Le novità normative e la recente giurisprudenza suggeriscono un ritocco della Tabella milanese del danno non patrimoniale da lesione del bene salute?

09 Luglio 2019

L'autore si interroga sull'opportunità o meno di una modifica della Tabella milanese del danno non patrimoniale da lesione del bene salute, alla luce delle novità introdotte negli artt. 138 e 139 cod. ass. e degli ultimi approdi della giurisprudenza di legittimità.Vengono dunque esaminate le sentenze della Corte di Cassazione (e soprattutto l'ordinanza c.d. “decalogo” n. 7513/2018) per chiarire, in primo luogo, il vero significato e il contenuto del danno non patrimoniale. Si illustra, quindi, il danno non patrimoniale nelle costanti componenti del danno dinamico relazionale (esteriore) e del danno da sofferenza soggettiva (interiore). Poiché la Cassazione ravvisa la necessità della separata liquidazione delle menzionate voci di danno, se ne vagliano criticamente l'ambito operativo e le possibili ricadute sulle Tabelle milanesi. ..
La Tabella milanese di liquidazione del danno non patrimoniale da lesione del bene salute

L'Osservatorio di Milano, per l'elaborazione di ogni nuova Edizione delle “Tabelle Milanesi per la liquidazione del danno non patrimoniale”, muove sempre da un'attenta analisi dello stato dell'arte della giurisprudenza di merito, alla luce degli approdi cui è giunta la più recente giurisprudenza di legittimità e della Corte Costituzionale.

Il più rilevante intervento di modifica delle Tabelle milanesi si è avuto nel 2009 a seguito della pubblicazione delle sentenze delle Sezioni Unite c.d. “sentenze di San Martino” del 2008 (n. 26972/2008, 26973/2008, 26974/2008 e n. 26975/2008), le quali, mutando sensibilmente lo “statuto del danno non patrimoniale” precedente, sancirono che, quando c'è una lesione biologica, i pregiudizi conseguenti alla menomazione psicofisica, «il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare» e quello ravvisato nella pena e nel dolore conseguenti (e cioè «nella sofferenza morale determinata dal non poter fare») sono, in definitiva, due facce della stessa medaglia, essendo la sofferenza morale «componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale».

Nel novembre 2008, l'Osservatorio di Milano prese quindi atto del fatto che, alla luce dei principi di diritto delle Sezioni Unite di San Martino, non fosse più possibile continuare ad applicare la precedente Tabella milanese di liquidazione del danno non patrimoniale, atteso che la medesima prevedeva la separata liquidazione del danno morale (nella misura da un quarto alla metà dell'importo liquidato per il danno biologico). Incorreva dunque anche questa Tabella nelle censure delle Sezioni Unite, perché determinava una duplicazione di risarcimento del danno.

Pertanto, nei mesi successivi l'Osservatorio ritenne di adeguare la Tabella milanese ai dicta delle Sez. Unite.

Dopo numerose riunioni e confronti (anche con “delegati” di altri distretti giudiziari), in data 25.6.2009, furono approvate le nuove “Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione alla integrità psico-fisica e dalla perdita - grave lesione del rapporto parentale - Edizione 2009” (Tabelle e “criteri orientativi” per una corretta applicazione, confermati nelle Edizioni successive con la necessaria rivalutazione monetaria secondo gli indici I.S.T.A.T.).

Si affermò così nei “Criteri orientativi” che la nuova “Tabella del danno non patrimoniale da lesione all'integrità psico-fisica” prevedesse la “liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di:

c.d. danno biologico “standard”;

c.d. personalizzazione - per particolari condizioni soggettive - del danno biologico;

c.d. danno morale.

Per individuare i valori monetari di tale liquidazione congiunta, si è poi fatto riferimento all'andamento dei precedenti degli Uffici giudiziari di Milano, e si è quindi pensato:

a una tabella di valori monetari “medi”, corrispondenti al caso di incidenza della lesione in termini "standardizzabili" in quanto frequentemente ricorrenti (sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali, sia quanto agli aspetti relazionali, sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva);

a una percentuale di aumento di tali valori “medi” da utilizzarsi -onde consentire un'adeguata "personalizzazione" complessiva della liquidazione- laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato, in particolare:

  • sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali e relazionali (ad es. lavoratore soggetto a maggior sforzo fisico senza conseguenze patrimoniali; lesione al "dito del pianista dilettante"),
  • sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva (ad es. dolore al trigemino; specifica penosità delle modalità del fatto lesivo),

ferma restando, ovviamente, la possibilità che il giudice moduli la liquidazione oltre i valori minimi e massimi, in relazione a fattispecie del tutto eccezionali rispetto alla casistica comune degli illeciti» (v., amplius, D. SPERA, Tabelle milanesi 2018 e danno non patrimoniale, in Officine del Diritto, Giuffrè, 2018).

Ciò posto, ci si deve domandare se, alla luce dei recenti arresti della giurisprudenza di legittimità, non sia necessario procedere nuovamente ad un leggero “ritocco” delle Tabelle milanesi, per renderle più rispondenti al nuovo quadro delineato dalla Cassazione.

Per valutare l'opportunità o meno di questa modifica è necessario trovare risposta ad un imprescindibile quesito: le ultime sentenze hanno mutato nuovamente il significato della nozione di “danno non patrimoniale”?

Significante e significato del “danno non patrimoniale”

Anche l'operatore piùesperto (avvocato, magistrato, professore, assicuratore) che voglia scrivere un documento (atto processuale, sentenza, articolo) in tema di accertamento e liquidazione del danno non patrimoniale è sempre più frastornato dal susseguirsi di diverse espressioni dall'incerto significato: danno morale, sofferenza soggettiva o morale o psico-fisica o interiore, tristezza o vergogna, danno all'integrità morale o alla dignità morale; danno esistenziale o relazionale o dinamico-relazionale; danno biologico puro o statico o standard; danno dinamico o estetico o sessuale; condizioni personali soggettive personalizzanti.

Forse è giunta l'ora che il giurista tenga a freno la tentazione di affermare i propri personali convincimenti e miri, invece, alla chiarezza e direi anche alla semplificazione nell'interesse superiore di una migliore efficienza del sistema giustizia e di una più sollecita e congrua riparazione (anche stragiudiziale) del danno alla persona.

Nell'affrontare le varie e (ahimè) sempre più complesse questioni relative al danno non patrimoniale bisogna evitare un ricorrente errore: ritenere che le parole abbiano sempre lo stesso significato. Al contrario, se i significanti (le espressioni linguistiche) rimangono uguali, ne risultano nel tempo profondamente modificati i significati e cioè il contenuto concettuale di quelle stesse parole.

Un primo esempio è costituito proprio dall'art. 2059 c.c., secondo cui “Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”.

