La natura «sostanziale» del regime della postergazione dei finanziamenti soci

20 Giugno 2019

La postergazione disposta dall'art. 2467 c.c. opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apra un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento, sino a quando non sia superata la situazione prevista dalla norma.
Massime

La postergazione disposta dall'art. 2467 c.c. opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apra un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento, sino a quando non sia superata la situazione prevista dalla norma.

La società è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento, in presenza della situazione di difficoltà economico-finanziaria indicata dalla legge, ove sussistente sia al momento della concessione del finanziamento, sia al momento della richiesta di rimborso, che è compito dell'organo gestorio riscontrare mediante la previa adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società.

In caso di azione giudiziale di restituzione proposta dal socio, il giudice del merito è chiamato a verificare se la situazione di crisi prevista dall'art. 2467, comma 2, c.c. sussista, oltre che al momento della concessione del finanziamento, altresì al momento della sua decisione.

Lo stato di eccessivo squilibrio nell'indebitamento o di una situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento, prevista dall'art. 2467, comma 2, c.c., è fatto impeditivo del diritto alla restituzione del finanziamento operato dal socio in favore della società, rilevabile dal giudice d'ufficio, in quanto oggetto di un'eccezione in senso lato, sempre che la situazione predetta risulti provata ex actis, secondo quanto dedotto e prodotto in giudizio

Il caso

Il socio di una società a responsabilità limitata agiva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, nei confronti della società partecipata al fine di ottenere la restituzione di una somma di denaro precedentemente versata a titolo di finanziamento soci. Il Tribunale di Napoli e, poi, la Corte di appello della medesima città rigettavano la domanda rilevando che: a) l'art. 2467 c.c. comporta, in presenza dei presupposti indicati nel secondo comma ed allorché al momento della richiesta di rimborso esistano crediti ordinari pur non scaduti, una condizione di temporanea inesigibilità del credito da restituzione del finanziamento; b) l'applicabilità della richiamata disposizione al finanziamento dei soci è oggetto di un'eccezione in senso lato rilevabile d'ufficio, onde non rileva la contumacia, in primo grado, della convenuta; c) non è possibile l'adozione di una sentenza di condanna (alla restituzione del finanziamento) condizionata, in quanto l'evento condizionante è costituito dall'assenza di altri crediti non postergati, circostanza che dovrebbe essere accertata dall'organo gestorio.

La società, dunque, proponeva ricorso per cassazione denunziando la violazione e falsa applicazione, da un lato, dell'art. 2467 c.c., norma che dovrebbe applicarsi esclusivamente nei procedimenti esecutivi e comunque nel concorso con altri creditori e, dall'altro, degli artt. 2467 c.c. e 112 c.p.c. per avere la corte del merito erroneamente ritenuto rilevabile d'ufficio la pretesa inesigibilità del credito derivante dalla postergazione, laddove, invece, quest'ultima costituirebbe oggetto di un diritto potestativo della società medesima da far valere, al fine di opporsi alla domanda di rimborso, in giudizio in via di eccezione (in senso stretto).

La Corte Suprema di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi di ricorso, esprimendo i principi di cui alle massime sopra esposte.

Le soluzioni giuridiche

Ai sensi dell'art. 2467 c.c., qualora il socio di una società a responsabilità limitata conceda alla società, «in qualsiasi forma», un finanziamento e la società medesima si trovi «in un momento in cui, anche in relazione al tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto» ovvero in cui «sarebbe stato ragionevole un conferimento», il rimborso del finanziamento «è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori».

