Il dies a quo per la riassunzione del processo esecutivo a seguito di rigetto dell'opposizione a decreto ingiuntivo
24 Giugno 2019
Massima
Qualora il giudice dell'opposizione sospenda la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto in base alla quale era stata iniziata l'azione esecutiva e il giudizio di primo grado si concluda con il rigetto dell'opposizione, il creditore deve riassumere il procedimento esecutivo, già sospeso, nel termine di sei mesi decorrente dalla data della pronuncia della sentenza di primo grado e non da quella della sentenza di appello, con obbligo del giudice di dichiarare d'ufficio l'estinzione del processo esecutivo per inattività delle parti in caso di inosservanza del termine. Il caso
Avviata l'espropriazione sulla base di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, il giudice adito per l'opposizione avverso il decreto riteneva sussistenti i presupposti dell'art. 649 c.p.c. e per l'effetto disponeva la sospensione del processo esecutivo. Successivamente, l'opposizione veniva parzialmente accolta con conseguente necessità di riassunzione dell'espropriazione precedentemente sospesa. La questione
L'ordinanza in questione affronta la questione concernente la decorrenza del termine per la riassunzione del processo esecutivo sospeso. Le soluzioni giuridiche
Il giudice adito, rilevato che il termine di riassunzione decorre dalla pubblicazione della sentenza di primo grado che aveva definito il processo di opposizione a decreto ingiuntivo, dichiara estinta l'esecuzione, essendo già scaduto il termine di cui all'art. 627 c.p.c. Osservazioni
Come è noto, al cessare della causa sospensiva, il processo esecutivo deve riprendere il suo corso: a tal fine, l'art. 627 c.p.c. prevede che la parte interessata debba riassumere il processo nel termine fissato dal giudice dell'esecuzione «ed in ogni caso, non più tardi di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o dalla comunicazione della sentenza d'appello che rigetta l'opposizione», pena, in mancanza, l'estinzione della procedura esecutiva. Tale norma non è stata mai modificata dal legislatore, ma non è dubbio che, a seguito delle numerose riforme che in generale hanno interessato il processo esecutivo ed in particolare l'istituto della sospensione, essa debba essere interpretata in maniera diversa da come accadeva in passato. Ciò ad esempio è quanto accaduto dopo la soppressione dell'appellabilità delle sentenze di primo grado emesse ex artt. 616 e 619 c.p.c., giacché l'intervento legislativo – pur non toccando l'art. 627 c.p.c. – aveva determinato il sorgere del dubbio se, ai fini dell'individuazione del dies a quo per la riassunzione, si dovesse applicare la sola parte della norma relativa alla comunicazione della sentenza di appello. Parte della dottrina affermava che poiché dette sentenze erano qualificate dalla legge non impugnabili (i.e. ricorribili in Cassazione), giocoforza occorreva affermare che se la pronuncia fosse stata di rigetto dell'opposizione, il processo esecutivo poteva essere immediatamente riattivato senza bisogno di attendere il passaggio in giudicato della decisione: solo quest'interpretazione era in grado di rispettare la ratio dell'art. 627 c.p.c. che è quella di prescindere dal passaggio in giudicato della sentenza, riconoscendo efficacia immediata alla sentenza d'appello (sul punto si vis Metafora, Sospensione dell'esecuzione, in Dig. civ., Torino, 2007, 29). Oggi, a seguito del ripristino dell'originario regime di impugnazione delle sentenze conclusive delle opposizioni di merito, il problema, purtroppo, è destinato a riproporsi: in merito, il nuovo modo di intendere la sospensione dell'esecuzione, indiscutibilmente, condiziona l'interpretazione del dettato normativo in questione. La natura lato sensu cautelare della sospensione dell'esecuzione ha ad esempio indotto parte della dottrina (Scala, sub art. 627, in Cod. proc. civ. ipertestuale, Torino, 2006, par. 2; Oriani, La sospensione dell'esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e 624 c.p.c.), in REF, 2006, 209 ss., in part. 222) a ritenere che alle ordinanze che dispongono la sospensione del processo esecutivo debbano applicarsi le norme di cui agli artt. 669-bis ss. c.p.c. ed in particolare dell'art. 669-novies, con l'ulteriore conseguenza di ritenere implicitamente abrogato l'art. 627 c.p.c. nella parte in cui individua il dies a quo del termine