Il mutamento del significato della nozione di “danno non patrimoniale” ad opera della giurisprudenza: dal codice del 1942 alle Sezioni Unite 2008

La locuzione “danno non patrimoniale”, sebbene rimasta invariata fin dall'origine nel suo significante, ha sensibilmente mutato nel corso degli anni il suo significato.

Come è noto, l'art. 2059 c.c., nell'originaria intenzione del legislatore del 1942 rivestiva una funzione prevalentemente sanzionatoria e si applicava pressoché esclusivamente ai fatti illeciti costituenti reato ex art. 185 c.p..

Per “danno non patrimoniale” (con la sola esclusione delle sentenze Corte Cost. n. 88/1979 e - ma solo in parte – n. 372/1994), fino alle citate Sezioni Unite di San Martino, si è infatti sempre inteso, pressoché come sinonimo, il “danno morale soggettivo”, quale transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima: afflizioni morali e turbamenti dello stato d'animo del danneggiato.

In proposito, giova ricordare che, nei lavori preparatori del vigente codice civile, si definisce danno morale “quello che in nessun modo tocca il patrimonio, ma arreca solo un dolore morale alla vittima”.

Sulla base di tali premesse circa il rapporto danno morale-danno biologico, la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 184/1986, così conclude: “Il danno morale subiettivo, che si sostanzia nel transeunte turbamento psicologico del soggetto offeso, é danno-conseguenza, in senso proprio, del fatto illecito lesivo della salute”. Pertanto, il danno morale è risarcibile ex artt. 2043 e 2059 c.c., ove dalla lesione alla salute derivi come conseguenza ulteriore (rispetto all'evento della menomazione delle condizioni psico-fisiche del soggetto offeso) un danno morale subiettivo, sempreché il fatto realizzativo del danno biologico costituisca anche reato.

Anche la sentenza della Corte Cost. n. 372/1994 conferma (in generale) la nozione di danno morale soggettivo come “patema d'animo o stato di angoscia transeunte”.

Tale impostazione muta sensibilmente a seguito dalla pubblicazione delle c.d. “sentenze gemelle” della Corte di Cassazione n. 8827-8828 del 31 maggio 2003, nonché della sentenza della Corte Costituzionale n. 233/2003. In relazione al limite derivante dalla riserva di legge prevista dall'art. 2059 c.c., si inizia infatti a prediligere «una lettura della norma costituzionalmente orientata", che "impone di ritenere inoperante il detto limite se la lesione ha riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti».

A seguito di questa svolta storica, l'art. 2059 c.c. assume quindi «una funzione non più sanzionatoria, ma soltanto tipizzante dei singoli casi di risarcibilità del danno non patrimoniale” e diventa norma idonea a ricomprendere “ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell'interesse, costituzionalmente garantito, all'integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona» (così la Corte Costituzionale sentenza n. 233/2003). (SPERA D., Risarcimento del danno non patrimoniale, in Ridare.it)

Ai fini che qui interessano, le citate Sezioni Unite di San Martino aggiungono che «la sofferenza morale cagionata dal reato non è necessariamente transeunte, ben potendo l'effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo. (…) La formula "danno morale" non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento».

Per le Sezioni Unite di San Martino, «il danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie. Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno».

Le sentenze di San Martino, inoltre, accolgono la nozione di danno biologico recepita negli artt. 138 e 139 Codice Ass., all'interno del quale sono «ricompresi i pregiudizi attinenti agli aspetti dinamico- relazionali della vita del danneggiato».

Inoltre, superata la tradizionale nozione di danno morale soggettivo, inteso come patema d'animo transeunte ed «affermata la risarcibilità del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, anche il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare (ma sarebbe meglio dire: nella sofferenza morale determinata dal non poter fare) è risarcibile».

Le Sezioni Unite di San Martino affermano che è necessario distinguere la «sofferenza soggettiva in sé considerata» da quella in cui la stessa sofferenza costituisce solo una «componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza».

Circa il danno esistenziale, la Cassazione civile a Sezioni Unite (n. 6572/2006) aveva già ritenuto che lo stesso riguardasse «ogni pregiudizio che l'illecito datoriale provoca sul fare areddituale del soggetto, alterando le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità e privandolo di occasioni per la espressione e la realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Peraltro il danno esistenziale si fonda sulla natura non meramente emotiva ed interiore (propria del cosiddetto danno morale), ma oggettivamente accertabile del pregiudizio, attraverso la prova di scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si fosse verificato l'evento dannoso. (…) Mentre il danno biologico non può prescindere dall'accertamento medico legale (…) la stessa categoria del “danno esistenziale” si fonda sulla natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, del pregiudizio esistenziale: non meri dolori e sofferenze, ma scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si fosse verificato l'evento dannoso».

Le “sentenze di San Martino” precisano che il “pregiudizio di tipo esistenzialeè risarcibile solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento di danno. Se non si riscontra la lesione di diritti costituzionalmente inviolabili della persona non è data tutela risarcitoria. Per le Sezioni Unite di San Martino la tesi che «pretende di vagliare la rilevanza costituzionale con riferimento al tipo di pregiudizio, cioè al danno-conseguenza, e non al diritto leso, cioè all'evento dannoso, in tal modo confonde il piano del pregiudizio da riparare con quello dell'ingiustizia da dimostrare, e va disattesa. Essa si risolve sostanzialmente nell'abrogazione surrettizia dell'art. 2059 c.c.». Le sentenze di San Martino pervengono così alla conclusione che «di danno esistenziale come autonoma categoria di danno non è più dato discorrere» (in tal senso anche Cass. civ., Sez. Un., sent. n. 15350/2015).

In relazione al danno biologico, per le Sezioni Unite di San Martino, «possono costituire solo "voci" del danno biologico nel suo aspetto dinamico, nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il c.d. danno alla vita di relazione, i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell'integrità psicofisica, sicché darebbe luogo a duplicazione la loro distinta riparazione».

L'ordinanza Cass. civ., n. 7513/2018 (c.d. “ordinanza decalogo”) ha nuovamente mutato il significato della nozione di danno non patrimoniale?

Nell'ordinanza n. 7513/2018 (c.d. “ordinanza decalogo”), la Cassazione, dalla nozione di danno biologico ex artt. 138 e 139 cod. ass. enuclea (tra l'altro) le seguenti conseguenze:

1) «la lesione della salute risarcibile in null'altro consiste che nella compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento delle attività quotidiane tutte, nessuna esclusa: dal fare, all'essere, all'apparire»;

2) le conseguenze della menomazione si dividono in quelle comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare tipo di invalidità, ovvero peculiari del caso concreto, qualora cioè abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili: «la liquidazione delle prime tuttavia presuppone la mera dimostrazione dell'esistenza dell'invalidità; la liquidazione delle seconde esige la prova concreta dell'effettivo (e maggior) pregiudizio sofferto» dalla vittima(concetto poi stigmatizzato nei punti 6) e 7) del “decalogo”).