La finalità della norma ora richiamata è quella di evitare una impropria traslazione del rischio di impresa dai soci, sui quali grava in condizioni di equilibrio finanziario della società, ai creditori sociali: si vuole, dunque, evitare che il socio - conoscendo o potendo conoscere lo stato di crisi finanziaria della società e, dunque, sfruttando le asimmetrie informative di cui gode rispetto ai creditori esterni - sostenga comunque la stessa con mezzi non adeguati e, quindi, non con conferimenti, ma con ulteriore indebitamento della società, il quale avrebbe l'effetto di aggravare ulteriormente lo squilibrio patrimoniale. In questa prospettiva, infatti, il finanziamento dell'impresa in crisi da parte dei soci comporta un peculiare rischio per i terzi creditori, aggiuntivo rispetto alla consumazione della massa disponibile per il loro soddisfacimento in caso di sopravvenuto fallimento: quello legato all'eventualità che i soci utilizzino la propria posizione interna all'impresa per acquisire tempestiva conoscenza delle insufficienti prospettive reddituali della stessa e conseguire il rimborso del prestito prima del manifestarsi all'esterno dello stato di insolvenza (N. Abriani, Finanziamenti «anomali» dei soci e regole di corretto finanziamento nella società a responsabilità limitata, 322; Trib. Milano, 14 marzo 2014, in giurisprudenzadelleimprese.it). In altre parole, in assenza della norma in commento, in caso di fallimento, i creditori subirebbero non solo il danno derivante da una riduzione della garanzia patrimoniale cagionato dalla continuazione dell'impresa (pregiudizio, questo, che si produrrebbe anche nel caso in cui il socio si comportasse «ragionevolmente» ed eseguisse un conferimento nella società ormai decotta), ma anche il danno derivante da una riduzione della «quota» di attivo fallimentare in ragione del concorso del credito del socio (M. Maugeri, Sottocapitalizzazione nominale della S.r.l. e “ragionevolezza” del finanziamento soci, 72).

Tutelando i terzi creditori, la disposizione di cui all'art. 2467 c.c. assume natura inderogabile (N. Abriani, Finanziamenti «anomali» dei soci e regole di corretto finanziamento nella società a responsabilità limitata, 345).

Tali aspetti sono valorizzati proprio nella sentenza in commento, ove si evidenzia che la ratio legis dell'art. 2467 c.c. consiste nell'intento di contrastare la non infrequente sottocapitalizzazione delle società, quale tecnica di traslazione sui creditori e sui terzi del rischio da continuazione dell'attività in regime di crisi, con eventuale profitto dei soci ed aggravamento del dissesto a scapito dei creditori: fenomeno determinato dalla convenienza dei soci a ridurre l'esposizione al rischio d'impresa, apportando nuove risorse a disposizione dell'ente collettivo nella forma del finanziamento, anziché in quella appropriata del conferimento (così, anche, cfr. Cass. 20 maggio 2016, n. 10509; Cass. 7 luglio 2015, n. 14056).

La disciplina della postergazione, dunque, non ha la finalità di impedire al socio di finanziare la società né quella di disincentivare forme di finanziamento da parte del socio, poiché queste ultime possono apportare alla società utilità maggiori rispetto ai normali finanziamenti prestati dal ceto bancario (in termini, di tassi di interessi inferiori, di assenza di garanzie reali o personali, di maggiori tempi per la restituzione, di minore rischio di contenzioso etc.). Tuttavia, la norma impone al socio di osservare criteri di ragionevolezza nella scelta tra il finanziamento ed il conferimento del capitale di rischio.

Proprio per tale ragione, la norma non opera sul piano della fattispecie attraverso una riqualificazione del finanziamento in apporto di capitale, ma su quello della disciplina (O. Cagnasso, La società a responsabilità limitata, 101; G. Balp, I finanziamenti dei soci soggetti a postergazione, 1266; Id., I finanziamenti dei soci “sostitutivi” del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, 353; G. Zanarone, Della società a responsabilità limitata, 464; M. Fabiani, La struttura finanziaria del concordato preventivo, 86 ss.), attraverso una «integrazione» del regolamento negoziale concordato dalle parti con un effetto dalle stesse non voluto, quello appunto della postergazione della restituzione del finanziamento rispetto al soddisfacimento degli altri creditori sociali (M. Prestipino, Diritto al rimborso e postergazione nella disciplina dei finanziamenti dei soci, 103). Così, la postergazione costituisce una qualità deteriore del credito, una sorta di privilegio negativo di segno opposto a quello delle cause legittime di prelazione ex art. 2741 c.c. (M. Fabiani, La struttura finanziaria del concordato preventivo, 98).

Conseguentemente, non importando la disciplina una riqualificazione di tali apporti, i finanziamenti, ancorché postergati, conservano la loro natura di finanziamenti e, come tali, vanno iscritti in bilancio sotto la voce «debiti verso soci per finanziamenti» (D3), con l'unico limite che la loro restituzione non deve avvenire in danno dei creditori non subordinati (M. Rubino De Ritis, Art. 2467, 268; M. Fabiani, La struttura finanziaria del concordato preventivo, 88): peraltro, ovviamente, l'errata indicazione in bilancio della società di tali finanziamenti non preclude l'applicazione dell'art. 2467 c.c.

