Appello contro la sentenza di equità del giudice di pace e frazionamento della domanda
22 Luglio 2019
Massima
L'eccezione di inammissibilità dell'appello avverso una sentenza di equità del giudice di pace, per la mancata denuncia di uno dei motivi dell'art. 339 c.p.c. è rilevabile anche d'ufficio in sede di legittimità. Si può impugnare ai sensi dell'art. 339, ultimo comma c.p.c. la sentenza del giudice di pace resa secondo equità che abbia realizzato la parcellizzazione della domanda diretta alla soddisfazione di pretese creditorie con lo stesso petitum e causa petendi. Infatti, tale pronuncia si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede sia con il principio costituzionale del giusto processo e si traduce in un abuso degli strumenti processuali offerti alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale. Il caso
All'esame della Corte di cassazione viene sottoposta una sentenza del Tribunale di Napoli; quest'ultima riforma una sentenza del giudice di pace locale resa secondo equità. In particolare, il tribunale, richiamandosi ai principi generali in materia di frazionamento del credito espressi dalla Corte di cassazione, nega che si possa procedere all'accoglimento di distinte domande aventi ad oggetto pretese creditorie con il medesimo petitum e la medesima causa petendi, riconducibili al medesimo rapporto giuridico sostanziale. La conclusione del tribunale è che tali pretese siano indivisibili, anche per rispondere all'esigenza di evitare giudicati tra di loro confliggenti; né le domande separate proposte sarebbero state giustificate da un interesse meritevole di una tutela processuale frazionata. La Cassazione si trova sulle stesse posizioni espresse nella sentenza del Tribunale di Napoli e conseguentemente rigetta il ricorso. La questione
Le questioni sottoposte al giudice di legittimità riguardano, in primo luogo, la proponibilità dell'appello avverso la sentenza del giudice di pace ai sensi dell'art. 339, ultimo comma c.p.c., per la denuncia di un illegittimo frazionamento di un credito attraverso più domande. In secondo luogo, si ribadiscono principi consolidati nella giurisprudenza di Cassazione sui casi eccezionali, in cui è legittimo il frazionamento di un credito. Le soluzioni giuridiche
Intorno alla prima questione, la Corte evidenzia come l'impugnabilità di una sentenza ai sensi dell'art. 339, ultimo comma c.p.c. sia una questione rilevabile d'ufficio, anche in sede di legittimità. La posizione della Corte è senz'altro condivisibile. Il d.lgs. n. 40/2006 ha modificato l'art. 339 introducendo la possibilità di appellare le sentenze del giudice di pace rese secondo equità, ma solo se si denunciato vizi specifici. L'appello contro questo tipo di sentenze è una classica impugnazione a critica vincolata. In tal modo il legislatore ha trovato il giusto compromesso tra la peculiarità di tale giudizio, che affida alla discrezionalità equitativa del giudice di pace la decisione di cause di modesto valore, e l'esigenza di consentire l'accesso all'appello in casi in cui tale pronuncia violi norme imprescindibili (norme sul procedimento, norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia). I limiti dell'appello sono regole d'ordine procedimentali, come tali, tutelate mediante la rilevabilità d'ufficio in ogni grado, anche nel giudizio di legittimità. Sulla seconda questione ci sono una serie di punti che vengono messi in evidenza dalla Suprema Corte. L'indebito frazionamento di un'unica pretesa creditoria confligge, senza ombra di dubbio, con i principi del giusto processo, oltre ad essere contrario al dovere di lealtà (art. 88 c.p.c.). In primo luogo, il porzionamento di un credito si scontra con il principio di ragionevole durata del processo di cui all'art. 111, comma 2, Cost. Se si guarda alla vicenda processuale complessivamente considerata non vi dubbio che il frazionamento della pretesa creditoria ne rallenti la definizione definitiva. Gli inconvenienti più evidenti sono: la duplicazione di attività istruttoria e la conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale; il rischio di avere giudicati tra di loro contraddittori. Solo nel caso in cui ci sia un interesse del creditore oggettivamente valutabile dal giudice alla tutela frazionata, domande parziali sono ammissibili (Cass. civ., Sez.Un.,16 febbraio 2017, n. 4090). Tale interesse non può essere solo quello del minor costo della causa, perché ad esempio la competenza è quella del giudice di pace piuttosto che quella del tribunale (in questo senso si veda giurisprudenza più risalente: Cass. civ., Sez.Un., 10 aprile 2000, n. 108). Le Sezioni Unite (Cass. civ., Sez.Un.,16 febbraio 2017, n. 4090) hanno esteso questi principi anche alle domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, oltre a far capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo. La mancanza di un oggettivo interesse alla tutela frazionata, confliggendo con principi di rango costituzionale, è rilevabile d'ufficio dal giudice; tuttavia, quest'ultimo nel rispetto del principio del contraddittorio deve dare alle parti un termine per replicare al suo rilievo. Queste attività dovrebbero essere compiute nella prima udienza di trattazione, per evitare un'eccessiva durata della fase di istruzione della causa. Osservazioni
In conclusione, è al giudice di merito che deve essere lasciata la valutazione circa la sussistenza o meno di un interesse al frazionamento oggettivamente meritevole di tutela. La parte che decide di frazionare il suo credito corre il rischio della valutazione negativa del giudice. In virtù del principio della domanda, infatti, il giudice non potrebbe integrare la richiesta attorea, litata ad una parte dell'importo di diritto; perciò, se egli non riscontrasse un giusto interesse al frazionamento e non fosse competente per l'intero importo del credito, due sole opzioni rimarrebbero all'attore: rinunciare al resto del credito, e veder accertato il diritto con un importo inferiore; integrare la domanda entro la prima udienza e accettare un'ordinanza con la quale il giudice si dichiari incompetente, con conseguente condanna alle spese. Di seguito all'attore spetta anche l'onere della riassunzione davanti al giudice competente ai sensi dell'art. 50 c.p.c. Se il giudice è competente per l'intero importo, invece, dopo il rilievo del giudice, all'attore non resta che modificare la sua domanda, integrandola con la richiesta per l'intero importo. In caso di proposizione di più domande davanti a giudici diversi per frazioni di credito, si possono applicare le regole della continenza di cause, perché coincidono causa petendi e parzialmente anche il petitum, piuttosto che quelle proprie della connessione di cause. Perciò, se il giudice preventivamente adito è competente anche per la causa proposta successivamente, il giudice di questa dichiara con ordinanza la continenza e fissa un termine entro il quale le parti debbono riassumere la causa davanti al primo giudice. Se il primo giudice non è competente anche per la causa successivamente proposta, la dichiarazione della continenza e la fissazione del termine sono da lui pronunciate (art. 39, comma 2 c.p.c.). Se le cause continenti pendono davanti allo stesso giudice o davanti a giudici diversi dello stesso tribunale si applica l'art. 273 c.p.c. Perciò, nel primo caso il giudice stesso ne ordina la riunione; nel secondo caso è il presidente del tribunale a determinare il giudice o la seziona davanti al quale il procedimento deve proseguire.
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