L’attività del collegio sindacale alla luce del codice della crisi e dell’insolvenza

Alessandro Ireneo Baratta
Orazio Lauri
26 Giugno 2019

Il codice della crisi attraverso la modifica dell'art. 2477 oltre ad incrementare il numero di società che dovranno essere dotate di organo di controllo, ha altresì introdotto, con l'art. 14, nuovi doveri e responsabilità a carico del sindaco o del revisore.
Premessa

Il Codice della crisi e dell'insolvenza (d.lgs. n. 14/2019) ha sensibilmente incrementato il numero di società che dovranno essere dotate di organo di controllo ed ha, altresì, introdotto nuovi doveri e responsabilità a carico del sindaco o del revisore.

E' noto infatti che la funzione di sindaco e di revisore di società di capitali fino ad alcuni anni fa costituiva un'attività inserita in un contesto di nome che consentivano di modulare il rischio e mediamente remunerativa.

Le verifiche del collegio sindacale erano nella prassi limitate alle consuete verifiche trimestrali ed all'esame del bilancio d'esercizio con la redazione della relazione di cui all'art. 2429 c.c..

In caso di fallimento della società il rischio di essere oggetto di azione di responsabilità ex art. 146 l.fall. era limitato soprattutto poiché tale tipologia di azione prevedeva scarsi risultati patrimoniali.

Con l'introduzione dell'obbligo di stipula di assicurazione contro i rischi professionali, evidentemente, l'eventuale azione ex art. 146 l.fall., consente di escutere la garanzia assicurativa e quindi l'azione ha dei connotati di convenienza ben più marcati che nel passato e, quindi, i sindaci sono più esposti alla stessa.

La giurisprudenza, tanto civile quanto penale, ha chiarito le funzioni a carico del collegio sindacale stabilendo che il dovere di controllo gravante sui sindaci riguarda non soltanto i singoli atti gestori degli amministratori, ma, più in generale, l'intero andamento della gestione sociale, in quanto l'attività di vigilanza non è rivolta esclusivamente alla tutela dell'interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali. Ne consegue, pertanto, che il controllo operato dal collegio sindacale non può limitarsi ad una mera verifica sulla correttezza formale dell'amministrazione ma deve estendersi alla regolarità sostanziale della gestione, così come ricavabile dall'esame della documentazione contabile e dai dati forniti dall'organo amministrativo (Cass. Civ., n. 13081/2013), senza tuttavia poter giungere a sindacare il merito e l'opportunità della gestione in termini di valutazione ex post della redditività e proficuità economica dell'operazione compiuta, poiché tale apprezzamento rientra nella insindacabile discrezionalità dell'organo gestorio, secondo la business judgement rule.

La giurisprudenza penale ha altresì stabilito che il controllo sindacale, se non investe in forma diretta le scelte imprenditoriali, non si risolve neppure in una mera verifica contabile limitata alla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo ai sindaci conferito il potere-dovere di chiedere agli amministratori notizie sull'andamento delle operazioni e per determinate operazioni, quando queste possono suscitare perplessità per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione (Cass. Pen. n. 18985/2016).

Come si avrà modo di approfondire, le recenti riforme della disciplina delle procedure concorsuali, privilegiando gli istituti alternativi al fallimento nonché il ricorso a misure idonee all'emersione tempestiva della crisi d'impresa, hanno innovato le funzioni dell'organo di controllo della società valorizzandone il ruolo.

I nuovi limiti dimensionali per la nomina dell'organo di controllo

L'art. 379 del codice della crisi e dell'insolvenza dell'impresa (d.lgs n. 14/2019 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 38 del 14 febbraio 2019) - così come modificato dal c.d. “Decreto Sblocca Cantieri” (d.l. n. 32/2019, conv. in l. n. 55/2019, pubblicata sulla G.U. n. 140 del 2019) ha riformato il comma 3 dell'art. 2477 c.c., disponendo che: "La nomina dell'organo di controllo o del revisore è obbligatoria se la società:

a) è tenuta alla redazione del bilancio consolidato;

b) controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti;

c) ha superato per due esercizi consecutivi almeno uno dei seguenti limiti: 1) totale dell'attivo dello stato patrimoniale: 4 milioni di euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 4 milioni di euro; 3) dipendenti occupati in media durante l'esercizio: 20 unità" raddoppiando le soglie originariamente stabilite dal codice della crisi.

