Il contratto di prossimità: un'opportunità per le imprese

09 Luglio 2019

La contrattazione di prossimità consente, alle imprese, flessibilità di adattamento nell'applicazione delle nuove regole lavoristiche, per evitare danni allo sviluppo della produzione e alla crescita dei livelli occupazionali.
Introduzione

Il quadro normativo che si è prodotto nell'ultimo anno, per effetto di riforme riconducibili all'attuale compagine governativa e di interventi della Consulta, ha portato forti scossoni in un sistema che aveva iniziato ad adattarsi alle spinte liberalizzatrici avviate con l'eliminazione del vincolo della causale dai contratti di lavoro temporaneo (DL 34/2014, conv. in L. 78/2014) e con i decreti attuativi del Jobs Act (L. 183/2014), tra i quali svettava il nuovo apparato sanzionatorio a tutele crescenti per gli assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 (D. Lgs. 23/2015).

La reintroduzione di rigide condizioni di ricorso al contratto a termine e alla somministrazione a tempo determinato, da un lato, e l'aumento della metà della soglia minima e massima dell'indennizzo risarcitorio per i licenziamenti invalidi dei nuovi assunti, d'altro lato, hanno inferto un primo duro colpo. Per un verso, l'utilizzo delle forme di impiego temporaneo si è notevolmente ridimensionato per effetto della riduzione del periodo massimo a 24 mesi e, soprattutto, della previsione di nuove causali associate alla permanenza di “incrementi significativi e non programmabili” dell'attività ordinaria aziendale. Per altro verso, l'innalzamento a 36 mensilità della soglia massima del risarcimento associato ad un provvedimento di recesso datoriale illegittimo ha introdotto nell'ordinamento un parametro sin qui del tutto sconosciuto (il limite massimo di cui all'art. 18, c. 5, L. 300/70 è, infatti, di 24 mensilità).

Il mutamento (genetico) della disciplina sulle tutele crescenti si è, poi, completato con la sentenza della Consulta (C. Cost. 8 novembre 2018 n. 194), la quale ha svincolato la determinazione dell'indennità risarcitoria dal parametro fisso ed esclusivo dell'anzianità di servizio, lasciando al giudice la libertà di decidere, sulla base di un ventaglio ben più ampio di parametri, la misura effettiva del risarcimento nell'ambito della soglia minima e massima (rispettivamente, 6 e 36 mensilità).

In un contesto così fortemente modificato, lo strumento della contrattazione di prossimità può davvero rappresentare un argine per consentire alle imprese di applicare le nuove regole con gli adattamenti che, caso per caso, sono resi più opportuni per non pregiudicare lo sviluppo della produzione e la crescita dei livelli occupazionali.

I tratti distintivi del contratto di prossimità

Tratto distintivo del contratto collettivo di prossimità, rispetto ai classici accordi collettivi di secondo livello (territoriali e aziendali), sono la capacità di derogare alle norme di legge ed alle disposizioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro, nonché l'efficacia erga omnes, che consente l'applicazione generalizzata a tutta la popolazione aziendale, a prescindere dalla affiliazione dei lavoratori alle sigle sindacali che lo hanno sottoscritto.

Se, da una parte, “il contratto di prossimità, al pari di tutti gli altri contratti collettivi, è attratto nella sfera del diritto civile (…) dall'altra, se ne distacca perché l'articolo 8 gli attribuisce un ambito di efficacia maggiore rispetto a quello canonico, limitato alle sole parti firmatarie degli accordi” (M. Sacconi, in collaborazione con M. Marmo, “Teoria e pratica delle relazioni adattative di prossimità”, Gruppo24Ore, dicembre 2018).

In molti ambiti, facendo leva sull'art. 51, D.Lgs. 81/2015 - a norma del quale il riferimento ai “contratti collettivi” nel testo di legge include i contratti collettivi aziendali stipulati dalle RSA e dalla RSU collegate alle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale - l'accordo di secondo livello ha una sua agibilità direttamente delegata dalla legge. Se ci accostiamo alle modifiche introdotte dal Decreto Di Maio alle norme del medesimo D.Lgs. 81/2015 sui contratti a termine (artt. 19 e seguenti), ad esempio, vediamo che i “contratti collettivi” - quindi, anche il livello aziendale - possono intervenire sulla durata, sulle clausole di contingentamento e sulla determinazione delle attività stagionali.

