Licenziamento nullo: in base alla normativa ratione temporis vigente, si applica la disciplina contenuta nel codice civile
25 Luglio 2019
Massima. In base alla normativa ratione temporis vigente, nell'ambito di rapporti di lavoro ai quali non si applica l'art. 18, l. n. 300/1970, gli effetti del licenziamento dichiarato nullo perché intimato in mancanza del superamento del periodo di comporto, sono disciplinati, in assenza di espressa regolamentazione, dalle norme contenute nel codice civile.
La vicenda. Il Tribunale di Catania dichiarava illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto disposto da una società nei confronti di una dipendente, condannando la prima alla reintegrazione della seconda nel posto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento all'effettiva reintegra.
Avverso tale pronuncia, la lavoratrice propone ricorso per cassazione, contestando, tra i diversi motivi, la statuizione del Giudice che ha riconosciuto, in relazione agli effetti conseguenti al licenziamento intimato in mancanza del superamento del periodo di comporto, la tutela rientrante nell'art. 8 l. n. 604/1966, per via della mancanza del requisito dimensionale ai fini dell'applicazione dell'art. 18 l. n. 300/1970. La ricorrente lamenta l'erroneità della decisione in considerazione del fatto che il licenziamento viola l'art. 2110 c.c. e, in quanto nullo, rende il recesso come mai intervenuto, determinando la continuità del rapporto di lavoro a prescindere dalle dimensioni aziendali.
Gli effetti del licenziamento dichiarato nullo. La Suprema Corte dichiara fondato il motivo lamentato dal ricorrente, richiamando la sentenza n. 12568/2018 con cui le Sezioni Unite affermano che «il licenziamento per superamento del periodo di comporto costituisce una fattispecie autonoma di recesso, vale a dire una situazione di per sé idonea a consentirlo, diversa da quelle riconducibili ai concetti di giusta causa o giustificato motivo di cui all'art. 2119 c.c. ed agli artt. 1 e 3 della l. n. 604/1966».
In tal caso, la Corte territoriale ha ritenuto di applicare la disciplina oggetto dell'art. 8 l. n. 604/1966, decisione non condivisa dagli Ermellini, i quali sostengono che equiparare il licenziamento nullo con quello legittimo, ai fini dell'applicazione di un “parallelismo delle tutele”, non è coerente né con il sistema normativo nè con le scelte operate dal legislatore.
Nei casi come quello in oggetto, infatti, in mancanza di apposita regolamentazione, la Corte ritiene che debba trovare applicazione la disciplina generale contenuta nel codice civile per l'atto nullo, in forza del brocardo «quod nullum est nullum producit effectum».
Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione ad esso e rinvia gli atti alla Corte d'Appello, che dovrà procedere al riesame della fattispecie concreta in ossequio al seguente principio di diritto: «secondo la normativa ratione temporis vigente, nei rapporti di lavoro ai quali non si applica l'art. 18 l. n. 300/1970, gli effetti del licenziamento dichiarato nullo, ai sensi dell'art. 2110, comma 2, c.c., perché intimato in mancanza del superamento del periodo cd. di comporto, non sono regolati, in via di estensione analogica, dalla disciplina dettata dall'art. 8 della l. n. 604/1966, bensì, in assenza di una espressa regolamentazione, da quella generale del codice civile».
(Fonte: Diritto e Giustizia) |