La “Saga Taricco” al capolinea. Brevi riflessioni offerte da questa singolar tenzone

Federico Gragnoli
31 Luglio 2019

La vicenda giudiziaria che va sotto il nome di “Saga Taricco” pur da considerarsi, ormai, archiviata a seguito della sentenza di rigetto del 10 aprile 2018 della nostra Corte Costituzionale, continua ad offrire interessanti spunti di riflessione, anche alla luce di interessanti novità legislative offerte dal diritto dell'Unione Europea. Infatti, quella che all'inizio poteva apparire come una “banale” vicenda giudiziaria ha, in realtà, palesato più implicazioni che, travalicando i confini delle aule dei tribunali, attengono a problematiche di più ampio respiro, quali il bilanciamento dei diritti fondamentali sanciti nella Carta costituzionale con le norme dell'Unione Europea, oppure l'equilibrio tra potere legislativo (rectius diritto penale di produzione scritta) e quello giudiziario (rectius diritto penale di produzione magistratuale). Tale asserzione trova conforto in una riflessione critica della vicenda Taricco globalmente considerata; difatti, si è assistito, da un lato, alla presa d'atto della Corte di Giustizia dell'UE della necessaria considerazione da attribuire ai principi fondamentali scolpiti nella Costituzione italiana e, dall'altro, la nostra Corte Costituzionale, prendendo spunto dalla saga giudiziaria in questione, ha colto l'occasione per sottolineare la primazia del diritto positivo su un diritto frutto di creazionismo, dando risalto alla figura del giudice bouche de la loi rispetto a quella del giudice di scopo. Ha offerto, quindi, la possibilità di dare una concreta applicazione a quella teoria c.d. dei controlimiti, che si propone di essere il baluardo contro gli “attacchi” delle normative sovranazionali ai principi contenuti nella Costituzione repubblicana.
Il casus belli

Al fine di contestualizzare compiutamente la vicenda processuale oggetto del presente elaborato, è necessario ripercorrere e chiarire la vicenda giudiziaria che ha coinvolto, tra gli altri, il Sig. Taricco, commerciante di champagne cuneese, coinvolto in una frode carosello all'IVA.

In evidenza
Tali tipologie di frode vengono poste in essere, nella loro modalità più semplice, attraverso l'interposizione nella filiera commerciale, in particolare quale primo acquirente nazionale, di una società “scatola vuota” priva di alcuna attività imprenditoriale e di consistenza patrimoniale, avente l'esclusivo scopo di assorbire il debito IVA scaturente dalla cessione nazionale successiva all'acquisto intracomunitario, che è del tutto neutro ai fini IVA in quanto a seguito della registrazione della fattura nel registro degli acquisti, vi è anche la registrazione in quello delle vendite, annullando, di fatto, il vantaggio IVA derivante dall'acquisto. L'obiettivo che viene perseguito non è solo di carattere fiscale, finalizzato dunque all'evasione dell'IVA, ma è anche di carattere commerciale; la prima finalità è quindi servente alla seconda che si esplica nella possibilità, da parte degli appartenenti alla filiera commerciale criminale, di immettere sul mercato prodotti, beni o servizi ad un prezzo decisamente più basso rispetto alla concorrenza, proprio perché in quella catena si è verificato un vuoto impositivo. È il c.d. “sotto-costo”. Nei sistemi di frode più complessi, invece, il soggetto interposto non è solo la cartiera, ma ci sono anche i c.d. “filtri”, società funzionali all'allungamento della catena fraudolenta e tra i più insidiosi ai fini dell'accertamento del coinvolgimento in un contesto siffatto.

In tale circostanza, il G.U.P. presso il Tribunale di Cuneo (Tribunale di Cuneo, Ufficio del GUP, Ordinanza del 17.01.2014), chiamato a giudicare gli imputati, si avvide del fatto che i reati tributari ascritti erano destinati ad estinguersi per decorso del termine prescrizionale, in virtù dell'applicazione delle regole sul tema offerte dal codice penale.

Tale status quo ha determinato nel giudice l'intendimento di promuovere un rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell'UE chiedendosi se con la norma che consente la decorrenza del termine di prescrizione dei reati fiscali durante il procedimento penale, con conseguente garantita impunità per gli evasori dell'IVA, lo Stato italiano abbia creato un'ipotesi aggiuntiva di esenzione non prevista nella direttiva, violando l'obbligo imposto a livello comunitario, di prevenire qualsiasi forma di evasione, elusione ed abuso.

