Una nota (parzialmente) critica al primato del piano d'impresa nell'ambito degli adeguati assetti

Riccardo Ranalli
05 Agosto 2019

L'autore, pur avendo in più occasioni dato atto della supremazia del dato previsionale, ai fini dell'autodiagnosi da parte dell'impresa dello stato di salute finanziaria, invita ad estrema cautela nell'impiego delle stime prognostiche quando esse non siano formulate utilizzando un rigido e affidabile insieme di regole di dettaglio.
Premessa

L'autore, pur avendo in più occasioni dato atto della supremazia del dato previsionale, ai fini dell'autodiagnosi da parte dell'impresa dello stato di salute finanziaria, invita ad estrema cautela nell'impiego delle stime prognostiche quando esse non siano formulate utilizzando un rigido e affidabile insieme di regole di dettaglio.

D'altronde la creazione dal nulla di tali regole necessita di tempo e non pare realizzabile nei pochi mesi che ci separano dall'entrata in vigore del Codice della Crisi.

L'unico rimedio esperibile con immediatezza per evitare alle imprese di rimettersi ciecamente agli indici di futura emanazione ed ai probabili falsi segnali (sia positivi che negativi) è quello di attivare sin d'ora una reportistica trimestrale, indagando il fenomeno della stagionalità attraverso la disamina dei dati storici. Si tratta di un'esigenza al momento ancora del tutto trascurata dalla prassi e dalla dottrina.

La rilevanza dei dati prospettici ai fini della individuazione dello stato di crisi

Chi scrive ha sempre sostenuto che il miglior strumento per intercettare una situazione di crisi rilevante per gli obblighi segnaletici di cui all'art. 14 CCI sia la verifica della sostenibilità del debito in un orizzonte temporale di breve termine che molto opportunamente l'art. 13 CCI individua in 6 mesi. La sostenibilità del debito si rileva attraverso la stima dei flussi di cassa al servizio dello stesso che l'impresa è in grado di generare. L'ottica è quindi quella del dato previsionale. Gli indicatori storici, al di là della loro significatività, sono, in effetti, poco adeguati a valutare una realtà dinamica quale è quella dell'impresa; essi sono inevitabilmente forieri di falsi segnali come chi scrive ha avuto modo di rappresentare sin dall'emanazione della legge delega (R. RANALLI, Le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi: insidie ed opportunità, in questo portale, 31 ottobre 2017).

D'altronde sono gli stessi obblighi organizzativi e quelli segnaletici interni a richiedere una governance finanziaria dell'impresa improntata al prevedibile andamento aziendale. La legge delega ha infatti spostato il focus dal dato storico a quello prospettico, al punto da potersi parlare dell'introduzione di un “primato del forward looking”.

I riferimenti in tal senso del quadro normativo che emerge dalla riforma sono numerosi. Essi vanno dalla nozione stessa della crisi in termini di “probabilità di futura insolvenza” (art. 2 legge delega) e di “inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici” (art. 2 CCI), all'obbligo di valutazione del “prevedibile andamento della gestione” (art. 14 CCI), della “sostenibilità dei debiti per i sei mesi successivi” e delle “prospettive di continuità aziendale” per l'esercizio in corso (art. 13 CCI).

La rilevanza del dato prospettico non è peraltro una novità del Codice della crisi. Se ne ritrovava già traccia nei principi contabili interni (OIC 9) ed internazionali (IAS 36) laddove essi richiedono che la valutazione degli assets abbia luogo sulla base dei flussi di cassa attesi; ad essa è anche conformato l'art. 6 del d.lgs. n. 175/2016 che impone alle società pubbliche l'adozione di programmi di valutazione del rischio di crisi. Essa, a ben vedere, è implicita anche nella nozione di equilibrio finanziario che ora ritroviamo agli artt. 13 e 14 CCI ma che si ritrovava già all'art. 2467 c.c. e, con riferimento alla crisi d'impresa, al co. 3, lett. d), dell'art. 67.

È solo attraverso il dato prospettico che è possibile escludere o ravvisare una situazione di insostenibilità del debito a sei mesi che costituisce il presupposto del fondato indizio dai quali scaturiscono gli obblighi segnaletici di cui all'art. 14.

