: con la conseguenza che l'inammissibilità dell'impugnazione può essere dichiarata soltanto a seguito della mancata esecuzione dell'ordine ricevuto. L'accoglimento del ricorso ha reso necessaria la cassazione con rinvio.

Osservazioni

«Il giudizio di rinvio si caratterizza come giudizio rescissorio ai fini di colmare il vuoto aperto nella controversia di merito dalla pronuncia di cassazione e in esso le parti conservano la stessa posizione processuale del precedente procedimento…». In questi termini è massimata la pronuncia di Cass. civ.,civ., sez. I, 13 luglio 1998, n. 6828, una delle tante che hanno affermato la natura di mera prosecuzione del procedimento di merito attribuita (anche dalla dottrina) al giudizio di rinvio. Ovvia conseguenza di questo modo di considerare tale giudizio è la continuità degli effetti del mandato conferito al difensore nel grado o nei gradi precedenti la pronuncia rescindens della Corte: se il procedimento viene semplicemente ripreso e continua il suo corso resta valido quanto sino ad allora compiuto e che non è travolto da quella pronuncia. Altrettanto ovviamente e per converso, se la parte nel frattempo cambia il difensore, a questi deve essere conferito il mandato occorrente a fornirle la necessaria rappresentanza o assistenza. Questo è il caso che si verifica quando per l'impugnazione presso il Supremo collegio è nominato un difensore diverso, munito della sola procura speciale richiesta per agire dinanzi alle magistrature superiori. Se si intende affidare a costui la difesa nel giudizio di rinvio è necessario conferirgli un esplicito incarico mediante una procura ad operare nel merito.

A fronte della situazione di mancanza di un siffatto incarico il giudice del rinvio che lo rilevi d'ufficio deve fare applicazione del dettato del secondo comma dell'art. 182 c.p.c.: deve assegnare un termine perentorio per il rilascio della procura, con effetti di sanatoria ex tunc.

La regola vale anche per il contenzioso tributario per il quale il d.lgs. n. 546/1992 detta disposizioni da integrarsi, ove non diversamente disposto, con quelle del codice di procedura civile.

La norma citata ha subito nel tempo una evoluzione che merita di essere succintamente ricordata per una piena comprensione del suo ambito applicativo.

Il secondo comma dell'art. 182 c.p.c. in origine assegnava al giudice istruttore il potere facoltativo di assegnare alle parti un termine per sanare il difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione, salvo si fossero verificate decadenze processuali. La norma consentiva di ovviare ad irregolarità formali costituite dalle precise ipotesi della mancata costituzione della persona cui spettava la rappresentanza o l'assistenza o del mancato rilascio delle dovute autorizzazioni. La discrezionalità del potere del giudice fu affermata ripetutamente dalla giurisprudenza, che non poteva negare l'esplicito tenore della disposizione (Cass. civ.,Sez. Un., 24 gennaio 1995, n. 819; Cass. civ., sez. II, n. 14455/2003; Cass. civ., sez. I, n. 5515/2006; Cass. civ., sez. I, n. 8241/2006). L'inosservanza del termine concesso cagionava decadenze processuali (Cass. civ., sez. I, 23 giugno 1992, n. 7682; Cass. civ., sez. I, n. 2435/1996; Cass. civ., sez. II, n. 13688/2001 per la fattispecie di inammissibilità dell'appello): ma cagionava decadenze anche il mancato esercizio del potere di assegnare un termine ad opera del giudice istruttore che non avesse inteso di far uso della sua discrezionalità. Fu la riforma dovuta alla l. 18 giugno 2009, n. 69, che con la sostituzione del secondo comma dell'art. 182 mutò radicalmente sia il disposto normativo e sia il modo di intenderne il contenuto.

Il testo vigente ha trasformato la discrezionalità del giudice istruttore in obbligo (“deve”: Cass. civ., sez. VI, 14 novembre 2017, n. 26948; Cass. civ., sez. I, n. 11898/2014), ha imposto l'adempimento di tale obbligo senza il limite delle preclusioni derivanti dalle decadenze processuali ed ha aggiunto alle fattispecie inizialmente previste quella della nullità della procura rilasciata al difensore. Il principio di conservazione degli atti e di tutela delle parti espresso dalla scelta innovativa ha indotto la giurisprudenza ad affermare che la nuova norma non ha natura eccezionale ma è suscettibile di applicazione analogica e di interpretazione estensiva. Ne è seguita una dilatazione di notevole rilievo del significato concreto da ravvisare nella disposizione predetta.

Si è affermato, ad esempio, che essa è riferibile non soltanto ai casi di difetto o di nullità ma anche a quello della mancata prova della sussistenza delle condizioni volute dalla legge (legittimazione ad causam: Cass. civ., sez. VI, 17 giugno 2014, n. 13711): e non soltanto al difetto della rappresentanza e dell'assistenza, come indicato legislativamente, ma anche alle fattispecie di loro nullità (Cass. civ., Sezioni unite 22 dicembre 2011, n. 28337). Pur se l'art. 182 citato è esplicitamente riferito all'operato del giudice istruttore, la sua doverosa applicazione ex ufficio è stata dalla giurisprudenza considerata obbligo del giudice in generale, in ogni fase e in ogni grado del processo (anche in appello: Cass. civ., sez. III, 22 maggio 2014, n. 11359; Cass. civ., sez. III, n. 19169/2014; Cass. civ., sez. II, n. 8435/2006; Cass. civ., sez. I, n. 13434/2002). E si è giunti ad affermare che l'obbligatorietà dell'assegnazione del termine e l'esenzione dalle decadenze dovevano valere, per una sorta di confessata suggestione cagionata dalle posteriori modifiche, anche nelle cause temporalmente soggette alla disciplina anteriore all'intervento di cui alla l. 69/2009: Cass. civ., sez. II, 4 ottobre 2018, n. 24212; Cass. civ., sez. VI, n. 26948/2017; Cass. civ., sez. I, n. 11898/2014. In pratica, una interpretazione evolutiva rivolta al passato, come se la norma nuova potesse essere retrodata a disporre il contrario di quanto risultava dal testo letterale della norma da essa sostituita. Caso, questo, non unico di applicazione giurisprudenziale di regole oltre lo stretto tenore testuale delle norme ad opera della giurisprudenza, non già per una disinvolta libertà nel padroneggiare il diritto positivo ma per applicarlo secondo principi ritenuti fondamentali nell'ordinamento e prevalenti su scelte legislative ad essi non conformi.

In questo quadro interpretativo si riconosce che costituisce limite al dovere del giudice di assegnare il termine l'avvenuta formazione del giudicato interno (Cass. civ., sez. I, 26 settembre 2013, n. 22099; Cass. civ., sez. I, n. 8241/2006). Una situazione preclusiva si verifica anche quando il difetto di rappresentanza o di assistenza o la nullità della procura costituiscono oggetto dell'eccezione di parte ed è stato chiesto il doppio termine di cui all'art. 183. In tale ipotesi la regolarizzazione deve avvenire entro il termine concesso, pena l'invalidità della procura e degli atti processuali compiuti: Cass. civ., sez. II, 4 ottobre 2018, n. 24212; Cass. civ., sez. I, n. 11898/2014.

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