Diritto all'assegnazione presso la sede più vicina al domicilio della persona da assistere

25 Luglio 2019

Il comma 5 del'art. 33, l. n. 104 del 1992, deve essere interpretato nel senso che il diritto del familiare lavoratore dell'handicappato di scegliere la sede più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso...

Il comma 5 del'art. 33, l. n. 104 del 1992, deve essere interpretato nel senso che il diritto del familiare lavoratore dell'handicappato di scegliere la sede più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso, non è assoluto o illimitato, ma presuppone, oltre gli altri requisiti esplicitamente previsti dalla legge, altresì la compatibilità con l'interesse dell'impresa, posto che secondo il legislatore - come è dimostrato anche dalla presenza dell'inciso "ove possibile" - il diritto alla effettiva tutela della persona disabile non può essere fatto valere quando il relativo esercizio venga a ledere in misura consistente le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro.

Ciò posto, va rimarcato che incombe sul datore di lavoro l'onere di dimostrare in modo specifico e puntuale quali siano le concrete ragioni che rendano impossibile l'assegnazione ad una sede più vicina.

Sul punto le Sezioni Unite hanno affermato che “Il diritto del genitore o del familiare lavoratore, che assiste con continuità un portatore di handicap, di scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il proprio consenso, disciplinato dal comma 5 del'art. 33, l. n. 104 del 1992, non si configura come assoluto ed illimitato, giacché esso - come dimostrato anche dalla presenza dell'inciso "ove possibile" - può essere fatto valere allorquando, alla stregua di un equo bilanciamento tra tutti gli implicati interessi costituzionalmente rilevanti, il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive od organizzative del datore di lavoro e per tradursi...in un danno per l'interesse della collettiva, gravando sulla parte datoriale, privata o pubblica, l'onere della prova di siffatte circostanze ostative all'esercizio dell'anzidetto diritto” (Cass., sez. un., 27 marzo 2008, n. 7945).

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