Non vi è dubbio alcuno sul fatto che un governo efficace dell'impresa risieda nella pianificazione dell'attività e che le decisioni, quanto meno quelle strategiche, debbano essere assunte avendo riguardo al loro impatto prognostico sulla sostenibilità del debito e sull'equilibrio finanziario. L'impresa si governa accendendo i fari e guardando la strada, non fissando lo sguardo sullo specchietto retrovisore. Il dato storico fa parte del passato e l'esperienza ci insegna che il futuro non si ripresenta mai esattamente negli stessi termini, modi ed intensità che hanno caratterizzato l'esperienza vissuta.

Se il piano d'impresa è lo strumento di governo, gli adeguati assetti organizzativi derivanti dalla modifica dell'art. 2086 c.c. non possono non contemplare l'insieme delle procedure interne delle quali si è dotata l'impresa per la stima dei dati previsionali. Per dirla in modo più semplice, essi non risiedono tanto nel piano industriale in quanto tale, ma piuttosto negli adeguati assetti organizzativi che ne consentono la redazione che a loro volta poggiano su tre distinti pilastri: quello della corretta strutturazione e collocamento delle funzioni aziendali; quello del disegno delle procedure da adottarsi; quello degli strumenti impiegati.

La separazione e contrapposizione delle funzioni: un presupposto necessario per la formulazione di stime affidabili

Ma è proprio così vero che la diagnosi dello stato di salute dell'impresa possa essere sempre svolta attraverso il dato prospettico?

A chi scrive pare non venga prestata sufficiente attenzione ad un profilo critico: spostando il focus dal dato storico a quello prospettico si rischia di transitare da un sistema caratterizzato da regole rigide, costituito dai principi contabili, a uno assai meno definito, quello della stima dei dati prognostici. Sostenendo il primato del forward looking sempre e comunque, a prescindere dalla loro affidabilità, senza alcuna preliminare valutazione dell'adeguatezza del processo di formazione delle stime prognostiche, si corre il concreto rischio di attribuire alla governance finanziaria dell'impresa alle mere aspettative dell'imprenditore, talvolta costituite più da semplici speranze che da stima ragionate, facendole prevalere sulla realtà fattuale. L'imprenditore, per sua natura, guarda al futuro con positività e non è a lui che si può chiedere la misurazione dell'impatto delle strategie ipotizzate. L'espressione delle stime richiede un'attività di analisi di fattibilità svolta nella separazione e contrapposizione di ruolo rispetto a colui che formula le ipotesi.

Quando un imprenditore, a fronte di minacce o di opportunità di mercato, individua soluzioni, tende più a porre degli obiettivi che, pur nella loro razionalità e astratta praticabilità, necessitano di essere tradotti in esercizi quantitativi che tengano conto delle innumerevoli variabili dalle quali dipendono. Nella sana e imprescindibile separazione e contrapposizione delle funzioni, a fronte di chi pone gli obiettivi deve esserci chi (responsabile amministrativo, CFO, responsabile controllo di gestione, risk management, a seconda della complessità della struttura) svolge gli esercizi di fattibilità.

È la separazione e contrapposizione delle funzioni, propria di un assetto organizzativo adeguato, il primo pilastro degli adeguati assetti che permette di pervenire ad una valutazione consapevole delle prospettive aziendali e delle probabilità di crisi. La governance finanziaria, che dovrebbe essere caratterizzata da adeguata indipendenza, dovrebbe sovrintendere alla misurazione degli effetti attesi sottostanti ai dati prognostici.

I principi per la costruzione dei dati prognostici non sono le regole di dettaglio necessarie per assicurarne l'affidabilità

Invero, non è sufficiente la mera separazione delle funzioni per assicurare affidabilità alle stime dell'andamento aziendale. Occorrono anche chiari e puntuali riferimenti nella costruzione dei dati prognostici. Ed è questo il punto di maggiore difficoltà.

Le regole di confezionamento dei dati storici si sono formate in decenni di evoluzione dei relativi standard, veri e propri set di principi contabili sistematici e coordinati al loro interno. I dati prognostici hanno invece poco più che qualche mero riferimento di alto profilo, in termini di linee guida di costruzione dei piani (BORSA ITALIANA, Guida al Piano Industriale, 2003; UNIVERSITÀ DI FIRENZE Linee Guida, 2014, ANDAF/AIDEA, APRI e OCRI, Principi per la redazione dei piani industriali e di risanamento, settembre 2017), o indicazioni di metodo contenute nei principi di revisione sulla affidabilità delle assunzioni (ISAE 3400). Non è mai stato individuato un set di regole per la redazione dei piani; sono stati tutt'al più individuati, dalla dottrina e nelle best practices, i requisiti che deve possedere un piano per essere ritenuto affidabile.