per la riassunzione del processo sospeso nel giorno del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o dalla comunicazione della sentenza di appello che rigetta l'opposizione. Per quest'orientamento, in altre parole, deve ritenersi che, respinta l'opposizione all'esecuzione nel cui corso è stata sospesa l'esecuzione, scatta dal giorno della pronuncia di rigetto di primo grado il termine per la riassunzione del processo esecutivo. L'applicazione integrale dell'art. 669-noviesc.p.c. potrebbe però indurre a ritenere che il giudice dell'opposizione, nella sentenza di rigetto, debba dichiarare l'inefficacia del provvedimento cautelare (i.e. l'ordinanza di sospensione) e dettare le modalità per la prosecuzione del processo esecutivo, con la conseguenza che, qualora manchi un provvedimento del genere, sarebbe inevitabile il ricorso al meccanismo descritto nel terzo comma dell'art. 669-noviesc.p.c.; ciò a tacere della circostanza che, così opinando, vi sarebbe anche da chiedersi se il giudice dell'esecuzione debba limitarsi a dichiarare l'inefficacia dell'ordinanza di sospensione, ovvero debba anche disporre in ordine all'attività esecutive ancora da compiere. Non mi pare tuttavia che queste conclusioni siano necessitate: a ben guardare, non è necessaria una espressa rimozione dell'ordinanza di sospensione, né vi è la necessità di dare le disposizioni per ripristinare la situazione precedente. Difatti: a) ai fini della valida riassunzione del processo esecutivo sospeso è sufficiente il semplice compimento dell'atto di riassunzione che è stato impedito dal provvedimento di sospensione; b) non vi è alcuna ragione o necessità di ritenere applicabile l'art. 669-noviesc.p.c. nella parte in cui richiede una espressa declaratoria di inefficacia dell'ordinanza di sospensione, potendo essere il rapporto di compatibilità di cui all'art. 669-quaterdeciesc.p.c. anche solo parziale (Consolo, Art. 669 quaterdecies, in Consolo-Luiso-Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, 726 ss.; Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 387; contra Mandrioli-Carratta, Diritto processuale civile, IV, Torino, 2016, 281, nt. 4). Può dunque concludersi che ai fini della decorrenza del termine per la riassunzione del processo esecutivo, non occorre una formale dichiarazione di inefficacia del provvedimento di sospensione, decorrendo siffatto termine non dal momento della dichiarazione di inefficacia, ma da quello in cui si è verificato l'effetto. Quanto poi alle ipotesi di sospensione disposte dal giudice dell'impugnazione, comprese quelle rese in sede di opposizione a decreto ingiuntivo la conclusione è identica, sebbene diverse siano le premesse: a) in virtù della considerazione che la disciplina contenuta nell'art. 627 c.p.c. non può ritenersi operante per le pronunce del giudice delle impugnazioni in senso tecnico (appello, ricorso per cassazione, ecc.) e per quelle rese all'esito di un'impugnazione in senso atecnico (i.e. alle opposizioni a decreto ingiuntivo, alla convalida di sfratto), a causa del riferimento testuale contenuto nell'articolo in questione alla decisione di secondo grado di rigetto dell'opposizione (Bucolo, Effetti della sentenza non esecutiva sulle pronunce esecutive anteriori, RTPC, 1964, 1542 ss., per il quale, in queste ipotesi doveva applicarsi la regola – all'epoca avente portata generale – di operatività della riassunzione a seguito del passaggio in giudicato della decisione) e b) in considerazione del fatto che, oggi, per effetto della novella dell'art. 282 c.p.c. l'efficacia delle sentenze è anticipata già al momento della loro pronuncia in primo grado, è stato affermato che, allorquando sia disposta la sospensione del processo esecutivo a seguito dell'adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 649 e 623 c.p.c., cui segua la pronuncia della sentenza di rigetto dell'opposizione a decreto ingiuntivo, ai fini della riassunzione del processo esecutivo sospeso non è necessario attendere il passaggio in giudicato della sentenza, dovendosi calcolare la maturazione del termine semestrale dalla pronuncia della sentenza di primo grado (Trib. Asti, 27 novembre 2017, n. 958, in GI, 2018, 881 ss., con nota di Gramaglia). A questa conclusione giunge anche parte della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., 31 luglio 2017, n. 19029), la quale, con riferimento allo specifico caso della sentenza di