Con la riduzione dei limiti dimensionali riferiti all'attività d'impresa e con la modifica del numero di esercizi di osservazione, è stata sensibilmente ampliata la platea delle società obbligate alla nomina dell'organo di controllo o del revisore.

Infatti le prime stime quantificano in circa 80.000 le società le società che saranno tenute nel breve tempo, alla nomina dell'organo di controllo collegiale o del revisore unico (M. Meoli, Restano in carica i sindaci delle Srl, Eutekne 2019).

L'adeguamento statutario al fine di consentire la nomina dell'organo di controllo previsto dalla nuova normativa, secondo il disposto dell'art. 379, comma 3, c.c.i., dovrà essere effettuato, al momento di redazione del presente articolo, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della norma stessa.

Va al contempo osservato che una volta entrata in ordinario regime la norma, l'obbligo in esame coinciderà col momento in cui l'assemblea approva il bilancio, dando in tal modo atto del superamento dei nuovi limiti ed assegnando alla stessa 30 giorni per provvedere (art. 2477, comma 6, c.c.).

Le rinnovate funzioni dell'organo di controllo all'atto della nomina

La prima conseguenza derivante dalla modifica dell'art. 2477 c.c. è rappresentata dal fatto che un elevato numero di imprese di piccole dimensioni, sarà soggetta all'obbligo della nomina di un organo di controllo.

I limiti previsti dalla legge comporteranno la nomina dell'organo di controllo anche per piccole realtà imprenditoriali che normalmente sono dotate di una struttura amministrativa molto ridotta e pertanto sprovviste di una struttura amministrativa adeguata a supportare, come necessario, l'organo sindacale. Al fine di portare un esempio pratico, si tratterà di realtà caratterizzate da:

- concentrazione della proprietà e della rappresentanza in capo a pochi soggetti (per lo più imprese a carattere familiare);

- scarsa separazione delle funzioni orientate all'indirizzo aziendale;

- numero limitato di linee di attività;

- assenza o insufficienza di controlli interni.

È di tutta evidenza come tali realtà imprenditoriali abbiano scarsa o nulla familiarità con i consueti protocolli della revisione che richiedono la collaborazione costante della struttura amministrativa dell'azienda.

A ciò aggiungasi il fatto che nelle imprese di piccole dimensioni, di norma, la contabilità viene esternalizzata e la struttura amministrativa è di fatto assente poiché le funzioni che vengono gestite internamente sono limitate alle attività strettamente legate alla produzione e vendita dei beni o servizi.

Non di rado, peraltro, quando la contabilità viene gestita in outsourcing, si procede, nella prassi, all'immediato aggiornamento dei documenti necessari al rispetto delle scadenze fiscali rinviando ad un momento successivo l'aggiornamento dei documenti obbligatori ai fini degli adempimenti civilistici, documenti, però, essenziali per l'effettuazione dei controlli devoluti al revisore.

Questa prassi ovviamente si riverbera inevitabilmente sulle funzioni che è chiamato a svolgere il revisore laddove lo stesso, è tenuto a verificare, ad esempio, l'adeguatezza dell'assetto organizzativo dell'impresa e il rispetto degli obblighi previsti dal riformato art. 2086 c.c..

È pertanto indispensabile procedere, in sede di accettazione dell'incarico, ad una attenta valutazione del rischio in rapporto al sistema organizzativo dell'impresa, alle dinamiche del mercato ove la medesima si trova ad operare, nonché al suo stato economico patrimoniale e finanziario.

Uno dei fini della valutazione del rischio, è quello di appurare se la società sia dotata di una propria struttura organizzativa nonché se la sua contabilità sia correttamente e costantemente aggiornata. In caso affermativo sarà possibile, infatti, redigere dei prospetti di natura economica e finanziaria che consentiranno, nel corso dell'attività di revisione, di fare adottare le necessarie misure nel caso in cui si manifestino indizi di crisi.

Ove la contabilità sia affidata ad un professionista esterno, il revisore dovrà applicare le regole contenute nel principio di revisione Isa Italia n. 402 cui si rimanda per maggiori approfondimenti.

Nelle società di piccole dimensioni, inoltre, l'organo di controllo dovrà prendere in considerazione la necessità di doversi recare presso la struttura professionale che gestisce dall'esterno i servizi contabili e amministrativi relativi all'ente sottoposto a controllo, ovvero valutare l'opportunità di accedere da remoto al sistema amministrativo al fine di effettuare utilmente i controlli in tempi congrui.