Non è possibile, in questa sede, soffermarsi su tutti gli aspetti problematici della disciplina della postergazione. È, però, opportuno ricordare che essa è prevista per la società a responsabilità limitata (art. 2467 c.c.) e, indipendentemente dai tipi sociali coinvolti, nell'ambito dei gruppi (art. 2497 quinquies c.c.): tuttavia, il regime della postergazione è stato ritenuto applicabile anche a quelle società per azioni nelle quali, per le loro modeste dimensioni ovvero per il peculiare assetto dei rapporti sociali incentrato su di una compagine familiare o comunque ristretta, venga in qualche modo replicata la “vicinanza” (e, dunque, la conoscenza) del socio finanziatore alle vicende più propriamente gestorie della società medesima (Cass., 7 luglio 2015, n. 14056).

Osservazioni

I presupposti della postergazione.

Come è noto, il regime della postergazione cui sono sottoposti i finanziamenti dei soci di società a responsabilità limitata trova i propri presupposti applicativi nell'«eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto» ovvero «in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento».

Non è possibile dar conto in questa sede di tutti gli orientamenti che hanno cercato di decodificare il significato di tali espressioni normative che appaiono di difficile lettura (si pensi, ad es., al riferimento al conferimento il quale, visto dal «fronte» societario, sempre dovrebbe dirsi «ragionevole»). È, però, opportuno segnalare che una parte della dottrina propende per una lettura unitaria della disposizione in esame, secondo la quale il presupposto della postergazione sarebbe comunque la situazione di crisi che ponga la società a rischio di insolvenza (M. Campobasso, La postergazione dei finanziamenti dei soci, in S.r.l., 239; M. Rubino De Ritis, art. 2467, 278). In altre parole, secondo un simile approccio, il finanziamento del socio deve essere postergato quando, secondo un giudizio di prognosi postuma, nel momento in cui venne concesso, era altamente probabile che la società, rimborsandolo, non sarebbe stata in grado di soddisfare regolarmente gli altri creditori (M. Rubino De Ritis, art. 2467, ibidem).

Tale posizione è stata fatta propria dalla giurisprudenza di merito, la quale individua nella elencazione normativa dei presupposti di postergazione ex art. 2467 c.c. la esemplificazione di una unitaria nozione definibile quale «rischio di insolvenza» che dà luogo a una sorta di «concorso potenziale» tra tutti i creditori della società. In particolare, l'interpretazione unitaria del secondo comma appare preferibile in quanto, da un lato, assicura oggettività al primo parametro normativo altrimenti di opinabile lettura anche alla luce delle scienze economiche e, d'altro lato, chiarisce il significato sempre oggettivo del secondo parametro normativo, ove il riferimento a situazioni nelle quali "sarebbe stato ragionevole un conferimento", implica il rinvio a un comportamento "ragionevole" (vale a dire standardizzato, socialmente tipico) non tanto del socio quanto del terzo finanziatore, il quale, appunto in presenza di una crisi dell'impresa, non sarebbe "normalmente" disposto a finanziarla (Trib. Milano, 11 novembre 2010, in Giur. Comm., 2012, II, 123; Trib. Milano, 6 febbraio 2015, in Banca, Borsa, tit. cred., 2017, II, 513; Trib. Milano, 13 giugno 2016, in IlSocietario.it; altresì, Trib. Milano, 14 dicembre 2014 e Trib. Milano, 14 marzo 2014, entrambe in www.giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Roma, 6 febbraio 2017, in IlSocietario.it con nota di A. Lauria, La postergazione e la compensabilità tra credito da restituzione e debito da aumento di capitale; in Banca, borsa, tit. cred., 2018, con nota di A. Messore, Compensazione del debito da aumento di capitale e la postergazione legale dei finanziamenti soci).

Peraltro, ai fini dell'applicazione della disciplina di cui all'art. 2467 c.c., la situazione di pericolo di insolvenza, oltre che sussistere al momento in cui il finanziamento venne concesso alla società, deve anche persistere al momento del rimborso, in quanto, ove tale situazione fosse stata in qualche modo nel frattempo superata, non sarebbe possibile intravedere ostacoli al rimborso di un debito scaduto.

L'operatività della postergazione al di fuori del concorso

Fino all'intervento della importante decisione in commento, l'ambito di operatività della regola della postergazione costituiva un problema aperto. In particolare, costituiva oggetto di dibattito se la postergazione dovesse operare in via esclusiva nell'ambito di un concorso tra creditori già formalmente aperto e, quindi, in presenza di una procedura di regolamentazione collettiva dell'insolvenza o, comunque, in sede di liquidazione volontaria della società oppure, quale principio generale dell'ordinamento inerente al corretto finanziamento dell'impresa, anche durante la vita operativa della società.