Vi sono altri ambiti nei quali, invece, l'accordo di secondo livello non può incidere, perché la legge ha previsto una disciplina sulla quale non opera un meccanismo di delega a favore della contrattazione collettiva. Restando all'esempio qui proposto delle modifiche alla disciplina del contratto a termine, ad esempio, l'obbligo di indicare una tassativa causale, tra quelle rivenute nel novellato art. 19, c. 1, lett. a), b) e c), D.Lgs. 81/2015, per poter proseguire il rapporto di lavoro temporaneo oltre i 12 mesi (o con il primo rinnovo), non può essere eliminato o modificato da una fonte collettiva.

In questo spazio può legittimamente inserirsi, con effetto derogatorio, unicamente il contratto collettivo di prossimità, perchè solo in forza di quanto previsto dall'art. 8, DL 138/2011 conv. in L. 148/2011, ricorrendone tutte le condizioni, risulta possibile intervenire con la negoziazione di secondo livello allo scopo di pervenire ad una regolamentazione dei contratti a termine “a misura di azienda”.

Sono, in questo senso, illuminanti le prime riflessioni che, a breve distanza dall'entrata in vigore del Decreto Di Maio, ha formulato la migliore dottrina, secondo cui “le modifiche alla nuova disciplina del contratto a tempo determinato (…) potranno essere realizzate soltanto attraverso i contratti collettivi di prossimità (aziendali o territoriali) previsti dall'art. 8, DL 138/2011 conv. in L. 148/2011, che consente di derogare alla disciplina (anche quella oggi vigente) delle assunzioni a termine. Il decreto dignità, quindi, finirà per rilanciare (come già sta accadendo) i contratti collettivi di prossimità che, però, dovranno essere stipulati nel rispetto delle specifiche finalità che essi devono perseguire (indicate nel comma 1 dell'art. 8), nonché nei limiti delle direttive comunitarie, in particolare quella 1999/70 in materia di contratti a termine” (A. Maresca, Il Sole 24 Ore 24.8.2018; in termini, v. anche M. Menegotto, “Tra i vecchi arnesi l'art. 8. Una possibile via per superare le criticità del decreto dignità”, in @bollettino ADAPT, 3.9.2018, n. 29).

Le condizioni di legittimo ricorso al contratto di prossimità

1. Obiettivo di scopo

Il ricorso al contratto di prossimità presuppone, anzitutto, una solida finalità che possa giustificarne l'utilizzo, da ricercare tra quelle ipotesi tassative declinate all'art. 8, c. 1, DL 138/2011 conv. in L. 148/2011:

- maggiore occupazione;

- qualità dei contratti di lavoro;

- forme di partecipazione dei lavoratori;

- emersione del lavoro irregolare;

- incrementi di competitività e di salario;

- gestione delle crisi aziendali e occupazionali;

(vii) investimenti e avvio di nuove attività.

Siamo davanti ad uno spettro ampio di legittime finalità, che spaziano da obiettivi prettamente difensivi, come la riduzione del lavoro irregolare e il contrasto alla disoccupazione, ad obiettivi che mirano allo sviluppo ed alla crescita dell'impresa, come i contratti di prossimità diretti ad accompagnare gli investimenti e quelli che portano con sé l'incremento della forza lavoro impiegata in azienda.

Il ricorso a clausole generali per la individuazione delle finalità che legittimano il ricorso al contratto di prossimità, se da un lato consente un utilizzo flessibile degli obiettivi di scopo, posto che nelle varie definizioni proposte dall'art. 8, c. 1, DL 138/2011 conv. in L. 148/2011, possono rientrare un ampio spettro di casi concreti, d'altro lato può esporre l'impresa a maggiori rischi sul piano della loro tenuta legale. La “vaghezza della formulazione legislativa” (A. Perulli, “La contrattazione collettiva di <<prossimità>>: teoria, comparazione e prassi”, in RIDL, 2013, 4) impone alle parti collettive contraenti dell'accordo di prossimità di specificare, in maggior dettaglio, gli obiettivi concreti che si intendono perseguire.