rigetto dell'opposizione a decreto ingiuntivo, osserva che in tale ipotesi il decreto ingiuntivo riprende la sua efficacia e cessano gli effetti della sospensione disposta dal giudice della cognizione e, conseguentemente, la sospensione disposta dal giudice dell'esecuzione (Cass. civ., 3 settembre 2007, n. 18539), in quanto quest'ultima può durare solo fino alla sentenza di primo grado di rigetto dell'opposizione che restituisce al decreto ingiuntivo la forza di titolo esecutivo, sulla base del quale era stata promossa l'esecuzione forzata, e non è necessario attendere il passaggio in giudicato della decisione di rigetto dell'opposizione al decreto ingiuntivo, o, in altre parole, della decisione di accoglimento della domanda di condanna contenuta nel ricorso monitorio. Ciò premesso e venendo alla decisione che qui brevemente si commenta, merita di essere osservato come, senza fornire alcuna ragione giustificativa della propria scelta, il giudice, sciogliendo la riserva assunta in udienza, si sia limitato a calcolare il termine semestrale di cui all'art. 627 c.p.c. dalla pronuncia della sentenza di primo grado e, rilevato la tardività della riassunzione, abbia dichiarato l'estinzione dell'esecuzione ai sensi dell'art. 630 c.p.c. Dalla decisione in epigrafe, dunque, è dato solo evincere la preferenza del giudice per il termine semestrale dell'art. 627 c.p.c., nonché la sua applicazione non integrale, applicandosi la norma solo nella parte che prevede il termine di sei mesi, senza possibilità per la parte di considerare detto termine decorrente dalla comunicazione della sentenza d'appello (o dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado) sull'opposizione a decreto ingiuntivo. In altre parole, per il giudicante: a) l'art. 627 c.p.c. regola esclusivamente la riassunzione del processo esecutivo sospeso dal giudice dell'esecuzione (nei tre casi di opposizione all'esecuzione, agli atti esecutivi e di terzo); b) pur non applicandosi la norma al caso in esame, si deve comunque prendere in considerazione il termine di sei mesi (previsto dalla norma), facendolo decorrere dalla data di deposito della sentenza di primo grado, non come mera facoltà, ma come obbligo comportante, in caso di inosservanza, l'estinzione di diritto. La soluzione è pienamente condivisibile, ma andava forse motivata, anche e soprattutto alla luce della tesi seguita dalla giurisprudenza (Cass. civ., 4 aprile 2017, n. 8683), secondo cui l'art. 627 c.p.c., nella parte in cui allude alla riassunzione del processo esecutivo nel termine di sei mesi dal passaggio in cosa giudicata della sentenza di primo grado che rigetta l'opposizione all'esecuzione, deve essere inteso nel senso che tale momento «segna soltanto il dies a quo del termine per la riassunzione (che, se la sentenza viene impugnata, non decorre, venendo sostituito dal momento della comunicazione della sentenza di appello che rigetti l'opposizione) e non il momento di insorgenza del potere di riassumere, il quale, in conseguenza dell'immediata efficacia della sentenza di primo grado di rigetto dell'opposizione ai sensi dell'art. 282 c.p.c., nasce con la sua stessa pubblicazione». La Suprema Corte, in sostanza, afferma che l'art. 627 c.p.c. non disciplina il termine iniziale della possibile riassunzione, ma solo quello finale: tale previsione «si giustifica al fine di consentire al creditore opposto, ove lo ritenga prudente ed opportuno (anche in considerazione delle responsabilità connesse alla prosecuzione e definizione di un procedimento esecutivo in pendenza di opposizione) di non effettuare tale riassunzione al solo fine di evitare l'estinzione dell'esecuzione, in caso di impugnazione della pronunzia di rigetto in primo grado dell'opposizione di merito» (Gramaglia, La riassunzione del processo esecutivo sospeso con ordinanza ex art. 649 c.p.c., in GI, 2018, 886). A ben vedere, la soluzione offerta dalla Suprema Corte si prospetta quale adeguato bilanciamento tra le esigenze di rapidità del processo esecutivo e quelle di tutela delle ragioni creditorie, ammettendo che il procedente possa, a sua scelta, riassumere il processo esecutivo o dopo la sentenza di primo grado che ha deciso l'opposizione oppure dopo la comunicazione della sentenza di appello, purché sia rispettato il termine finale di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o da quella della comunicazione della sentenza di appello. |