L'attività di verifica dell'adeguatezza della struttura organizzativa, pertanto, rappresenta un profilo di rilevante impatto non solo ai fini della valutazione del rischio connesso all'attività di revisione, ma anche ai fini della individuazione dei sistemi di controllo che il revisore dovrà far attivare all'interno dell'azienda.

Soccorre a tal fine la Guida Operativa del Cndcec (Attività di vigilanza del collegio sindacale delle società non quotate nell'ambito dei controlli sull'assetto organizzativo, maggio 2015) che suggerisce al collegio sindacale di verificare, in particolare, se il sistema organizzativo adottato dalla società sia in grado di:

- individuare in maniera sufficientemente chiara e precisa le funzioni, i compiti e le linee di responsabilità;

- garantire – mediante adeguate procedure e concrete modalità operative – che l'attività decisionale e direttiva della Società sia effettivamente esercitata dai soggetti ai quali sono attribuiti i relativi poteri;

- prevedere e applicare procedure che assicurino la presenza di personale con adeguata competenza a svolgere le funzioni ad esso assegnate;

- implementare le direttive e le procedure aziendali in modo da garantirne un costante aggiornamento nonché l'effettiva diffusione tra il personale dipendente.

Quanto sopra anche la fine di potere disporre di strutture adeguate per le verifiche periodiche finalizzate anche al monitoraggio dei presupposti per la continuità aziendale nonché di specifici flussi informativi tra l'organo di controllo e quello gestorio.

Le funzioni e i doveri nella fase pre-concorsuale

Il codice della crisi e dell'insolvenza dell'impresa (d.lgs n. 14/2019) ha introdotto nel nostro ordinamento gli istituiti di allerta e di composizione assistita (istituto che, al pari delle nuove procedure concorsuali ivi previste, entrerà in vigore dal mese di settembre dell'anno 2020) con l'intento di anticipare l'emersione della crisi, scongiurare per quanto possibile la disgregazione del patrimonio aziendale, evento, quest'ultimo, che precluderebbe l'utilizzo di strumenti idonei al trattamento della crisi stessa in un contesto di continuità produttiva con conseguenti ricadute negative sul sistema socio-economico effetto dell'estinzione dell'impresa e dell'assoggettamento dell'entità imprenditoriale, ad esempio, ad una procedura concorsuale di tipo liquidatorio e della perdita dell'unicità aziendale.

In tale contesto è stata valorizzata la funzione dell'organo di controllo ponendo a carico del collegio sindacale e dei revisori, ai sensi dell'art. 14 c.c.i., una serie di funzioni che impongono all'organo di controllo di:

- verificare che l'organo amministrativo valuti l'adeguatezza dell'assetto organizzativo dell'impresa;

- accertare la sussistenza di un idoneo equilibrio economico e finanziario. In mancanza compulsare l'organo amministrativo affinchè intervenga con i correttivi gestionali idonei e modifichi i criteri di redazione del bilancio laddove non fosse più garantita con certezza la continuità aziendale;

- analizzare costantemente il prevedibile andamento della gestione;

- segnalare immediatamente all'organo amministrativo l'esistenza di fondati indizi di crisi.

In tal caso e laddove non venissero attivate le procedure di allerta previste dall'art. 13 dello stesso decreto legislativo pur ricorrendone i motivi ivi indicati, da parte dell'organo amministrativo:

- informare l'organismo di composizione della crisi (OCRI) affinchè, se necessario, si proceda alla composizione assistita della crisi.

L'art. 37 c.c.i., innovando significativamente l'art. 6 l.fall., stabilisce, inoltre, che la domanda di apertura della liquidazione giudiziale (termine che, nell'ambito del nuovo codice della crisi d'impresa, sostituirà quello di fallimento) può essere proposta anche dagli organi che hanno funzioni di controllo e vigilanza sull'impresa.

(Segue) La verifica dell'adeguato assetto organizzativo

A partire dalla riforma fallimentare del 2006 il tema dell'adeguatezza degli assetti si è arricchito nei contenuti ed esteso nell'ambito di operatività, a seguito dell'introduzione nel nostro ordinamento degli istituti alternativi al fallimento volti a favorire la gestione negoziata delle crisi d'impresa e al mantenimento dell'aggregazione aziendale, privilegiando, tra l'altro, forme di vendita unitaria dell'azienda rispetto a quelle che ne presuppongono la frammentazione dei singoli sui beni.