In sostanza, il giudice piemontese si chiede se le disposizioni italiane inerenti alla prescrizione (con particolare riguardo al combinato disposto di cui agli artt. 160, ultimo comma, c.p. e 161, comma secondo, c.p.), in ragione del particolare meccanismo applicativo secondo il quale il termine prescrizionale, anche a seguito di interruzione, non può prolungarsi di oltre un quarto rispetto al termine naturale, violi talune disposizioni di matrice europea.

Tali disposizioni riguardano:

  • il divieto di concorrenza sleale (articolo 101 TFUE);
  • il divieto di aiuti di stato (articolo 107 TFUE);
  • il divieto di creare un'esenzione dell'IVA non prevista dalla normativa dell'UE (articolo 158, paragrafo 2, della direttiva 2006/112);
  • l'obbligo degli Stati di vigilare sul carattere sano delle finanze pubbliche (articolo 119 TFUE).

Per superare l'impasse il G.U.P. di Cuneo ha, quindi, proposto rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea.

La sentenza Taricco e la reazione dei giudici nazionali

Dalla lettura della sentenza Sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (Grande Sezione) del giorno 8 settembre 2015 (Causa C-105/14) che va sotto il nome “Taricco” si percepisce immediatamente qual è il preminente interesse dell'UE sulla questione pregiudiziale che le viene sottoposta.

Difatti, dal paragrafo 34 della sentenza in commento, la Corte inizia a discutere nel merito della questione iniziando proprio dalla fattispecie che riguarda il divieto di creare un'esenzione dell'IVA non prevista (art. 158, paragrafo 2, della Direttiva 2006/112). Ciò in ragione di una specificazione che viene fornita nel paragrafo 38 in cui la Corte sottolinea che l'IVA costituisce una risorsa propria del bilancio dell'UE e che per tale ragione gli stati devono, come statuisce l'articolo 2 paragrafo 1 della Convenzione PIF, prendere le misure necessarie affinché le condotte che integrano una frode lesiva degli interessi finanziari dell'Unione siano passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive che comprendano, almeno nei casi di frode grave, pene privative della libertà.

Tale ultima asserzione è prima facie incompatibile con la disciplina della prescrizione italiana applicata al caso concreto, proprio perché nella circostanza in esame il termine prescrizionale è maturo, quindi, in effetti, gli interessi finanziari dell'UE non sono stati adeguatamente tutelati.

Questa valutazione, però, spiega la Corte, deve essere effettuata dal giudice nazionale che, secondo un giudizio di prognosi postuma applicata alla fattispecie concreta, deve valutare se dall'applicazione delle disposizioni nazionali in materia di prescrizione consegue, in un numero considerevole di casi, l'impunità penale a fronte di fatti costitutivi di una frode grave.

In caso affermativo, il giudice dovrà, al fine di dare applicazione all'articolo 325, paragrafi 1 e 2 del TFUE, disapplicare la normativa italiana sulla prescrizione.

La Corte, anticipando le possibili reazioni della magistratura italiana, sottolinea come tale disapplicazione, traducendosi in un allungamento del termine prescrizionale, non viola l'art. 49 della c.d. Carta di Nizza e rafforza questa conclusione sulla base della giurisprudenza maturata intorno all'art. 7 della CEDU

Per quanto concerne, invece, la possibilità di valutare il caso Taricco alla luce degli art. 101, 107 e 119 TFUE la Corte si limita a dichiarare che tale situazione non è valutabile alla luce di queste disposizioni.

Le conclusioni cui giunge la Corte sono confortate, è bene introdurre l'argomento sin d'ora, essenzialmente da una visione del principio di legalità in materia penale diversa da quella operata dai giudici nazionali; difatti secondo la CGUE tale principio si limiterebbe a perimetrare la fattispecie astratta e la pena da comminare, mentre, secondo la tradizione giurisprudenziale italiana, abbraccia ogni sfaccettatura della punibilità, donde ne deriva anche la divergenza, di natura eminemente dogmatica, del concetto di prescrizione che viene inquadrato dalla C.G.U.E. come un istituto di diritto penale processuale, e non sostanziale.

All'alba della sentenza appena riassunta era evidente attendersi comunque delle perplessità da parte della della dottrina, nonché dubbi applicativi da parte della giurisprudenza, chiamata, in virtù del principio della prevalenza del diritto unionale sul diritto interno, a dare applicazione alla “Regola Taricco”.