Nel punto 10) del “decalogo” si precisa che il danno non patrimoniale (anche nelle ipotesi diverse dal danno biologico) va sempre liquidato «tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso».

In armonia con queste statuizioni, nella sentenza Cass. civ., n. 901/2018 si afferma che il giudice «deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l'aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo “in pejus” con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale)». Infatti «esistenziale è quel danno che, in caso di lesione della stessa salute (ma non solo), si colloca e si dipana nella sfera dinamico-relazionale del soggetto, come conseguenza della lesione medicalmente accertabile (Cass. civ., Sez. Un., n. 6572/2006)».

Ritengo assolutamente condivisibili le statuizioni che precedono. Del resto, proprio dopo la citata sentenza della Cass. civ., Sez. Un. n. 6572/2006 (che sembrava riconoscere in termini generali il danno esistenziale), già nella sentenza Trib. Milano 4 marzo 2008 n. 2847 (pubblicata su "Danno e Responsabilità", n. 8-9/2008 ed in “Guida al diritto”, dossier n. 4/2008) sostenevo che, in definitiva, sempre (e solo) a due grandi voci si può ricondurre il danno non patrimoniale:

a) un patema d'animo cd. “danno morale soggettivo”, che attiene alla sfera interiore del soggetto;

b) un danno che attiene alla sfera esteriore del soggetto, che in tal senso può anche definirsi “esistenziale”, nella nozione accolta dalle Sezioni Unite.

In quella sentenza si sosteneva che il genus rimaneva il danno non patrimoniale ed il danno biologico era esattamente coincidente con il danno esistenziale di cui alla menzionata lett. b), con l'unica peculiarità di essere conseguente alla lesione del bene giuridico salute.

Cosa è rimasto fermo: conclusioni condivise sui pregiudizi ricompresi nel danno non patrimoniale

Il danno non patrimoniale, quale che sia la lesione dell'interesse della persona, consiste nei pregiudizi che investono la sfera interiore, che, per ragioni di chiarezza e d'ora in poi, sarebbe più opportuno chiamare “danno da sofferenza soggettiva interiore” (alias: danno morale soggettivo, danno da sofferenza morale, sofferenza psico-fisica) e danno che attiene alla sfera esteriore, che potrebbe essere ricompreso nel sintagma “danno dinamico-relazionale” (alias: danno biologico, danno esistenziale, danno alla vita di relazione).

La peculiarità del danno biologico, e cioè del danno non patrimoniale conseguente alla lesione del bene salute, è data dalla circostanza che la lesione dell'interesse protetto (il bene salute) è accertata dal medico legale e la prova del danno-dinamico relazionale “standard”, cioè comune a tutti, è conseguenza necessaria della accertata invalidità; tale danno è liquidato, per tutte le vittime, con importi standard (indicati dalla legge o da tabelle condivise in uso presso gli uffici giudiziari). Viceversa, per l'accertamento e la liquidazione del danno da sofferenza soggettiva interiore e del danno su “specifici aspetti dinamico-relazionali personali” occorrono allegazioni e prova da parte del danneggiato e il giudice ha margini di discrezionalità nella liquidazione.

Per il danno-conseguenza della lesione di altri interessi della persona, invece, gli oneri di allegazione e prova investono sia il pregiudizio da sofferenza soggettiva interiore sia il pregiudizio dinamico relazionale.

Come si è detto, per le sentenze di San Martino tutti questi pregiudizi, quali “voci” dell'unitario danno non patrimoniale, devono essere liquidati congiuntamente.

Cosa cambia: la giurisprudenza della Cassazione successiva alle sentenze di San Martino sui criteri di liquidazione dei due menzionati aspetti del danno non patrimoniale

Un indirizzo della Cassazione, prima isolato (v. Cass. civ., sent. n. 19211/2015 e n. 11851/2015), ma poi via via sempre più incalzante, ha evidenziato alcune criticità sulla unitaria liquidazione del danno sancita dalle Sezioni Unite di San Martino, per i seguenti motivi riepilogati nella sentenza Cass. civ. n. 901/2018:

- le “sentenze gemelle” del 2003 avevano riconosciuto la liquidazione separata del danno biologico, del danno morale soggettivo e dei pregiudizi ulteriori e diversi dalla mera sofferenza psichica;

- anche i d.P.R. n. 37/2009 e n. 191/2009 avrebbero reso “manifesta la volontà del legislatore di distinguere, morfologicamente prima ancora che funzionalmente”, la voce di danno c.d. biologico e quella di danno morale;

- la sentenza della Corte cost. n. 235/2014, predicativa della legittimità costituzionale dell'art. 139 cod. ass., afferma che «la norma denunciata non è chiusa, come paventano i remittenti, alla risarcibilità anche del danno morale: ricorrendo in concreto i presupposti del quale, il giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell'ammontare del danno biologico, secondo la previsione e nei limiti di cui alla disposizione del comma 3 (aumento del 20%)”. La Corte costituzionale sottolinea che "l'introdotto meccanismo standard di quantificazione del danno - attinente al solo, specifico e limitato settore delle lesioni di lieve entità e coerentemente riferito alle conseguenze pregiudizievoli registrate dalla scienza medica in relazione ai primi nove gradi della tabella - lascia comunque spazio al giudice per personalizzare l'importo risarcitorio risultante dall'applicazione delle suddette predisposte tabelle, eventualmente maggiorandolo fino a un quinto in considerazione delle condizioni soggettive del danneggiato». E sulla base dell'argumentum a contrario (asseritamente tratto da questa sentenza) la Cassazione (sent. n. 901/2018) conclude che, in relazione all'art. 138 cod. ass., il giudice sarebbe invece libero di quantificare la sofferenza interiore«nell' an e nel quantum con ulteriore, equo apprezzamento».

Con evidenza ancora maggiore nei punti 8 e 9 dell'ordinanza “decalogo” n. 7513/2018 si stigmatizza:

8) «in presenza di un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione)»;

9) «ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione» (per la disamina critica di queste statuizioni, vedi anche SPERA D., Time out: il “decalogo” della Cassazione sul danno non patrimoniale e i recenti arresti della Medicina legale minano le sentenze di San Martino, in Ridare.it).