Chi scrive ne ha individuati in particolare sette:

  • il requisito della coerenza con la situazione di fatto dell'impresa e dell'ambiente in cui opera;
  • il requisito della condivisione del piano da parte di coloro che saranno chiamati ad attuarlo;
  • il requisito della verificabilità del piano, che deve essere controllabile e sotto questo profilo assume rilevanza la separazione della sua parte inerziale rispetto a quella in discontinuità con il passato per effetto dell'action plan previsto;
  • il requisito della sua fruibilità e completezza espositiva che per sussistere deve consentire il monitoraggio in continuo dell'avanzamento del piano attraverso l'uso di indicatori di performance chiave (KPI);
  • il requisito dell'affidabilità del dato sottostante, la c.d. data quality;
  • il requisito della sua conformità al modello di business;
  • il requisito dell'adozione dell'adeguato scenario di riferimento che è quello maggiormente probabile al quale devono essere associati gli scenari derivanti dalle analisi di sensitività ai fattori di rischio inerente.

Per quanto essi siano in grado di assicurare adeguatezza al dato prognostico, si tratta però sempre solo di principi. Mancano invece le regole di dettaglio costituite dalle norme di comportamento da seguire per mitigare il grado di incertezza delle stime.

Qualora si ritenga, come anche chi scrive ritiene, che il piano d'impresa correttamente costruito costituisca il più efficace strumento di constatazione della presenza della continuità aziendale e dell'equilibrio finanziario, tra gli obblighi organizzativi ai quali l'art. 2086 c.c. fa riferimento rientrerebbe sicuramente (ed anzi ne costituirebbe il secondo pilastro degli adeguati assetti in materia) la definizione di un insieme di regole interne all'impresa per la costruzione dei piani previsionali.

Non esiste però alcun set preconfezionato di regole buone ad ogni uso. E non esiste per un banale motivo: le regole di dettaglio dipendono da come è conformato il modello di business, da come è in concreto strutturata l'organizzazione dell'impresa, da quali sono le linee di responsabilità e quelle di riporto, dalla mappatura delle informazioni disponibili, dalla loro fruibilità, dal vaglio dell'adeguatezza del processo di rilevazione e di condivisione, dalle modalità di impiego e dalle modalità di confronto e condivisione tra le funzioni delle valutazioni condotte.

In pratica, ogni impresa costituisce un habitat originale difficilmente replicabile in vitro. Per tale motivo, il manuale per la redazione del piano d'impresa non lo si ritrova in libreria e non può essere preconfezionato. Quelle che si trovano ben descritte e definite sono invece le fasi del processo di pianificazione, finanche gli esempi di costruzione di piani e di fogli elettronici ad hoc.

La road map di confezionamento del piano deve invece essere scritta dalla singola impresa e alla sua scrittura vi giungerà solo nel tempo, attraverso reiterati esercizi di progressivo affinamento.

Fino a quando le regole non sono state prima adottate e poi sperimentate, i rischi connessi alla sopravvalutazione di un dato prognostico non correttamente costruito sono elevati, al punto che ne deriva un forte ridimensionamento dell'enfasi al primato del forward looking.

La definizione delle regole di dettaglio: un percorso lungo e complesso

Ma quali sono le logiche alle quali devono rispondere le regole di dettaglio di confezionamento dei dati prognostici?

Spesso ci si riferisce ai dati costruiti dal basso (bottom up), e cioè dalle funzioni che risponderanno della loro realizzazione, come a dati pervasi da maggiore prudenza rispetto a quelli imposti dall'alto (top down). In realtà la definizione dei dati prognostici richiede una continua triangolazione tra il top management che individua le strategie, le funzioni operative che sono chiamate a metterle in atto, le funzioni non operative che ne valutano la coerenza con le informazioni disponibili, con un approccio indipendente e come tale conformato ad un sano scetticismo. Si tratta di un processo caratterizzato da interazioni successive che richiede la rilevazione, discussione e comprensione del dato prima di giungere alla sua validazione. Esso deve maturare all'interno della singola impresa tenendo conto delle specificità organizzative della stessa.

