L'onere di riproposizione delle istanze istruttorie non accolte in primo grado per l'appellato vittorioso (ma non per l'appellante)

26 Giugno 2019

Nell'appello del rito del lavoro, l'appellante che contesta integralmente la sentenza di primo grado, non ha l'onere di reiterare le istanze istruttorie proposte in primo grado, risultando la riproposizione insita nella stessa istanza di accoglimento delle domande.
Massima

Nell'appello del rito del lavoro, l'appellante che contesta integralmente la sentenza di primo grado, non ha l'onere di reiterare le istanze istruttorie proposte in primo grado, risultando la riproposizione insita nella stessa istanza di accoglimento delle domande; di contro la parte appellata deve manifestare in maniera univoca – quanto meno richiamandosi alle difese di primo grado – la volontà di devolvere al giudice del gravame anche il riesame delle proprie richieste istruttorie su cui il primo giudice non si è pronunciato.

Il caso

In forza di rinvio disposto dalla Cassazione, la Corte d'appello di Reggio Calabria rigettava l'impugnazione tesa ad ottenere la dichiarazione di nullità del termine del contratto di lavoro e la riqualificazione del medesimo contratto quale rapporto a tempo indeterminato.

La questione

Avverso tale decisione, la ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidandosi, tra i molti, ai seguenti motivi: i) violazione e falsa applicazione degli artt. 346 e 384 c.p.c. posto che il giudice del rinvio ha ammesso ed assunto le prove testimoniali richieste dal datore di lavoro, nonostante quest'ultimo non avesse censurato la mancata ammissione ed assunzione delle medesime prove nel giudizio di primo grado; ii) violazione e falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c. per illogicità e contraddittorietà della motivazione sugli elementi di prova raccolti.

Le soluzioni giuridiche

Entrambi i motivi di ricorso sono stati rigettati dalla Suprema Corte.

Posto che dagli atti risultava che la domanda della lavoratrice era stata respinta dal giudice di primo grado senza svolgere attività istruttoria e che il datore di lavoro – al momento della costituzione in appello – aveva reiterato le istanze istruttorie formulate in primo grado, la Cassazione ha ribadito che, nel rito del lavoro, l'appellante che impugna integralmente la sentenza di primo grado, insistendo per l'accoglimento delle domande, non ha l'onere di reiterare le istanze istruttorie pertinenti a dette domande: la riproposizione è, difatti, insita nella istanza di accoglimento delle domande.

La premessa da cui muove la Suprema Corte è che la presunzione di rinuncia di cui all'art. 346 c.p.c. riguarda le sole domande e le eccezioni non accolte in primo grado, ma non le istanze istruttorie. Di contro, la parte appellata, vittoriosa in primo grado, non riproponendo alcuna richiesta di riesame della sentenza ad essa favorevole, ha l'onere di manifestare in maniera univoca la volontà di devolvere al giudice del gravame anche il riesame delle proprie richieste istruttorie su cui il primo giudice non si è pronunciato, quanto meno richiamandosi alle difese di primo grado. Premesso che nel caso di specie, tale onere è stato correttamente assolto, il Supremo Collegio ha rigettato il motivo di ricorso.

Quanto alla diversa questione sulla violazione dell'art. 116 c.p.c., viene chiarito che essa sussiste solo se il giudice ha valutato le prove mediante criteri diversi da quello indicato dalla normativa di riferimento, come quando una prova legale venga valutata secondo il prudente apprezzamento del giudice o viceversa. Nulla di ciò è accaduto – secondo la Corte – nel caso di specie, avendo la ricorrente soltanto lamentato l'illogicità della motivazione fornita dal giudice a fondamento del proprio prudente apprezzamento. La censura di violazione e falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c. va, dunque, ritenuta inammissibile, posto che il n. 5 dell'art. 360, comma 1, c.p.c., consente esclusivamente la censura dell'omesso esame di un fatto decisivo, ma non l'erronea valutazione di elementi istruttori.

Osservazioni

Con la pronuncia in commento la Corte ribadisce che l'appellante integralmente soccombente non deve reiterare le istanze istruttorie alla base delle domande già proposte: la riproposizione opera ipso iure, quale diretta conseguenza della richiesta di accoglimento delle domande. Discorso diverso – a dire della Corte – va fatto per l'appellato vittorioso in primo grado, perché tenuto a manifestare chiaramente la propria determinazione di devolvere al giudice di appello anche il riesame della richiesta istruttoria sulla quale il primo giudice non si era pronunciato; ciò questi può fare semplicemente ribadendo le difese già svolte in primo grado (Nel senso che l'art. 346 c.p.c. non si applica alle istanze istruttorie, essendo queste automaticamente richiamate con la riproposizione della domanda (o dell'eccezione) cui ineriscono (cfr. Cass. civ., 11 febbraio 2011, n. 3376; Cass. civ., 16 aprile 2008, n. 9917; Cass. civ., 28 agosto 2002, n. 12629).