Secondo il primo orientamento, definito «processuale», la postergazione va intesa come imposizione di un ordine di priorità tra pretese dei creditori esterni e pretese dei creditori soci e può operare soltanto in una fase caratterizzata dalla cristallizzazione (non necessariamente immediata) della platea dei creditori sociali estranei alla compagine sociale (M. Prestipino, Diritto al rimborso e postergazione nella disciplina dei finanziamenti dei soci, 105). Durante la fase operativa della società, al contrario, l'art. 2467 c.c. non può trovare applicazione, in quanto, in tale fase, possono sempre sorgere nuove obbligazioni nei confronti dei terzi che renderebbero impossibile attuare il principio della postergazione, per definizione applicabile in favore di tutti i creditori esterni. Nella medesima direzione, si osserva che affermare un limite alla libertà degli amministratori di rimborsare, nel corso della vita operativa della società, il credito esigibile del socio introdurrebbe una deroga al principio di uguaglianza tra creditori, formalmente titolari dei medesimi diritti, ed una ingiustificata compressione del debitore di scegliere liberamente quali, tra i crediti tutti egualmente scaduti, soddisfare prioritariamente (S. Locoratolo, Postergazione dei crediti e fallimento, 29; G. Terranova, art. 2467, 1465; M. Fabiani, La struttura finanziaria del concordato preventivo, 93 ss. e, spec., 99 secondo il quale negare, in assenza di un divieto espresso, la libertà degli amministratori di rimborsare durante societate il credito esigibile del socio finanziatore sorto in regime delle condizioni di cui all'art. 2467 c.c. equivale ad affermare che l'adempimento spontaneo del debitore sia soggetto al rispetto della par condicio, non operante, però, in quella fase di vita della società).

Altro argomento speso a favore di una simile ricostruzione prendeva spunto dall'inciso contenuto nel primo comma dell'art. 2467 c.c. a mente del quale il rimborso del finanziamento dei soci che sia intervenuto, nella ricorrenza degli altri presupposti indicati nella norma, nell'anno precedente alla dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito. Va, sul punto, evidenziato che tale norma è stata abrogata, con effetto dal 15 agosto 2020, dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza), ma sostituita da altra, di analogo tenore e con medesima decorrenza temporale, contenuta nell'art. 162 c.c.i., secondo la quale sono privi di effetto rispetto ai creditori i rimborsi dei finanziamenti dei soci a favore della società se sono stati eseguiti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l'apertura della procedura concorsuale o nell'anno anteriore; si applica l'art. 2467, comma 2, c.c.

Posta la sostanziale eguaglianza delle due norme e tornando all'orientamento in commento, è stato osservato (G. Zanarone, Della società a responsabilità limitata, 467; M. Fabiani, La struttura finanziaria del concordato preventivo, 91) che dalla previsione della restituzione del rimborso avvenuto entro l'anno anteriore al fallimento si desume, a contrario, che il finanziatore non è obbligato alla suddetta restituzione se la dichiarazione di fallimento è stata pronunciata a distanza di oltre un anno dal rimborso, il che significa che quest'ultimo è di per sé perfettamente esigibile alla scadenza stabilita dal contratto di finanziamento, anche perdurando la situazione che ha dato causa all'anomalia del medesimo. Ma allora, se la postergazione non è idonea, di per sé, ad impedire che la società rimborsi il socio finanziatore alla scadenza naturale del relativo credito e, dunque, anche anteriormente al soddisfacimento degli altri creditori, è giocoforza concludere nel senso che essa operi esclusivamente in presenza di un concorso fra questi ultimi e il socio finanziatore in sede di esecuzione forzata individuale o di fallimento. Solo nell'ambito di tali procedure, infatti, sono operative le regole tese ad imporre che la distribuzione tra i creditori delle somme ricavate avvenga nel rispetto delle cause legittime di prelazione, fra le quali ben può comprendersi, letta a rovescio, quella che deriva dall'art. 2467 c.c. a favore dei creditori diversi dal socio finanziatore, con conseguente loro anteposizione a quest'ultimo, e dunque con destinazione dell'intero patrimonio sociale al loro soddisfacimento prioritario.

