Effetti esdebitatori del concordato preventivo e dichiarazione di fallimento omisso medio

Niccolò Nisivoccia
Andrea Colnaghi
18 Luglio 2019

Gli effetti esdebitatori del concordato preventivo omologato non si producono nel caso in cui il fallimento venga dichiarato omisso medio durante la pendenza dei termini previsti per l'azione di risoluzione del concordato ex art. 186 l. fall., poiché in tal caso il programma negoziale insito nel piano viene meno perché ineseguibile, con la conseguenza che la falcidia dei crediti non si giustifica più.
Massima

Gli effetti esdebitatori del concordato preventivo omologato non si producono nel caso in cui il fallimento venga dichiarato omisso medio durante la pendenza dei termini previsti per l'azione di risoluzione del concordato ex art. 186 l. fall., poiché in tal caso il programma negoziale insito nel piano viene meno perché ineseguibile, con la conseguenza che la falcidia dei crediti non si giustifica più.

Il caso

Il concordato preventivo della Società Alfa prevede un piano di natura liquidatoria con durata quinquennale. Tuttavia, passati poco più di due anni dal decreto di omologa, il Tribunale, investito dal Pubblico Ministero, dichiara il fallimento di Alfa sul presupposto della “strutturale e irreversibile incapacità della società di far fronte ai debiti sociali come riconfigurati nel concordato”.

Dunque, se (come in questo caso) il fallimento viene dichiarato quando è ancora pendente il termine per promuovere l'azione di risoluzione (vale a dire: un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto dal concordato), i creditori concordatari hanno diritto di insinuare al passivo del fallimento della società Alfa i propri crediti nella loro originaria estensione? Oppure, devono insinuarli nella minor misura derivante dall'applicazione della falcidia concordataria?

La Corte di Cassazione sostiene la prima delle soluzioni, affermando che i creditori concordatari hanno il diritto di insinuare al passivo l'originario credito vantato nei confronti della fallita.

Questioni giuridiche

L'oggetto della sentenza in commento sfiora, senza tuttavia affrontare, la questione – molto dibattuta –, dell'ammissibilità della dichiarazione di fallimento c.d. “omisso medio, e cioè: la possibilità che, durante la pendenza dei termini previsti per l'adempimento del piano concordatario, possa essere dichiarato il fallimento della società, senza prima revocare e/o annullare la procedura pendente.

Anzi, la questione affrontata dalla Corte assume proprio come dato di partenza (poiché “non contestato dalle parti”) la possibilità di una dichiarazione di fallimento omisso medio, statuendo che tale sentenza “apre un procedimento di accertamento dei crediti che i creditori, ai fini dell'ammissione al passivo (l. fall. art. 93), devono indicare nella loro consistenza originaria”. In altri termini: la dichiarazione di fallimento, secondo la Corte,rende irrealizzabile il piano concordatario con la conseguenza che, a quel punto, “la falcidia dei crediti non si giustifica più”.

Tre sembrano essere le argomentazioni a sostegno della conclusione a cui perviene il Collegio.

La prima: o si ritiene che la sentenza di fallimento determini la caducazione degli accordi suggellati nel concordato, oppure bisogna riconoscere ai creditori la possibilità di attivarsi, anche successivamente al fallimento, per ottenere la risoluzione del concordato. Ma, secondo la Corte, l'unica soluzione giuridicamente possibile è la prima. Un'eventuale domanda di risoluzione successiva al fallimento sarebbe, infatti, semplicemente inammissibile, sia per la carenza di interesse da parte dei creditori a proporla, posto che proprio l'incapacità della società di far fronte alle obbligazioni concordatarie è ciò che è stato accertato dal Tribunale, sia per l'assenza di un soggetto legittimato passivo nei confronti del quale proporla.

La seconda: la dichiarazione di fallimento costituisce un evento “traumatico e destabilizzante” che rende irrealizzabile il concordato, al pari di quanto accade nell'ipotesi della sua risoluzione. È evidente allora che, nel caso in cui il fallimento venga dichiarato quando i creditori non hanno ancora consumato il diritto di provocare la risoluzione del concordato, al fallimento devono conseguire anche quegli effetti che si sarebbero prodotti a seguito della pronuncia di risoluzione, e cioè: il venir meno degli effetti esdebitatori.

