Sezioni Unite: il processo penale non sospende quello civile qualora le parti non siano le medesime

Mattia Polizzi
01 Luglio 2019

La sentenza analizza la questione della sospensione del processo civile in ragione della pendenza del processo penale, escludendola nel caso in cui non vi sia identità di soggetti tra i due giudizi: tale interpretazione restrittiva dell'art. 75, comma 3, c.p.p. è conseguenza diretta della sua natura derogatoria, non essendo più ravvisabile – alla luce dei principi informatori del codice di procedura penale del 1988 – un principio di unità delle giurisdizioni e di prevalenza del giudizio penale su quello civile.
Massima

In tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio civile, i casi si sospensione necessaria previsti dall'art. 75, comma 3, c.p.p., che rispondono a finalità diverse da quella di preservare l'uniformità dei giudicati, e richiedono che la sentenza che definisca il processo penale influente sia destinata a produrre in quello civile il vincolo rispettivamente degli artt. 651, 651-bis, 652 e 654 c.p.p., vanno interpretati restrittivamente, di modo che la sospensione non si applica qualora il danneggiato propone azione di danno nei confronti del danneggiante e dell'impresa assicuratrice della responsabilità civile dopo la pronuncia di primo grado nel processo penale nel quale il danneggiante sia imputato.

Il caso

In seguito alla morte di un soggetto avvenuta a causa di un incidente stradale, la moglie, nonché i figli ed i fratelli di costui instauravano un'azione civile per il risarcimento dei danni loro cagionati nei confronti del proprietario e conducente del veicolo, nonché della impresa assicuratrice della responsabilità civile.

Il giudice istruttore disponeva la sospensione del processo. Ciò perché l'azione civile era stata proposta dopo la pronuncia della sentenza di primo grado di condanna dell'investitore, imputato in un processo penale ove si erano costituiti parte civile i (soli) fratelli del de cuius (peraltro iure proprio e non con la spendita della qualità di eredi del padre del defunto, avvenuta invece in sede civile).

Gli attori del giudizio civile proponevano regolamento di competenza contro l'ordinanza di sospensione. Investita della decisione, la terza Sezione civile della Cassazione ha prospettato al primo Presidente della Corte l'opportunità di devolvere il giudizio alla cognizione delle Sezioni Unite, al fine di risolvere la questione in merito alla sospensione del giudizio civile in caso di litisconsorzio. La Sezione prospetta tre possibili esiti: la sospensione necessaria del processo nei confronti di tutti i litisconsorti; la sospensione della sola azione risarcitoria proposta contro il conducente-imputato; l'inoperatività dell'istituto della sospensione.

L'ordinanza interlocutoria, nello specifico, esprime dubbi sulla convenienza di una lettura restrittiva dei limiti della sospensione prevista dall'art. 75, comma 3, c.p.p.: ciò nell'ottica di prevenire il rischio di esiti difformi nel giudizio civile ed in quello penale. La sospensione del processo civile infatti «incrinerebbe l'equilibrio degli interessi in conflitto, ossia dell'interesse del danneggiato, volto a conseguire senza dilazione il ristoro del danno subìto, e di quello dell'imputato, indirizzato all'accertamento della propria estraneità o, comunque, dell'esclusione della propria colpevolezza rispetto al reato contestato». Tale circostanza, inoltre, si potrebbe tradurre in una violazione degli artt. 3 e 24 Cost., in quanto l'opponibilità del giudicato di assoluzione finirebbe per dipendere dalla scelta processuale del titolare della pretesa risarcitoria di agire in via civile solo nei confronti dell'imputato, oppure anche contro gli altri coobbligati. Sicché, nell'opinione della terza Sezione, la tutela dell'interesse dell'imputato dovrebbe comportare la sospensione della sola domanda proposta nei suoi confronti in caso di litisconsorzio facoltativo, mentre nel caso di litisconsorzio necessario sarebbe necessario procedere con la sospensione di tutto il processo.

La questione

La sentenza della Cassazione, nella sua composizione più autorevole, affronta la delicata questione dell'operatività della sospensione necessaria del giudizio civile di cui all'art. 75, comma 3, c.p.p. nel caso in cui non vi sia coincidenza tra i soggetti che hanno promosso il giudizio civile e quelli che si sono costituiti parti civili nel processo penale, posto che, se vi fosse identità soggettiva, non vi sarebbero ostacoli di sorta all'applicabilità della disposizione ora citata.