Secondo la dottrina maggioritaria (N. Abriani, Finanziamenti «anomali» dei soci e regole di corretto finanziamento nella società a responsabilità limitata, 329; M. Rubino De Ritis, Art. 2467 c.c., 286, che parla espressamente di divieto di adempiere; M. Campobasso, La postergazione dei finanziamenti dei soci, 252; G. Balp, I finanziamenti dei soci "sostitutivi" del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, 365; G. Balp, I finanziamenti dei soci soggetti a postergazione, 1268 ss.; M. Bione, Note sparse in tema di finanziamento dei soci e apporti di patrimonio, 34; E. Desana, La sollecitazione all'investimento, i finanziamenti dei soci, i titoli di debito, 185; M. Maugeri, Finanziamenti "anomali" dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, 271 ss.), tuttavia, la postergazione opererebbe indipendentemente dalla sottoposizione della società a procedura concorsuale, avendo la relativa disciplina natura «sostanziale».

In particolare, come correttamente evidenziato, una volta individuata la cessazione del pericolo dell'incapacità di adempiere alle proprie obbligazioni nei confronti dei creditori sociali, la clausola legale di postergazione non può essere destinata a rimanere priva di effetti nella fase anteriore alla dichiarazione di insolvenza: al contrario, la operatività di tale clausola va ancorata alla durata della crisi medesima. In questa prospettiva, l'operatività della postergazione non è condizionata all'apertura di un formale concorso, ma (soltanto) al permanere della situazione finanziaria in cui la società versava al momento dell'erogazione del finanziamento: affinché il credito del socio possa essere rimborsato, è necessario e sufficiente il recupero dell'equilibrio finanziario della società, verifica quest'ultima che, benché implichi un accertamento di carattere tecnico non esente da margini di soggettività, non travalica i limiti delle competenze richieste agli amministratori nell'esercizio delle loro funzioni (così, esattamente, G. Balp, I finanziamenti dei soci soggetti a postergazione, 1269).

Secondo tale orientamento, la postergazione deve intendersi, dunque, «quale condizione sospensiva del diritto al rimborso, idonea, in particolare, a produrre l'effetto di prorogare ex lege la scadenza del finanziamento sino al momento di suo avveramento, e a replicare in tal modo all'esigibilità del credito del socio, la quale deve reputarsi sospesa sino alla soddisfazione degli altri creditori» (G. Balp, I finanziamenti dei soci "sostitutivi" del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, 365; Id., I finanziamenti dei soci soggetti a postergazione, 1270).

D'altra parte, limitare l'efficacia della postergazione alla sola ipotesi di concorso formale condurrebbe ad un ingiustificato diniego di tutela dei creditori in tutti quei casi in cui, pur essendo la società insolvente, il fallimento non venga dichiarato ad es. perché la società non supera i limiti dimensionali (M. Campobasso, Finanziamento del socio, 449). Al contrario, l'operatività della postergazione nel corso della vita della società assicura il mantenimento nel patrimonio sociale delle somme erogate, garantendo il rispetto della regola di priorità degli altri creditori (G. Balp, I finanziamenti dei soci soggetti a postergazione, 1272).

Anche nella giurisprudenza di merito si era avvertito lo stesso contrasto manifestatosi in dottrina.

Secondo un primo indirizzo, che appare, però, decisamente minoritario, la postergazione ex art. 2467 c.c. è opponibile al socio se il rimborso del credito è richiesto durante la fase di liquidazione della società, salvo che quest'ultima sia comunque in grado di soddisfare tutti i suoi creditori compresi i soci finanziatori: pertanto, non ci si può limitare ad allegare la sussistenza dello stato di liquidazione al momento della richiesta di rimborso del finanziamento, ma si dovrà dimostrare che, se la società rimborsasse il socio, non sarebbe in grado di pagare per intero gli altri creditori anche chirografari (in questo senso, Trib. Milano, 4 giugno 2013, in Giur. comm., 2015, II, 160; Trib. Milano, 2 luglio 2013, in Vit. Not., 2013, 1283 ss; Trib. Milano, 24 aprile 2007 in Banca, borsa tit. cred., 2007, II, 610 ss.).

