Liquidazione del compenso dell'avvocato non precedentemente pattuito e procedimento monitorio

25 Giugno 2019

L'art. 633, comma 1, n. 2, c.p.c. prevede che l'avvocato può ottenere dal giudice competente la pronuncia di un'ingiunzione nei confronti del cliente per il pagamento del compenso a lui spettante per lo svolgimento della propria attività professionale, tanto in sede giudiziale che stragiudiziale.
Il quadro normativo

Come è noto, l'art. 633, comma 1, n. 2, c.p.c. prevede che l'avvocato può ottenere dal giudice competente la pronuncia di un'ingiunzione nei confronti del cliente per il pagamento del compenso a lui spettante per lo svolgimento della propria attività professionale, tanto in sede giudiziale che stragiudiziale. In tale caso, secondo la disposizione di cui all'art. 636 c.p.c., la domanda deve essere accompagnata dalla parcella relativa alle spese e prestazioni, munita della sottoscrizione del ricorrente, e corredata dal parere del competente Consiglio dell'ordine; non occorre, invece, il parere se l'ammontare delle spese e delle prestazioni è determinato in base a tariffe obbligatorie.

L'art. 9 d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 marzo 2012 n. 27, ha abrogato tutte le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico e, contestualmente, le disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano a tali tariffe, prevedendo che, nel termine di centoventi giorni dall'entrata in vigore della stessa legge di conversione (i.e., il 25 marzo 2012), il Ministro vigilante stabilisse i parametri da tener presenti in caso di liquidazione del compenso del professionista da parte di un organo giurisdizionale.

Con riferimento all'attività degli avvocati (giudiziale e stragiudiziale) la determinazione di tali parametri si è avuta, dapprima, con il d.m. 20 luglio 2012, n. 140, il quale è stato poi sostituito dal d.m. 10 marzo 2014, n. 55.

A seguito dell'abolizione delle “tariffe” ad opera dell'art. 9 d.l. n. 1/2012 si è posta tuttavia la questione relativa alla concreta utilizzabilità del procedimento monitorio per la liquidazione del compenso degli avvocati in assenza di un preventivo accordo scritto con il cliente, secondo la previsione di cui all'art. 9, comma 4, l. n. 247/2012.

L'orientamento restrittivo adottato da alcuni Uffici giudiziari

Immediatamente all'indomani dell'entrata in vigore dell'art. 9 cit., parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto implicitamente abrogato il potere di opinamento delle associazioni professionali in quanto esso si sarebbe basato esclusivamente sul sistema tariffario, ormai non più in vigore (in tal senso, v. Trib. Verona, 25 settembre 2013; Trib. Varese, 11 ottobre 2012; in dottrina, Conte; Garbagnati; contra Mandrioli-Carratta).

In questo contesto, si è anche affermata la conseguente abrogazione, tra l'altro, dell'art. 2233, comma 1, c.c. nella parte in cui tale disposizione prevede l'acquisizione giudiziale del parere della competente associazione professionale, in quanto meccanismo partecipe dell'applicazione del sistema tariffario. Nello stesso senso depone anche la struttura morfologica dell'art. 636 c.p.c. che contribuisce alla quantificazione del compenso, attingendo al bacino delle (abrogate) tariffe: da qui, dunque, se ne è inferita la conseguente rimozione dall'ordinamento.

Successivamente, il predetto orientamento è stato adottato in maniera sistematica dal Tribunale di Roma, il quale è ormai costante nel ritenere che, in assenza di una previa pattuizione scritta con il cliente, l'avvocato non possa richiedere ed ottenere l'emanazione di un decreto ingiuntivo per il recupero del credito maturato per l'espletamento della propria attività professionale, non sussistendo in tal caso il requisito della liquidità del credito prescritto dall'art. 633 c.p.c. (cfr., ex multis, Trib. Roma, 19 novembre 2018; Trib. Roma, 7 maggio 2018; Trib. Roma, 9 marzo 2017).