E così, in alcuni casi (tra tutte, Corte di Cassazione, sez. III, n. 2210, 17 settembre 2015), ha deciso di disapplicare l'articolo 161, comma 2, reputando che il soggetto non ha alcun diritto soggettivo che prevale sulla pretesa punitiva dello Stato,dovendo escludersi ogni violazione del diritto di difesa, perché non può assegnarsi alcun rilievo giuridico all'aspettativa dell'imputato al maturarsi della prescrizione (ovviamente in relazione all'applicazione della regola del combinato disposto degli art. 160, comma 3, e 161, comma 2, c.p.).

Prosegue la Cassazione asserendo che si tratta di un mutamento limitatamente però a quel termine di natura squisitamente processuale, il quale deve considerarsi subvalente rispetto alla fedeltà agli obblighi europei discendenti dagli articoli 4 T.U.E. e 325 T.F.U.E.: il contrasto con gli obblighi europei concerne pertanto unicamente il regime della durata massima del termine che comincia a decorrere dopo l'interruzione della prescrizione, regime che non riceve copertura dall'art. 25 Cost.

Un'interpretazione, questa, sicuramente deludente per quelli che si aspettavano una soluzione “conciliante”, che mediasse tra la posizione della CGUE e le tradizioni del diritto italiano, allorquando, come sembra il caso, ci si trovi in presenza di una posizione giurisprudenziale in potenziale contrasto con i principi costituzionali del nostro Paese.

Deludente anche perché, in presenza di tale conflitto, ci si poteva anche aspettare che la Corte di Cassazione interessasse la Corte Costituzionale, unica figura chiamata a circoscrivere, attuando la teoria dei controlimiti, la penetrazione del diritto di fonte internazionale all'interno del diritto italiano.

Ulteriormente, quello che delude di questa sentenza è anche l'errore di valutazione che la Corte di Cassazione ha effettuato in relazione al precedente giurisprudenziale citato a suffragio della propria tesi.

Difatti, la sentenza n. 236/2011 della Corte Costituzionale, il precedente cui si è fatto cenno, riguardava un caso di retroattività di una norma favorevole all'imputato e nel contesto di quella vicenda si cercava di chiarire se la normativa sovranazionale (l'art. 7 della CEDU) potesse applicarsi al caso concreto, chiedendosi, in estrema sintesi, se l'articolo 7 citato riguardasse anche i termini prescrizionali.

In tale caso la risposta non fu positiva, sulla scorta del fatto che nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo la prescrizione è un istituto di natura processuale.

Comunque, nella vicenda Taricco il problema era ben diverso, perché riguardava non la retroattività della norma favorevole, bensì la irretroattività della norma sfavorevole, la quale va valutata alla luce dell'art. 25 della nostra Costituzione e quindi secondo i paradigmi interpretativi proprio della nostra tradizione giurisprudenziale, tra i quali figura, ad esempio, la natura sostanziale della prescrizione.

Queste le ragioni per cui la prima sentenza di applicazione della “Regola Taricco” non è condivisibile.

Difatti, altri giudici si sono mossi in direzione completamente diversa, ragionando intorno alla compatibilità della “Regola Taricco” con il diritto costituzionale italiano ed hanno adito la Corte Costituzionale.

È l'adozione di una visione improntata al rigoroso rispetto di principi di matrice costituzionale, primo tra tutti quello della legalità formale, ad aver ispirato una visione diversa dalla concezione del diritto penale adottata dalla C.G.U.E.

La Corte d'Appello di Milano (Corte d'Appello di Milano, sez. II, ordinanza n. 339 del 18.09.2015) ha, quindi, statuito che la disapplicazione delle norme di carattere sostanziale di cui agli articoli 160, ultimo comma, e 161, comma 2, c.p., […] produrrebbe la retroattività in malam partem della normativa nazionale risultante da tale disapplicazione, implicante l'allungamento dei termini prescrizionali, con effetti che non sembrano compatibili con il principio di legalità in materia penale […].

A sua volta, la Corte di Cassazione (Corte di Cassazione, Sez. III, ordinanza n. 28346 del 30.03.2016) ha sancito che la disapplicazione degli articoli 160, ultimo comma, e 161, comma 2, c.p., determinerebbe la retroattività in mala partem della normativa nazionale, anche a fatti commessi prima della sentenza Taricco, con conseguente violazione del diritto di difesa dell'imputato a non subire l'applicazione imprevista di una disciplina penale complessivamente più rigorosa rispetto a quella vigente al momento di commissione del fatto, oltre al principio di uguaglianza.