La giurisprudenza maggioritaria, però, ritiene l'operatività della regola della postergazione al di fuori del concorso e la sussistenza di una responsabilità degli amministratori per il rimborso di un finanziamento postergato. Si afferma, infatti, che la postergazione legale, prevalendo sul regolamento negoziale, esige il rispetto della preferenza dei terzi con la conseguenza che la soddisfazione degli altri creditori si pone come condizione sospensiva del diritto al rimborso, idonea, in particolare, a produrre l'effetto di prorogare ex lege la scadenza del finanziamento sino al momento di suo avveramento e ad impedire in tal modo l'esigibilità del credito del socio, la quale deve reputarsi sospesa sino alla soddisfazione degli altri creditori (Trib. Roma, 6 febbraio 2017, cit.). In questo modo, la regola della postergazione legale trova applicazione anche al di fuori di una fase di formale liquidazione della società, ancorché pur sempre in uno stato di sostanziale insolvenza che giustifica l'anticipazione durante societate della tutela dei terzi creditori rispetto a quella dei soci finanziatori.

Conseguentemente, qualora il finanziamento sia stato disposto e il rimborso richiesto in presenza di una situazione di specifica crisi della società, gli amministratori possono, nella fase operativa della società (“durante societate”), eccepire al socio l'inesigibilità del credito ex art. 2467 c.c., operando, in questa fase, come condizione di inesigibilità del credito vantato dal socio (Trib. Milano, 11 novembre 2010, in Giur. comm., 2012, II, 123; Trib. Milano, 5 febbraio 2014, in Soc., 2014, 748): ciò, ovviamente, a condizione che la società versi in una situazione di specifica crisi al momento (non solo della prestazione del finanziamento, ma anche) della restituzione (Trib. Milano, 15 gennaio 2014, in Soc., 2014, 619; Trib. Torino, 18 marzo 2016, in Soc., 2016,900).

La sentenza in commento sposa, con decisione e correttamente, l'orientamento maggioritario. In particolare, con questa decisione, la Corte porta a compimento, approfondendoli, alcuni spunti già emersi nella giurisprudenza di legittimità che aveva evidenziato la natura sostanziale della postergazione legale, incidente direttamente sugli effetti del negozio di finanziamento, natura sostanziale dalla quale si faceva discendere l'impossibilità di applicazione retroattiva della norma ai finanziamenti concessi dal socio anteriormente alla riforma del 2003 (Cass. 13 luglio 2012, n. 12003; richiamata da Cass. 17 ottobre 2018, n. 26004, pur dichiarando inammissibile il ricorso).

In particolare, la decisione muove dalla ricostruzione della ratio della disciplina della postergazione, individuabile, come detto, nella volontà di contrastare il frequente fenomeno della sottocapitalizzazione delle società ed evitare, così, una impropria traslazione del rischio di impresa sui soci; per poi evidenziare come questa disciplina non importa una riqualificazione forzosa del finanziamento in apporto di capitale; infine, per giungere ad affermare che l'effetto della postergazione è automatico, non dipendendo da una conoscenza effettiva dello stato della società o dall'intenzione delle parti, ed impone al giudice, richiesto del rimborso, di accertare, sulla base delle risultanze processuali in atti, se la situazione sociale ricada in una delle fattispecie ex art. 2467 c.c., comma 2 c.c.

Sulla base di tali argomentazioni la Cassazione ricava che l'integrazione delle fattispecie indicate nel comma 2 dell'art. 2467 c.c. produce effetti negoziali sul diritto del socio alla restituzione della somma finanziata: il credito restitutorio, sebbene eventualmente sia anche scaduto il termine previsto per l'adempimento ex art. 1813 c.c., non è esigibile. E così, in questa prospettiva, la postergazione finisce per operare come una condizione legale integrativa del regolamento negoziale circa il rimborso, la quale statuisce l'inesigibilità del credito in presenza di una delle situazioni previste dall'art. 2467 c.c., comma 2, con un impedimento (solo temporaneo) alla restituzione della somma mutuata.

Il ruolo degli amministratori.

Dalla impostazione della dottrina e della giurisprudenza di merito maggioritaria - che oggi trova l'importante avallo della sentenza in commento - deriva l'obbligo gravante sugli amministratori di opporre la postergazione al socio che richieda in restituzione il finanziamento, ovviamente nel ricorrere dei relativi presupposti. Se, infatti, l'art. 2467 c.c. configura un vero e proprio divieto di adempiere che può cessare solo con il cessare della situazione di crisi economico-finanziaria che giustifica la postergazione (M. Maugeri, Finanziamenti "anomali" dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, 271 ss.), gli amministratori sono chiamati a operare una valutazione prospettica dell'evoluzione della situazione finanziaria della società e della sua compatibilità rispetto all'erogazione a favore dei soci (N. Abriani, Finanziamenti «anomali» dei soci e regole di corretto finanziamento nella società a responsabilità limitata, 337).