Le soluzioni giuridiche

L'articolata ed approfondita decisione delle Sezioni Unite si apre richiamando l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale, anche in presenza di un cumulo soggettivo, la sospensione del processo civile non può essere disposta nel caso in l'azione risarcitoria in sede civile sia stata proposta dopo la costituzione di parte civile del giudizio penale: questa regola vale sia con riferimento alle ipotesi di litisconsorzio facoltativo sia con riferimento a quelle di litisconsorzio necessario, in entrambi i casi indipendentemente dal fatto che alcuni o tutti i coobbligati siano stati citati nel processo penale come responsabili civili (cfr., ad esempio, Cass. civ., sez. VI, ord., 18 luglio 2013, n. 17608; Cass. civ., sez. III, sent., 13 marzo 2009, n. 6185; Cass. civ., sez. III, ord., 26 gennaio 2009,n. 1862).

Questa soluzione si attaglia tuttavia solo parzialmente al caso di specie, ove la proposizione dell'azione risarcitoria è avvenuta (non dopo la costituzione di parte civile, ma) successivamente alla pronuncia della sentenza penale di condanna in primo grado nei confronti dell'imputato-danneggiante.

L'orientamento giurisprudenziale a cui si riferisce la sentenza trova la propria ragion d'essere nello sfavore nei confronti dell'istituto della sospensione del giudizio civile che rappresenta una vicenda “anomala” del processo e come tale deve essere trattata. Peraltro questo sfavore, a sua volta, è espressione del rinnovato rapporto di equilibrio tra i giudizi penali e quelli civili. L'adozione del codice di procedura penale del 1988 ha, difatti, comportato il ripudio dei principi di unità della giurisdizione e di prevalenza del giudizio penale, in favore di quelli di parità dei diversi ordini giurisdizionali e dell'autonomia dei giudizi (così, ex pluris, Cass. civ., Sez. Un., sent., 26 gennaio 2011, n. 1768, in Resp. civ. prev., 2011, X, 2069 ss., Macrì, Nessuna efficacia extrapenale per le sentenze di non doversi procedere per prescrizione o per amnistia: nuovo intervento delle Sezioni Unite a favore dell'autonomia del processo civile rispetto a quello penale; Cass. civ., Sez. Un., sent., 11 febbraio 1998, n. 1445). Risulta oggi prevalente, dunque, l'esigenza di speditezza e di sollecita definizione dei giudizi, sicché anche il valore dell'uniformità dei giudicati «su cui punta l'ordinanza interlocutoria diviene recessivo»: in altri termini, «il favore per la separazione dei giudizi comporta l'accettazione del rischio di difformità dei giudicati ai quali i giudizi separati conducano».

Così tracciato il quadro generale della disciplina di riferimento, le Sezioni Unite si soffermano sul disposto dell'art. 75, comma 3, c.p.p., a norma del quale «se l'azione è proposta in sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge».

Nell'opinione della Corte, la sospensione è giustificata nella misura in cui «la sentenza penale possa esplicare efficacia di giudicato» nel giudizio civile, ai sensi degli artt. 651, 651 bis, 652 e 654 c.p.p.: infatti, «imporre al danneggiato-attore che si sia tardivamente rivolto al giudice civile di attendere l'esito del processo penale ha senso soltanto se e in quanto quest'ultimo, se definitivo, sia idoneo a produrre i propri effetti sul processo civile».

Conferma di tale impostazione è la regola di cui all'art. 211 disp. att. c.p.p., che, facendo salvo il disposto dell'art. 75, comma 2, c.p.p. – in forza del quale l'azione civile prosegue in sede civile se non è trasferita nel processo penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la costituzione di parte civile – afferma che, nei casi in cui la legge preveda ipotesi di sospensione necessaria del processo civile a causa della pendenza di un processo penale, il primo giudizio è sospeso sino alla definizione del secondo se quest'ultimo «può dare luogo a una sentenza che abbia efficacia di giudicato nell'altro processo e se è già stata esercitata l'azione penale».

Le Sezioni Unite ricordano che, proprio sulla base di questa ratio, è stata esclusa in passato la sospensione del processo civile nei confronti delle sole parti diverse dall'imputato-danneggiante alle quali fossero ascritti fatti differenti da quelli oggetto del processo penale (si v. al riguardo Cass. civ., sez. VI, ord., 11 luglio 2018, n. 18202; Cass. civ., sez. VI, ord., 16 marzo 2017, n. 6834; Cass. civ., sez. III, ord., 1° luglio 2005, n. 14074).

