Il termine per la proposizione dell'istanza di assegnazione non ha natura perentoria

29 Luglio 2019

Nel corso di un'espropriazione forzata immobiliare il professionista delegato ha formulato istanza ex art. 591-ter c.p.c. al Giudice dell'esecuzione di Varese affinché chiarisse se il termine previsto dall'art. 588 c.p.c. per la formulazione dell'istanza di assegnazione da parte del creditore abbia o meno natura perentoria.
Massima

Al termine stabilito dall'art. 588 c.p.c. per il deposito dell'istanza di assegnazione non va attribuita natura perentoria, in quanto ogni potenziale offerente è consapevole di poter concorrere – in caso di deposito di un'offerta minima – con il creditore che ha proposto istanza di assegnazione.

Il caso

Nel corso di un'espropriazione forzata immobiliare il professionista delegato ha formulato istanza ex art. 591-ter c.p.c. al Giudice dell'esecuzione di Varese affinché chiarisse se il termine previsto dall'art. 588 c.p.c. per la formulazione dell'istanza di assegnazione da parte del creditore abbia o meno natura perentoria. Ed infatti questa disposizione consente ad «ogni creditore, nel termine di dieci giorni prima della data dell'udienza fissata per la vendita» di presentare istanza di assegnazione, per sé o a favore di un terzo, a norma dell'art. 589c.p.c.

La questione

IlGiudice di Varese, preso atto che la questione della natura del termine è questione dibattuta sia in dottrina, sia in giurisprudenza, si è pronunciato nel senso della non perentorietà del termine di cui all'art. 588 c.p.c.

Le soluzioni giuridiche

La soluzione accolta dal Giudice di Varese prende le distanze dalla pronuncia resa dal Tribunale di Palermo (si tratta di Trib. Palermo, 25 gennaio 2019, edita in questa Rivista, con nostra nota critica)che, in sede di opposizione ex art. 617 c.p.c., ha aderito alla tesi della natura perentoria. Stando a questo precedente, in seguito alle riforme del 2015-2016, «l'assunto della eterogeneità dell'istanza di assegnazione rispetto all'offerta di acquisto (…) persegue la funzione di rendere l'istanza di assegnazione conoscibile alla platea dei possibili e successivi offerenti per evitare una lesione del diritto – normativamente sancito dall'art. 572, comma 3, c.p.c. – dell'offerente (cd. minimo)».

La soluzione adottata dal giudice di Varese riposa invece su due diversi ordini di ragioni. La prima ragione viene individuata nella formulazione letterale adottata dall'art. 588 c.p.c. Segnatamente, da questa disposizione non risulta che il termine sia previsto a pena di decadenza; sicché, in combinato disposto con l'art. 152, comma 2 c.p.c., al termine non può essere attribuita natura perentoria laddove la legge non lo dichiari espressamente come tale (così anche Cass. civ.,18 aprile 2011, n. 8857).

La seconda ragione riposa sull'assunto che – nonostante la Suprema Corte abbia più volte affermato che, pur in mancanza di una espressa previsione normativa, la natura perentoria può essere desunta dalla sua funzione (Cass. civ., Sez.Un., 12 gennaio 2010, n. 262; Cass. civ., 8 febbraio 2006 n. 2787; Cass. civ., 5 marzo 2004, n. 4530) – nella previsione di cui all'art. 588 c.p.c. non vi è alcuna particolare funzione che il termine dei dieci giorni dovrebbe perseguire. Ed infatti correttamente il Giudice dell'esecuzione di Varese ha ritenuto che nessun vulnus concreto può subire l'offerente dalla proposizione di eventuali istanze di assegnazione in quanto consapevole, stante le previsioni di cui agli artt. 571 ss. c.p.c. «di sopportare un'alea ex lege prevista – e consistente nella possibilità per il creditore, ove le condizioni lo prevedano, di proporre istanza di assegnazione – con la conseguenza che, ove intenda porsi al riparo da un'eventuale assegnazione, deve formulare un'offerta di acquisto per un importo almeno pari al prezzo base». In altri termini l'offerente – che voglia essere sicuramente preferito rispetto al creditore istante l'assegnazione deve fare un'offerta pari al prezzo base; di contro, la formulazione dell'art. 573 c.p.c. – in caso di più offerte efficaci – pone al riparo l'offerente minimo da qualsiasi rischio perché gli è sempre consentito rilanciare ed essere preferito al creditore istante l'assegnazione sempre che formuli un rilancio pari almeno al prezzo base.