Infine, nella sentenza Cass. civ., 31 gennaio 2019, n. 2788, si afferma che «Ogni incertezza sul tema del danno alla persona risulta, comunque, si ripete, definitivamente fugata ad opera dello stesso legislatore, con la riforma degli artt. 138 e 139 cod. ass. L'art. 138 (…) al comma 2 lett. e) recita testualmente: “al fine di considerare la componente del danno morale da lesione dell'integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione progressiva della liquidazione.(…) Il sopravvenuto intervento chiarificatore, da parte del legislatore, della fenomenologia del danno alla persona induce a escludere una rimessione della questione alle Sezioni Unite di questa Corte, posta, cioè, l'esistenza di una chiara volontà normativa affermativa della distinzione strutturale tra danno morale e danno dinamico relazionale”».

Emerge con chiarezza che i principi di diritto espressi nei punti 8 e 9 del decalogo si pongono in netto contrasto con le sentenze di San Martino e, conseguentemente, anche con la Tabella milanese di liquidazione del danno non patrimoniale da lesione del bene salute.

Criticità del nuovo indirizzo della Cassazione

Gli argomenti esposti a sostegno della necessità della liquidazione separata del danno dinamico relazionale causato dalle lesioni e del danno da sofferenza interiore non appaiono convincenti per i seguenti motivi:

- già avvertivano le citate “sentenze gemelle” del 2003 che, nella valutazione dei pregiudizi non patrimoniali da lesione di interessi costituzionalmente protetti, segnatamente in relazione al danno morale (per difetto di materialità del bene inciso allorché non ricorra la lesione biologica), sussistono «innegabili difficoltà nella distinzione di pregiudizi che, pur ontologicamente diversi tra loro, concernono ambiti che tendono talora a sovrapporsi. (…) E va ribadito che nella liquidazione equitativa dei pregiudizi ulteriori, il giudice non potrà non tenere conto di quanto già eventualmente riconosciuto per il risarcimento del danno morale soggettivo, in relazione alla menzionata funzione unitaria del risarcimento del danno alla persona» (per un maggior approfondimento, vedi anche SPERA D., Il danno non patrimoniale (biologico, morale, esistenziale) è risarcibile solo come danno da sofferenza?, in Ridare.it);

- la Corte Costituzionale, con la citata sentenza n. 235/2014, ha stigmatizzato: «con la sentenza n. 26972 del 2008, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno ben chiarito (nel quadro, per altro, proprio della definizione del danno biologico recata dal comma 2 del medesimo art. 139 Codice Ass.) come il cosiddetto “danno morale” − e cioè la sofferenza personale suscettibile di costituire ulteriore posta risarcibile (comunque unitariamente) del danno non patrimoniale, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato − «rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente». Dunque la costituzionalità della norma trova la sua premessa proprio nelle statuizioni contenute nelle “sentenze di San Martino”, che le due sentenze della Cassazione 2018 tentano di superare;

- l'art. 139 cod. ass. è stato sostituito dall'art. 1, comma 19, della Legge 4 agosto 2017, n. 124, c.d. “Legge Concorrenza”, e, per evitare altre possibili zone d'ombra e di dubbio, il legislatore ha espressamente previsto che “Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati ovvero causi o abbia causato una sofferenza psico-fisica di particolare intensità, l'ammontare del risarcimento del danno (…) può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 20 per cento”.Quindi, la citata sentenza della Corte costituzionale prima e il legislatore poi sembrano auspicare proprio che l'eventuale personalizzazione si effettui mediante una maggiore liquidazione congiunta degli aspetti dinamico-relazionali (sfera esteriore) e di quelli sofferenziali (sfera interiore), nel limite massimo del 20%;

- il citato comma 2, lett. e) del novellato art. 138 - laddove dispone che “al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all'integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico stabilita in applicazione dei criteri di cui alle lettere da a) a d) è incrementata in via percentuale e progressiva per punto-conferma, in definitiva, il medesimo descritto percorso che nell'anno 2009 è culminato nella elaborazione della nuova curva della Tabella milanese, costruita sul “punto danno non patrimoniale 2008” (ora indicato nella quarta colonna della Tabella milanese, denominata “punto danno non patrimoniale al 2018”);

- è solo per mera sciatteria legislativa che nell'art. 138 si fa menzione del “danno morale” e nel successivo art. 139 si richiama, invece, la “sofferenza psico-fisica: non v'è dubbio che si tratti del medesimo pregiudizio non patrimoniale, ora definito “danno da sofferenza soggettiva interiore”. Una diversa interpretazione sarebbe in contrasto con la esposta positiva evoluzione della definizione e del contenuto del danno biologico e (più in generale) del danno non patrimoniale; minerebbe senza alcuna ragione giustificativa l'intima coerenza faticosamente raggiunta dell'intero sistema di liquidazione del danno ex art. 2059 c.c.;

- ritenere che, nelle ipotesi disciplinate dall'art. 138, la personalizzazione del danno sia consentita nei limiti del 30% dell'importo base allorché la menomazione incida in maniera rilevante su “specifici aspetti dinamico-relazionali personali” (e cioè nella sfera esteriore) e sia, invece, illimitata per la sofferenza soggettiva (e cioè nella sfera interiore) non appare corretto per le seguenti ragioni:

renderebbe privo di senso l'incremento degli importi del danno biologico standard con la componente di danno morale e, quindi, la costruzione della curva normativa di liquidazione del danno non patrimoniale da lesione del bene salute, ai sensi del citato art. 138, comma 2, lett. e), cod.ass.;

contrasterebbe con l'espressa previsione di “esaustività” del risarcimento del danno non patrimoniale, ai sensi del comma 4 dello stesso articolo;

➢ in considerazione, invece, della contiguità o, meglio ancora, commistione tra sofferenza soggettiva interiore e pregiudizio esteriore relazionale, la prova in concreto ottenuta con tutti i mezzi istruttori di particolari sofferenze soggettive, che si riflettano in mutate condizioni di vita ovvero (eccezionalmente) rimangano allo stato di sofferenza interiore, potrà comportare l'aumento della liquidazione del risarcimento, ma pur sempre nel limite massimo del 30%. Anche questa conclusione è in armonia con gli altri descritti criteri di risarcimento del danno.

Per altro verso, sarebbe parimenti erroneo interpretare l'art. 138 cod. ass. nel senso che la sofferenza interiore non possa essere personalizzata perché già riconosciuta come incremento standard del danno biologico ai sensi del citato art. 138, comma 2, lett. e), cod. ass. e perché non menzionata nel successivo comma 3. Questa tesi esporrebbe certamente la norma a censure di incostituzionalità. Per converso, un'interpretazione costituzionalmente orientata del comma 3 consente di valutare una particolare sofferenza soggettiva (correlata o meno a “specifici aspetti dinamico-relazionali personali”), come presupposto idoneo ad una personalizzazione del danno non patrimoniale complessivo, ma pur sempre nei limiti (complessivi) del 30%. La soluzione prospettata è altresì in armonia con il comma 3 del successivo art. 139, che, come si è detto, prevede espressamente la possibilità di aumentare la liquidazione del danno non patrimoniale nei limiti complessivi del 20%, allorché risulti provato (tra l'altro) che la menomazione accertata «causi o abbia causato una sofferenza psico-fisica di particolare intensità» (v. paragrafo 10).