Ne sono ben consapevoli gli attestatori della fattibilità dei piani che dedicano alla fase delle interviste gran parte del tempo di valutazione delle assunzioni contenute nel documento, sopperendo così alle eventuali carenze nell'ordinaria interlocuzione tra le diverse funzioni aziendali. Quando però il piano non è attestato, manca il relativo vaglio indipendente di fattibilità, strutturato e pervaso da un corretto spirito critico. Esso ed il risk assessment che ne è alla base devono allora essere sottesi ai processi di costruzione del dato.

Anche se le specificità organizzative della singola impresa impediscono di articolare comuni regole di dettaglio, si può però delineare il percorso corretto che dovrebbe essere seguito per la loro definizione.

Occorre innanzitutto individuare una funzione sufficientemente indipendente ed autorevole alla quale demandare l'esercizio del presidio del processo di pianificazione; di pari passo viene l'individuazione del responsabile della rilevazione e valutazione degli scostamenti, il che, in particolare nelle realtà meno strutturate, può essere rimesso ad una stessa funzione; in quelle più evolute pianificazione e controllo di gestione potrebbero invece essere tenuti separati.

Si tratta quindi di condurre un'attenta mappatura delle informazioni aziendali. Non ci si riferisce al solo dato storico, ovviamente necessario, ma anche alla raccolta di dati correnti attinenti alla pipeline del ciclo attivo; si tratta delle informazioni provenienti dalla rete commerciale, dai primi contatti sino alla formalizzazione dell'ordine, di quelle relative alle successive vicende che hanno interessato l'ordine stesso (esecuzione, sospensione e revoca).

Con riferimento al ciclo passivo ed a quello produttivo, di estrema rilevanza saranno le informazioni attinenti agli indicatori di chiave performance sia in termini di produttività che di capacità produttiva.

Di fondamentale rilevanza sono in ogni caso le informazioni attinenti ai mercati di sbocco ed a quelli di approvvigionamento.

Occorre in ogni caso comprendere chi raccoglie le informazioni e chi e con quali modalità e termini ne fruisce. A tal fine assumono rilevanza cruciale le procedure aziendali in concreto agite, l'individuazione di dove si formano le decisioni, quali sono i percorsi logici adottati e le informazioni utilizzate per assumerle.

L'ultimo momento attiene alle modalità di rilevazione degli scostamenti e di valutazione degli stessi, nonché all'adozione degli strumenti di rimedio. Si tratta di un passaggio fondamentale per comprendere il grado di mitigazione dei rischi e conseguentemente per transitare dal rischio “inerente” a quello “residuo” all'esito delle reazioni da parte dell'impresa.

Tutto ciò costituisce la cornice entro la quale deve essere valutata l'adeguatezza del percorso di costruzione delle stime, valutazione che dovrà essere condotta alla luce degli scostamenti dei dati previsionali con quelli consuntivi. È infatti fondamentale comprendere, sulla base delle cause degli scostamenti, le carenze di processo nella costruzione del dato prognostico. Ad esempio: le diverse funzioni coinvolte tengono adeguatamente conto di tutte le informazioni disponibili? Vi sono corto circuiti informativi che impediscono a chi deve fruirne la tempestiva conoscenza dei dati occorrenti? Quali sono le cause degli errori di stima commessi in passato? Sono stati sottovalutati i rischi intercettati da altre funzioni aziendali?

È possibile, ad esempio, che alcune funzioni dispongano di informazioni che contrastano con le stime formulate da altre ma, per carenza di indipendenza o autorevolezza rispetto a queste ultime, non le trasferiscano a chi presiede l'intero processo.

Si tratta, in questi casi, di intervenire per rimuovere i momenti di debolezza, ad esempio attraverso la sostituzione di taluni presidi, l'adeguamento della struttura organizzativa, il disegno di alcuni processi, l'arricchimento del patrimonio informativo, ecc. Tutto ciò, una o più volte, fino a quando non si perverrà a un prodotto (che sia il piano o solamente il budget) sufficientemente affidabile.

La necessità dell'impiego di strumenti informatici

Individuato il processo occorrerà renderlo stabile ed agevolmente ripercorribile. Il che sarà possibile solo attraverso l'adozione dei necessari strumenti strumenti informatici.

Quanto sopra rappresentato rende, infatti, evidente come il processo della pianificazione necessiti di strumenti che consentano di applicare in modo sistematico le regole di dettaglio, in difetto dei quali qualsiasi esercizio rischia di restare estemporaneo, difficilmente replicabile, senza ingiustificati sforzi economici, ed incerto nella sua affidabilità, per effetto di errori derivanti dall'impiego di una manualità rilevante.