In merito alla verifica dei sistemi di controllo interno approntati dall'organo gestorio e della loro effettiva adeguatezza per il monitoraggio dei fattori sintomatici della crisi d'impresa, è stato correttamente osservato che in presenza di tali situazioni, gli amministratori devono conformare il loro operato di conseguenza, premurandosi, in coerenza col dovere di agire in modo celere e informato, di optare per l'utilizzo di uno strumento di gestione della crisi e, comunque essere pronti alle corrette e specifiche scelte gestionali che meglio tutelino gli interessi sia dei soci che dei terzi che sono in rapporto con la società (M. Fabiani, Fondamento e azione per la responsabilità degli amministratori di S.p.A. verso i creditori sociali nella crisi dell'impresa, in Riv. soc., 2015).

Peraltro gli organi di controllo, per la loro conoscenza dell'impresa e la preparazione tecnica, sono maggiormente in grado di avvertire i segnali di pericolo al loro primo manifestarsi e sono altresì quelli maggiormente indicati ad apprezzare la necessità di misure organizzative di contrasto e a poter valutare l'idoneità di quelle adottate dell'imprenditore (V. Zanichelli, La segnalazione dei creditori pubblici qualificati: quod sine die debetur numquam debeatur?, in IlCaso.it, 2019).

Il criterio di adeguatezza acquisisce, in tale ambito, una peculiare rilevanza operativa, determinata dal fatto che gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili della società devono consentire ad amministratori e sindaci di monitorare con tempestività l'andamento della crisi per verificare e ove possibile preservare, la continuità aziendale da cui dipende la tutela degli interessi dei soci e dei terzi.

Tale ultimo aspetto che, in definitiva, attiene all'adozione di strumenti adeguati alla gestione della crisi aziendale e di monitoraggio della sua evoluzione, è presente nei Principi di comportamento emanati dal Cndcec (Norme di comportamento del Collegio sindacale, settembre 2015), che in relazione a tali fattispecie, evidenziano i doveri specifici di vigilanza che incombono sui sindaci e tendono a indicare i criteri per il mantenimento nel tempo degli assetti adeguati a tutela della continuità aziendale e per la salvaguardia dell'efficiente gestione nella fase di crisi, il tutto finalizzato sia all'interesse sociale che al rispetto del principio della par condicio creditorum.

(Segue) L'accertamento dell'equilibrio economico finanziario e l'analisi del prevedibile andamento della gestione

Al revisore spetta il compito di verificare che il management dell'impresa abbia effettuato una valutazione sul presupposto della continuità aziendale in modo appropriato.

La continuità aziendale è spiegata nell'art. 2423–bis c.c. laddove si stabilisce che “la valutazione delle voci di bilancio deve essere fatta nella prospettiva della continuità aziendale”.

Dalla lettura della norma generale appena richiamata, si evince come l'impresa sia un complesso economico in funzionamento.

L'art. 2423-bis c.c. è inserito tra le norme che regolano la formazione del bilancio d'esercizio il che significa che, nel redigere il documento a una data predeterminata, è necessario procedere alla valutazione dei cespiti aziendali (materiali ed immateriali) coniugati, però, con le reali prospettive future dell'impresa in un contesto predeterminato di continuità e secondo il naturale ciclo di vita dell'impresa.

I fattori produttivi posti alla base della redazione del bilancio, pertanto, devono essere resi omogenei, coniugati in un contesto di dinamicità e raffrontati tra periodi contabili diversi, conseguenti uno con l'altro, nella prospettiva della continuità aziendale.

Il mutamento delle condizioni di utilizzo dei fattori produttivi, genera, pertanto, un elemento di discontinuità e quindi rende impossibile la loro comparazione in epoche diverse e impone un obbligo di segnalazione ai terzi delle suddette mutate condizioni.

Nel caso in cui venga non vi sia più certezza circa la continuità aziendale, i fattori produttivi andranno rivalutati alla luce delle mutate condizioni e valutati con il fine della liquidazione dell'azienda.

Il tema è stato affrontato nell'ambito dei principi contabili sia nazionali che internazionali.

Mutuando dalle indicazioni fornite dallo OIC 5, è possibile affermare che tra l'impiego dei fattori produttivi in un ambito di continuità aziendale piena ovvero già coniugati con la prospettiva di liquidazione dell'azienda, esistono una serie ampia di situazioni intermedie di difficile, preventivo, puntuale, inquadramento.

