Gli effetti dell'annullamento dell'atto del procedimento esecutivo rispetto agli atti da quello dipendenti

11 Luglio 2019

Si applica alla materia delle opposizioni esecutive (all'esecuzione o agli atti) il disposto dell'art. 159 c.p.c. che prevede che la nullità di un atto si estenda a quelli precedenti o successivi che ne siano dipendenti?

Si applica alla materia delle opposizioni esecutive (all'esecuzione o agli atti) il disposto dell'art. 159 c.p.c. che prevede che la nullità di un atto si estenda a quelli precedenti o successivi che ne siano dipendenti?

Il problema è collegato alla natura delle opposizioni esecutive e riguarda il caso in cui ulteriori atti vengano posti in essere, o siano già stati posti in essere, nonostante la nullità, anche rilevabile d'ufficio, di un atto a quelli logicamente e funzionalmente collegato.

Ci si è chiesti, infatti, se il vizio si riverserebbe anche su di essi, come prevede l'art. 159 c.p.c. a mente del quale: «La nullità di un atto non importa quella degli atti precedenti, né di quelli successivi, che ne sono indipendenti»; dovendosi quindi concludere che la nullità, al contrario, si estende a quegli atti che né siano dipendenti.

La giurisprudenza non si è sempre espressa con uniformità di vedute.

Infatti, secondo un primo orientamento, la nullità del singolo atto non si propagherebbe a quelli successivi anche nel caso di nullità insanabile e rilevabile d'ufficio dal giudice.

Questo comporterebbe la necessità e quindi l'onere del legittimato attivo all'impugnazione di impugnare ogni singolo atto viziato: «L'opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) si risolve in una contestazione relativa a singoli atti che la legge considera indipendenti, alla quale, pertanto, è estranea la regola della propagazione delle nullità processuali indicata dall'art. 159 c.p.c. Tale principio vale anche per le cosiddette nullità insanabili – quali quelle attinenti al difetto dello ius postulandi o al difetto della rappresentanza o della capacità di agire – che debbono anch'esse esser fatte valere nel termine fissato dalla norma sopra indicata, atteso che la finalità del processo esecutivo di giungere ad una sollecita chiusura della fase espropriativa non tollera che il processo possa trovarsi in una situazione di perenne incertezza» (Cass. civ., sez. III, 1 marzo 1994, n. 2024).

Questa interpretazione sembra ricollegarsi alla funzione propria del processo esecutivo il cui oggetto non è il merito del diritto posto alla base dell'esecuzione, la cui sede propria è, al contrario, l'antecedete giudizio di cognizione. Il vizio di un singolo atto della fase esecutiva, infatti, non potrà mai andare ad inficiare la validità del titolo esecutivo formato nella fase di merito in base al quale il creditore è legittimato a procedere esecutivamente.

Tuttavia, secondo un diverso orientamento, la nullità, almeno quella insanabile e rilevabile d'ufficio dal giudice, si propagherebbe agli atti successivi viziandoli a loro volta: «Salvo che si tratti di vizi insanabili, incidenti, per il principio della nullità riflessa, sulla validità degli atti successivi, in tema di esecuzione forzata, intervenuta la vendita dei beni pignorati, ogni opposizione agli atti esecutivi ad essa antecedenti, per la quale sia già decorso il termine perentorio di cui all'art. 617 comma 2 c.p.c., rimane preclusa; l'opposizione medesima è ammissibile entro cinque giorni dalla vendita, solo per far valere gli eventuali vizi attinenti al procedimento di vendita non potuti rilevare in precedenza» (Cass. civ., sez. III, 17 settembre 1980, n. 5283).

Discorso analogo va fatto per l'atto inesistente (concetto elaborato a livello giurisprudenziale e conosciuto anche nell'ambito del processo esecutivo). Pure in questo caso l'inesistenza produrrà i propri effetti anche sugli atti successivi e conseguenti a quello inesistente, i quali potranno essere, quindi, impugnati nel termine perentorio previsto dall'art. 617 c.p.c.: «L'inesistenza di un atto del processo di esecuzione si riverbera sull'atto successivo, che risulta radicalmente nullo, ma la nullità può essere fatta valere soltanto con l'opposizione di cui all'art. 617, nel termine di cinque giorni, che, nell'ipotesi di mancata comunicazione o notificazione dell'atto nullo decorre dal giorno della comunicazione o notificazione dell'atto successivo che necessariamente lo presuppone» (Cass. civ., sez. III, 24 luglio 1993, n. 8293).

Questa posizione (espressa dalla giurisprudenza in epoca antecedente all'estensione del termine per l'opposizione agli atti esecutivi), che potremmo definire di compromesso, afferma l'applicabilità dell'art. 159 c.p.c., anche se in ambito circoscritto alla funzionalità propria del processo esecutivo.

Pertanto, date le discordanti posizioni giurisprudenziali, sarà buona norma, per un prudente approccio professionale e di tutela della parte patrocinata, procedere all'impugnazione anche degli atti conseguenti, sia in presenza di una pronuncia sull'atto presupposto che ne abbia dichiarato la nullità, sia in presenza, ed a maggior ragione, del giudizio su di un atto presupposto di cui ancora non si conosca l'esito.

Si potrà, al più, richiedere la riunione dei procedimento se le opposizioni abbiano elementi di connessione ma sarà opportuno procedere all'opposizione per ogni singolo atto che si ritenga viziato.

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