Le conclusioni cui pervengono i giudici milanesi e della Suprema Corte, vengono fatte proprie dalla Corte Costituzionale con l'ordinanza n. 24/2017 con la quale quest'ultima chiede in via pregiudiziale alla C.G.U.E. la soluzione interpretative su tre questioni di diritto afferenti all'art. 325 T.F.U.E. e alla Sentenza Taricco.

In particolare, la sentenza della Consulta prende le mosse dalla presa di posizione su due questioni fondamentali per la risoluzione della controversia interpretativa: in primo luogo viene affermato che il principio di legalità in materia penale esprime un principio supremo dell'ordinamento, posto a presidio dei diritti inviolabili dell'individuo, per la parte in cui esige che le norme penali siano determinate e non abbiano in nessun caso portata retroattiva; secondariamenteviene precisato che nell'ordinamento giuridico nazionale il regime legale della prescrizione è soggetto al principio di legalità in materia penale.

La vexata quaestio, quindi, che si pone la Corte Costituzionale è del seguente tenore: l'art. 325 TFUE deve essere interpretato così come statuito nella Sentenza Taricco, oppure può essere oggetto di formulazioni esegetiche tali da scongiurare qualsiasi attrito con l'art. 25 della Costituzione?

Il percorso logico-argomentativo affrontato dalla Corte Costituzionale si snoda attraverso un ragionamento operato su due distinte specificazioni del principio di legalità in materia penale: la prevedibilità, da parte dell'imputato ed in base al vigente quadro normativo, delle conclusioni interpretative rese in causa Taricco dalla Corte di Giustizia, e il grado di determinatezza che l'ordinamento penale esige in relazione all'interpretazione fornita dell'articolo 325 TFUE., anche con particolare riguardo al potere dei giudici nell'applicazione della sentenza.

Con riferimento al primo aspetto, la Corte candidamente afferma che la persona non potesse ragionevolmente pensare, prima della sentenza resa in causa Taricco, che l'art. 325 del TFUE prescrivesse al giudice di non applicare gli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen. ove ne fosse derivata l'impunità di gravi frodi fiscali in danno dell'Unione in un numero considerevole di casi […].

In relazione al secondo aspetto, la verifica cui è chiamata la Corte prevede un'analisi della sentenza Taricco alla luce di un giudizio in termini di idoneità nel delimitare la discrezionalità giudiziaria.

Anche tale verifica è chiaramente negativa, perché il riferimento a concetti quali “numero considerevole di casinon fa altro che attribuire ai giudici un obbligo di risultato in termini di politica criminale (la punizione di chi froda il bilancio dell'UE) ed è del tutto incompatibile con un sistema penale legalmente orientato, nel quale, per l'appunto, ogni aspetto della punibilità soggiace al primato della legge.

La Consulta, in ogni caso, si preoccupa di giustificare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'UE specificando che l'impedimento del giudice nazionale ad applicare direttamente la regola enunciata dalla Corte non deriva da una interpretazione alternativa del diritto dell'Unione, ma esclusivamente dalla circostanza, in sé estranea all'ambito materiale di applicazione di quest'ultimo, che l'ordinamento italiano attribuisce alla normativa sulla prescrizione il carattere di norma penale sostanziale e la assoggetta al principio di legalità espresso dall'art. 25, secondo comma, Cost.

È questa una qualificazione esterna rispetto al significato proprio dell'art. 325 del TFUE, che non dipende dal diritto europeo ma esclusivamente da quello nazionale.

Alla luce di queste formulazioni esegetiche, la Consulta formula rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'UE, ravvedendo, nell'applicazione della regola Taricco, la violazione del principio di legalità in materia penale e del suo corollario, la sufficiente determinatezza, ciò anche nell'ottica della concezione sostanzialistica del regime della prescrizione.

La Taricco-bis e la replica della Consulta: divieto d'accesso della “Regola Taricco”

Si apre, a questo punto, l'ultimo capitolo della Saga Taricco, che prende le mosse dalle conclusioni dell'avvocato Generale Yves Bot presentate il 18 luglio 2017. Da una disamina di tale documento giudiziario non ci si sarebbe aspettata quella che è stata la conclusione adottata dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea.

Difatti, l'Avvocato Generale, sin dalle battute d'apertura difende l'operato della CGUE nella I Sentenza Taricco, asserendo che non si tratta di rimettere in discussione il principio stesso stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco, […] quanto piuttosto di precisarne i criteri in base ai quale tale obbligo deve essere attuato.