Alcune criticità emerse nel concreto uso della Tabella milanese

Come si è accennato, la Tabella milanese Edizione 2018 del danno non patrimoniale da lesione del bene salute (SPERA D., Tabella del Tribunale di Milano, in Ridare.it) è strutturata nel modo che segue, in relazione ad un esempio concreto di invalidità al 28% subita da un ragazzo di venti anni:

invalidità

Punto danno biologico 2008 rivalutato al 2018

aumento

Punto danno non patrimoniale al 2018

Demoltiplicatore per età

(es. 20 anni) 0,905

Risarcimento complessivo danno non patrimoniale

Aumento personalizzato

28%

€ 4.046,04

44%

€ 5.826,30

€ 147.638,00

31%

E, dunque:

- nella prima colonna, è indicato il grado di “invalidità” accertato dal CTU;

- nella seconda colonna, è indicato il «punto danno biologico 2008 rivalutato al 2018», che compensa il pregiudizio dinamico relazionale (esistenziale) che normalmente si accompagna ad una determinata menomazione biologica permanente con quel grado di invalidità permanente. In questa seconda colonna è indicato quindi il valore punto del danno biologico liquidato dal 1996 ad oggi e poi semplicemente rivalutato secondo gli indici I.S.T.A.T. ed è quello corrispondente all'invalidità biologica (secondo specifici baréme) accertata dal CTU medico legale. Per maggiore chiarezza, si potrebbe ora denominare questa seconda colonna “punto danno biologico dinamico relazionale”, per evidenziare che non contiene alcuna considerazione della componente di sofferenza soggettiva interiore, ma indica solamente il valore del “punto danno biologico dinamico relazionale”, al quale, separatamente fino al 2008, si aggiungeva poi la liquidazione del c.d. danno morale;

- nella terza colonna, si compensa il pregiudizio da sofferenza soggettiva interiore (ex danno morale) media e presunta, indicata come “aumento” in percentuale del danno biologico dinamico relazionale predetto di cui alla seconda colonna (procedimento successivamente recepito dal legislatore nel novellato art. 138 co. 2, lett. e) cod.ass.);

- nella quarta colonnapunto danno non patrimoniale al 2018”, si tiene conto delle percentuali e degli importi indicati nelle precedenti colonne e si determina il valore del punto danno non patrimoniale in relazione sia agli aspetti dinamico relazionali che a quelli di sofferenza soggettiva interiore, pregiudizi che vengono ritenuti provati in via presuntiva in conseguenza di un determinato grado di menomazione biologica;

- nelle colonne successive, si quantifica il danno non patrimoniale complessivo, tenendo conto anche del “demoltiplicatore”, in relazione all'età del danneggiato.

- nell'ultima colonna aumento personalizzato”, si indica la percentuale di eventuale personalizzazione dei valori medi ottenuti in via presuntiva, tenendo conto delle peculiarità del caso concreto, allegate e provate dal danneggiato, sia quanto agli aspetti dinamico relazionali sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva interiore, qualora ritenuti di speciale intensità e quindi non del tutto ricompresi nelle colonne precedenti.

Ebbene deve essere ora riconosciuto che purtroppo, in alcuni casi, la Tabella milanese è stata adoperata non correttamente.

In particolare, la circostanza che nella Tabella non sia esplicitato l'importo monetario compensativo del danno da sofferenza soggettiva interiore, ha erroneamente indotto:

  • gli avvocati a ridurre, e talora addirittura ad omettere, le allegazioni sull'esistenza del pregiudizio da sofferenza soggettiva interiore;
  • il giudice ad omettere spesso qualsivoglia motivazione sull'adeguatezza di quanto liquidato in relazione a tale pregiudizio.

È accaduto, in taluni casi, che la Tabella invece di essere usata per quello che è - e cioè uno strumento di ausilio al giudice, all'avvocato ed al liquidatore nel lavoro di discernimento dell'equa liquidazione del danno non patrimoniale da lesione del bene salute nel caso concreto – sia stata intesa come un comodo automatismo, una sorta di scorciatoia della motivazione, eludendo così la seguente verifica doverosa in ogni processo: il danno da sofferenza soggettiva interiore è adeguatamente compensato - in questa fattispecie concreta - con l'importo indicato dalla Tabella in relazione a questo danno biologico patito da questo soggetto danneggiato?

È di tutta evidenza, invece, che la separata valutazione (propugnata dalla Cassazione) del danno dinamico relazionale e di quello da sofferenza soggettiva interiore costringe gli avvocati, il CTU, il giudice, ad una maggiore attenzione ed accuratezza, rispettivamente, nella fase della allegazione e prova dei fatti, dell'accertamento del danno e della motivazione sulla congruità della liquidazione del danno da sofferenza interiore, tenendo conto delle peculiarità della fattispecie concreta comprovate nel processo.

Inoltre, la Dottrina medico legale ed il proficuo (e vivace) dibattito sviluppatosi nel Gruppo 9 dell'Osservatorio di Milano hanno di recente fornito i seguenti ulteriori spunti di riflessione.

È infatti emerso che una medesima percentuale di invalidità può essere riconosciuta dal CTU sulla base dell'accertamento delle patologie più diverse, che possono avere le più disparate conseguenze dinamico relazionali, pregiudicando in vario modo, in tutto o in parte, la vita in concreto precedentemente vissuta dalla vittima.

Basti pensare alla due ipotesi che seguono, in cui il CTU medico legale riconosce la medesima percentuale di invalidità permanente nella misura del 15%:

- per la perdita di un rene (con organo superstite integro nella funzione), le tabelle medico legali riconoscono il danno biologico permanente nella misura del 15%, in ragione della ridotta riserva funzionale (il rene superstite deve fare il lavoro di due reni): fino a quando il rene superstite funziona regolarmente (e potrebbe farlo per tutta la vita, tanto che per anomalia congenita vi è chi nasce con un solo rene), il danneggiato può condurre una vita pressoché normale e senza dolore fisico;

- per una lesione ai tendini della cuffia dei rotatori di una spalla, i baréme medico-legali stimano il danno biologico nella analoga misura del 15%: a questa menomazione conseguono tuttavia ricadute di dolore fisico e pregiudizi relazionali e quindi anche di sofferenza interiore sensibilmente superiori.

Un possibile ritocco della Tabella Milanese?

