Il nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza: disposizioni generali e definizioni

08 Luglio 2019

Una delle peculiarità dell'intento riformatore che è stata mantenuta nel Codice della Crisi è il tentativo di accorpare in un'unica regolamentazione qualsiasi situazione di crisi, a prescindere dalla sua natura imprenditoriale o privata. Peraltro, già nell'enunciare i principi generali, il legislatore deve dare atto dei limiti applicativi del nuovo Codice: i principali sono riferiti alla regolamentazione della procedura speciale per le “grandi imprese” e all'esenzione prevista per gli enti pubblici.
L'opzione per la soluzione generale di tutte le situazioni di difficoltà economica

Una delle peculiarità dell'intento riformatore che è stata mantenuta nel Codice della Crisi è il tentativo di accorpare in un'unica regolamentazione qualsiasi situazione di crisi, a prescindere dalla sua natura imprenditoriale o privata.

Peraltro, già nell'enunciare i principi generali, il legislatore deve dare atto dei limiti applicativi del nuovo Codice: i principali sono riferiti alla regolamentazione della procedura speciale per le “grandi imprese” e all'esenzione prevista per gli enti pubblici.

Quanto alla prima, evidentemente, poiché l'amministrazione straordinaria era regolata da una normativa previgente (che all'epoca richiamava il R.D. 267/1942 per quanto non espressamente disciplinato dal D.lgs. 270/1999), occorreva ribadirne la vigenza (pervero implicita nel fatto che il Codice detta alcune modifiche marginali al D.lgs. 270/1999); l'espressione utilizzata non è chiarissima, laddove si prevede che quando l'amministrazione straordinaria non è disciplinata “in via esclusiva” – e possiamo ipotizzare che si intenda così fare riferimento a tutte le ipotesi per le quali la normativa “speciale” detta una disposizione specifica sia per gli adempimenti procedurali, sia per gli effetti delle procedure – si applichino “le procedure” previste dal Codice: è lecito chiedersi se il richiamo debba essere inteso comunque alla stregua di quelli già contenuti nella legge speciale, ovvero come estensione alla procedura delle grandi imprese non della disciplina dettata per tutte le procedure, bensì di quelle sole norme riferite alla liquidazione giudiziale e, ipotizzo, per le soluzioni concordatarie non contenute nella normativa del 1999; poiché il legislatore (all'art. 12) si premura di escludere che i meccanismi di allerta si applichino alle grandi imprese ed ai gruppi di rilevante dimensione, il dubbio è se siano invece applicabili in estensione i meccanismi di composizione assistita della crisi (e le annesse misure protettive), posto che di contro anche alle imprese escluse (art. 12, settimo comma) si applicano i benefici premiali se ricorrano i presupposti dell'art. 24. Una lettura rispettosa della ratio legis, evidentemente, imporrebbe di ritenere che anche – e forse a maggior ragione – alle “grandi imprese” (quelle per le quali la lett. g) delle definizioni fissa i requisiti dimensionali) debbano applicarsi le norme volte ad una anticipata soluzione della crisi, salvo che, poi, la situazione di insolvenza imponga di applicare la normativa speciale ed in tal senso pare deporre anche la lett. u) delle definizioni che prevede la gestione da parte dell'OCRI della fase di allerta e di composizione assistita della crisi escludendo da questa solo le imprese “minori” (che dovranno rivolgersi all'OCC); tuttavia, il fatto che per le grandi imprese siano esclusi i meccanismi di allerta rendo arduo ipotizzare l'avvio di una fase di composizione che postula per certi versi quella fase prodromica.

Quanto all'esenzione degli enti pubblici, più che altro è rilevante la precisazione circa il regime delle società “in house”, che vengono equiparate, come precisato alla lett. f) delle definizioni, alle “società pubbliche”, ma che sono comunque soggette agli istituti del Codice della Crisi (sul punto la giurisprudenza ante riforma era già giunta a sancire la fallibilità di tale tipo si società: cfr. da ultimo Cass. Sez. Un., 1 dicembre 2016, n. 24591 in Fallim., 2017, 161 e la recente Cass. Sez. Un., 13 settembre 2018, n. 22406 in sito Pluris Cedam, circa l'applicabilità dell'art. 146 legge fall. e la competenza del G.O. per le azioni verso gli organi della società a partecipazione pubblica fallita), pur se con salvezza espressa delle norme contenute nelle leggi speciali e quindi, si deve ipotizzare con prevalenza degli istituti di prevenzione e risanamento previsti dal T.U. in tema di società a partecipazione pubblica (per un disamina: G. D'Attorre, I piani di risanamento e di ristrutturazione nelle società pubbliche, in Fallim., 2018, 139).

