I poteri-doveri del giudice di merito nei giudizi di riconoscimento dello status di apolide

Redazione scientifica
01 Luglio 2019

In via di principio, l'onere della prova riguardante la sussistenza delle condizioni in vista del riconoscimento dello stato di apolide gravano sul richiedente; esso, però, è attenuato laddove vi siano lacune tali da poter essere colmate solo mediante l'esercizio di poteri-doveri officiosi del giudice in tema di cooperazione istruttoria con le autorità competenti.

Il caso. La Corte d'appello di Roma riconosceva all'attore lo stato di apolide, ritenendo provate la nascita e la stabile residenza in Italia dello stesso, ma non anche la sua cittadinanza bosniaca, in qualità di figlio di una cittadina di tale Stato, poiché non risultava certa nemmeno la cittadinanza bosniaca della madre, essendo nata in Italia.

Avverso tale decisione, propone ricorso per cassazione il Ministero dell'Interno, deducendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della Convenzione di New York del 1954, secondo il quale si considera apolide colui che non sia cittadino di uno Stato né possa acquisirne la cittadinanza in base al proprio ordinamento giuridico, non avendo la Corte d'appello adempiuto del tutto al proprio obbligo di cooperazione istruttoria a tal proposito.

Lo stato di apolide. La Corte di cassazione osserva come nei giudizi vertenti sul riconoscimento dello status di apolide, il richiedente dovrà fornire la prova circa il mancato possesso della cittadinanza dello Stato con cui abbia, ovvero abbia avuto, legami significativi, ma opera il principio di attenuazione di detto onere (con conseguente obbligo di collaborazione istruttoria da parte del giudice di merito) in presenza di lacune probatorie, al fine di conoscere i sistemi normativi esistenti nello Stato di riferimento.

Nel caso concreto, la condizione di cittadina bosniaca della madre del richiedete costituiva elemento essenziale ai fini del riconoscimento della cittadinanza al richiedente, in base al sistema normativo di quello Stato, mentre dalla sentenza impugnata risulta che la richiesta avanzata all'ambasciata competente conteneva solamente la copia della legge nazionale sulla cittadinanza, omettendo la richiesta di informazioni in merito al possesso della cittadinanza bosniaca della madre.

Da tale quadro incompleto, sarebbe derivata la decisione del Giudice di secondo grado, che riconosceva lo stato di apolide dell'attore senza alcuna prova riguardante la cittadinanza bosniaca della madre, violando il principio che rileva in tema di accertamento delle condizioni riguardanti lo stato di apolide del richiedente, vista l'insufficienza della relativa documentazione a tal fine.

Il principio di diritto. Per le suddette considerazioni, la Suprema Corte accoglie il ricorso e rinvia gli atti alla Corte d'appello ai fini di un nuovo esame, in conformità al seguente principio: «l'onere della prova in ordine alle condizioni per il riconoscimento dello stato di apolide grava sul richiedente; esso è attenuato in virtù della peculiare condizione postulata da quest'ultimo, che gode della titolarità dei diritti della persona, la cui attribuzione è svincolata dal possesso della cittadinanza; da ciò consegue però e semplicemente che le eventuali lacune o necessità di integrazioni istruttorie per la suddetta dimostrazione possono essere colmate mediante l'esercizio di doveri-poteri officiosi da parte del giudice, che può richiedere informazioni o documentazione alle Autorità pubbliche competenti dello Stato italiano, di quello di origine o di quello verso il quale possa ravvisarsi un collegamento significativo con il richiedente medesimo ma non anche, persistendo le lacune dopo l'esercizio dei poteri istruttori, la domanda di riconoscimento debba essere accolta».

*Fonte: www.dirittoegiustizia.it

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.