Ove, invece, gli amministratori procedessero comunque alla restituzione del finanziamento soggetto alla postergazione, essi assumerebbero una responsabilità personale verso la società e verso i creditori sociali per inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale (Trib. Roma, 1 giugno 2016, in Soc., 2017, 41 ss.; Trib. Bari, 5 febbraio 2018, in IlSocietario.it; in dottrina, M. Rubino De Ritis, art. 2467, 285).

Anche la decisione in commento sposa una simile ricostruzione, affermando che la società e, per essa, l'organo amministrativo può, ed anzi deve, rifiutare il rimborso del prestito, sino a quando non siano venute meno le predette condizioni, evento, quest'ultimo, che rende nuovamente la società immediatamente tenuta al pagamento al socio di quanto dovutogli in restituzione.

Se, pertanto, la situazione di squilibrio sia venuta meno al momento in cui alla società sia richiesto il rimborso da parte del socio (ovvero al momento in cui il giudice del merito sia chiamato a decidere, come si dirà), essa è tenuta a provvedervi, non attenendo la postergazione all'esistenza in sè del credito, ma alle condizioni per l'esazione, onde il venir meno di detta situazione, dapprima esistente e quindi atta a rendere il credito non esigibile, comporta il superamento dello stato di inesigibilità.

Oltre alla responsabilità degli amministratori per essere addivenuti al rimborso del finanziamento postergato, è stata prospettata anche una responsabilità dei soci beneficiari del rimborso, derivante dalla violazione di un dovere, di natura contrattuale e organizzativa, di astenersi dal (decidere o concorrere nel) compimento di atti dannosi per la società (M. Maugeri, Finanziamenti "anomali" dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, 280). E, infatti, il socio di una società a responsabilità limitata, il quale ha ottenuto la restituzione, non dovuta, in proprio favore dei versamenti da lui in precedenza effettuati in favore della società, incorre in responsabilità, in solido con gli amministratori, ai sensi dell'art. 2476, comma 7, c.c., dovendosi inferire che egli ne abbia deciso e autorizzato, in modo intenzionale, la restituzione (così, Così Trib. Roma, 1 giugno 2016, cit.).

Gli aspetti probatori

L'esame dei presupposti applicativi della postergazione conduce direttamente ad affrontare la questione della distribuzione degli oneri probatori, questione, questa che, come si vedrà, viene esaminata dalla decisione in commento sotto un particolare profilo.

In via generale, può certamente dirsi che è onere della parte che rileva il carattere postergato dei finanziamenti dimostrare la ricorrenza nella fattispecie degli elementi soggettivi ed oggettivi della fattispecie: incombe, dunque, sulla società convenuta dal socio per la restituzione del finanziamento eccepire e provare in giudizio la ricorrenza delle condizioni previste dall'art. 2467 c.c. (Trib. Milano, 25 gennaio 2016; Trib. Milano 13 ottobre 2016; Trib. Roma, 6 febbraio 2017, cit.; Trib. Biella, 17 giugno 2008, in Giur. comm., 2010, II, 217).

E va da sé che, alla luce di quanto sopra esposto, la prova della soggezione al regime in argomento di un determinato finanziamento comporta la dimostrazione non solo dell'esistenza di «un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto» e quindi di «una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento» al momento in cui il socio effettuò il finanziamento, ma altresì della persistenza di tale stato di crisi economico-finanziaria della società al momento in cui il socio ne abbia chiesto il rimborso (Trib. Milano, 13 giugno 2016, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano, 10 gennaio 2011, in Giur. it., 2011, 547 ss.).

In definitiva, appare del tutto evidente che, all'interno del giudizio, sarà la società convenuta in restituzione a dovere allegare il particolare regime cui è sottoposto il finanziamento e a dare la prova di tutti i presupposti applicativi indicati nell'art. 2467 c.c.

Tuttavia, ci si deve interrogare - ed è su questo punto che interviene la decisione in commento - sull'estensione dei poteri del giudice allorquando, pur nell'inerzia della società che ometta tanto di allegare quanto di provare la postergazione del finanziamento, i presupposti applicativi risultino come esistenti dalla documentazione acquisita al processo. In altre parole, occorre domandarsi se l'applicabilità della postergazione costituisca un'eccezione in senso stretto e debba, quindi, essere sollevata dalla società, nel rispetto delle preclusioni di legge ovvero se essa costituisca una eccezione in senso lato e, come tale, rilevabile ex officio dal giudice.