Le definizioni "nuove"

Il legislatore tenta, anzitutto, di esplicitare la basilare distinzione tra due situazioni per la “gestione” delle procedure, distinguendo tra “crisi” ed “insolvenza”.

La “crisi” è peraltro vista sotto il profilo finanziario come previsione della futura incapacità di adempiere regolarmente, indicazione forse un po' riduttiva rispetto a situazioni strutturali che comunque potrebbero rientrare nell'ottica della prevenzione della crisi e che non a caso vengono poi riconsiderate nell'art. 13 per fissare i presupposti per l'utilizzo dei meccanismi di allerta (come osserva R Ranalli, I piani d'impresa nel governo societario e nella composizione della crisi tra il regime attuale e la riforma, in Fallim., 2018, 1051, l'origine di una crisi è sempre industrale prima che finanziaria).

Nulla di nuovo, invece, nella definizione di “insolvenza” ; peraltro, la stessa scelta di mantenere la formula previgente può avere un significato non irrilevante, andando implicitamente a confutare il tentativo di taluna giurisprudenza che, in materia di azioni revocatorie, ha inteso sminuire (facendola rientrare in una “normalità” che pervero poteva essere solo colloquiale e non giuridica) la oggettiva rilevanza del fenomeno dell'inadempimento.

Al di là di ciò, il legislatore non chiarisce il rapporto tra le due situazioni e ciò potrebbe suscitare qualche incertezza sulle conseguenze del riscontro dell'una o dell'altra.

Come è noto, i primi commentatori delle riforme del 2005/2006 (in particolare con riguardo alle modifiche apportate dal D.L. 35/2005 al concordato) avevano sollevato il dubbio che la nuova disciplina intendesse precludere all'imprenditore non soltanto in crisi, ma già insolvente, di accedere alle procedure minori; dubbio risolto normativamente con la precisazione introdotta dal D.l. 273/2005 che sancì come nel concetto di “crisi” rientrasse anche la situazione di insolvenza.

Il problema, peraltro, sembra destinato a riproporsi – seppure sotto profili diversi – nell'ambito della nuova normativa concorsuale, laddove non è chiaro se il trascendere della crisi in stato di insolvenza precluda all'impresa di accedere ai meccanismi di composizione della crisi: si dirà che la funzione dei meccanismi di allerta è proprio quella di prevenire l'insolvenza, ma – anche non volendo pensare alla disciplina “transitoria” per le imprese divenute insolventi prima che siano attivate le misure di allerta – non si può aprioristicamente escludere che all'allerta giungano imprese già decotte (a prescindere dalla responsabilità per la mancata individuazione dello stato di crisi); in tal caso, non è espressamente previsto che l'OCRI possa dichiarare inammissibile un tentativo di composizione che potrebbe rivelarsi uno strumento dilatorio, ma a mio avviso vi sarebbero i margini interpretativi per desumere tale preclusione proprio dalla valenza sanzionatoria delle norme che colpiscono i soggetti che non provvedano a far emergere tempestivamente la crisi. In senso opposto, peraltro, si potrebbe osservare che di per sé lo stato di insolvenza non esclude la percorribilità di soluzioni di risanamento (tant'è che l'opzione è prevista all'art. 27 del D.lgs. 270/1999 per le imprese in amministrazione straordinaria, che pure postula l'insolvenza); peraltro, l'argomento non è decisivo, atteso che nulla vieta di percorrere la via del risanamento all'interno del concordato (ed infatti, l'art. 85 del codice precisa che a tale procedura accedono le imprese in crisi o insolventi) o delle altre procedure di insolvenza, ma ciò non significa che l'imprenditore che non si sia tempestivamente attivato per far emergere la propria crisi possa “guadagnare tempo” avviando tardivamente la segnalazione d'allerta (a maggior ragione se tale strategia possa far sorgere il dubbio di tentativi dilatori assimilabili a quelli che la giurisprudenza sanziona oggi come “abuso” delle procedure minori – arg. da Cass., Sez. VI, 11 ottobre 2018, n. 25210; Cass., Sez. I, 26 novembre 2018, n. 30539 e Cass., Sez. I, 7 marzo 2017, n. 5677, tutte in sito Pluris Cedam).

(segue) Le definizioni recettizie delle elaborazioni pre-riforma

Come abbiamo già accennato, oltre a dettare definizioni utili a chiarire il senso delle nuove norme, il legislatore si è anche premurato di definire alcune situazioni in passato controverse, facendo tesoro delle interpretazioni elaborate in dottrina e giurisprudenza.