La terza: se è vero che il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori con titolo anteriore alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso per l'ammissione alla procedura concordataria (art. 184 l. Fall.), è altrettanto vero che i creditori conservano, per un certo tempo e a certe condizioni, il diritto di sciogliersi da quel vincolo (art. 186 l. fall.). Dunque, gli effetti del concordato (compresi quelli esdebitatori) iniziano a prodursi fin dal decreto di omologa, ma si consolidano e divengono definitivi solo quando i creditori siano decaduti dal diritto di ottenere la risoluzione del concordato, vale a dire: decorso un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento. Cosi che, qualora prima dello spirare di questo termine dovesse intervenire un evento (il fallimento) che comporti la caducazione del piano, i creditori non sono più tenuti a sopportare il peso della falcidia concordataria.

Osservazioni

La prassi offre sempre più numerosi esempi di concordati preventivi rimasti solo sulla carta, a causa dell'incapacità del debitore di rispettare gli impegni assunti nei confronti dei creditori.

Tuttavia, l'unica soluzione che legge espressamente prevede a fronte dell'inadempimento delle obbligazioni concordatarie (la risoluzione della procedura) si è rivelata spesso inadeguata: i creditori (che sono gli unici soggetti legittimati a chiedere la risoluzione del concordato) scelgono di rimanere inerti perché sanno (o perché vengono a sapere) che instare per la risoluzione significherebbe sopportare dei costi, senza garanzia alcuna di veder i propri crediti altrimenti soddisfatti.

Ciò comporta che molti concordati inadempiuti restino semplicemente tali perché i creditori lasciano inutilmente decorrere il termine previsto per l'esperimento dell'azione di risoluzione.

Al fine di scongiurare questa situazione di incertezza, una parte della giurisprudenza ha accolto una soluzione alternativa alla risoluzione e che da essa prescinde (e che anzi, in certi casi, finisce per inglobarla): la dichiarazione di fallimento omisso medio.

Questa soluzione è stata fortemente criticata dalla maggioranza della dottrina; e molto probabilmente altrettante saranno le critiche rivolte alle conseguenze (prima fra tutte il venir meno degli effetti esdebitatori) che la Corte, con la sentenza in commento, ha inteso ricondurre alla dichiarazione di fallimento omisso medio.

Entrambi gli orientamenti hanno dalla loro parte argomenti condivisibili ed entrambi prestano il fianco a possibili critiche, così che una soluzione univoca diviene difficile da individuare.

Tuttavia, è sempre più imminente l'entrata in vigore del nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza e, dunque, bisogna chiedersi se il Legislatore abbia approfittato dell'occasione per prendere posizione sulla questione.

E in effetti una presa di posizione, anche se sottotraccia, la si può individuare nell'art. 119 del nuovo Codice, il quale dispone al primo comma che “Ciascuno dei creditori e il commissario giudiziale, ove richiesto da un creditore, possono richiedere la risoluzione del concordato per inadempimento”.

Come si vede, la scelta del Legislatore è stata quella, innanzitutto, di conservare la risoluzione del concordato quale unico rimedio a fronte dell'inadempimento delle obbligazioni con esso assunte (con ciò recependo l'opinione espressa dalla dottrina maggioritaria); dall'altro lato, tuttavia sembra essersi accorto di problematiche applicative derivanti dall'assegnare ai soli creditori il potere di provocare lo scioglimento del vincolo concordatario e ha inteso superare tali difficoltà assegnando al commissario giudiziale il potere di chiedere, in via sostitutiva (quando ciò gli venga richiesto dai creditori), la risoluzione del concordato per inadempimento.

Ma la questione potrà dirsi definitivamente chiusa, e di fallimenti omisso medio non si sentirà più parlare, se e solo seil potere sostitutivo del commissario giudiziale riuscirà davvero – come si legge nella Relazione Illustrativa – “ad evitare che vi siano procedure concordatarie che si prolungano per anni ineseguite”.

Guida all'approfondimento

S. Ambrosini, Il concordato preventivo, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali. Le altre procedure concorsuali, diretto da F. Vassalli – F.P. Luiso – E. Gabrielli, Torino 2014; Codice commentato del fallimento, diretto da G. Lo Cascio, Milano, 2017; G.P. Macagno, Effetti esdebitatori del concordato preventivo in pendenza del termine di risoluzione e sopravvenuta dichiarazione di fallimento, in Fallimento, n. 3/2019; D. Galletti, Fallimento del debitore concordatario in assenza o nell'impossibilità di pronunziare la risoluzione di concordato, in questa rivista, 29 luglio 2015; F. Lamanna, Fallimento dell'impresa in concordato senza previa risoluzione: un problema ancora aperto, in questa rivista, 5 maggio 2017.

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