Ripartizione dell'onere probatorio nel licenziamento orale

Sabrina Apa
21 Giugno 2019

Il lavoratore, che agisca in giudizio per la dichiarazione dell'illegittimità di un licenziamento, ha l'onere di provare l'esistenza del licenziamento medesimo - e non la sola circostanza della cessazione di fatto del rapporto -, spettando al datore di lavoro la prova della giusta causa o del giustificato motivo...

Il lavoratore, che agisca in giudizio per la dichiarazione dell'illegittimità di un licenziamento, ha l'onere di provare l'esistenza del licenziamento medesimo - e non la sola circostanza della cessazione di fatto del rapporto -, spettando al datore di lavoro la prova della giusta causa o del giustificato motivo oppure della riconducibilità del recesso alle dimissioni del lavoratore stesso.

La Suprema Corte, infatti, ha più volte chiarito che nel quadro della normativa limitativa dei licenziamenti (l. n. 604 del 1966; l. n. 300 del 1970 e l. n. 108 del 1990), la prova gravante sul lavoratore che domandi la reintegrazione nel rapporto di lavoro è quella della sua estromissione dal rapporto, mentre la controdeduzione da parte del datore di lavoro di un fatto che nega il licenziamento e collega l'estromissione dal rapporto ad asserite dimissioni del lavoratore assume la valenza di un'eccezione in senso stretto, il cui onere probatorio ricade sull'eccipiente ai sensi del secondo comma dell'art. 2697, c.c.

In punto di ripartizione dell'onere probatorio in caso di dedotto licenziamento orale, la prova gravante sul lavoratore circa la "estromissione" dal rapporto non coincide tout court con il fatto della "cessazione del rapporto di lavoro, ma con un atto datoriale consapevolmente volto ad espellere il lavoratore dal circuito produttivo".

Da ultimo va considerato che i Giudici di legittimità hanno ulteriormente chiarito la questione affermando il seguente principio di diritto: "Il lavoratore subordinato che impugni un licenziamento allegando che è stato intimato senza l'osservanza della forma prescritta ha l'onere di provare, quale fatto costitutivo della sua domanda, che la risoluzione del rapporto di lavoro è ascrivibile alla volontà del datore di lavoro, anche se manifestata con comportamenti concludenti; la mera cessazione nell'esecuzione delle prestazioni non è circostanza di per sé sola idonea a fornire tale prova. Ove il datore di lavoro eccepisca che il rapporto si è risolto per le dimissioni del lavoratore, il giudice sarà chiamato a ricostruire i fatti con indagine rigorosa - anche avvalendosi dell'esercizio dei poteri istruttori d'ufficio ex art. 421, c.p.c. - e solo nel caso perduri l'incertezza probatoria farà applicazione della regola residuale desumibile dal comma 1 dell'art. 2697, c.c., rigettando la domanda del lavoratore che non ha provato il fatto costitutivo della sua pretesa".