Pare un chiarimento implicito, ma incompleto, la creazione della figura della “impresa minore” di cui alla lett. d): l'art. 121 del Codice della crisi, esplicitando un principio che già si evince dall'interpretazione dell'art. 1 della legge fallimentare attualmente in vigore, infatti, precisa che sono soggetti alla liquidazione giudiziale gli imprenditori “che non dimostrino” di essere una impresa minore; in sostanza, quindi, si conferma l'esistenza di una categoria di piccole imprese che non è soggetta a fallimento in presenza di requisiti la cui prova sembra rimessa al debitore interessato ad evitare la liquidazione giudiziale; così come formulate, però, le norme non fanno chiarezza sulla possibilità che il Tribunale ravvisi d'ufficio che, essendo comunque documentata la natura di “impresa minore”, non sussistono i presupposti per avviare una procedura “inutile” (opzione che si evince, ad esempio, da Cass., Sez. I, 4 dicembre 2015, n. 24721).

Poiché nella nuova disciplina concorsuale per la prima volta vengono ipotizzare procedure “di gruppo” (in ciò recependo peraltro una corrente che iniziava a prendere piede soprattutto in tema di concordati, principiando da Trib. Milano, 10 novembre 2009, in DF, 2010, II, 205 sino a Trib. Palermo, 4 giugno 2014, in Fallim, 2014, 951; Trib. Teramo, 5 gennaio 2016, in QG, 2016 ed alla recente Trib. Bergamo, 13 febbraio 2019, in sito Ilcaso.it), il legislatore si premura di definirne il concetto; la definizione contenuta alla lett. h) peraltro recepisce il concetto di gruppo e di controllo del Codice Civile limitandolo all'ipotesi di direzione unitaria (recependo in tal senso un'accezione limitativa già proposta dalla giurisprudenza: cfr. Cass., sez. I, 31 luglio 2017, n. 19014, in Fallim, 2018, 179); pare, peraltro, importante che nelle disposizioni generali si precisi che la disciplina del Codice della Crisi è rivolta anche al debitore che “opera” come gruppo di imprese, quasi a voler significare che in tal caso si può ipotizzare un'entità unitaria: in realtà, poi, dall'art. 284 del Codice della Crisi si evince che il legislatore, pur ammettendo la presentazione di un unico piano di concordato di gruppo, in parte conferma l'orientamento consolidatosi in passato, laddove (al di fuori di talune previsioni contenute nella normativa sulla amministrazione straordinaria delle grandi imprese, laddove – come è avvenuto ad esempio per il Gruppo Volare – si è talora proseguita una gestione unitaria, talora con la vendita indistinta dei complessi aziendali) la Suprema Corte, pur ammettendo una gestione unitaria delle procedure per i gruppi, ancora di recente nega qualsiasi commistione tra masse attive e passive afferenti a diverse società (cfr. Cass., Sez. I, 17 ottobre 2018 n. 26005, in sito Ilcaso.it con estensione del divieto anche a forme elusive attuate con “accorpamenti” societari: cfr. Cass., Sez. I, 13 ottobre 2015, 20559 in DF, 2015, II, 639) ed il legislatore ha confermato tale preclusione; la novità della definizione è insita nella considerazione appunto di un'entità costituita dal “gruppo” che consente non solo una gestione processuale unitaria (prevista anche per la liquidazione giudiziale dei gruppi), ma anche, ad esempio, aperture all'unicità come quella dell'art. 285 al trasferimento di risorse intra-gruppo e dell'art. 286 che esclude la risoluzione del concordato di gruppo se l'inadempimento resti isolato ad alcune delle imprese che ne sono parte.

Anche per il concetto di gruppo “di rilevanti dimensioni” e di “parti correlate” le lett. i) ed l) fanno richiamo rispettivamente alle direttive UE ed alla normativa Consob.

Ai fini delle procedure compositive che consentono il classamento dei creditori la lett. r) delle definizioni si premura di recepire il principio della “omogeneità” di interessi (sul punto, cfr. F. Rolfi, Criteri di formazione delle classi nel concordato preventivo, in Fallim., 2018, 1417): la precisazione sarà utile a supporto della corrente che riteneva censurabile la formazione delle classi se utilizzata abusivamente (ed in tal senso ipotesi eclatanti erano già sanzionate da talune pronunzie pre-riforma) con il solo fine di preconfezionare una maggioranza.

Al di fuori della crisi di impresa, si sottolinea la conferma della scelta interpretativa che esclude dalla nozione di “consumatore” il soggetto che si trova sovra-indebitato per obbligazioni derivate dalla veste di socio di s.n.c., s.a.s. e s.a.p.a.; la scelta redazionale della norma presta il fianco ad un dubbio: la lett. e) delle definizioni precisa che il socio di quelle tre tipologie di società può essere considerato consumatore “per i debiti estranei a quelli sociali”, il che indubbiamente vieta al socio di utilizzare gli strumenti dettati per la crisi del consumatore per i debiti derivanti dalla qualifica di socio; ma che ne è del socio di s.p.a. ed s.r.l. indebitato per debiti sociali? Il principio ubi lex voluit dixit induce a ritenere che questi sia sempre considerabile come consumatore (anche perché ha un ruolo meno diretto nella gestione dell'impresa societaria), ma il principio di eadem ratio imporrebbe di ritenere che anche in tali casi l'accesso alle procedure riservate al consumatore sia condizionato alla natura “personale” del debito.

