Mancato gradimento del lavoratore da parte della società committente e legittimità del trasferimento
29 Luglio 2019
Il caso
Tizio proponeva ricorso ex art. 700, c.p.c., deducendo l'illegittimità del provvedimento di trasferimento disposto nel marzo 2019, dallo stabilimento Calamizzi sito in Reggio Calabria ad un altro stabilimento sito a Cassino.
Il trasferimento era stato adottato in seguito alla richiesta da parte della società committente dell'appalto stipulato con la società datrice di lavoro, in applicazione della clausola di gradimento sottoscritta tra le parti.
In particolare, la società committente aveva identificato il ricorrente quale persona non gradita dopo aver scoperto che lo stesso nel 2008 era stato condannato per associazione di tipo mafioso ex art. 416, comma 1, c.p. con sentenza passata in giudicato nel 2009.
Inoltre, la società appaltatrice aveva manifestato l'esigenza di inserire una figura professionale come quella del ricorrente presso lo stabilimento di Cassino.
Il ricorrente lamentava l'ingerenza della società committente nel rapporto di lavoro intercorrente con il proprio datore di lavoro nonché l'insussistenza di concrete esigenze giustificanti il trasferimento, posto che la sentenza di condanna era intervenuta 11 anni prima.
Nel ricorso veniva altresì contestata l'insussistenza di ragioni riconducibili a casi “eccezionali”, necessari, ai sensi del CCNL applicato al rapporto di lavoro del ricorrente, a giustificare il trasferimento presso un'altra regione. La questione
La questione in esame è la seguente: la clausola di gradimento può essere attivata secondo la mera discrezionalità del committente? Le soluzioni giuridiche
Come è noto, ai sensi dell'art. 2103, c.c. il trasferimento di un dipendente può essere legittimamente disposto solo per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
La giurisprudenza ha tuttavia individuato nel corso del tempo una specifica ipotesi di trasferimento, derivante dal mancato gradimento espresso dalla Società committente del servizio affidato alla società appaltatrice, cui il dipendente è adibito.
Infatti, il trasferimento disposto in applicazione della clausola di gradimento, determinante una “incompatibilità ambientale” è stato considerato dalla giurisprudenza “riconducibile alle esigenze tecniche, organizzative e produttive legittimanti il trasferimento dei lavoratori (ai sensi dell'art. 2103, c.c.)” (Cass., sez. lav., 12 dicembre 2002, n. 17786).
Occorre inoltre precisare che l'inserimento nei contratti di appalto di una “clausola di gradimento” che prevede la facoltà per la società committente di chiedere la sostituzione di singoli dipendenti dell'appaltatore, è considerata legittima, qualora la relativa applicazione avvenga nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede. Qualora infatti il committente si avvalga della clausola di gradimento, in maniera arbitraria e senza motivare adeguatamente il mancato gradimento di un determinato lavoratore, l'eventuale provvedimento disposto del datore di lavoro appaltatore può essere considerato illegittimo (tra le più recenti, cfr. Trib. Venezia, 14 novembre 2018).
Nel caso di specie, il Giudice, in conformità con il predetto orientamento giurisprudenziale, ha ritenuto che il trasferimento fosse giustificato da un valido motivo tecnico-organizzativo.
Invero, è stato documentato che la committente, venuta a conoscenza della sentenza di condanna (seppur datata) ex 416bis c.p. del ricorrente, avrebbe ritirato il permesso concesso allo stesso di accedere al cantiere; in tale ipotesi, seppur astrattamente, la società appaltatrice avrebbe potuto risolvere il rapporto di lavoro in essere con il ricorrente per impossibilità sopravvenuta di eseguire la prestazione. In tale ottica, il trasferimento del ricorrente è stato ritenuto dal giudice una misura perfino tutelante per il ricorrente.
A fronte dell'impatto mediatico derivante dalla presenza di personale con gravi precedenti penali presso il proprio cantiere, l'esercizio della clausola di gradimento da parte della committente è stato ritenuto conforme ai principi di correttezza e buona fede, anche perché giustificato dall'esigenza di tutelare la propria immagine aziendale.
Il giudice ha pertanto ritenuto legittimo il provvedimento di trasferimento nonchè riconducibile ad un'ipotesi eccezionale che giustifica, ai sensi del contratto collettivo nazionale di lavoro applicato, l'assegnazione del ricorrente ad un cantiere sito in un'altra regione. Osservazioni
L'inserimento di una clausola di gradimento all'interno di un contratto di appalto stipulato tra committente e appaltatore può essere ormai considerata una prassi.
Tuttavia, qualora l'attivazione della clausola da parte del committente non sia avvenuta nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, il provvedimento della società appaltatrice nei confronti del lavoratore non gradito, è spesso considerato illegittimo, a prescindere da qualunque valutazione circa la legittimità o meno di tale clausola di gradimento.
Nel caso di specie non è stata ravvisata alcuna arbitrarietà nella richiesta della società committente perché è stata dimostrata l'intenzione della stessa di non voler far accedere ad un proprio cantiere un lavoratore con gravi precedenti penali - elemento pacifico in giudizio - al fine di tutelare la propria immagine aziendale.
È sempre opportuno infatti, come verificatosi nel caso di specie, che la committente si avvalga di tale clausola, riportando alla società appaltatrice precisi elementi fattuali nonché le specifiche ragioni che determinano l'incompatibilità ambientale di un lavoratore presso un determinato luogo di lavoro.
Infatti, non può essere ritenuta legittima la richiesta da parte della committente di allontanamento di un lavoratore non gradito, ove presentata sulla base della mera applicazione della clausola di gradimento.
Deve quindi escludersi la possibilità per una società committente di avvalersi della clausola di gradimento in modo del tutto arbitrario, non essendo tale clausola un mero strumento per sanzionare condotte non gradite. Diversamente, verrebbe concesso alla committente di esercitare, seppur indirettamente, il proprio potere organizzativo e disciplinare sui lavoratori della società appaltatrice. |