Si tratta, in estrema sintesi e secondo le indicazioni dell'Avvocato Generale, di perimetrare ed offrire gli adeguati criteri ermeneutici che possano giustificare l'attuazione del principio per il quale il giudice nazionale deve disapplicare le norme italiane sulla prescrizione allorquando queste ultime non possano garantire sanzioni effettive e dissuasive delle gravi frodi lesive dell'UE in un numero considerevole di casi.

Tale operazione verrebbe posta in essere attraverso, da un lato, l'adozione di una nozione autonoma del diritto dell'Unione Europea di interruzione della prescrizione e, dall'altro, analizzando la portata del principio di legalità dei reati e delle pene nel diritto unionale.

Nello specifico, l'Avvocato Generale Yves Bot sostiene che la Corte di Giustizia deve considerare la nozione di interruzione della prescrizione una nozione autonoma del diritto dell'Unione, e deve definirla nel senso che ogni atto diretto al perseguimento del reato nonché ogni atto che ne costituisce la necessaria prosecuzione interrompe il termine di prescrizione; tale atto fa quindi decorrere un nuovo termine, identico al termine iniziale, mentre il termine di prescrizione già decorso viene cancellato.

Nell'analisi, invece, della portata del principio di legalità l'Avvocato Generale opera un ragionamento sillogistico che, a partire dal macro concetto di “ambito di applicazione del diritto dell'Unione”, finisce per suffragare la bontà dell'applicazione della Regola Taricco sulla scorta dell'art. 49 della Carta di Nizza, dell'articolo 7 della C.E.D.U. e della relativa giurisprudenza.

In sostanza, l'argomentazione che viene propugnata attiene al fatto che allorquando si tratti di interessi finanziari dell'UE, la relativa violazione rientra nell'ambito del diritto dell'UE e solo tale diritto deve essere applicato, con particolare riguardo alla nozione processuale di prescrizione. Ed è ovvio che solo seguendo tale interpretazione si può accettare la Regola Taricco, diversamente censurabile per violazione del principio di legalità.

Ed è proprio questo aspetto, l'applicazione esclusiva del diritto dell'UE, che la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (Corte di Giustizia dell'Unione Europea (Grande Sezione), Sentenza del 5 dicembre 2017) stigmatizza nella Taricco-bis.

Difatti, viene affermato dapprima che il settore della tutela degli interessi finanziari dell'Unione rientra nella competenza concorrente dell'Unione e degli Stati membri, ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, del T.F.U.E; viene inoltre asserito che alla data dei fatti di cui al procedimento principale, il regime della prescrizione applicabile ai reati in materia di IVA non era stato oggetto di armonizzazione da parte del legislatore dell'Unione, armonizzazione che è successivamente avvenuta solo con l'adozione della Direttiva UE 2017/1371 […]. La Repubblica italiana era quindi libera a tale data di prevedere che, nel suo ordinamento giuridico, detto regime ricadesse, al pari delle norme relative alla definizione dei reati e alla determinazione delle pene, nel diritto penale sostanziale […]

Appare chiaro, quindi, che l'Italia, all'epoca dei fatti, ben poteva (rectius doveva) operare un ragionamento intorno alla compatibilità della Regola Taricco con i propri principi costituzionali operanti in ambito penale.

La conclusione non poteva essere diversa: i requisiti di determinatezza, prevedibilità e irretroattività del principio di legalità si devono applicare, nell'ordinamento italiano, anche al regime della prescrizione relativo ai reati in materia di IVA, donde ne deriva che la Regola Taricco non può trovare usbergo nel diritto italiano qualora si ravvisi insufficiente determinatezza nella legge applicabile o violazione dell'irretroattività di una norma sfavorevole all'imputato.

Da queste ultime asserzioni la Consulta (Corte Costituzionale, Sentenza n. 115/2018) tira le fila del discorso anticipato nell'ordinanza 27/2017, precisando che, avuto riguardo al caso in trattazione, il divieto d'accesso della Regola Taricco nell'ordinamento nazionale non deriva solo dal fatto che si tratta di eventi avvenuti prima del 08 settembre 2015 (per cui ci sarebbe violazione dell'irretroattività della norma penale sfavorevole), ma anche dall'aperto contrasto con il principio di determinatezza in materia penale che caratterizza la Regola Taricco.

In maniera lapidaria la Consulta chiude il discorso sancendo che la violazione del principio di determinatezza in materia penale sbarra la strada senza eccezioni all'ingresso della Regola Taricco nel nostro ordinamento. Una conclusione, si potrebbe dire, tutt'altro che conciliante.