(segue) Altre definizioni

Di un certo rilievo la riformulazione del concetto di “indipendenza” contenuto alla lett. o): il professionista che in vari istituti è chiamato a rilasciare le attestazioni deve essere non solo iscritto all'albo dei gestori della crisi e rivestire il ruolo di revisore legale, ma anche essere in posizione di totale “altruità” rispetto al debitore certificato, posto che l'incompatibilità si estende anche a situazione in passato ritenute non rilevanti quale l'aver svolto (incompatibilità estesa alla situazione in cui versi l'associato) attività di lavoro autonomo per l'impresa; in questo caso, peraltro, una maggior precisione sarebbe stata utile poiché si intuisce, ma non è così certo, che anche l'aver svolto un incarico per una precedente attestazione in procedura non andata a buon fine mini l'indipendenza del professionista.

Da sottolineare anche la scelta (lett. m) delle definizioni) di affidare ad un vecchio principio, quello dell'apparenza del diritto il criterio dirimente in tema di competenza, laddove perché si ravvisi il “centro degli interessi” occorre che questo sia riconoscibile dai terzi (non basterebbe, quindi, che le decisioni vengano assunte presso un ufficio direzionale se di tale attività non vi sia esteriorizzazione).

Da ultimo, per quanto piuttosto generica, si segnala la distinzione posta alle lett. p) e q) tra le misure protettive che costituiscono un beneficio per il debitore che così potrà evitare azioni sul suo patrimonio e le misure cautelari che viceversa sono una sorta di sanzione volta ad evitare la dispersione dell'attivo destinato al soddisfo dei creditori.

In conclusione

È quasi tautologico concludere ribadendo che la nuova normativa dimostra un approccio quasi pionieristico per il panorama italiano (ma in linea con le indicazioni comunitarie e con esperienze di altri Paesi) proprio già dai principi generali e dalle definizioni, posto che viene, per un verso, affrontato (ovviamente in modo distinto) il fenomeno della crisi in qualunque contesto essa si presenti e, d'altro canto, si muove dalla volontà di anticipare gli esiti nefasti della crisi stessa con strumenti alternativi. Solo l'applicazione concreta potrà dire se i meccanismi adottati per incentivare le soluzioni anticipatorie e per sanzionare il ritardo nella attivazione di strumenti protettivi saranno sufficienti per sovvertire la diffidenza della maggior parte degli imprenditori per le procedure concorsuali (e che non si utilizzi più il termine fallimento non pare certo sufficiente) e la tendenza a ricercare accordi e supporto dal sistema bancario che il più delle volte non fanno che precludere la via virtuosa del risanamento.

Guida all'approfondimento

La novità della materia fa sì che al momento vi siano pochi commenti ed ovviamente per poter verificare l'applicazione concreta in giurisprudenza occorrerà attendere l'agosto 2020, data per la quale dovrebbe essere fissata, salvo rinvii, l'entrata in vigore del Codice della crisi.

In tema di definizioni generali: F. Lamanna, Il nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Milano, 2019, 4 voll.; S. Sanzo – D. Burroni, Il nuovo Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, Bologna, 2019, 8 ss.; sul concetto di crisi: A. Rossi, Dalla crisi tipica ex CCII alla resilienza della twilight zone, in Fallim., 2019, 291 (il quale dubita che la definizione di probabile insolvenza accolta in realtà individui una situazione che gli analisti già considerano come attuale insolvenza); G. Lo Cascio, Legge fallimentare attuale, legge delega di riforma e decreti attuativi in fieri, in Fallim., 2018, 525. Sulla nuova disciplina delle procedure gruppo : G. D'Attorre, I concordati di gruppo nel codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Fallim., 2019, 277; AA.VV., Fallimento e crisi di impresa, Milano, 2019, 1244 ss.

Alcuni spunti sui temi trattati si possono già reperire nei commenti alla legge delega: si veda S. De Matteis, I principi generali della legge delega di riforma delle procedure concorsuali, in DF, 2017, I, 1291; M. Ferro, Misure di allerta e composizione assistita delle crisi, in Fallim., 2016, 1032; per la definizione di gruppo, cfr. G. Lo Cascio, La nuova legge delega sulle procedure concorsuali tra diritto ed economia, in Fallim., 2017, 1253; L. Panzani, La disciplina della crisi di gruppo tra proposte di riforma e modelli internazionali, in Fallim., 2016, 1153.

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