In ragione di quanto esposto nel paragrafo che precede e ferme le perplessità di cui al paragrafo 7, appare giunto il momento di raccogliere la sfida lanciata dalle ultime sentenze della Cassazione, valorizzando l'insegnamento più qualificante (e condivisibile) delle stesse in punto di necessaria completezza della motivazione sul danno da sofferenza.

Quindi, in attesa di un sempre auspicato futuro intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, mi sembra un utile contributo all'incessante dibattito sul danno non patrimoniale provare ad immaginare quale potrebbe/dovrebbe essere l'eventuale modifica da apportare alla Tabella milanese se l'Osservatorio di Milano decidesse di recepire i dicta della Cassazione, e interrogarmi se le Tabelle così emendate sarebbero realmente uno strumento più adeguato per l'operatore del diritto ai fini della liquidazione del danno in esame.

Di seguito si prova quindi a tratteggiare un eventuale ritocco della Tabella che, naturalmente senza tradire l'impianto fondamentale della stessa, frutto della sua storia, consenta tuttavia di dare conto delle attuali indicazioni della Cassazione.

Tale “bozza di ritocco”, diretta a cercare un punto di convergenza tra l'attuale Tabella e le indicazioni della Cassazione, presenta a mio avviso dei vantaggi ma anche delle criticità, come si vedrà, e proprio per questo non è una proposta di modifica della Tabella ma solo un'ipotesi da studiare, che necessita di vaglio, approfondimento e verifiche, quanto alla sua correttezza ed utilità o meno, nella sede opportuna, cioè all'interno dell'Osservatorio di Milano.

Lasciando immutate la prima e l'ultima colonna, la bozza di ritocco è la seguente:

- denominare la seconda colonnapunto danno biologico dinamico relazionale rivalutato al 2018”;

- indicare nella terza colonna anche il valore “punto danno da sofferenza soggettiva interiore media presunta”, calcolando l'importo risultante dalla immutata percentuale;

- specificare nella quarta colonna che il valore “punto danno non patrimoniale al 2018” è “determinato dalla somma degli importi indicati nelle colonne 2 e 3”;

- aggiungere, in corrispondenza di ogni anno di età del danneggiato, all'indicazione del complessivo danno non patrimoniale, separatamente, anche l'ammontare monetario del “danno biologico dinamico relazionale” e quello del “danno da sofferenza soggettiva interiore media presunta”.

Per una più agevole comprensione, può essere utile il seguente esempio.

La perdita completa del visus ad un occhio è valutato dalla Medicina legale in un danno biologico del 28% della complessiva integrità psico-fisica. Se la vittima ha compiuto 20 anni al momento della stabilizzazione dei postumi permanenti, la Tabella milanese (Edizione 2018) stima, nella seconda colonna il “punto del danno biologico” (“storico” e cioè senza la componente del danno da sofferenza, ex danno morale e rivalutato al 2018), in € 4.046,04; nella terza colonna applica un aumento del 44% di tale valore, pari ad Euro 1.780,26, per tenere conto della componente di “danno da sofferenza soggettiva interiore” media presunta; determina, quindi, nella quarta colonna il valore del “punto danno non patrimoniale” in € 5.826,30. Questo importo è dato quindi dalla somma di € 4.046,04 e di € 1.780,26. Nella colonna corrispondente all'età di 20 anni (coefficiente di riduzione per l'età pari a 0,905), la Tabella milanese attualmente prevede il complessivo danno non patrimoniale in € 147.638,00, ma questo importo è dato dalla somma di due addendi:

- per “danno biologico (solo) dinamico relazionale” € 102.526,65 (e cioè € 4.046,04 x 28 punti di invalidità = 113.289,12; quest'ultimo importo è poi demoltiplicato per 0,905);

- per “danno da (sola) sofferenza soggettiva interiore” € 45.111,79 (€ 1.780,26 x 28 punti di invalidità = € 49.847,28; quest'ultimo importo è poi demoltiplicato per 0,905).

Infatti € 102.526,65 + € 45.111,79 è pari ad arrotondati € 147.638,00.

La bozza di proposta della nuova veste grafica della Tabella, nell'esempio spiegato, sarebbe dunque la seguente:

invalidità

Punto danno biologico dinamico relazionale rivalutato al 2018

Punto danno da sofferenza soggettiva interiore media presunta, determinato in percentuale (indicata tra parentesi) del danno biologico dinamico relazionale

Punto danno non patrimoniale al 2018, determinato dalla somma degli importi indicati nelle colonne 2 e 3

Demoltiplicatore per età

(es.20 anni) 0,905

Risarcimento complessivo danno non patrimoniale, con indicazione tra parentesi di quanto liquidato a titolo di danno biologico dinamico relazionale e a titolo di sofferenza soggettiva interiore media presunta

Aumento personalizzato

28%

€ 4.046,04

€ 1.780,26

(44%)

€ 5.826,30

€ 147.638,00

(€ 102.526,65 + € 45.111,79)

31%

Ed allora, con la nuova veste grafica della Tabella milanese da lesione del bene salute (e, conseguentemente, anche della correlata Tabella del danno non patrimoniale da premorienza), l'avvocato sarà chiamato ancora di più ad allegare e provare circostanze di fatto da cui il giudice potrà desumere l'esistenza e l'entità del pregiudizio correlato alla sofferenza soggettiva interiore. Il giudice valuterà tali allegazioni e prove, terrà conto delle risultanze della CTU medico legale e, ai sensi degli artt. 2727 c.c. e ss., da tali circostanze di fatto note, sulla base di “presunzioni gravi, precise e concordanti”, riterrà provato il “fatto ignorato” della sofferenza soggettiva interiore in concreto patita. In casi eccezionali, il giudice potrà disporre anche una CTU per l'accertamento della sofferenza interiore, nominando oltre al medico legale anche un CTU psichiatra forense o psicologo giuridico (vedi SPERA D., Time out: il “decalogo” della Cassazione sul danno non patrimoniale e i recenti arresti della Medicina legale minano le sentenze di San Martino, in Ridare.it)

Circa l'entità del risarcimento, il giudice liquiderà l'importo risultante dalla colonna “danno biologico dinamico relazionale” (nell'esempio sopra riportato € 102.526,65).

Il giudice dovrà invece valutare se l'importo risultante dalla colonna “danno da sofferenza soggettiva interiore media” (nell'esempio sopra riportato € 45.111,79) sia congruo in relazione alla fattispecie concreta.