Il principio contabile nazionale OIC 11 riformulato con le modifiche del 2018, ha individuato le cause di scioglimento di cui all'art. 2484 c.c., per l'adozione di interventi di discontinuità ovvero di rivisitazione dei fattori produttivi già adottati in passato quali elementi di valutazione della continuità.

In altri termini, l'OIC 11 ci suggerisce che vi è un momento temporale oltre il quale l'organo amministrativo dovrà effettuare necessariamente una valutazione prospettica sulle effettive capacità dell'azienda di continuare a costituire un complesso unitario dei beni finalizzato all'esercizio dell'impresa. In mancanza di certezza in merito alla persistenza degli elementi necessari alla continuità aziendale, si dovrà provvedere alla liquidazione.

In altri termini, nella comune prassi gestionale dell'impresa, si vengono, sovente, a creare situazioni le quali portano alla perdita della certezza circa la prospettiva di continuità aziendale ex art. 2423-bis c.c. ma non consentono di affermare formalmente la liquidazione dell'azienda e, quindi, presuppongono delle scelte gestionali in un contesto di discontinuità con il passato, imponendo di conseguenza, un attento e costante monitoraggio dei risultati connessi alle scelte operate anche nel breve periodo.

I principi contabili sia nazionali che internazionali, per accurata scelta fondata sull'esigenza di non standardizzare l'informazione di bilancio in un contesto, comunque, basato su stime e assunzioni, non indicano con precisione come procedere qualora venisse accertato il rischio della perdita della continuità aziendale in assenza di una formale dichiarazione di liquidazione dei beni aggregati.

In base al presupposto che l'impresa potrà operare, nel tempo, regolarmente anche in presenza dei fattori di rischio e che impongono la discontinuità con le scelte già operate per il passato, il principio di revisione contabile ISA 570 tratta la materia e individua le responsabilità del revisore relativamente al corretto utilizzo della continuità aziendale da parte della direzione nella redazione del documento di bilancio.

Al revisore spetta, certamente e in tali casi, la responsabilità di verificare che coloro che hanno il compito di redigere il bilancio abbiano effettuato una valutazione sul presupposto della continuità aziendale in modo appropriato.

Le scelte appropriate sulla continuità aziendale da parte della direzione esistono se sono stati adottati principi realistici per ritenere l'impresa in grado di svolgere regolarmente la propria attività in un prevedibile lasso di tempo futuro.

L'Isa Italia n. 570, fornisce alcuni elementi concreti sugli eventi e circostanze da analizzare per comprendere l'esistenza della continuità aziendale o l'esistenza di fattori di rischio. In particolare vengono individuati degli elementi di segnalazioni di possibile mutamento delle condizioni aziendali che, in via meramente esplicativa, possono essere raggruppati secondo le seguenti formulazioni:

1. indicatori di tipo finanziario quali la presenza riscontrata di un accentuato deficit patrimoniale o di un circolante negativo, la persistente o anche solo occasionale incapacità di pagare i debiti alla scadenza con puntualità, il restringimento o la chiusura dei canali bancari, la formazione di cash flow negativo conseguenza di consistenti e perduranti perdite;

2. indicatori di tipo gestionale quali, ad esempio, la perdita di quote di mercato, di clienti rilevanti, la crescita costante delle rimanenze di magazzino in presenza di ricavi stazionari ovvero in diminuzione, con conseguente invecchiamento dei beni che lo compongono;

3. indicatori di altro tipo quali quelli di carattere economico e patrimoniale e, più nello specifico, la riduzione di capitale al di sotto dei limiti legali.

Appurata la presenza degli elementi di rischio testé indicati, nel caso in cui l'impresa abbia iniziato a manifestare un progressivo ma costante cattivo impegno dei fattori produttivi, una contrazione dei rendimenti economici o anche soltanto una mutazione nelle intenzione dei soggetti implicati nella gestione ordinaria e, quindi, un costante peggioramento dei fondamentali elementi caratterizzanti la continuità aziendale, sarà necessario, in primo luogo, individuarne la presenza e quindi appurare che l'organo gestorio abbia adottato tutti gli strumenti più idonei per modificare l'andamento dell'impresa nel breve e medio termine.

