Orario di lavoro e tempo occorrente a raggiungere la postazione dopo la timbratura: se non c'è potere direttivo al lavoratore non spetta la retribuzione

24 Giugno 2019

Il tempo necessario per raggiungere il luogo di svolgimento della prestazione è parte dell'orario lavorativo qualora si verifichino due condizioni: 1) deve esservi un nesso funzionale tra lo spostamento e l'attività lavorativa, nel senso che...
Massima

Il tempo necessario per raggiungere il luogo di svolgimento della prestazione è parte dell'orario lavorativo qualora si verifichino due condizioni: 1) deve esservi un nesso funzionale tra lo spostamento e l'attività lavorativa, nel senso che il primo sia strumentale al compimento della seconda che altrimenti non si potrebbe espletare; 2) il lavoratore deve essere a disposizione del datore di lavoro anche durante lo spostamento.

Il caso

Una dipendente di un'azienda di telecomunicazioni affermava che, sino ad una certa data, il suo orario di lavoro iniziava con la timbratura ai tornelli elettronici siti all'ingresso del locale aziendale e finiva con la timbratura in uscita ai medesimi tornelli. Tuttavia, a seguito della stipula di un accordo sindacale, l'azienda aveva iniziato ad identificare l'inizio dell'orario di lavoro non più con la timbratura, bensì con il momento in cui la dipendente effettuava il collegamento della propria postazione di lavoro al sistema informatico aziendale. Lo stesso al termine dell'orario lavorativo, che veniva fatto coincidere con lo scollegamento dal sistema.

La dipendente sosteneva, quindi, che il tempo impiegato dalla timbratura al collegamento della propria postazione dovesse essere computato, ad ogni effetto, come orario di lavoro.

La questione

La questione giuridica prospettata nella controversia attiene ai presupposti necessari per qualificare come orario di lavoro il lasso di tempo necessario a raggiungere, dopo aver timbrato il proprio badge, la postazione di lavoro per iniziare lo svolgimento delle mansioni.

Nel caso di specie, la lavoratrice sosteneva che la sottoposizione al potere datoriale iniziasse nel momento stesso della timbratura della propria presenza, sicché il tempo occorrente a raggiungere la propria prestazione avrebbe dovuto essere retribuito come orario di lavoro. Secondo la lavoratrice, infatti, per orario di lavoro avrebbe dovuto intendersi non solo il tempo di effettiva prestazione, ma anche quello in cui il lavoratore è fisicamente presente sul luogo di lavoro.

L'azienda respingeva tale ricostruzione e, valorizzando anche il testo dell'accordo sindacale stipulato a livello aziendale, evidenziava che la lavoratrice, dal momento della timbratura a quello di effettivo inizio delle proprie mansioni, godeva di assoluta autonomia, sicché nessun potere datoriale veniva di fatto esercitato.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza ha risolto la controversia respingendo la domanda della lavoratrice.

In particolare, il Giudice ha rilevato che la lavoratrice non aveva allegato alcun elemento dal quale desumere l'effettivo esercizio dei poteri datoriali nel tempo intercorrente tra le timbratura e il collegamento della propria postazione al sistema informatico aziendale.

Infatti, secondo la sentenza, “il passaggio del lavoratore ai tornelli, in assenza di un potere di controllo datoriale, costituisce mera identificazione del ricorrente, presente all'interno dell'edificio, volta a distinguere l'ingresso dello stesso da quello dei terzi estranei. Non può, pertanto, affermarsi che vi sia stato in tale momento una presa in carico della prestazione lavorativa da parte del datore di lavoro in assenza dei poteri di eterodirezione della stessa. Né assume rilievo a tal fine l'indispensabilità del tragitto per raggiungere la posizione lavorativa, così ragionando infatti si finirebbe per considerare sempre come tempo lavorativo anche quello necessario per raggiungere la sede fissa di lavoro dal proprio domicilio”.

La decisione dunque ha rilevato, nel caso di specie, la possibilità per la lavoratrice di disporre liberamente del tempo intercorso tra la timbratura e il collegamento della propria postazione, sicché esso non poteva essere qualificato orario di lavoro.

La stessa sentenza ha richiamato anche un precedente (Tribunale Milano, 5 aprile 2006) in base al quale il tempo impiegato dal lavoratore dipendente dal varco di accesso dello stabilimento di grandi dimensioni allo spogliatoio è lavoro effettivo e come tale retribuito solo se una volta varcato il cancello d'ingresso dell'area aziendale il dipendente è assoggettato al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro senza libertà di autodeterminazione.

Osservazioni

La sentenza, offrendo spunti innovativi di riflessione, si inserisce nell'alveo del filone giurisprudenziale sulla retribuibilità delle attività prodromiche alla prestazione di lavoro.

Infatti, si ritiene comunemente che la timbratura del badge identifichi l'inizio dell'orario di lavoro.

In realtà, la presenza fisica sul luogo di lavoro non necessariamente comporta il diritto del lavoratore a ricevere la controprestazione retributiva, che sorge al contrario solo qualora si possa riscontrare l'esercizio del potere datoriale di conformazione.

Tale principio giuridico è stato ampiamente declinato nell'ambito del filone giurisprudenziale del c.d. “tempo tuta”. Secondo un orientamento ormai consolidato, infatti, il tempo necessario alla vestizione del lavoratore deve essere retribuito se tale operazione è diretta dal datore di lavoro, rientrando diversamente negli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento della prestazione lavorativa che, in quanto tali, non sono ricompresi nell'orario di lavoro.

L'originalità della sentenza in commento è l'estensione di tali principi al tempo intercorso tra la timbratura e l'inizio della prestazione lavorativa.

Sul punto, è opportuno ricordare la decisione della Corte di cassazione n. 13465 del 2017 secondo la quale: “poiché il diritto alla retribuzione sorge per il solo fatto della messa a disposizione delle energie lavorative, la semplice presenza del dipendente in azienda determina la presunzione della sussistenza nel datore di lavoro del potere di disporre della prestazione lavorativa. Talché è orario di lavoro l'arco temporale comunque trascorso all'interno dell'azienda, a meno che il datore di lavoro non provi che il prestatore d'opera sia ivi libero di autodeterminarsi ovvero non assoggettato al potere gerarchico. E ciò alla stregua del criterio secondo cui l'onere probatorio del fatto impeditivo, modificativo o estintivo grava su chi eccepisce l'insussistenza dell'obbligazione”.

Nel caso deciso dal Tribunale di Napoli, è stata valorizzata proprio l'insussistenza di un potere direttivo esercitato dal datore di lavoro nel tempo occorrente (alcuni minuti) per raggiungere la postazione dopo aver timbrato, periodo durante il quale il lavoratore aveva facoltà di autodeterminazione.

Sicché, è vero che ai sensi dell'art. 1, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 66 del 2003, per orario di lavoro deve intendersi “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia […] a disposizione del datore di lavoro”, ma tale “disponibilità” deve concretizzarsi nel riscontro del potere datoriale di conformazione per mezzo di una allegazione puntuale delle relative modalità di esercizio, effettivo o quantomeno potenziale. Diversamente, se il lavoratore può disporre liberamente del proprio tempo all'interno del locale aziendale, viene meno in radice la possibilità di accertare la sua soggezione al potere direttivo e organizzativo, con conseguente insussistenza del diritto alla retribuzione.

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