Attività pericolosa: exordium praescriptionis nel danno da contagio postrasfusionale

Samantha Mendicino
04 Luglio 2019

In caso di contagio postrasfusionale la prescrizione decorre dal momento in cui la vittima viene informata che la malattia è stata causata dalla trasfusione e non dal momento in cui scopre di essere malata.

IL CASO. Tutto aveva inizio quando una donna ebbe a convenire davanti al tribunale competente il Ministero della Salute, chiedendone la condanna al risarcimento del danno patito in conseguenza di un'infezione da virus HCV, contratta in conseguenza di una emotrasfusione cui era stata sottoposta tempo addietro. Ma mentre il tribunale accoglieva la domanda, non così avveniva dinnanzi alla Corte di Appello che rigettava la stessa in accoglimento dell'eccezione di prescrizione sollevata dall'amministrazione convenuta. In particolare, la Corte d'Appello ebbe a ritenere che il termine prescrizionale da applicare al caso di specie fosse quello quinquennale e che lo stesso dovesse applicarsi dal momento in cui la vittima, con l'ordinaria diligenza, si accorse o si sarebbe potuta accorgere dell'esistenza del danno e della sua derivazione causale dalla trasfusione. Secondo il giudice dell'appello, dunque, in assenza di altri fattori di rischio, neppure allegati e comunque non emersi dagli atti, la diagnosi di epatite C mise la vittima in condizione di avvedersi che la propria malattia era una conseguenza della condotta del Ministero convenuto, atteso che in quel momento la consapevolezza del danno e della sua derivazione causale dalla trasfusione doveva essere maturata in capo alla vittima.

La sentenza d'appello, però, veniva impugnata per cassazione dalla donna con ricorso fondato su diversi motivi, contro cui resisteva il Ministero della Salute. Una delle ragioni più importanti dedotte dalla ricorrente in favore della propria tesi era il fatto che erroneamente la sentenza impugnata aveva ravvisato l'exordium prescriptionis del diritto al risarcimento del danno nel momento in cui la stessa scopriva di essere malata. La donna, infatti, deduceva che il diritto al risarcimento del danno da contagio postrasfusionale inizia a preiscriversi non dal momento in cui la vittima scopre di essere malata bensì dal momento in cui viene informata che la malattia è stata causata dalla trasfusione; che nel caso di specie la stessa poteva avere il sospetto di quale fosse la reale causa del contagio solo quando inoltrò la domanda di indennizzo in virtù della legge n. 210/1992 e che ne ebbe la certezza solo quando la competente commissione medica accolse la suddetta domanda.

Ebbene, la Suprema Corte accoglie tali ragioni giuridiche e ne spiega la fondatezza nei seguenti termini. La giurisprudenza di legittimità in più casi ha affermato che il diritto al risarcimento dei danni alla salute lungolatenti o ad esordio occulto, come nel caso di contagio o di patologie silenti, inizia a prescriversi dal momento in cui il danneggiato, con la diligenza esigibile non da lui, ma dall'uomo medio, possa vedersi sia di essere malato, sia che la causa della malattia è la condotta illecita di un terzo.

LE TRE REGOLE DELLA CASSAZIONE. Quando il danno per cui si chiede il risarcimento sia derivato da una trasfusione di sangue infetto, l'individuazione dell'exordium praescriptionis in base al principio appena ricordato deve avvenire osservando tre regole applicative, tutte e tre già stabiliti da questa Corte. La prima è che quando la persona contagiata da emotrasfusione presenti la domanda amministrativa di concessione dell'indennizzo previsto dalla legge n. 210/1992, dimostra perciò solo di essere consapevole della sua malattia e della causa di essa. Pertanto, questa consapevolezza deve presumersi in capo alla vittima almeno dal momento della presentazione della suddetta domanda. La seconda regola è che, una volta dimostrata dalla vittima la data di presentazione della domanda amministrativa di concezione dell'indirizzo indennizzo, è ribaltato sulla parte che si oppone alla domanda di risarcimento l'onere di provare che il danneggiato avesse acquisito la consapevolezza dell'esistenza del contagio e della sua derivazione causale dalla trasfusione, già prima dell'inoltro della detta domanda di indennizzo. Prova che può essere fornita con ogni mezzo ivi comprese le presunzioni semplici. La terza regola, infine, è che la prova presuntiva della previa conoscenza o conoscibilità in capo alla vittima della malattia e delle sue cause non può mai ridursi ad una mera congettura od illazione. La prova presuntiva, infatti, è una deduzione logica, che si deve fondare su fatti certi e si deve dedurre da questi sulla base di massime di esperienza o dell'id quod plerumque accidit. La congettura, invece, è una mera supposizione che si fonda su fatti incerti e che viene ridotta in via di semplice ipotesi. Nel caso di specie, pertanto, una volta dimostrato dalla ricorrente di aver proposto la domanda amministrativa in una certa data, aspettava al Ministero della Salute dimostrare la pregressa conoscenza conoscibilità in capo alla danneggiata della reale causa del contagio. La Corte di Appello ha ritenuto che tale prova sia stata fornita dal Ministero in via presuntiva ma di fatto -secondo la Suprema Corte- ha ragionato considerando come fatti noti delle mere presunzioni per poi inferirne delle ulteriori presunzioni che, per come già detto, si risolvono in una congettura e non in presunzioni. In conclusione, per la Suprema Corte la ricorrente ha ragione e decide così per la cassazione della sentenza con rinvio, indicando i princìpi di diritto che il giudice del rinvio, nel riesaminare il gravame proposto dalla pubblica amministrazione, deve applicare. Ed in particolare la Suprema Corte si riferisce al principio secondo cui in tema di risarcimento del danno alla salute causata da emotrasfusione con sangue infetto, ed ai fini della individuazione dell'exordium praescriptionis, una volta dimostrata dalla vittima la data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell'indennizzo previsto dalla legge n. 210/1992, spetta alla controparte dimostrare, anche per presunzioni semplici, che già prima di quella data il danneggiato conosceva o poteva conoscere, con l'ordinaria diligenza, sia l'esistenza della malattia sia la sua riconducibilità causale alla trasfusione.

Inoltre, la Suprema Corte ricorda anche l'ulteriore principio di diritto secondo cui in tema di prova presuntiva, il fatto noto dal quale è consentito al giudice di risalire al fatto ignorato deve consistere in una circostanza obiettivamente certa e non in una ipotesi o congettura, pena la violazione del divieto di ricorso alle praesumptiones de praesumpto.

(Fonte: dirittoegiustizia.it)