Restando all'esempio dell'accordo di prossimità in deroga alle nuove regole sulle condizioni legittimanti il contratto a termine, si può ritenere coerente con l'impianto dell'art. 8 una finalità di “maggiore occupazione”, che si realizza, ad esempio, nel caso in cui sia concordato che, a fronte di un utilizzo libero (ovvero: senza causali) dei lavoratori a tempo per 24 mesi, l'impresa si impegni alla stabilizzazione di una quota percentuale di essi, anno dopo anno, non inferiore al 10%.

Sulla stessa falsariga, potrebbe apparire coerente con l'obiettivo della “qualità dei contratti di lavoro” o anche della “emersione del lavoro irregolare” un accordo di prossimità nel quale si preveda, a fronte della disponibilità dell'impresa a far transitare un gruppo di collaboratori coordinati e continuativi verso l'area della subordinazione, un periodo intermedio di passaggio, nel quale ai futuri dipendenti sia attribuito un livello di inquadramento iniziale più basso rispetto al contenuto delle mansioni ad essi affidate. Una interessante casistica in materia, che include possibili accordi di prossimità su varie fattispecie contrattuali disciplinate dal D.Lgs. 81/2015 - dal part-time, al contratto a chiamata, alla somministrazione, ai sistemi di controllo a distanza, allo jus variandi in tema di mansioni - può leggersi nel bel volume di Maurizio Sacconi, in collaborazione con Martina Marmo, che offre “una ricognizione sistematica degli spazi regolativi riconosciuti dalle norme di legge alla contrattazione di prossimità, territoriale e aziendale, su un'ampia gamma di istituti riguardanti il rapporto di lavoro” (“Teoria e pratica delle relazioni adattative di prossimità”, cit.).

2. Tassatività delle materie derogabili

Gli accordi di prossimità non sono ammessi in ogni ambito del diritto del lavoro, ma in un terreno, seppur ampio, definito e circoscritto. L'art. 8, c. 2, precisa, a questo riguardo, che le intese di prossimità possono incidere sulle seguenti materie “inerenti l'organizzazione del lavoro e della produzione:

- impianti audiovisivi e nuove tecnologie;

- mansioni, classificazione e inquadramento del personale;

- contratti a termine, part-time, somministrazione e solidarietà negli appalti;

- orario di lavoro;

- modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, collaborazioni coordinate e continuative, partite IVA, trasformazione e conversione dei contratti di lavoro, recesso dal rapporto di lavoro. Quest'ultima materia incontra, tuttavia, eccezioni sostanziali con riguardo al licenziamento discriminatorio, al licenziamento della lavoratrice in concomitanza di matrimonio e nel periodo compreso tra l'inizio della gravidanza e il primo anno di vita del bambino, al licenziamento a seguito di domanda o fruizione del congedo parentale e per malattia del bambino, nonché al licenziamento in caso di adozione o affidamento.

La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi rispetto a paventati dubbi di costituzionalità dell'art. 8, ha chiaramente indicato che l'elenco delle materie sulle quali possono essere sottoscritti accordi di prossimità in deroga alle disposizioni di legge e alle regolamentazioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro è tassativa. La Consulta ha anche precisato che la norma ha carattere eccezionale e non può essere applicata, quindi, al di là dei (soli) casi ivi espressamente contemplati (C. Cost. 4 ottobre 2012 n. 221).

Pur tuttavia, è stato segnalato come la formulazione dell'art. 8, c. 2, non sia scevra da elementi di indeterminatezza e onnicomprensività, che rendono in taluni passaggi incerti i confini al cui interno sia legittimamente abilitata ad operare la contrattazione di prossimità (A. Russo, “I poteri di deroga della contrattazione di prossimità. Un inventario critico”, Quaderni Fondazione Marco Biagi, 2.IV, 9). Il riferimento “alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro”, ad esempio, spicca per la sua indeterminatezza applicativa, posto che non consente di apprezzare quali istituti e ambiti della gestione del rapporto di lavoro esso esattamente ricomprenda.

Il faro della pronuncia costituzionale deve far propendere per una lettura che escluda la derogabilità attraverso il contratto di prossimità di istituti del diritto del lavoro che non siano esattamente individuati nel loro contenuto essenziale.