Nei casi più gravi e comunque accertatane l'utilità, sarà necessario valutare, se non sia conveniente e/o doveroso, doversi avvalere di una delle procedure previste per il componimento della crisi di impresa, sia di natura stragiudiziale che di natura giudiziale. D'altronde il nuovo codice della crisi di impresa prevede ormai un ventaglio di possibilità molto ampio per il trattamento della crisi in regime di continuità aziendale: al solo fine esplicativo, vanno citate norme quali l'art. 56, sui piani attestati di risanamento (componimento stragiudiziale senza l'intervento dell'autorità giudiziaria), gli artt. 57 e ss sugli accordi di ristrutturazione del debito, gli artt. 84 e ss sul concordato preventivo.

Il d.lgs. n. 14/2019, peraltro, ha introdotto una nuova e istituzionalizzata situazione intermedia che si manifesta contestualmente ai primi sintomi di crisi dell'impresa e che rappresentano, per il legislatore delegato della riforma, i presupposti per l'avvio delle, cosiddette procedure di allerta di cui all'art. 13 del decreto in esame.

La norma, pur anticipando molteplici problemi interpretativi circa la reale valutazione della continuità aziendale nella fattispecie dalla stessa codificata, introduce nel nostro ordinamento, il concetto della tempestività di intervento sulla crisi d'impresa e delega il Cndceci ed esperti contabili, di individuare i parametri il cui mancato rispetto imporrà l'attivazione della procedura di allerta.

La norma in esame nell'individuare, pertanto, una istituzionalizzata situazione intermedia tra la piena prospettiva di continuità aziendale e la fase di liquidazione formale dell'azienda, indica i presupposti oggettivi delle medesime presupponendo un disequilibrio reddituale, una carenza finanziaria e una sintomatica impossibilità di fare fronte alle obbligazioni nel breve termine di sei mesi.

(Segue) L'obbligo di segnalazione ed informativa

Connesso a quanto spiegato nel paragrafo precedente, il codice della crisi e dell'insolvenza, come già accennato, stabilisce che l'organo di controllo è tenuto, in caso di fondati indizi di crisi, a segnalare le criticità all'organo amministrativo fissando un congruo termine, comunque non superiore a 30 giorni, in cui dovrà riferire in ordine alle soluzioni individuate e alle iniziative intraprese. In caso di omessa o inadeguata risposta, ovvero di mancata adozione nei successivi sessanta giorni delle misure ritenute necessarie, gli organi di controllo dovranno informare senza indugio l'organismo di composizione della crisi d'impresa, fornendo ogni elemento utile per le relative determinazioni anche in deroga a quanto disposto dall'art. 2407 c.c. quanto all'obbligo di segretezza.

Il codice introduce, inoltre, una misura premiale a favore degli organi di controllo disponendo che la tempestiva segnalazione all'organismo di composizione della crisi costituisce causa di esonero dalla responsabilità solidale per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni successivamente poste in essere dall'organo amministrativo in difformità dalle prescrizioni ricevute, che non siano conseguenza diretta di decisioni assunte prima della segnalazione.

Le funzioni nella fase concorsuale

Dopo aver esperito senza successo gli strumenti previsti dalle misure di allerta e tentata, quindi, la strada del componimento bonario del debito, la società sarà tenuta ad accedere alla gestione della crisi in un contesto concorsuale e giudiziale rappresentato, dal fallimento (nel nuovo codice della crisi e insolvenza d'impresa si parla di liquidazione giudiziale) ovvero da procedure alternative quali l'accordo di ristrutturazione del debito ovvero il concordato preventivo.

E' solo il caso di ricordare che il debitore che si trova concordato preventivo subisce il c.d. spossessamento “attenuato” in quanto gli organi della procedura non possono, seppur in taluni casi, soltanto in fatto, esercitare un potere dispositivo che esorbiti non solo dalle previsioni dell'accordo proposto ai creditori, ma anche dalle modalità di esecuzione dell'accordo medesimo una volta che quest'ultimo sia stato presentato, ovvero, in taluni casi, omologato.

In quest'ottica le funzioni degli organi di controllo, oltre alle consuete verifiche documentali, devono essere incentrate sulla verifica dell'adempimento degli obblighi assunti a seguito della presentazione ovvero omologazione dell'accordo o del concordato preventivo, sia che quest'ultimo preveda la continuità aziendale che, esclusivamente, la liquidazione dei beni.

Dette attività, nella maggior parte dei casi, non appaiono di semplice esecuzione tenuto conto che le società vuoi per la mancanza di fondi, vuoi per la necessità di operare riduzioni di costi, vengono a trovarsi con un assetto organizzativo inadeguato e non sempre in grado di assicurare un flusso costante ed affidabile di informazioni. Le imprese in crisi, infatti e non di rado, procedono alla riduzione del personale amministrativo con inevitabili ripercussioni sulla tempestività e qualità delle informazioni contabili.