In ordine al danno da sofferenza soggettiva interiore, il giudice, quindi, potrà:

a) diminuire detto importo anche notevolmente (e forse addirittura azzerarlo) in assenza totale di allegazioni e risultanze processuali (ivi comprese quelle descritte nella relazione del CTU medico-legale);

b) confermarlo e quindi non modificarlo, in base alle risultanze processuali, ove il giudice ritenga che, nel caso di specie, non siano emersi elementi per discostarsi dalla quantificazione della sofferenza soggettiva media, in conformità ai precedenti giurisprudenziali che l'hanno ritenuta presunta, in relazione a quel grado di invalidità e a quell'età della vittima, e ne hanno stimato congrua la compensazione con quei valori monetari;

c) aumentarlo, in via eccezionale, sulla base di precise allegazioni e prova di circostanze di fatto (ed eventualmente avvalendosi di CTU collegiale con medico legale e psichiatra forense o psicologo giuridico), ma pur sempre nell'ambito della forbice percentuale di personalizzazione (v. paragrafo successivo) indicata nell'ultima colonna della Tabella milanese (nell'esempio sopra riportato, fino a max 31%, sempre che non si tratti di lesione al bene salute da illecito doloso, in presenza del quale non vale detto limite come chiarito nei “Criteri orientativi”).

Il risultato sarebbe certamente un passo avanti, perché i protagonisti del processo, avvocati, CTU e giudice, non potrebbero rifugiarsi in comodi automatismi, rispettivamente, nella proposizione delle domande, nell'accertamento e nella liquidazione del danno alla persona.

Del resto, anche le sentenze di San Martino richiedono al giudice che si avvalga delle note tabelle di «procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza».

Ma anche la Corte Costituzionale, nella citata sentenza n. 235/2014, ha affermato che il giudice può accertare e liquidare la sofferenza soggettiva interiore (ex danno morale) mediante un “incremento dell'ammontare del danno biologico” (secondo la previsione e nei limiti di cui alla disposizione del comma 3 dell'art. 139 cod. ass. e cioè mediante un aumento del 20%)consentendo così di«personalizzare l'importo risarcitorio risultante dall'applicazione delle suddette predisposte tabelle».

Si ritiene dunque che la prospettata bozza di nuova veste grafica della Tabella milanese consentirebbe al giudice di meglio valutare e decidere sulla congruità dell'importo da liquidare per il danno da sofferenza interiore.

La personalizzazione del danno in relazione a specifici aspetti dinamico-relazionali personali

Sia le Tabelle normative che la Tabella milanese prevedono criteri di personalizzazione:

- ai sensi del comma 3 dell'art. 138 novellato «Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l'ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale di cui al comma 2, può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30 per cento»;

- ai sensi del comma 3 dell'art. 139 novellato «Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati ovvero causi o abbia causato una sofferenza psico-fisica di particolare intensità, l'ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella di cui al comma 4, può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 20 per cento»;

- nei “Criteri orientativi” della Tabella milanese si afferma che la personalizzazione del danno potrà essere effettuata: «laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato, in particolare: sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali e relazionali (ad es. lavoratore soggetto a maggior sforzo fisico senza conseguenze patrimoniali; lesione al “dito del pianista dilettante”); sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva (ad es. dolore al trigemino; specifica penosità delle modalità del fatto lesivo)».

Nel punto 7) della c.d. “ordinanza decalogo” (Cass. civ., ord. n. 7513/2018) si afferma che «In presenza d'un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento».

Il menzionato punto 7 è assolutamente condivisibile.

Conseguentemente, la parte dovrà allegare compiutamente una circostanza personalizzante, affatto peculiare, pregiudicata dalla menomazione (es.: lesione del dito del pianista dilettante che non potrà più partecipare ai consueti concerti settimanali); dovrà fornire prova (mediante documenti, prova testimoniale, ecc.) della sussistenza, in concreto, della allegata circostanza.

Solo a questo punto il giudice disporrà una CTU medico-legale volta ad accertare la sussistenza del nesso causale tra evento lesivo e pregiudizio peculiare lamentato, e cioè se l'attività dilettantistica svolta prima del sinistro sia stata in tutto o in parte pregiudicata in maniera rilevante dalla menomazione psico-fisica patita.

Ove il medico legale confermi la sussistenza del nesso causale tra la menomazione ed il pregiudizio dinamico relazionale, il giudice liquiderà il danno in conformità agli artt. 138 e 139 cod.ass. ovvero con riferimento all'indice di personalizzazione indicato nell'ultima colonna della Tabella milanese.

Con quale criterio?

Ritengo che la personalizzazione in esame debba avvenire in maniera unitaria, tenendo congiuntamente conto sia dell'aspetto dinamico-relazionale sia della correlata maggiore sofferenza soggettiva interiore e l'aliquota di aumento prevista nell'ultima colonna della Tabella milanese vada applicata all'intero danno non patrimoniale già accertato dal giudice: questa soluzione appare in armonia con le modalità di liquidazione disciplinate dagli artt. 138 e 139 cod. ass.

E dunque nell'esempio precedente (lesione ai tendini della cuffia dei rotatori di una spalla), il giudice prima liquida il danno biologico dinamico relazionale in relazione all'invalidità del 15%; poi liquida il danno da sofferenza soggettiva interiore, tenendo conto delle ricadute negative sulla vittima in termini di dolore fisico (ma solo se non già valutato dal CTU ai fini della quantificazione del danno biologico permanente) e delle presumibili sofferenze conseguenti ai pregiudizi dinamico relazionali accertati dal CTU per tutte le persone che abbiano subito quella compromissione della salute, di quel sesso e di quell'età. Poi, se nel processo risulta provata (con testimonianze, documenti, confessione, ecc.) la sussistenza di“specifici aspetti dinamico-relazionali personali” tempestivamente allegati (ad esempio, la pratica hobbistica amatoriale di tennis con allenamenti giornalieri e partecipazione a numerosi tornei) e il CTU abbia accertato che tale attività sia stata in tutto o in parte pregiudicata in maniera rilevante dalla menomazione psico-fisica, il giudice aumenterà il risarcimento del danno già liquidato con le aliquote di personalizzazione previste dalla legge o dalla Tabella milanese.

Alla luce di quanto fin qui esposto, si ravvisa, dunque, una differenza fondamentale:

- nella valutazione della sofferenza soggettiva interiore correlata al grado percentuale di danno biologico, il giudice procede alla personalizzazione (nei termini esposti nel paragrafo precedente), tenendo conto in particolare delle allegazioni di parte e delle risultanze della CTU, ma valutando (di regola) pregiudizi dinamico relazionali e sofferenza soggettiva interiore tendenzialmente comuni a tutte le persone che abbiano subito quella compromissione della salute, siano di quel sesso e abbiano quell'età (ad es.: la lesione del tendine della cuffia dei rotatori della spalla causa intenso dolore fisico nella generalità delle persone che hanno questa lesione, ed anche nel danneggiato, come accertato dal CTU; la stessa cicatrice sul viso è di regola fonte di una maggiore sofferenza soggettiva per un adolescente rispetto alla sofferenza provata da un adulto, per l'insicurezza del proprio aspetto che caratterizza abitualmente l'età adolescenziale);

- allorché, invece, procede alla personalizzazione del danno riconducibile ad aspetti dinamico-relazionali personali (il citato esempio della lesione al dito del pianista dilettante che prima del sinistro teneva concerti settimanali) ai sensi delle norme citate e della Tabella milanese, il giudice valuta circostanze di fatto che sono (tutte) peculiari del danneggiato in causa e che sono state allegate e provate dalle parti.