Conclusioni diverse sono state – sul punto – raggiunte dalla dottrina più attenta, fermamente critica sul distinguo tra la posizione dell'appellante e quella dell'appellato operato dalla giurisprudenza. I contrapposti riferimenti, e cioè «accoglimento delle domande» da un lato e «riesame della sentenza» dall'altro, non presentano natura omogenea: si pensi all'ipotesi in cui l'appellato chieda la mera conferma della decisione di primo grado, invocando eccezioni (costitutive, impeditive ecc.) rimaste assorbite, senza contrastare gli specifici motivi di appello. In breve: anche l'appellato (e non solo l'appellante) può insistere per l'accoglimento (o il rigetto) delle domande di primo grado attraverso la riproposizione di questioni di merito, rispetto alle quali le istanze istruttorie già formulate si pongono come strumentali (Rascio, In tema di oneri incombenti sull'appellato: due sentenze e recenti tendenze della giurisprudenza di legittimità, in Giur. it., 2012, 383).

La distinzione tra la posizione dell'appellante e quella dell'appellato viola, chiaramente, il diritto di difesa dell'appellato, onerandolo al compimento di un'attività difensiva non richiesta all'altra parte; al contempo lede il principio di parità delle armi posto che le istanze istruttorie non esaminate in primo grado sono tutte soggette all'onere di espressa riproposizione, indipendentemente dalla parte che le ha formulate. Tale principio riposa su un altro assunto, secondo cui le richieste istruttorie sono strumentali al grado in cui sono proposte: la prova se non è coltivata nei termini decadenziali dalla parte (che non insiste per la sua assunzione in sede di precisazione delle conclusioni), si intende rinunciata, senza possibilità alcuna di essere nuovamente richiesta ed ammessa in appello (così Cass. civ.,15 maggio 2018, n. 11752 in www.ilProcessoCivile.it, con nota di Metafora, Il requisito della “novità” del documento in appello). Si tratta, a ben guardare, di una regola di carattere generale, operante, dunque, anche in sede di gravame, così sintetizzabil: escluso il carattere di novità della prova, questa potrà essere valutata come ammissibile e rilevante se sussiste un'espressa istanza della parte, che confermi l'interesse all'ammissione del mezzo per la prova dei fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni riproposte.

La correttezza di tale tesi è confermata, poi, dalle modifiche apportate agli artt. 342 e 434 dalla riforma del 2012, che impongono alla parte di censurare specificamente ogni capo (o micro-capo) della sentenza, pena il suo passaggio in giudicato, con ovvie ricadute anche sulla disciplina contenuta nell'art. 346 c.p.c., costringendo le parti alla specifica riproposizione di tutte le questioni e di tutti gli argomenti non esaminati dal primo giudice (e quindi rimasti assorbiti), indipendentemente dal fatto che si tratti di domande, eccezioni o istanze istruttorie. Di recente le Sezioni Unite (21 marzo 2019, n. 7940 in www.ilProcessoCivile.it)hanno al riguardo affermato che la riproposizione delle domande e delle eccezioni non accolte può avvenire in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà della parte di sottoporre alla cognitio del giudice ad quem la questione (assorbita); pertanto, la riproposizione delle domande e delle eccezioni deve avvenire in modo specifico ed entro il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza di trattazione, essendo insufficiente un generico richiamo alle deduzioni e conclusioni di primo grado. In sintesi: le Sezioni Unite della Cassazione finiscono per impone all'appellato il rispetto del termine che l'art. 343 c.p.c. prevede per il diverso esercizio del potere di impugnazione incidentale. In questo contesto, la decisione in commento stride chiaramente con l'imposizione dell'onere di espressa riproposizione che trova applicazione anche per le istanze istruttorie (richieste e) non esaminate in primo grado.

Resta da accennare brevemente al secondo motivo di ricorso sulla censurabilità della motivazione adottata dal giudice sugli elementi di prova raccolti. In forza del nuovo regime posto dall'art. 360 n. 5, c.p.c., il cattivo esercizio del prudente apprezzamento della prova libera non può più rientrare nell'ambito di tale censura. Ed infatti, una volta esclusa la possibilità di denunciare il vizio di insufficiente motivazione, risulta incensurabile il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove libere da parte del giudice di merito (Cass. civ., 19 luglio 2018, n. 19192; Cass. civ., 1 febbraio 2018, n. 2493).Come affermato dalla dottrina, la Cassazione può al più verificare se il giudice di merito abbia ricostruito i fatti storici sulla base di regole illogiche o fondate su massime d'esperienza in realtà inesistenti o ripudiate dal sensus communis» (Santangeli, Il controllo del giudizio di fatto in Cassazione e le sentenze delle Sezioni Unite, www.judicium.it, § 2). Alla luce di tali considerazioni il rigetto di tale motivo di ricorso sembra corretto e rispettoso del dato normativo.

Guida all'approfondimento
  • Bove, Ancora sul controllo della motivazione in Cassazione, in Giusto proc. civ., 2013, 431 ss.;
  • Capponi, L'omesso esame del n. 5) dell'art. 360 c.p.c. secondo la Corte di cassazione, in www.judicium.it, 2015;
  • Poli, La devoluzione di domande e questioni in appello nell'interesse della parte vittoriosa nel merito, in Riv. dir. proc., 2004, 334 ss.;
  • Sassani, Riflessioni sulla motivazione della sentenza e sulla sua (in)controllabilità in Cassazione, in Corr. giur., 2013, 849 ss.

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