Secondo il Giudice romano, una volta affermata la regola della pattuizione del compenso all'atto del conferimento dell'incarico (art. 9, comma 4, d.l. n. 1/2012, nonché art. 13, comma 2, l. n. 247/2012), non potrebbe postularsi la coesistenza di un sistema di liquidazione del credito del professionista rimesso alla associazione professionale, secondo uno schema non dissimile da quello operante prima della generalizzata abrogazione del sistema tariffario, se non al prezzo di tradire la duplice voluntas legis di liberalizzare il mercato delle professioni e di esporre il cliente a pretese che non siano state previamente concordate e rese a lui note.

Inoltre, dovrebbe escludersi che il parere ancora oggi previsto dall'art. 9, l. n. 247/2012 coincida o sostituisca quello che l'art. 636 c.p.c. poneva a presupposto della concessione del decreto ingiuntivo all'avvocato operante nel previgente sistema tariffario. Il parere che l'Ordine professionale rilascia all'interessato potrebbe piuttosto svolgere un ruolo ancillare nel giudizio semplificato – ma a contraddittorio pieno – per la liquidazione del compenso all'avvocato, ovvero potrebbe persuadere il cliente, anche al di fuori e prima del giudizio, circa la fondatezza e la congruità della pretesa del suo creditore essendo formulato – sebbene da un soggetto che non può definirsi “terzo” – sulla base degli stessi parametri ai quali il giudice farà riferimento nella sua attività tesa a liquidare il credito del professionista.

In ogni caso, per tale orientamento, va escluso che sulla base del suddetto parere possa fondarsi un comando giudiziale come quello contenuto nel decreto ingiuntivo – sebbene instabile, in quanto passibile di opposizione – tanto più se si considera che l'art. 636 c.p.c. inibisce al giudice di discostarsene se non per la correzione di meri errori materiali.

In definitiva, fermo il diritto al compenso per l'opera prestata, all'avvocato sarebbe riservata esclusivamente la possibilità di far accertare il proprio credito mediante il procedimento ordinario o il procedimento sommario di cognizione, ai sensi degli art. 702-bis ss. c.p.c., mentre, in caso di liquidazione del compenso spettante per lo svolgimento della attività professionale in sede giudiziale civile, occorre utilizzare il procedimento sommario c.d. speciale di cui all'art. 14 d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 23 febbraio 2018, n. 4485).

Segue. Critica. L'utilizzabilità del procedimento monitorio

L'orientamento sopra esposto non appare meritevole di condivisione, dovendosi, quindi, preferire quella ulteriore soluzione, pure accolta da altra parte della giurisprudenza (Trib. Milano, 13 gennaio 2016; in termini parrebbe anche Cass. civ., 15 gennaio 2018, n. 712) e della dottrina (Mandrioli-Carratta; Vaccarella-Briguglio), secondo cui ancora oggi l'avvocato potrebbe avvalersi del procedimento monitorio per ottenere la liquidazione del proprio compenso, anche in assenza di un previo accordo scritto con il proprio cliente.

In primo luogo, merita osservare che l'art. 636 c.p.c., nel contemplare espressamente il «parere della competente associazione professionale» non fa alcun riferimento a tariffe o altri parametri, lasciando intendere che tale parere sia di per sé dotato di sufficiente autorevolezza, idonea a consentire l'emanazione del decreto ingiuntivo (ferma restando, comunque, la necessità per l'avvocato di addurre ulteriori prove a supporto della propria pretesa nell'eventuale fase di opposizione al decreto).

Accendendo a tale lettura, non potrebbe peraltro ritenersi che l'art. 636 c.p.c. sia stato abrogato dall'art. 9 d.l. n. 1/2012, né formalmente, né sostanzialmente in via sistematica, atteso che esso non rappresenta una «disposizione vigente che per la determinazione del compenso del professionista rinvia alle tariffe» (in tal senso si veda anche il parere reso da Consiglio Nazionale Forense del 23 ottobre 2013).

Questa impostazione risulta poi confermata dalla riconducibilità del credito dell'avvocato alla previsione di cui al n. 2 e non al n. 3 dell'art. 633 c.p.c., e ciò in considerazione del fatto che neppure tale n. 2 fa riferimento ad alcuna “tariffa”.

