Senza l’istanza di accelerazione, l’indennizzo ex legge Pinto non spetta: norma incostituzionale

17 Luglio 2019

L'istanza di accelerazione non ha efficacia effettivamente acceleratoria del processo penale: questo, pur a fronte di una siffatta istanza, può comunque proseguire e protrarsi oltre il termine di sua ragionevole durata, senza che la violazione di detto termine possa addebitarsi ad esclusiva responsabilità del ricorrente.

Il caso. Con quattro ordinanze di contenuto sostanzialmente identico, la Corte di Cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2–quinquies, lett. e), l. n. 89/2001 (cd. “legge Pinto”), nel testo (vigente ratione temporis) introdotto dall'art. 55, comma 1, lett. a), n. 2, d.l. n. 83/2012, convertito, con modificazioni, l. n. 134/2012, nella parte in cui, relativamente ai giudizi penali nei quali il termine di durata ragionevole sia superato in epoca successiva alla sua entrata in vigore, subordina, per la loro intera durata, la proponibilità della correlativa domanda di equa riparazione alla presentazione dell'istanza di accelerazione.

I dubbi del rimettente. Dal momento che l'istanza di accelerazione non è di per sé idonea ad assicurare una sollecita definizione del processo, secondo la Corte rimettente, l'effetto ostativo alla concessione dell'indennizzo attribuito all'omessa presentazione di tale istanza comporterebbe che all'interessato non sia consentito né di impedire che si verifichi (o protragga) la violazione del termine di ragionevole durata del processo, né di ottenere riparazione per la subita violazione di quel termine. Ne deriverebbe, quindi, una violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, 13 e 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).

La domanda di indennizzo può essere improponibile solo se l'accelerazione è “effettiva”. La Consulta ha recentemente dichiarato l'illegittimità costituzionale di una norma analoga a quella censurata – l'art. 54, comma 2, d.l. n. 112/2008, convertito, con modificazioni, in l. n. 133/2008 – che, con riferimento al processo amministrativo, a sua volta prevedeva che la mancata presentazione della “istanza di prelievo” costituisse motivo di improponibilità della domanda di indennizzo ex “legge Pinto” (Corte cost., n. 34/2019).

In quel caso, il giudice delle leggi ha osservato che, per costante giurisprudenza della Corte EDU (cfr. sentenze 2 giugno 2009, Daddi contro Italia e 22 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia), i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma solo se “effettivi” e, cioè, solo se e nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente. Alternativamente alla durata ragionevole del processo, il rimedio interno deve comunque garantire l'adeguata riparazione della violazione del precetto convenzionale.

L'istanza di prelievo non costituisce un adempimento necessario, ma una mera facoltà del ricorrente, con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può, comunque, intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia né con l'obiettivo del contenimento della durata del processo né con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata (così Corte cost., n. 34/2019).

La mancata presentazione dell'istanza di accelerazione può incidere sul quantum, ma non sull'an dell'indennizzo. Le stesse considerazioni svolte dalla Consulta con riferimento all'istanza di prelievo del processo amministrativo, vengono ora richiamate per l'istanza di accelerazione del processo penale. Tale istanza, infatti, non diversamente dall'istanza di prelievo, non costituisce un adempimento necessario, ma una mera facoltà dell'imputato e non ha – ciò che è comunque di per sé decisivo − efficacia effettivamente acceleratoria del processo. Atteso che questo, pur a fronte di una siffatta istanza, può comunque proseguire e protrarsi oltre il termine di sua ragionevole durata, senza che la violazione di detto termine possa addebitarsi ad esclusiva responsabilità del ricorrente.

La mancata presentazione dell'istanza di accelerazione, eventualmente, può assumere rilievo (come indice di sopravvenuta carenza o non serietà dell'interesse al processo del richiedente) ai fini della determinazione del quantum dell'indennizzo ex legge n. 89/2001, ma non può condizionare la stessa proponibilità della correlativa domanda, senza con ciò venire in contrasto con l'esigenza del giusto processo, per il profilo della sua ragionevole durata, e con il diritto ad un ricorso effettivo, garantiti dalla CEDU, la cui violazione comporta, per interposizione, quella dell'art. 117, comma 1, Cost.

La Consulta dichiara, quindi, l'illegittimità costituzionale della norma censurata.

*Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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