Nel caso in cui i fatti siano i medesimi, il vincolo della sentenza penale si potrebbe produrre nei confronti del responsabile civile «soltanto qualora il processo risarcitorio sia promosso nei suoi confronti da un danneggiato diverso da colui che abbia proposto l'azione civile nel processo penale»: solo in questo caso, e sempre che il responsabile civile sia stato regolarmente citato (ovvero abbia spiegato intervento) in sede penale, gli effetti del giudicato di condanna del danneggiante-imputato (ovvero il suo proscioglimento per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.) «avranno effetto verso di lui nel giudizio di danno». Difatti, sarà possibile decidere in sede civile sulla pretesa risarcitoria soltanto se la parte civile sia uscita dal processo penale per revoca ovvero estromissione: ciò in quanto «l'esodo della parte civile comporta che la citazione o l'intervento del responsabile civile perdono efficacia» ai sensi degli artt. 83, comma 6 ed 85, comma 4, c.p.p. e, dunque, «viene meno la condizione pretesa dagli artt. 651 e 651-bis c.p.p. per la produzione degli effetti ivi previsti nei confronti del responsabile civile, ossia che il “responsabile civile sia stato citato o sia intervenuto nel processo civile”».

Questa conclusione deve ritenersi a fortiori valida nel caso in cui non vi sia coincidenza tra le parti civili del processo penale e gli attori del processo civile.

La sospensione, inoltre, non potrebbe operare neppure in caso di litisconsorzio facoltativo con riferimento al solo danneggiante-imputato. L'esclusione di tale evenienza riposa sulla considerazione che i casi di sospensione di cui all'art. 75, comma 3, c.p.p. rappresentano una deroga alla regola generale, costituita – come si è visto – dalla separazione dei giudizi: la natura derogatoria ne impone una interpretazione restrittiva, sicché è necessario che tra i due processi vi sia identità (non solo di oggetto, ma anche) di soggetti, alla luce dei normali canoni ermeneutici di identificazione delle azioni. Una soluzione difforme, oltre che in contrasto con il mutato equilibrio dei rapporti tra giudizi, comporterebbe peraltro un sacrificio ingiustificato degli interessi dei soggetti alla rapida definizione dei giudizi, in aperto contrasto con il principio della ragionevole durata dei processi di cui all'art. 111, comma 2, Cost. (ed all'evoluzione pretoria e dottrinale ad esso sottesa) ed all'art. 6, par. 1, Cedu.

Tali considerazioni consentono alle Sezioni Unite di affermare il principio di diritto di cui supra, in ragione del quale «la sospensione non si applica qualora il danneggiato proponga azione di danno nei confronti del danneggiante e dell'impresa assicuratrice della responsabilità civile dopo la pronuncia di prima grado nel processo penale nel quale il danneggiante sia imputato».

Osservazioni

La pronuncia delle Sezioni Unite da un lato, ricostruisce con precisione la materia dei rapporti tra giudizio civile e penale e dall'altro, applica, con un'encomiabile “sensibilità sistematica” tali principi ad un caso non infrequente nella realtà pratica.

Il tema della pregiudizialità penale esige una pur sintetica premessa sull'istituto della sospensione del processo civile e ciò al fine di comprendere appieno la portata del mutamento legislativo che ha interessato la materia, tenendo conto che tale modifica è stata spesso collegata alle pressanti esigenze di celerità imposte (anche) dal dettato costituzionale alla luce dell'art. 111, comma 2, Cost. (così come modificato dalla l. cost. 23 novembre 1999, n. 2).

La sospensione del processo civile di cui agli artt. 295 ss. c.p.c. è stato autorevolmente definita come «un arresto dell'iter processuale a causa di un determinato evento e fino alla cessazione di quell'evento» (Mandrioli, 357).

Secondo l'art. 295 c.p.c. il processo entra in una fase di quiescenza fino al momento in cui si verifichi un evento che ne consenta la riassunzione. La giurisprudenza riconduce la ratio della norma nell'esigenza di evitare eventuali contrasti tra giudicati (cfr. Cass. civ., sez. III, sent., 4 febbraio 2000, n. 1230). Dal canto proprio, invece, la dottrina ritiene prevalentemente che il fondamento della sospensione debba essere ravvisato nella diversa necessità «di consentire alle parti di far valere quegli effetti che la sentenza produce prima del – e indipendentemente dal – suo passaggio in giudicato» (Giussani, 1182).