Osservazioni

Le motivazioni addotte dal Giudice dell'esecuzione di Varese, nel provvedimento in commento, ci sembrano corrette.

In primo luogo la facoltà del creditore di formulare istanza d'assegnazione sin dal primo tentativo di vendita, incentivando l'operatività di tale istituto (in tal senso va letta anche l'introduzione dell'art. 590-bis c.p.c. sull'assegnazione a favore di un terzo) tende proprio a scongiurare il rischio di un'aggiudicazione a prezzo vile, in capo all'offerente minimo; aggiudicazione a prezzo vile che danneggia oltre al debitore anche i creditori che, pertanto, possono come extrema ratio contrastarla proprio con il deposito dell'istanza di cui all'art. 588 c.p.c. Ed infatti, è interesse della procedura esecutiva e, ancor più dei creditori, liquidare il bene per un importo che sia il più elevato possibile, purché nel rispetto delle regole stabilite dal c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 21 settembre 2015, n. 18451).

I termini del discorso non mutano se si considera che l'istanza di assegnazione consente, altresì, ai medesimi creditori di subire gli effetti negativi dovuti ad una eventuale chiusura della procedura per infruttuosità ex art. 164-bis disp. att. Si aggiunga che il legislatore quando ha voluto tutelare le ragioni dei terzi offerenti lo ha espressamente previsto (v. ad es. il comma 5 dell'art. 560 c.p.c. ove si riconosce al terzo il diritto a visitare l'immobile pignorato) e nulla è detto in relazione al diritto del terzo di conoscere l'avvenuta proposizione dell'istanza di assegnazione. In sintesi è corretta la valutazione contenuta nel provvedimento in commento secondo cui la natura ordinatoria del termine per l'assegnazione “permette di perseguire il risultato economicamente più vantaggioso per la procedura in quanto permette di cristallizzare il valore del bene al valore base se non più alto.

In secondo luogo va condiviso l'altro assunto da cui muove il Giudice di Varese: in mancanza di un'espressa indicazione normativa, non può attribuirsi ad un termine natura perentoria, atteso che il secondo comma dell'art. 152 c.p.c. prescrive, in maniera lapidaria, che «i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori». A tali considerazioni va, per completezza aggiunto che a norma dell'art. 154 c.p.c., il termine ordinatorio non può essere liberamente disatteso dalle parti; per vero, al giudice è consentito, d'ufficio o su istanza di parte, prorogarlo o abbreviarlo solo se non ancora scaduto, proroga che nel caso di specie non risulta essere stata richiesta, né disposta. In questo stato di cose il creditore, che non può formulare l'istanza di assegnazione nel rispetto del termine di cui all'art. 588 c.p.c., deve chiedere al g.e. – prima della sua scadenza – la proroga.

Guida all'approfondimento
  • A. Auletta, Il termine per la presentazione dell'istanza di assegnazione ha natura perentoria, su www.inexecutivis.it;
  • C. Mandrioli-A. Carratta, Diritto processuale civile, Torino 2015, I, 510 ss.;
  • P. Farina, Il concorso tra assegnazione dell'immobile al creditore e aggiudicazione in capo al migliore offerente e la (mancanza di) discrezionalità del giudice dell'esecuzione, in Riv. Esec. Forz., 2018, 427 ss.;
  • P. Farina, L'ennesimaespropriazione immobiliare «efficiente» (ovvero accelerata, conveniente, rateizzata e cameralizzata), in Riv. dir. proc., 2016, 136 ss.;
  • P. Farina, Sulla perentorietà del termine per la proposizione dell'istanza di assegnazione, su www.ilProcessoCivile.it;
  • C. Vanz, I nuovi profili dell'assegnazione forzata immobiliare, in Riv. Dir. Proc., 2017, 1, 156.

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