In quest'ultimo caso vi è certamente ancora più commistione tra sofferenza soggettiva interiore e pregiudizio dinamico relazionale. Valutare il maggior danno derivante dal pregiudizio dinamico relazionale di non poter più partecipare ai tornei amatoriali di tennis o di non poter più suonare ogni giorno il pianoforte, è solo una diversa prospettiva per esaminare il pregiudizio derivante dalla sofferenza per non poter più fare quelle cose che prima riempivano la vita emotiva di quella (specifica) persona danneggiata.

La personalizzazione, nei casi in esame, è comprensiva di tutte le “voci” risarcibili di questo ulteriore danno non patrimoniale e la liquidazione, come insegnano (ancora!) le sentenze di San Martino, non può che essere unitaria e onnicomprensiva.

Del resto, come potrebbe mai il giudice discernere effettivamente e quantificare congruamente il danno per il non poter più fare da quello per la sofferenza che ne consegue? Sarebbe altresì assurdo pretendere che l'avvocato (oltre all'onere della prova sul fatto storico personalizzante, come, ad esempio, non poter più giocare a tennis ogni giorno) deducesse capitoli di prova sulla sofferenza soggettiva interiore, come, ad esempio: “Vero che, dopo l'incidente, la vittima ha pianto, è spesso triste e ha sofferto molto per non poter più giocare a tennis ogni giorno come faceva prima?”. Il giudice probabilmente non ammetterebbe la prova testimoniale su tali circostanze perché generiche ed implicanti valutazioni; dovrebbe allora ammettere una consulenza psicologica per non pregiudicare il diritto della vittima all'integrale risarcimento del proprio danno, ma con quali maggiori tempi e costi del processo civile?

Fatti salvi casi eccezionalissimi, si deve quindi ritenere che, allorché l'avvocato abbia provato nel processo il rilevante interesse del danneggiato per l'attività hobbistica (di regola desumibile dalla considerevole quantità di tempo dedicato prima dell'evento lesivo all'attività in parola) poi pregiudicata dalla lesione della salute, il giudice potrà ritenere provato il diritto del danneggiato ad una personalizzazione nella sua duplice componente dinamico-relazionale e, in via presuntiva, anche da sofferenza interiore e dovrà dunque precedere alla unitaria liquidazione del danno personalizzato, nei limiti previsti dai citati commi 3 degli artt. 138 e 139 cod.ass. e dall'ultima colonna della Tabella milanese.

Conclusioni anche in relazione ad altre ipotesi di danno non patrimoniale

Posso adesso provare a rispondere al quesito formulato nel precedente paragrafo 1.

I recenti arresti della Cassazione sulla necessità della separata liquidazione dei pregiudizi dinamico relazionali e da sofferenza soggettiva interiore hanno contribuito a chiarire il contenuto del danno non patrimoniale e gli oneri di allegazione e prova di tale danno e le modalità con cui il giudice deve procedere alla liquidazione.

Penso che l'ipotesi di lavoro qui formulata di un possibile “ritocco” della Tabella milanese di liquidazione del danno non patrimoniale da lesione del bene salute, ove sia recepita ed eventualmente anche perfezionata all'esito del dibattito dell'Osservatorio, consentirebbe di mettere a disposizione dell'operatore del diritto uno strumento aggiornato che tenga conto del novum introdotto dalla giurisprudenza di legittimità.

Concludo con quest'ultima riflessione: ma le indicazioni della Cassazione sullanecessità della separata liquidazione dei pregiudizi dinamico relazionali e da sofferenza soggettiva interiore si possono condividere anche per i danni conseguenza della lesione di altri interessi diversi dal bene salute e costituzionalmente tutelati?

Riterrei preferibile una risposta negativa.

A mio avviso l'unitaria liquidazione del danno non patrimoniale, in relazione ai pregiudizi dinamico relazionali e di sofferenza soggettiva interiore, si impone in tutti i casi in cui il danno non patrimoniale non sia derivante dalla lesione della salute, ma sia conseguente a reati, alle altre ipotesi espressamente previste dalla legge e alla lesione grave di diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale (come enunciato nelle c.d. “sentenze di San Martino”). Ritengo debba giungersi a questa soluzione per l'evidente ragione che, in tutti questi casi, non sussiste alcun accertamento “standard”, peculiare invece del solo danno alla salute perché valutato dal medico legale con il punto di invalidità. Pertanto, in tutte le ulteriori ipotesi di danno non patrimoniale conseguente alla lesione di un bene diverso dalla salute, l'avvocato dovrà allegare e provare tutte le circostanze di fatto in base alle quali la (specifica) vittima avrà subito pregiudizi dinamico relazionali e sofferenza soggettiva interiore in conseguenza della lesione dell'interesse protetto: privacy, onore e dignità della persona, consenso al trattamento sanitario, non ragionevole durata del processo, discriminazione razziale, ecc..

Anche in queste ipotesi, dunque (così come prospettato nel paragrafo precedente in tema di personalizzazione), il giudice, lungi da una “visione ragioneristica” del danno non patrimoniale, valuterà e liquiderà unitariamente tutti i pregiudizi accertati nel processo.

Proprio per tali ragioni, l'Osservatorio di Milano ha sicuramente ritenuto di escludere la necessità di una modifica delle altre Tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale. Continuano infatti a seguire l'impostazione tradizionale, dunque, le “Tabelle di liquidazione del danno da perdita e grave lesione del rapporto parentale”, così come i “Criteri orientativi per la liquidazione del danno da diffamazione a mezzo stampa e con altri mezzi di comunicazione di massa” ed i “Criteri orientativi per la liquidazione del danno c.d. terminale” (recentemente approvati dall'Osservatorio di Milano).

Pertanto, se può ritenersi eventualmente opportuno che l'Osservatorio valuti la possibilità di un leggero ritocco alla veste grafica della Tabella milanese per la liquidazione del danno biologico (e, conseguentemente, anche della correlata Tabella del danno non patrimoniale da premorienza), lo stesso non può dirsi per le altre Tabelle e “Criteri orientativi”, in relazione ai quali, per gli argomenti fin qui esposti, non sono in alcun modo ravvisabili ragioni per discostarsi dalle soluzioni attualmente proposte.

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