Le ipotesi di sospensione del giudizio civile vengono generalmente distinte in tre gruppi: la sospensione su istanza delle parti, la sospensione cd. impropria e la sospensione cd. propria (o necessaria).

La prima evenienza occorre quando, ai sensi dell'art. 296 c.p.c., entrambe le parti chiedono al giudice di sospendere il processo, per un massimo di tre mesi ed una sola volta nel corso del giudizio (per alcuni solo nel primo grado di giudizio, mentre per altri in ogni grado: cfr., rispettivamente, Mandrioli, Carratta, 290 ss.), a condizione che esistano “giustificati motivi”. La ripresa del giudizio avverrà a norma dell'art. 297 c.p.c.

La sospensione cd. impropria viene in rilievo qualora, nel corso di un processo, se ne innesti un altro che abbia per oggetto una questione inerente alla domanda proposta nel primo giudizio: la pendenza di tale secondo giudizio implica la sospensione di quello incardinato in precedenza. La questione che viene trattata nel secondo processo (che causa la sospensione del primo) non potrebbe essere oggetto di un autonomo giudizio, trattandosi non già della tutela di una situazione sostanziale, bensì di una questione (processuale o di merito) inerente l'unica situazione sostanziale dedotta nel (primo) giudizio.

Il caso di sospensione cd. propria (o necessaria) trova invece il proprio fondamento nel disposto dell'art. 295 c.p.c., a norma del quale il giudice ordina la sospensione del processo «in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa». Seguendo le orme di un risalente, ma autorevole ed illuminante studio sul punto, le la norma in parola, lungi dal costituire una regola generale, viene in rilievo nel momento in cui il giudice si trovi nella impossibilità giuridica di decidere su di una domanda pregiudiziale rispetto al processo sub iudice. Tale impossibilità deve comportare che il giudicante non possa procedere, neppure incidenter tantum: in questo ultimo caso, difatti, una sospensione necessaria sarebbe priva di alcuna giustificazione. Sicché, la soluzione di continuità del processo si giustifica in considerazione del fatto che il giudice si trova nella impossibilità di decidere (anche in via incidentale) «perché nel corso del giudizio si presenta una questione pregiudiziale che per legge deve essere risolta in altra sede prima della causa principale» (Trisorio Liuzzi, 620). Pertanto, la sospensione necessaria si impone nei casi nei quali è la legge che richiede che una data questione pregiudiziale, sorta nel corso del giudizio, debba essere necessariamente risolta con autorità di cosa giudicata e con priorità dispetto alla domanda principale (Trisorio Liuzzi, 617).

Per quanto riguarda gli aspetti dinamici dell'istituto della sospensione, l'art. 298, comma 1, c.p.c. dispone che, durante la sospensione, non possono essere compiuti atti del procedimento (ad esclusione degli atti urgenti autorizzati dal giudice ex art. 48, comma 2, del codice di rito). L'art. 298, comma 2, c.p.c. prevede che la sospensione interrompa i termini in corso, i quali decorreranno nuovamente a partire dal giorno della nuova udienza fissata dal giudice con il decreto di sospensione: le parti dovranno infatti riassumere la causa nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza avente ad oggetto la questione pregiudiziale o dalla cessazione della causa di cui all'art. 75 c.p.p. (sulla quale si veda infra), a pena di estinzione del processo (ex art. 307, comma 3, c.p.c). A norma dell'art. 297 c.p.c., qualora con il provvedimento che ha disposto la sospensione non sia stata fissata l'udienza di prosecuzione del processo, le parti ne debbono richiedere la fissazione entro il termine perentorio di tre mesi dalla conoscenza della cessazione della causa di sospensione; la riassunzione deve avvenire mediante un'istanza proposta con ricorso al giudice istruttore o, in mancanza, al presidente del tribunale.

Nella versione originaria dell'art. 295 c.p.c. era invece previsto che la sospensione del processo civile dovesse operare «nel caso previsto nell'articolo 3 del Codice di procedura penale» oltre che in ogni altro caso in cui il giudice civile «o altro giudice deve risolvere una controversia civile o amministrativa, dalla cui definizione dipende la decisione della causa». Con riferimento alla prima parte della disposizione testé citata, abrogata dall'art. 35 della l. 26 novembre 1990, n. 353 (applicabile ai giudizi pendenti alla data del 1° gennaio 1993), deve osservarsi che l'art. 3 del codice di procedura penale del 1930 prevedeva che «se viene iniziata l'azione penale, e la cognizione del reato influisce sulla decisione della controversia civile, il giudizio civile è sospeso, quando la legge non dispone altrimenti, fino a che sia pronunciata nell'istruzione la sentenza di proscioglimento non più soggetta a impugnazione o nel giudizio la sentenza irrevocabile, ovvero sia divenuto esecutivo il decreto di condanna».