A ciò aggiungasi che l'attuale formulazione delle norme contenute nel nuovo codice, pongono non pochi problemi interpretativi e quindi saranno di difficile attuazione da parte dei soggetti interessati.

(Segue) La verifica dell'adempimento degli obblighi concordatari

L'attività dell'organo di controllo deve appurare, in primo luogo, che la società rispetti quanto previsto nel piano di concordato, sia in termini di tempistiche degli adempimenti connessi all'accordo che in termini di corretto pagamento in favore dei creditori. Dovrà, inoltre, verificare la presenza di eventuali eventi ostativi che potrebbero pregiudicare il rispetto delle assunzioni previste nella proposta concordataria.

Nella prassi, tenuto conto che sovente non vengono rispettati né le modalità né gli importi dei pagamenti previsti tra i vari adempimenti degli accordi, l'organo di controllo dovrà verificare se l'eventuale inadempimento sia di scarsa importanza oppure se possa pregiudicare l'esecuzione del concordato.

Tale attività di controllo è resa ancor più difficoltosa dalla eventuale presenza della continuità aziendale la quale imporrà una accurata analisi dei risultati economici e finanziari della gestione e, soprattutto, se i medesimi sono in linea con le previsioni contenute nel piano industriale formulato dal soggetto debitore e in procedura concorsuale.

In tali casi, infatti, l'inadempimento non solo potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano ma la prosecuzione dell'attività in caso di mancato equilibrio economico, potrebbe incrementare l'indebitamento della società, mutando le proporzioni previste tra i vari creditori e i relativi, eventuali, privilegi.

Il collegio sindacale dovrà attivarsi per scongiurare il rischio che i creditori possano subire un pregiudizio e se del caso intervenire ai sensi dell'art. 37 c.c.i. solvenza e chiedere la liquidazione giudiziale dell'ente debitore.

(Segue) L'analisi dell'equilibrio economico e finanziario

La puntuale verifica dell'equilibrio economico e finanziario della società rappresenta uno degli aspetti sui quali l'organo di controllo dovrà necessariamente focalizzare la sua attenzione; rispetto alla fase ordinaria di vita dell'impresa dove gli effetti del disequilibrio economico potrebbero, in effetti, essere sterilizzati dagli apporti finanziari, ad esempio, dei soci, nella fase concorsuale l'equilibrio economico diviene essenziale ai fini della continuità aziendale e al rispetto delle norme che regolano che individuano il limite minimo legale del patrimonio netto dell'ente.

In presenza di equilibrio economico e quindi di cash flow positivo, il collegio sindacale dovrà appurare che la società sia in grado di far fronte con le proprie entrate, sia ai debiti pregressi (seppur secondo le tempistiche e la misura indicata nell'accordo con i creditori) che ai debiti correnti e derivanti dalla gestione in continuità.

Può rivelarsi utile, a tal fine, effettuare, ad esempio, un controllo di tesoreria che consenta di verificare che le entrate a breve siano sufficienti a fronteggiare le uscite a breve, tenendosi, pertanto, conto dell'andamento della posizione finanziaria netta dell'impresa.

In assenza di equilibrio economico, il revisore dovrà, con immediatezza, adoperarsi per impedire il perdurare della attività di impresa alle condizioni accertate e valutare gli strumenti più idonei di intervento.

In conclusione

I principi introdotti nel nuovo codice della crisi e dell'insolvenza dell'impresa, hanno il pregio di indurre all'emersione della crisi nei tempi utili per approntare misure che dovranno garantire il mantenimento dell'aggregazione dei beni aziendali e quindi soluzioni che, in quanto adottate tempestivamente, consentano la soluzione dei relativi problemi in regime di continuità aziendale anziché con la liquidazione dei beni medesimi.

La riforma, inoltre, rinnova fortemente le funzioni dell'organo di controllo delle società, valorizzandone, peraltro, il ruolo e aumentando, nel contempo, le responsabilità del revisore.