Alla tassatività delle materie sulle quali può intervenire la contrattazione collettiva di prossimità, si affianca la regola, dettata dall'art. 8, c. 2- bis, per cui la disciplina in deroga incontra precisi limiti nella normativa comunitaria e nelle convenzioni internazionali sul lavoro, nonchè nei principi costituzionali. Ne deriva che, anche con riferimento alle (sole) materie sulle quali può incidere un accordo di prossimità, il potere dispositivo delle parti si deve muovere nel solco della Costituzione e non può porsi in contrasto, tra l'altro, con le direttive comunitarie.

Come segnalato da autorevole dottrina, questa enunciazione può apparire scontata se riferita ai soggetti (il giudice del lavoro, in primis) che sono chiamati a decidere sulla legittimità dell'accordo di prossimità, ma appare utile richiamo, invece, “se indirizzato agli agenti contrattuali e cioè coloro che materialmente dovranno predisporre la regolamentazione in deroga” (A. Russo, cit.).

3. Criterio maggioritario di sottoscrizione

Legittimate alla sottoscrizione degli accordi collettivi di prossimità sono le associazioni sindacali "comparativamente più rappresentative" sul piano nazionale o territoriale, nonché le loro rappresentanze sindacali aziendali.

La regola impedisce di attribuire efficacia, ex art. 8, DL 138/2011 conv. in L. 148/2011, agli accordi di secondo livello che siano stati firmati da sigle sindacali che non siano comparativamente più rappresentative. Il tema è complesso e coinvolge tematiche sulle quali la giurisprudenza si è lungamente cimentata. In linea generale, si può affermare che, per misurare la rappresentatività delle associazioni sindacali, occorre fare riferimento alla consistenza numerica dell'associazione ed alla sua diffusione territoriale, alla sua equilibrata estensione nell'ambito di più categorie ed alla sottoscrizione dei contratti collettivi. Quest'ultima ipotesi, alla luce del noto intervento della Corte Costituzionale (C. Cost. 23 luglio 2013 n. 231), ricomprende le sigle sindacali che, quantunque non abbiano sottoscritto il contratto collettivo, hanno partecipato attivamente alle trattative.

Per la validità dell'accordo collettivo di prossimità è ulteriormente richiesto che esso sia sottoscritto “sulla base di un criterio maggioritario”, per la cui verifica il punto di riferimento è costituito dall'Accordo Interconfederale 28 giugno 2011, espressamente richiamato dall'art. 8, c.1, e dal successivo Accordo Interconfederale 10 gennaio 2014.

In estrema sintesi, l'accordo è esigibile:

(i) se approvato dalla maggioranza dei componenti della RSU;

(ii) se approvato da RSA che siano destinatarie della maggioranza delle deleghe per i contributi sindacali ed a condizione, in quest'ultimo caso, che una successiva consultazione tra i lavoratori (a cui abbia partecipato il 50% più uno degli aventi diritto al voto) si sia espressa favorevolmente (per ogni approfondimento, v. Testo Unico sulla Rappresentanza Confindustria – Cgil, Cisl e Uil, 10 gennaio 2014).

Gli approdi della giurisprudenza

In sporadiche occasioni, negli anni successivi all'entrata in vigore dell'art. 8, DL 138/2011 conv. in L. 148/2011, la giurisprudenza di merito si è espressa sulla validità di accordi collettivi di prossimità, stipulati per regolamentare istituti quali la revisione in diminuzione dei livelli retributivi e la rimodulazione degli orari di lavoro all'interno di imprese sottoposte a fasi di contrazione finanziaria o a percorsi di riorganizzazione aziendale.

Gli approdi sono stati di segno positivo, nel senso che è stata riconosciuta la validità del contratto di prossimità se esso risulti sottoscritto sulla base di un criterio maggioritario da sigle sindacali comparativamente più rappresentative, allo scopo di prevenire una riduzione dell'occupazione aziendale o di allargare il numero dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato.