La prima parte dell'art. 295 c.p.c., nella versione antecedente alla novella operata dalla l. 353/1990, prevedeva dunque una causa di sospensione automatica del processo civile in tutte le ipotesi di c.d. pregiudizialità penale.

Tale forma di sospensione necessaria non andò esente da importanti critiche ad opera della dottrina, la quale ne evidenziò gli effetti negativi in punto di durata dei processi civili. Il legislatore ha in merito operato un significativo mutamento di prospettiva. In primo luogo, il riferimento all'art. 3 c.p.p. del 1930 è stato espunto dall'art. 295 c.p.c. (ma non, con quella che da più parti è qualificata come una mera svista, dall'art. 297 c.p.c.); in secondo luogo, il codice di procedura penale del 1988 non ha riprodotto una norma analoga a quella dell'art. 3 citato.

La scelta del legislatore è stata, dunque, quella di rendere del tutto autonomi il giudizio civile e quello penale, sradicando dal sistema sia l'applicazione generale della pregiudizialità penale sia il principio dell'unità della giurisdizione: in linea con quelle che sono le scelte di fondo dei sistemi processuali penali di stampo accusatorio (Tonini, 902 ss.).

Tale affermazione, tuttavia, non deve essere intesa nel senso che non sussistano ipotesi di sospensione necessaria dovute alla pendenza di un processo penale; piuttosto, è ravvisabile un rapporto di regola-eccezione oggi ribaltato rispetto al passato. Muove in tal senso il disposto dell'art. 211 disp. att. c.p.p., il quale dispone che «salvo quanto disposto dall'articolo 75, comma 2, del codice, quando le disposizioni di legge prevedono la sospensione necessaria del processo civile o amministrativo a causa della pendenza di un processo penale, il processo civile o amministrativo è sospeso fino alla definizione del processo penale, se questo può dare luogo a una sentenza che abbia efficacia di giudicato nell'altro processo e se è già stata esercitata l'azione penale». La lettera della norma consente pertanto di osservare che, come suggerito da autorevole dottrina, sussiste un vero e proprio «principio di tassatività dei casi di sospensione necessaria del processo civile nella materia» che ci interessa (Tarzia, 249).

Tra queste ipotesi tassative è possibile individuare quella di cui al terzo comma dell'art. 75 c.p.p., secondo il quale – come si è visto – il processo civile rimane sospeso in attesa della formazione del giudicato penale nel caso in cui l'azione civile per risarcimento dei danni o per restituzioni sia stata proposta dopo l'emanazione della sentenza penale di primo grado ovvero dopo la costituzione di parte civile (per alcune applicazioni giurisprudenziali dell'istituto così come riformato si v. Cass. civ., sez. VI, ord., 22 dicembre 2016, n. 26863; Cass. civ., Sez. Lav., sent., 10 marzo 2015, n. 4758; Cass. civ., sez. VI, ord., 1° ottobre 2013, n. 22463; Cass. civ., sez. I, sent., 17 febbraio 2010, n. 3820; Cass. civ., sez. III, ord., 12 giugno 2006, n. 13544; Cass. civ., sez. III, ord., 1° luglio 2005,n. 14074; Cass. civ., sez. III, ord., 10 agosto 2004, n. 15477; Cass. civ., sez. I, sent., 13 maggio 1997, n. 4179). Al riguardo, merita menzione una pronuncia della Corte costituzionale, con la quale la Consulta ha affermato che «l'art. 75 c.p.p. ha definitivamente consacrato il principio di parità delle giurisdizioni, cosicché perfino la possibilità di giudicati contrastanti in relazione al medesimo fatto, ai diversi effetti civili e penali, costituisce evenienza da considerarsi ormai fisiologica» (Corte cost., 11 luglio 2003, n. 233).

Il Giudice delle leggi, in altri termini, ritiene che l'esigenza di evitare contrasti tra giudicati non riguardi il rapporto tra processo civile e penale, verosimilmente in base alla considerazione che dai due procedimenti scaturiscono effetti differenti e, se si vuole, autonomi.