Anche ove poi si volesse aderire ad altra impostazione secondo cui l'art. 636 c.p.c., nel riferirsi al parere di congruità del Consiglio dell'Ordine, implica necessariamente un parere reso sulla base di parametri oggettivi e “normativi”, basterebbe allora considerare che questi parametri sussistono a tutt'oggi e sono quelli, pur in parte diversi rispetto alle vecchie “tariffe”, immediatamente introdotti dalla l.n. 247/2012 (la quale, all'art. 13, comma 6, rinvia «ai parametri indicati nel decreto emanato dal Ministro della giustizia, su proposta del CNF, ogni due anni, ai sensi dell'art. 1 comma 3»). Che essi siano in parte diversi dai precedenti, o che essi non si designino più come tariffe (questione all'evidenza puramente nominale), non muta il senso del discorso e non consente perciò di ritenere formalmente o sostanzialmente abrogato l'art. 636 c.p.c. (Mandrioli-Carratta; Vaccarella-Briguglio).

Allo stesso modo dovrebbe concludersi, in una visione ispirata alla sostanziale ragionevolezza, ove pure si volesse ritenere che il credito dell'avvocato rientri nella previsione dell'art. 633, n. 3, c.p.c. come credito di «altro esercente una libera professione o arte per la quale esista una tariffa legalmente approvata». Anche in tal caso sarebbe evidente che per “tariffa legalmente approvata” dovrebbe intendersi qualsiasi parametro oggettivo normativamente precostituito, e tali appunto oggi sono anche quelli introdotti dalla cennata l.n. 247/2012.

Che poi le tariffe o i parametri precostituiti lascino maggiori o minori margini discrezionali per l'esatta quantificazione dei compensi nel singolo caso di specie, rappresenta una variante non significativa, perché lo scopo del parere di congruità è per l'appunto quello di convalidare, con sufficiente grado di attendibilità, l'esercizio della predetta discrezionalità e perciò la puntuale determinazione del compenso.

Inoltre, come emerge dalla stessa l. n. 247/2012, la disposizione relativa alla pattuizione per iscritto del compenso dovuto al professionista costituisce una regola di massima (art. 13, comma 2: «il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico (corsivo aggiunto)»), suscettibile di eccezioni. Eccezioni non a caso disciplinate dalla medesima l.n. 247/2012 che, si ribadisce, rinvia – nei previsti casi di assenza di convenzione scritta sui compensi – ai nuovi parametri tariffari emanati dal Ministero della Giustizia, consentendo altresì all'Ordine professionale di appartenenza dell'avvocato creditore di esprimere, su richiesta di quest'ultimo e sulla base di quei parametri oggettivi, un parere di congruità equivalente a quello della precedente esperienza e sicuramente riconducibile all'art. 636 c.p.c.

Infine, non sembra ragionevole riconoscere che alla liquidazione del compenso dell'avvocato il giudice del giudizio sommario obbligatorio perverrà in applicazione degli stessi parametri utilizzati dall'ordine professionale ai fini della redazione del parere in commento e, al contempo, negare l'efficacia probatoria di quest'ultimo ai fini dell'emanazione, da parte del giudice del monitorio, del decreto ingiuntivo richiesto. Se si ritiene che il parere in esame valga a garantire prima facie il cliente in ordine alla congruità della richiesta economica del professionista perché reso in applicazione di parametri normativi (predisposti da soggetto “terzo” rispetto alle parti) ai quali anche il giudice si affiderebbe per liquidare il relativo credito all'esito del giudizio sommario obbligatorio, è incoerente affermare che il giudice adito in via monitoria non possa, in virtù del medesimo parere, emanare un decreto ingiuntivo.

Guida all'approfondimento
  • Conte, Il procedimento d'ingiunzione, Bologna, 2012, 76;
  • Garbagnati, Il procedimento d'ingiunzione, Bologna, 2012, 90;
  • Mandrioli-Carratta, Diritto processuale civile, III, Torino, 2017, 14;
  • Vaccarella-Briguglio, I riti utilizzabili per richiedere giudizialmente la liquidazione del compenso all'avvocato, in www.judicium.it, 3 marzo 2017.

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