Il giudice del lavoro di Roma (Trib. Roma 25.5.2017) ha ammesso la validità di un accordo collettivo di prossimità che, a fronte della riduzione del pacchetto retributivo riconosciuto ai dipendenti, aveva consentito di stabilizzare alcuni lavoratori a termine e di assumere persone che operavano con contratto di lavoro autonomo. I giudici di Grosseto e di Venezia (Trib. Grosseto 12 settembre 2017 n. 203; Trib. Venezia 24 luglio 2013 n. 583) hanno affermato la validità di accordi di prossimità nei quali è stata concordata la riduzione dell'orario di lavoro dei dipendenti full time allo scopo, tra l'altro, di evitare licenziamenti collettivi. In particolare, ha osservato il Tribunale di Grosseto (cit.) che “il Decreto Legge 13 agosto 2011, n. 138 (…) ha ampliato le possibilità di intervento della contrattazione collettiva territoriale di prossimità prevedendo la possibilità che le associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative possano stipulare specifiche intese volte a superare crisi aziendali e a sostegno, appunto, dell'occupazione (…) L'intesa con la quale le parti hanno concordato una riduzione dell'orario di lavoro pari al 12,5% per i lavoratori operanti nell'area di Grosseto in quanto sottoscritta dalla cooperativa convenuta e dalle organizzazioni sindacali, poi ratificata dall'assemblea dei lavoratori, è dunque pienamente legittima ed efficace. Per l'effetto, nessuna illegittima riduzione di orario di lavoro può dirsi realizzata in danno della ricorrente”.

Gli interventi della giurisprudenza sono destinati, con ogni probabilità, a riproporsi nel prossimo futuro, in relazione ai non pochi accordi collettivi che le parti sociali hanno concluso dopo l'entrata in vigore delle nuove regole sui contratti di lavoro temporaneo.

Casi pratici

Una breve carrellata sulle intese collettive di prossimità sottoscritte negli ultimi anni sulla spinta dell'art. 8, DL 138/2011 conv. in L. 148/2011 può aiutare a comprendere le potenzialità che questo strumento è in grado di esprimere a presidio delle esigenze di sviluppo delle imprese e di incremento della buona occupazione.

Tra i primi accordi di prossimità, si registra l'intesa di una società del settore moda, che si avvaleva dell'apporto di circa 1.200 collaboratori con contratto di associazione in partecipazione con la formula dell'apporto di solo lavoro. A seguito della riforma dell'istituto (art. 1, c. 28 a 31, L. 92/2012), che limitava a tre il numero degli associati in partecipazione in relazione alla medesima attività aziendale, si era reso necessario individuare una formula contrattuale differente che consentisse di salvaguardare il business aziendale e i rapporti di lavoro. Il contratto di prossimità ha così previsto di posticipare di 12 mesi gli effetti delle nuove norme, con l'impegno della società all'assunzione a tempo indeterminato degli allora associati decorso tale intervallo.

Altra intesa di prossimità si è avuta con società di gestione delle sale Bingo, che in conseguenza della crisi del settore avevano deciso di investire sulla diversificazione dell'offerta delle attività di gioco nelle sale (“Gaming Hall”). L'accordo di prossimità è intervenuto per regolamentare il contenuto delle mansioni da redistribuire tra il personale in forza, tra l'altro, dei nuovi servizi e sul livello economico di inquadramento da assegnare agli operatori. È stato anche previsto un percorso di mobilità incentivata per i lavoratori che non erano interessati a proseguire il rapporto.

Un più recente gruppo di intese si è concentrato sulle deroghe alle nuove condizioni poste dal Decreto Di Maio per il ricorso ai contratti a termine ed alla somministrazione a termine. Merita segnalare, tra gli altri, l'accordo di prossimità realizzato da un Ente lirico sinfonico, nel quale, allo scopo di consentire all'impresa di procedere ad una meditata riorganizzazione interna della propria struttura, è stato previsto di posticipare all'1.1.2020 gli effetti della nuova disciplina di legge.

In altri accordi di prossimità, tra cui alcuni sottoscritti da un player mondiale del settore automotive operante in Italia attraverso svariati stabilimenti produttivi, è stato previsto di allungare a 24 mesi il periodo del ricorso libero al termine di durata, inserendo l'obbligo delle causali per un successivo periodo di ulteriori 12 mesi. In tali accordi, l'impresa si è impegnata alla stabilizzazione progressiva di una percentuale dei lavoratori impiegati o utilizzati con contratto di lavoro temporaneo.

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