Una soluzione siffatta, invero, pare costituire un utile strumento, considerato lo stato attuale della giustizia civile che, almeno sotto tale angolo visuale, non risulta più “gravata” da ulteriori attese ad essa esterne. Se, come affermato dalla Corte costituzionale, gli effetti in sede penale ed in sede civile sono “diversi”, il novum legislativo appare corretta applicazione dell'art. 111, comma 2, Cost., almeno nel suo contenuto minimo ed essenziale, individuato nell'esigenza di evitare previsioni normative che implichino «rallentamenti manifestamente irragionevoli, perché non connessi con alcuna delle altre garanzie previste dall'art. 111» (così Andronio, 2116).

Di tali principi ha fatto, a parere di chi scrive, corretta applicazione la pronuncia in nota, nell'affermare la non operatività della sospensione per pregiudizialità penale qualora l'elemento soggettivo dei giudizi non sia il medesimo: sicché la lettura restrittiva dell'art. 75, comma 3, c.p.p. operata dalla Corte, a prescindere da ogni valutazione assiologica de iure condendo e solo soffermandosi sullo stretto dato positivo, ben si attaglia al nuovo ordine legislativo.

Non solo. In un'ottica di bilanciamento delle diverse istanze sottese al sistema processuale e, per così dire, di “costi-benefici” derivanti dalla possibilità di sospendere o meno il giudizio civile, risulta di particolare interesse il principio affermato dalla Cassazione, che può essere inteso come vera e propria “bussola” per orientarsi nella materia, in forza del quale «attendere l'esito del processo penale ha senso soltanto se e in quanto quest'esito, se definitivo, sia idoneo a produrre i propri effetti sul processo civile».

Guida all'approfondimento
  • Andronio, Art. 111, in Bifulco, Celotto, Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, III, Torino, 2006, 2099 ss.;
  • Bina, Artt. 295 ss., in Comoglio, Consolo, Sassani, Vaccarella (dir. da), Commentario del codice di procedura civile, III, II, Torino, 2012, 487 ss.;
  • Cendon, Ziviz, Vincitori e vinti (... dopo la sentenza 233/2003 della Corte costituzionale), in Giur. it., 2003, X, 1777 ss.;
  • Civinini, Sospensione del processo civile per c.d. “pregiudizialità penale”: questioni teoriche e riflessi pratici, in Foro it., 1991, V, 363 ss.;
  • Consolo C., Del coordinamento fra processo penale e processo civile: antico problema risolto a metà, in Riv. dir. civ., 1996, II, 227 ss.;
  • Corrado, Nessuna interferenza tra processo civile e penale, a meno che ..., in Diritto&Giustizia, 23 dicembre 2017;
  • Dominici, Il rapporto tra il processo civile e il processo penale, in Giur. it, 2015, X, 2239 ss.;
  • Ferrari, Gli eventi anomali nel processo civile, in Brecciaroli (a cura di), Corso di diritto processuale civile e tributario, Napoli, 2005, 359 ss.;
  • Giussani, Artt. 295 ss., in Carpi, Taruffo (a cura di), Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 2015, 11181 ss.;
  • Giussani, voce Sospensione del processo, in Dig. disc. priv. – Sez. civ., XVIII, Torino, 1998, 603 ss.;
  • Lottini, I rapporti tra azione civile ed azione penale, in Il fall., 2010, V, 552 ss.;
  • Luiso, Diritto processuale civile, II, Giuffrè, Milano, 2013, 233 ss.
  • Mandrioli, Carratta, Diritto processuale civile, II, Torino, 2016, 357 ss.;
  • Menchini S., voce Sospensione del processo civile s) Processo civile di cognizione, in Enc. dir., XLIII, Giuffrè, Milano, 1990, 1 ss.;
  • Pennisi, Art. 75, in Conso G., Illuminati G. (a cura di), Commentario breve al codice di procedura penale, Padova, 2015, 256 ss.;
  • Poli, Sospensione su istanza delle parti e riduzione dei termini processuali, in Foro it., 2009, IX, V, 290 ss.
  • Tarzia, Lineamenti del processo civile di cognizione, Giuffrè, Milano, 2009, 248 ss.;
  • Tonini, Manuale di procedura penale, Giuffrè, Milano, 901 ss.;
  • Trisorio Liuzzi, La sospensione del processo civile di cognizione, Bari, 1987, specimen 501 ss.;
  • Trisorio Liuzzi, Sull'abrogazione della sospensione del processo per “pregiudizialità” penale, in Foro it., 1997, VI, I, 1762 ss.

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