Prospettive de iure condendo

La vicenda Taricco, come si è avuto modo di vedere, ha aperto un altro capitolo della saga sorta attorno al bilanciamento del principio del primato del diritto dell'UE e la tutela dei diritti fondamentali sanciti nella Costituzione italiana.

E pare di intuire che in questa occasione il conflitto non abbia trovato un bilanciamento, ma sia stata trovata una soluzione tranchant da parte della Consulta, nonostante la Corte di Giustizia dell'Unione Europea abbia, vagamente ed in termini che in effetti si prestano a critiche, fatto riferimento ad una pacifica soluzione del problema.

Ci si riferisce all'affermazione offerta dalla CGUE inerente all'adozione della Direttiva UE 2017/1371 (il cui termine di recepimento scadrà il 06.07.2019) ed in particolare al suo articolo 12 il quale nasce con il precipuo scopo di armonizzare la legislazione dei Paesi membri intorno al regime prescrizionale da adottare in contesti di frodi gravi all'IVA.

Armonizzazione che, si badi bene, opererebbe, come si desume dalla littera legis (Art. 12 Direttiva 2017/1371 paragrafo 2: Gli Stati membri adottano le misure necessarie per permettere che le indagini, l'azione penale, il processo e la decisione giudiziaria per i reati di cui agli articoli 3, 4 e 5 punibili con una pena massima di almeno 4 anni di reclusione, possano intervenire per un periodo di almeno cinque anni dal momento in cui il reato è stato commesso), sul piano del meccanismo di funzionamento (in particolare sulla durata) del termine prescrizionale e non su questioni dogmatiche dell'istituto della prescrizione, come la CGUE vorrebbe con la Taricco-bis, allorquando afferma che la Repubblica italiana era quindi libera a tale data di prevedere che, nel suo ordinamento giuridico, detto regime ricadesse, al pari delle norme relative alla definizione dei reati e alla determinazione delle pene, nel diritto penale sostanziale, quasi a voler dire che, una volta armonizzate le legislazioni nazionali nei termini appena delineati, anche la natura dell'istituto della prescrizione debba subire una omologazione a livello di UE.

Chiaramente è da destituire di fondamento tale conclusione in quanto, come evidenziato, la norma è chiara e non fa riferimento ad aspetti di carattere dogmatico.

Conserva certamente validità la direttiva citata allorquando si pone in evidenza non tanto la valenza “classificatoria”, quanto piuttosto la portata ed il significato del precetto in termini di bilanciamento degli interessi contrapposti citati precedentemente, ovvero la tutela dei diritti garantiti dalla Costituzione italiana in materia penale ed il principio del primato del diritto dell'UE.

In relazione al primo principio, la direttiva offre, all'articolo 2, paragrafo 2, una definizione chiara di reato grave, con ciò elidendo l'ostacolo (sottolineato in ultima istanza dalla Consulta nel paragrafo 14 della Sentenza 115 del 2018) della indeterminatezza quale sbarramento all'accesso della Regola Taricco nell'ordinamento italiano.

In riferimento al secondo, invece, l'armonizzazione della legislazione renderà, almeno per quanto concerne il regime della prescrizione, automatica l'aderenza della condotta dei Paesi membri al dettato di cui all'art. 325 TFUE o, per dirla diversamente, formalizzerà il primato del diritto dell'UE sulle questioni intorno al regime prescrizionale che riguardino gravi frodi in danno dell'UE.

Infine, è opportuno sottolineare come il tema della prescrizione italiana, al di là del caso oggetto di riflessione, sia comunque di profonda attualità e di interesse da parte dell'UE; basti citare, a tal proposito, il “Documento di lavoro dei servizi della Commissione” siglato a Bruxelles il 22.02.2017, nel quale si fa rimando ad alcune raccomandazioni che la Commissione europea aveva fatto all'Italia, tra le altre cose, in materia di giustizia, ed in particolare propugnando una riforma della prescrizione.

Probabile che questa serie di raccomandazioni, unitamente alla Direttiva 2017/1371 e alla Saga Taricco abbiano influenzato le ultimissime novità legislative; il riferimento è alla Legge 9 gennaio 2019 n. 3 che, all'articolo 1, comma 1, lettere d), e) ed f) introduce una profonda rivoluzione dell'istituto della prescrizione (la cui entrata in vigore è fissata al 01 gennaio 2020.), per cui il decorso del termine prescrizionale è sospeso dalla sentenza di primo grado fino alla data di esecutività della sentenza.

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