Appartengono alle prime tutte quelle eccezioni che possono essere sollevate solo dalle parti per espressa disposizione di legge ovvero quelle il cui fatto integratore corrisponda all'esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio dal titolare e presupponga, quindi, una manifestazione di volontà di quest'ultimo. Costituiscono, invece, eccezioni rilevabili d'ufficio quelle afferenti a fatti modificativi, impeditivi o estintivi del diritto vantato, purché risultanti dal materiale probatorio acquisito. La differenza tra eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato risiede, poi, sui differenti presupposti che condizionano l'esercizio del potere di rilevazione del giudice: quanto alle prime il giudice, anche ove ritenga esistente il fatto estintivo, impeditivo o modificativo, può attribuire ad esso rilevanza solo se la parte interessata ne abbia fatto richiesta; quanto alle seconde, il giudice può provvedere anche in difetto di siffatta richiesta. In entrambi i casi è tuttavia necessario che il medesimo fatto risulti acquisito agli atti del processo e provato, alla stregua della specifica disciplina processuale dell'acquisizione poiché, in caso contrario, si violerebbe il divieto di scienza privata del giudice. In altri termini, la facoltà del giudice di rilevare un fatto estintivo, impeditivo o modificativo, non può prescindere dalla condizione, posta a fondamento e a garanzia del divieto di scienza privata del giudice, dell'acquisizione agli atti di causa di una dichiarazione assertoria del fatto medesimo.

Ebbene, la Corte ha, correttamente, inquadrato l'istituto della postergazione nell'ambito delle eccezioni in senso lato. Infatti, da un lato, l'eccessivo squilibrio dell'indebitamento ovvero la situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento - in uno, la situazione di pericolo di insolvenza - costituiscono un fatto impeditivo, alla luce di quanto sopra approfondito, del diritto al rimborso e, dall'altro, la qualificazione in termini di credito postergato discende dalla sussistenza di circostanze oggettive previste dalla legge e non dall'esercizio di un diritto potestativo della società finanziata.

Conclusioni

La sentenza in commento, che merita piena adesione, segna un deciso passo in avanti nella ricostruzione dell'istituto postergazione dei finanziamenti dei soci, il cui perimetro applicativo non si ferma solo alle società a responsabilità limitata o ai gruppi societari, ma si estende anche alle società per azioni a base sociale «ristretta».

In particolare, la decisione della Corte conferma, aderendo all'indirizzo maggioritario sia in dottrina che nella giurisprudenza di merito fino ad oggi edita, la natura «sostanziale» della disciplina della postergazione che opera come una condizione legale integrativa del regolamento negoziale circa il rimborso, impedendo la restituzione della somma mutuata, sino alla permanenza di una delle situazioni previste dall'art. 2467, comma 2 c.c. Proprio tale corretta qualificazione della regola consente di affermarne l'applicabilità durante la vita operativa della società e, dunque, anche al di fuori di procedure concorsuali o liquidative. E va da sé che, in questo modo, la postergazione diviene un principio generale dell'ordinamento inerente al corretto finanziamento dell'impresa, che trova il proprio fondamento (ma altresì il proprio limite) nell'assetto partecipativo che lega il socio alla società e, in particolare, nella «vicinanza» del primo alla gestione operativa della seconda. Proprio perché la qualificazione in termini di credito postergato discende dalla sussistenza di circostanze oggettive previste dalla legge e non dall'esercizio di un diritto potestativo della società finanziata, l'istituto della postergazione, costituendo un fatto impeditivo del diritto al rimborso, rientra nell'ambito delle eccezioni in senso lato e, come tale, rilevabile ex officio dal giudice.

Guida all'approfondimento

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E. Desana, La sollecitazione all'investimento, i finanziamenti dei soci, i titoli di debito, in Sarale (a cura di), Le nuove s.r.l., Bologna 2008;

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M. Prestipino, Diritto al rimborso e postergazione nella disciplina dei finanziamenti dei soci, Milano, 2015;

M. Rubino De Ritis, art. 2467, in Commentario del codice civile, a cura di Gabrielli E., Delle società - Dell'azienda. Della concorrenza, artt. 2452-2510, a cura di Santosuosso D.;

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