I principi posti alla base della riforma, pertanto, impongono una rivisitazione complessiva dei criteri di revisione e soprattutto sin da subito, consigliano al revisore di attivare delle procedure di controllo che dovranno tenere conto, tanto in sede di redazione del bilancio d'esercizio che nella fase di revisione obbligatoria infra annuale, delle mutate esigenze informative dei terzi, delle rinnovate e amplificate responsabilità tanto dell'organo amministrativo che di controllo, della necessità di modificare i criteri e l'approccio caratterizzanti l'impresa secondo i nuovi principi in corso di attuazione.

Si sta formando, infatti, una nuova idea di impresa, caratterizzata da una rinnovata e amplificata attenzione ai principi oltre che del diritto dell'etica sia imprenditoriale che professionale.

Gli imprenditori, infatti, dovranno abituarsi a comprendere con rinnovata importanza, come il giusto equilibrio tra capitale proprio e capitale di terzi, la corretta gestione dei fattori produttivi, l'adeguata organizzazione amministrativa e contabile dell'azienda, il giusto utilizzo delle risorse umane, la tempestività di intervento al mutare delle condizioni economiche dell'impresa, sono elementi imprescindibili per dare un contributo essenziale e insostituibile al sano sviluppo dell'impresa nonché al rafforzamento del tessuto sociale e produttivo del Paese.

I professionisti impegnati sia ad assistere l'imprenditore nella gestione dell'impresa che a controllare le decisioni assunte anche ai fini della predisposizione del bilancio d'esercizio nella prospettiva della continuità aziendale, dovranno confutarne con estrema attenzione l'operato avendo cura di indicare la giusta e corretta via e, soprattutto, assicurarsi che le indicazioni da loro fornite vengano rispettate; dovranno, pertanto, aggiungere alla preparazione professionale, spiccate doti di autorevolezza, quest'ultima necessaria ad imporre le indicazioni ed evitare di divenire meri esecutori tecnici di decisioni assunte in autonomia e talvolta in spregio dei naturali e corretti principi operativi, dall'imprenditore.

Soltanto un'attenta, lenta ma costante, attività di moral suasion orientata alla modifica dei principi necessari per approcciarsi alla gestione dell'impresa e che, dovranno, sempre più, essere spinti verso il rigido rispetto dell'equilibrio economico, della tempestività degli interventi correttivi al verificarsi di mutazioni gestionali e al rapido approntamento delle procedure più idonee per salvaguardare il know how aziendale e l'aggregazione dei beni organizzate per l'esercizio dell'impresa, potranno rendere effettivamente operativi ed effettivamente utili le prescrizioni del nuovo codice della crisi dell'impresa e dell'insolvenza.

Nel contempo quest'ultimo presenta talune imperfezioni che impongono, a nostro giudizio, un'accurata rivisitazione del relativo articolato, orientata a correggere espressioni lessicali che, secondo l'attuale stesura, inducono alla continua e ripetuta sovrapposizione di indicazioni che, pertanto, attualmente non forniscono un contributo di chiarezza, di fattori economici con altri di tipo finanziario.

La conseguenza di tali e sostanziali imprecisioni, tra cui, ad esempio quella secondo la quale l'introduzione delle procedure di allerta parrebbe motivata dal presupposto della manifestazione di un disequilibrio di tipo finanziario (e pertanto sarebbero esentate per l'imprenditore in stato di, possibile, effimero equilibrio finanziario) anziché, come sarebbe doveroso vista l'introduzione del condiviso e certo principio della tempestività di intervento, dalla manifestazione del disequilibrio economico.

Potrebbe, certamente, essere d'aiuto a meglio chiarire i presupposti anzidetti, la lettura degli indicatori la cui scrittura è stata devoluta al Cndcec e che verranno presto varati anche al fine di comprendere come interpretare definitivamente e correttamente la norma sulle procedure di allerta.

Dovrà essere chiarito, insomma, se lo spirito del legislatore sia stato effettivamente o meno di scongiurare il ritardo nella emersione della crisi al fine di poter attuare gli interventi strutturali indicati per il mantenimento sul mercato dell'impresa in funzionamento, stato che non può prescindere dall'equilibrio economico e dalla relativa prospettiva aziendale nel medio e lungo termine e che relega il disequilibrio finanziario al ruolo di fattore indotto nonché sintomo di tardivo intervento.

In caso affermativo, sarà compito delle imprese nonché dei professionisti specializzati, calarsi nella nuova realtà e gestire con rinnovato senso di responsabilità etica, l'applicazione della nuova normativa, avendo cura di impedirne abusi e cattivo uso cosicché da scongiurare effetti regressivi sull'economia del Paese.

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