Si tratta del terzo pilastro che sorregge gli adeguati assetti in materia, che assicura la qualità del dato, in termini di completezza, accuratezza ed appropriatezza delle informazioni (per completezza delle informazioni si deve intendere la presenza di quelle storiche sufficienti per le valutazioni richieste; per l'accuratezza l'assenza di errori materiali delle informazioni utilizzate e la loro coerenza con i dati di periodi storici precedenti; per appropriatezza la coerenza delle informazioni utilizzate con le finalità, le ipotesi sottostanti al modello utilizzato e i rischi ai quali è esposta l'impresa) e che trova negli strumenti informatici il principale presidio attraverso i controlli impliciti di sistema e l'ancoraggio delle previsioni a dati non incisi da manualità e soggettività.

I rimedi esperibili in assenza di sperimentate ed efficaci regole interne di pianificazione

Pur se il piano d'impresa è potenzialmente il più efficace strumento per intercettare tempestivamente la crisi, rimettere esclusivamente ad esso la valutazione della presenza o dell'assenza di “fondati indizi” rischia di costituire, nei casi in cui le regole sottostanti non siano state adottate o comunque risultino inadeguate, un mero alibi per far passare in secondo piano o addirittura trascurare la situazione fattuale che dei dati prospettici costituisce invece il principale momento genetico.

Dall'altra parte, non si può trascurare che il mero ricorso ad indici storici presenti criticità altrettanto gravi: per quanto sofisticati siano, tutti gli indici fondati sui dati storici presentano rilevanti falsi segnali positivi e, nel contempo, incapacità ad intercettare situazioni di crisi in atto (falsi segnali negativi).

Stretti tra l'inaffidabilità delle stime e l'insufficiente significatività del dato storico, occorre individuare una via di uscita per un'affidabile diagnosi dello stato di salute dell'impresa. Essa può essere solo ricercata nella valutazione critica dell'andamento corrente.

Si tratta: dei volumi e dei prezzi di vendita in atto, della marginalità che l'impresa è in grado di esprimere, del ciclo di conversione in cassa attuale (tempi di incasso dei crediti di fornitura, tempi di rigiro del magazzino e tempi di pagamento dei fornitori), degli investimenti che, in difetto di una loro puntuale pianificazione, possono essere dedotti dalla dinamica corrente. Sono le informazioni occorrenti per la stima dei flussi di cassa liberi al servizio del debito che l'impresa è in grado di realizzare su una base inerziale.

Vi è però un elemento ulteriore che è indispensabile per svolgere utilmente l'esercizio: la conoscenza della stagionalità. Il dato corrente infatti risente del fatto che i ricavi (e talvolta anche i costi) non presentano quasi mai un andamento lineare nel corso dell'esercizio ma risentono di una ciclicità infrannuale che rende scarsamente intellegibili osservazioni che non siano condotte con riferimento all'intero esercizio. Salvo che non venga adottato in via sistematica un processo di comparazione infrannuale storica. Ecco allora che le realtà meno strutturate che non hanno adottato regole di dettaglio per la stima del dato previsionale devono concentrarsi sin da subito sul monitoraggio e sulla valutazione della stagionalità in funzione di un'affidabile lettura del dato corrente, a sua volta indispensabile per comprendere le prospettive di breve termine.

Conclusioni

Le piccole imprese, che con rare eccezioni non hanno implementato presidi organizzativi atti ad assicurare una pianificazione affidabile, non riuscendo entro i brevi termini della vacatio legis ad ultimare il percorso di predisposizione ed affinamento delle regole interne eventualmente intrapreso, potranno avvalersi del monitoraggio dell'andamento aziendale. A condizione però che esse attivino con immediatezza, sin da ora, processi di rendicontazione infrannuale non superiore al trimestre. Tre mesi infatti è il requisito della tempestività fissato dal comma 1 dell'art. 24 in materia di misure premiali: “l'iniziativa del debitore … non è tempestiva se egli propone … l'istanza di cui all'art. 19 (nda di composizione assistita della crisi) oltre il termine di tre mesi.”.

In ogni caso, la mancanza di una rendicontazione trimestrale rende la valutazione dell'andamento corrente molto ardua da condurre e rischia di portare a conclusioni fuorvianti.

La chiusura trimestrale dei conti diviene quindi una regola che per le piccole imprese costituisce novità assoluta implicita al Codice della Crisi passata fino ad ora sotto traccia.

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